REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente di sezione –
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere –
Dott. MORELLI Mario Rosario – rel. Consigliere –
Dott. RORDORF Renato – Consigliere –
Dott. MALPICA Emilio – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AUTOCORI DITTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 70, presso lo studio dell’avvocato BELLOCCI MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato LO STERZO Vincenzo, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DEMACA S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato MAIMONE MICHELE, rappresentata e difesa dagli avvocati ORLETTI Sandro, ABRUGIATI PIERLUIGI, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e sul 2^ ricorso n. 13143/05 proposto da:
AUTOCORI DITTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 70, presso lo studio dell’avvocato BELLUCCI MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato LO STERZO VINCENZO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DEMACA S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato MAIMONE MICHELE, rappresentata e difesa dagli avvocati ORLETTI SANDRO, ABRUGIATI PIERLUIGI, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e sul 3^ ricorso n. 13144/05 proposto da:
AUTOCORI DITTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 70, presso lo studio dell’avvocato BELLUCCI MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato LO STERZO VINCENZO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DEMACA S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato MAIMONE MICHELE, rappresentata e difesa dagli avvocati ORLETTI SANDRO, ABRUGIATI PIERLUIGI, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
e sul 4^ ricorso n. 13145/05 proposto da:
AUTOCORI DITTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 70, presso lo studio dell’avvocato BELLUCCI MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato LO STERZO VINCENZO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DEMACA S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato MAIMONE MICHELE, rappresentata e difesa dagli avvocati ORLETTI SANDRO, ABRUGIATI PIERLUIGI, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso le sentenze n. 29/05 per quanto riguarda l’r.g. n. 13142/05, n. 30/05 per quanto riguarda l’r.g. n. 13143/05, n. 31/05 per quanto riguarda l’r.g. n. 13144/05 e n. 28/05 per quanto riguarda l’r.g. n. 13145/05, tutte depositate il 28/02/05, del Giudice di Pace di GIULIANOVA;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/10/07 dal Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso, disattese in via preliminare le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi, per il rigetto nel merito dei ricorsi stessi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con quattro distinti ricorsi (R.G. nn. da 13142 a 13145/05), la Autocori s.r.l. ha impugnato per cassazione le sentenze da n. 28 a 31 del 28 febbraio 2005, con le quali il Giudice di Pace di Giulianova – in parziale accoglimento di altrettanti opposizioni proposte dalla DE.MA.CA. s.n.c. avverso i decreti ingiuntivi (dell’importo, rispettivamente, di Euro 825,70, Euro 902,80, Euro 985,60 ed Euro 984,00) emessi in favore di essa società ricorrente – ha confermato, nel merito, la condanna della medesima opponente al pagamento delle somme portate dai singoli provvedimenti monitori, previa revoca, però, dei decreti opposti – dichiarati nulli, in condivisione della tesi della DE.MA.CA., per cui sarebbe stato contrario a buona fede e correttezza da parte della società opposta aver chiesto ed ottenuto un distinto decreto ingiuntivo per ogni fattura (o gruppo di fatture) non pagata, ben potendo essa chiedere un solo decreto ingiuntivo per la totalità del preteso credito – ed ha compensato, quindi, le spese di lite, in ragione appunto della reciproca soccombenza. Con i due motivi, di cui si compone ciascuno dei quattro riferiti ricorsi la Autocori, rispettivamente, denuncia ora violazioni di legge (artt. 1175, 1374, 1181 c.c.; art. 633 c.p.c.) e vizi di motivazione, sostenendo che il G. di P. abbia, in primo luogo, errato, in linea di principio, con il ritenere contraria a correttezza e buona fede la parcellizzazione in plurime e distinte domande di un unico credito pecuniario; ed abbia altresì, in fatto, poi del pari errato nel non rilevare che, nella specie, non si trattava comunque di un unico credito ma di crediti distinti e diversi per ciascuna fattura posta a base delle istanze monitorie. Resiste in tutti i giudizi, la DE.MA.CA., in ciascuno preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso avversario, sul rilievo che, alla domanda azionata in sede monitoria dalla Autocori s.r.l., si sarebbe aggiunta quella risarcitoria da essa proposta, con superamento, quindi, del limite di valore delle controversie entro il quale soltanto sarebbe possibile ricorrere direttamente per cassazione. Con ordinanza interlocutoria 21 maggio 2007 della Sezione Terza, i quattro giudizi, previa loro riunione, sono stati rimessi al Primo Presidente che li ha quindi assegnati a queste Sezioni Unite, per risolvere la questione di massima – sottesa al primo motivo dei ricorsi, e ritenuta comunque di particolare importanza – “se sia consentito al creditore chiedere giudizialmente l’adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica, perché fondata sullo stesso supporto”.
