Civile Sent. Sez. U Num. 1914 Anno 2021
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: NAPOLITANO LUCIO
Data pubblicazione: 28/01/2021
SENTENZA
sul ricorso 21397-2019 proposto da:
ICEA – ISTITUTO DI CERTIFICAZIONE ETICA E AMBIENTALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato UGO RUFFOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALTER LOCCISANO;
– ricorrente –
contro
FARAONE VITTORIO, rappresentato e difeso da sé medesimo unitamente all’avvocato ERMINIO MARZOVILLI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE;
– controricorrente –
nonché contro
REGIONE BASILICATA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4114/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 18/06/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/09/2020 dal Consigliere LUCIO NAPOLITANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MARCELLO MATERA, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Valter Loccisano.
FATTI DI CAUSA
L’Azienda agricola Vittorio Faraone svolge attività di produzione di albicocche con il metodo della produzione biologica sui terreni, compiutamente descritti in atti, dell’azienda medesima, siti in Montalbano Jonico.
In data 26 marzo 2014 stipulò, con l’organismo di controllo Istituto di Certificazione fisica e ambientale (di seguito ICEA o Istituto), autorizzato dal Ministero delle Politiche agricole e forestali, contratto in virtù del quale si assoggettava al controllo dell’ente anzidetto, in ordine alla verifica del rispetto della normativa regolante l’esercizio di attività di agricoltura biologica.
Nel vigore di detto contratto l’Azienda agricola fu destinataria di due provvedimenti, n. 63 e n. 64, resi nei suoi confronti, in data 24 maggio 2016, non impugnati, con i quali l’ICEA disponeva rispettivamente la sospensione temporanea dell’efficacia del certificato di conformità biologica e la soppressione dell’indicazione biologica su tutto il raccolto di albicocche per l’anno 2016, avendo riscontrato, a seguito dell’esperimento delle analisi presso laboratorio indicato dal Ministero sul campione prelevato da tecnico dell’istituto nel corso di visita ispettiva, la presenza di anticrittogamici ed insetticida in misura eccedente i limiti consentiti nell’esercizio dell’agricoltura biologica.
Successivamente, nel corso dell’ispezione annuale, eseguita in data 6 giugno 2018 da tecnico dell’ICEA presso lo stesso albicoccheto, erano prelevati nuovi campioni di frutti e foglie di albicocco e sottoposti ad analisi, che evidenziavano, su una delle aliquote contrassegnate, nuovamente la presenza di anticrittogamico in misura eccedente il limite consentito.
In conseguenza di ciò, il Responsabile del Comitato di Certificazione dell’ICEA ha emanato tre provvedimenti.
Il primo dei quali, n. 130 del 24 luglio 2018, disponeva il divieto di commercializzazione per il periodo di giorni 180 per l’azienda delle albicocche con indicazioni riferite al metodo della produzione biologica.
Il secondo, n. 132, reso in pari data, disponeva il divieto, per la predetta azienda agricola, di riportare nelle etichette delle albicocche le indicazioni inerenti al metodo della produzione biologica.
Il terzo, n. 138, emanato il 3 agosto 2018, comunicava all’azienda agricola la risoluzione di diritto dei rapporti tra le parti e l’avvio della procedura di cancellazione dell’azienda dall’elenco degli operatori biologici.
Il successivo ricorso dell’azienda in sede amministrativa avverso i summenzionati provvedimenti era quindi respinto dal Comitato Ricorsi dell’ICEA con decisione del 30 agosto 2018.
Tutti i sopra menzionati provvedimenti amministrativi erano impugnati dall’azienda dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Basilicata sulla base della prospettazione di plurimi vizi di legittimità, con conseguente domanda di annullamento dei provvedimenti medesimi.
Nel costituirsi l’ICEA, oltre a sostenere l’infondatezza dell’avverso ricorso, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito.
Il TAR Basilicata pronunciava sentenza n. 772/2018, pubblicata il 22 novembre 2018, con la quale, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’ICEA, dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo la stessa essere devoluta al giudice ordinario. La sentenza del giudice amministrativo di primo grado era oggetto di ricorso in appello da parte dell’azienda agricola dinanzi al Consiglio di Stato, che, con sentenza della Sezione terza, n. 4119/2019, pubblicata il 18 giugno 2019, non notificata, accolse l’appello, annullando la pronuncia impugnata con rinvio dinanzi al TAR Basilicata, ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato, pur ribadendo la natura dell’ICEA quale soggetto di diritto privato, precisamente quale consorzio con attività esterna secondo la disciplina degli artt. 2612 e ss. cod. civ., come risultante dalle disposizioni dello Statuto depositato in atti, ritenne che lo stesso svolgesse attività avente carattere pubblicistico, operando per effetto di delega del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di modo che, trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di un tale potere autoritativo, avesse consistenza di interesse legittimo.
