Nota dell’Avv. Andrea Castaldo
Sulla applicabilità dell’istituto della messa alla prova degli enti
1. Il principio di diritto
L’istituto dell’ammissione alla prova di cui all’art. 168 bis c.p. non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al D.Lgs. 231/2001.
2. Il contrasto risolto
Il Supremo Consesso è intervenuto a dirimere, con una esegesi quasi dottrinale, un intenso contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità sulla applicabilità o meno della disciplina dell’art. 168 bis c.p., rubricato “Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato”, alle persone giuridiche, in relazione alla responsabilità amministrativa dipendente da reato, di cui al D.Lgs. 231/2001.
È utile chiarire che nella disciplina relativa alla messa alla prova non vi è alcun riferimento alle persone giuridiche come possibili soggetti destinatari di essa e neppure la normativa speciale contiene richiami per l’applicabilità della disciplina agli enti.
Gli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 231/2001, in particolare, nel dettare le disposizioni generali sul procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato, oltre a prevedere l’osservanza delle norme specificamente dettate dal decreto, contengono un richiamo molto generico alle, non meglio individuate, disposizioni del codice di procedura penale relative all’imputato, “in quanto compatibili”.
Proprio sul tema della compatibilità o, meglio, dell’applicabilità “analogica” o “estensiva” del richiamato istituto, è insorto il contrasto che ha trovato nella giurisprudenza di merito soluzioni contrastanti.
Al di là delle discussioni sui principi penalistici applicabili agli enti, un punctum dolens si rinviene negli effetti della messa alla prova con riferimento al lavoro di pubblica utilità che deve essere svolto.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite evidenziano come l’art. 168 bis c.p. sia modellato sulla figura dell’imputato persona fisica, per finalità special-preventiva, riparativa, conciliativa e rieducativa.
Ne consegue, per la Cassazione, come tale disciplina non risulti applicabile alle persone giuridiche.
L’estensione dell’istituto della messa alla prova agli enti risulterebbe indebita, ostandovi, innanzitutto, il principio della riserva di legge di cui all’art. 25, c. 2, Cost..
Si sottolinea, inoltre, come la ratio della responsabilità da reato degli enti sia incompatibile con le finalità sottese al meccanismo sospensivo, specialmente perché il lavoro di pubblica utilità, elemento essenziale del percorso di risocializzazione e rieducazione dell’imputato, finirebbe per risolversi in un risarcimento a favore della collettività.
In definitiva, in assenza di una disciplina ad hoc, le Sezioni Unite pongono un primo tassello interpretativo sulla (non) applicabilità dell’istituto della messa alla prova alle persone giuridiche.
Chi scrive ritiene che gli enti, con la dotazione di un modello di organizzazione e gestione tailor made ed efficiente, saranno comunque in grado di essere virtuosi e di svolgere già con la loro ordinaria attività un lavoro di pubblica utilità, grazie ad una cultura aziendale fondata su comportamenti etici ed all’adozione di procedure atte a mitigare i rischi.
SS.UU, 06 aprile 2023, n. 14840, in tema di responsabilità amministrativa degli enti