2. Per la sua natura pregiudiziale, va, però, esaminata preliminarmente la formulata eccezione di inammissibilità dei ricorsi. La quale non è però fondata. E ciò per l’assorbente considerazione che l’istanza risarcitoria, formulata dalla DEMACA nei giudizi a quibus in ragione della dedotta “malafede processuale” ravvisata nel frazionamento del credito operato, da controparte, non è altrimenti configurabile che come domanda di condanna dell’avversario per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., per cui attiene, propriamente ed esclusivamente, al profilo del regolamento delle spese processuali e non incide, quindi, sul valore della controversia che resta perciò contenuto, in ciascuno dei su riferiti giudizi, nel limite di valore entro il quale il G. d. P. decide (ex art. 113 c.p.c.) secondo equità, con conseguente diretta ricorribilità, appunto, delle correlative decisioni, direttamente in Cassazione.
3. Può quindi passarsi all’esame della questione di massima devoluta a queste Sezioni Unite. La quale, qui, per altro, rileva unicamente con riguardo alla pronuncia del G. di P. sulle spese – per il profilo della loro mancata attribuzione alla Autocori, per sua parziale soccombenza – e non anche ala statuizione di accoglimento, e di presupposta ammissibilità dell’esame, delle domande di pagamento frazionato del credito, in ordine alla quale non è stata proposta impugnazione incidentale da parte dell’odierna resistente.
4. Con la sentenza n. 108 del 2000, in sede di composizione di precedente contrasto, queste Sezioni Unite si sono, per altro, già pronunziate, in senso affermativo, sul tema della frazionabilità della tutela giudiziaria del credito. Ritenendo, in quella occasione, “ammissibile la domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata somma, derivante dall’inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere non negato dall’ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore, meritevole di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni”.
5. Nel rimeditare questa soluzione – come sollecitato con la su riferita ordinanza di rimessione – il Collegio ritiene ora però di non poterla mantenere ferma, in un quadro normativo nel frattempo evolutosi nella duplice direzione, sia di una sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di correttezza e buona fede – siccome specificativa (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli “inderogabili doveri di solidarietà”, il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 Cost. – sia in relazione al canone del “giusto processo”, di cui al novellato art. 111 Cost.. In relazione al quale si impone una lettura “adeguata” della normativa di riferimento (in particolare dell’art. 88 c.p.c.), nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della “ragionevolezza della durata” del procedimento e della “giustezza” del “processo”, inteso come risultato finale (della risposta cioè alla domanda della parte), che “giusto” non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi.
5.1 Per il primo profilo, viene in rilievo l’ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale (cfr., sull’emersione di questa linea di indirizzo, Cass. sez. 1^ n. 3775/94; Id. n. 10511/99; Sez. un. 18128/2005). Se, infatti, si è pervenuti, in questa prospettiva, ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (cfr., in particolare, nn. 3775/94 e 10511/99 citt.), a maggior ragione deve ora riconoscersi che un siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, dello stesso (cfr. Sez. 3^ n. 13345/06) e non possa quindi essere alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore. Il che, però, è quanto, appunto, accadrebbe in caso di consentita parcellizzazione giudiziale dell’adempimento del credito. Della quale non può escludersi la incidenza, in senso pregiudizievole, o comunque peggiorativo, sulla posizione del debitore: sia per il profilo del prolungamento del vincolo coattivo cui egli dovrebbe sottostare per liberarsi della obbligazione nella sua interezza, ove il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota con riserva di azione per il residuo come propriamente nel caso esaminato dalla citata Sez. un. n. 108/00 cit., in cui la richiesta di pagamento per frazione era finalizzata ad adire un giudice inferiore rispetto a quello che sarebbe stato competente a conoscere dell’intero credito, sia per il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni (per evitare la formazione di un giudicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe sottostare, a fronte della moltiplicazione di (contestuali) iniziative giudiziarie, come nel caso dei processi a quibus. Non rilevando in contrario che il frazionamento del credito, come in precedenza affermato, possa rispondere ad un interesse non necessariamente emulativo del creditore (come quello appunto di adire un giudice inferiore, più celere nella soluzione delle controversie, confidando nell’adempimento spontaneo da parte del debitore del residuo debito), poiché – a parte la pertinenza di tale considerazione alla sola ipotesi (di cui alla sentenza 108/00) del frazionamento non contestuale – è decisivo il rilievo che resterebbe comunque lesiva del principio di buona fede, nel senso sopra precisato, la scissione del contenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva propria utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del suo debitore. Ad evitare la quale neppure è persuasiva, infine, la considerazione che “il debitore potrebbe ricorrere alla messa in mora del creditore, offrendo l’intera somma”, non essendo tale soluzione praticabile ove, come possibile, il debitore non ritenga di essere tale.
5.2 Oltre a violare, per quanto sin qui detto, il generale dovere di correttezza e buona fede, la disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all’adempimento), in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso. Risultando già per ciò solo la parcellizzazione giudiziale del credito non in linea con il precetto inderogabile (cui l’interpretazione della normativa processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto. Ulteriore vulnus al quale deriverebbe, all’evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente) contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto. Mentre l’effetto inflattivo riconducibile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all’obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 111 Cost., della “ragionevole durata del processo”, per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.
5.3 L’esaminato primo motivo del ricorso va quindi respinto, enunciandosi, in ordine alla questione di massima ad esso sotteso, il principio (con il quale risulta in linea la sentenza impugnata) per cui è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all’esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario.
6. A sua volta inammissibile, per difetto di autosufficienza, è il residuo secondo mezzo del ricorso, nel quale nessuna indicazione è fornita in ordine alle fonti pretesamente “distinte” dei crediti che si assumono azionati con i decreti di che trattasi.
7. Il ricorso va integralmente pertanto respinto.
8. L’esistenza di un difforme orientamento giurisprudenziale in ordine alla questione principale dibattuta nel presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese correlative tra le parti.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2007.
Allegati:
SS.UU, 15 novembre 2007, n. 23726, in tema di abuso del processo
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Abuso dello strumento processuale e costituzionalizzazione della buona fede oggettiva
1. Il principio di diritto
Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo.
Tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.
2. Le motivazioni
Le Sezioni Unite superano il precedente orientamento (cfr., SS.UU, n. 108 del 2000) che ha ritenuto ammissibile la domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata somma, derivante dall’inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere non negato dall’ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore meritevole di tutela.
Nel rimeditare tale soluzione, la Cassazione se ne discosta, in un quadro normativo nel frattempo evolutosi nella duplice direzione di una sempre più accentuata valorizzazione della correttezza e della buona fede, anche in relazione al canone del giusto processo ex art. 111 Cost..
Il criterio della buona fede, in particolare, costituisce strumento per il giudice atto a controllare, anche in senso modificativo e integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, da mantenersi fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, del rapporto obbligatorio, senza poter essere alterato ad iniziativa del creditore ed in danno del debitore.
3. Riflessioni conclusive
La parcellizzazione giudiziale dell’adempimento del credito costituisce, quindi, abuso del diritto.
La disarticolazione da parte del creditore dell’unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica dell’inadempimento), in quanto attuata nel processo e tramite lo stesso, si risolve automaticamente in un abuso, non in linea con il precetto inderogabile del giusto processo.