La sentenza del Consiglio di Stato in questa sede impugnata ha altresì testualmente statuito nel senso che «la disciplina sopravvenuta, recata dal d. lgs. n. 20/2018, relativa alla natura di lodo arbitrale dei pronunciamenti dell’organo collegiale dei ricorsi, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, esula dal presente giudizio di appello, atteso che la questione relativa all’inapplicabilità al caso di specie di tale disciplina è coperta da giudicato interno: la questione, infatti, è stata sollevata anche in primo grado ed il TAR ha formalmente dichiarato l’inapplicabilità di tale normativa al caso di specie (anche in senso meramente interpretativo) e tale statuizione non è stata investita da impugnazione».
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’ICEA in base ad un unico motivo di ricorso.
L’Azienda Agricola Vittorio Faraone resiste con controricorso.
La Regione Basilicata è rimasta intimata.
Tanto l’Istituto ricorrente quanto l’Azienda agricola controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per motivi di giurisdizione, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., e 110 del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cod. proc. amm.), deducendo che il Consiglio di Stato ha erroneamente affermato nella controversia in esame, vertente tra organismo di controllo ed operatore del settore dell’agricoltura biologica, avente ad oggetto le misure previste dall’art. 5 del d. lgs. 23 febbraio 2018, n. 20 e dal d.m. 20 dicembre 2013, adottate da parte dell’organismo di controllo in caso di riscontrate non conformità da parte dell’operatore sottoposto a verifica; ciò sia per avere la decisione impugnata omesso di considerare come per un sistema, quale quello delle Società Organismi di Attestazione (SOA), analogo a quello del biologico, la giurisprudenza sia invece concorde nell’affermare la giurisdizione del giudice ordinario nell’ambito dei rapporti tra SOA ed imprese di costruzione, sia per avere omesso di considerare come il d.lgs. n. 20/2018, nel prevedere l’assoggettamento ad arbitrato di tali controversie, aventi base contrattuale, presupponga necessariamente che le stesse vertano su diritti soggettivi.
1.1. Segnatamente, in relazione a tale ultimo profilo, nell’ambito dell’unico motivo col quale viene denunciato il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., parte ricorrente rileva comunque come «del tutto errata», la decisione impugnata quanto alla ritenuta formazione del giudicato interno sull’inapplicabilità al caso di specie della disposizione di cui all’allegato 2, lett. C, comma 8, lett. b), del d. lgs. n. 20/2018, nella parte in cui prevede che i pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo VIII del libro quarto del Codice di procedura civile».
1.2. Il ricorrente deduce in proposito come non abbia mai invocato l’applicazione diretta di tale disposizione nella controversia in esame, essendo ben consapevole del fatto che nel contratto stipulato tra le parti, sottoscritto, come innanzi detto, nel 2014, non era stata sottoscritta dal Faraone alcuna clausola compromissoria, e di avere richiamato l’anzidetta disposizione unicamente al fine di trarne un ulteriore elemento, in via interpretativa, utile a qualificare come di diritto soggettivo la posizione giuridica soggettiva dell’azienda destinataria delle misure emesse a seguito dell’attività di controllo da parte dell’organismo prescelto, in adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di certificazione.
2. Appare opportuno dar conto, in via preliminare, nell’esame del motivo, quantunque sinteticamente, dell’evoluzione della disciplina di fonte sovranazionale succedutasi in tema di metodo biologico di produzione di prodotti agricoli, originariamente introdotta dal Regolamento CEE del Consiglio 24 giugno 1991, n. 2092 e dal Regolamento attuativo della Commissione europea 6 agosto 1991, n. 2416.
2.1. Detta disciplina è stata più volte modificata, dapprima dal Regolamento CEE del Consiglio 19 luglio 1999, n. 1804 e dal Regolamento (CE) 28 giugno 2007, n. 834, cui è seguita l’approvazione dei regolamenti attuativi della Commissione 5 settembre 2008, n. 889 e 8 dicembre 2008, n. 1235, ed ancora dal Regolamento (CE) del Consiglio 29 settembre 2008, n. 967, di cui è stata disposta l’attuazione con Regolamento della Commissione del 15 dicembre 2008.
2.2. Quale elemento cardine della disciplina di settore si è posta, sin dall’inizio, la previsione secondo la quale gli operatori dediti alla produzione biologica dei prodotti agricoli, affinché fosse verificato il rispetto dei requisiti minimi in materia, tale da consentire l’indicazione sull’etichetta di “Agricoltura Biologica – Regime di controllo CE”, potessero rivolgersi ad organismo privato, al quale affidare il controllo e competente a rilasciare la relativa certificazione, sulla base di un provvedimento autorizzatorio dell’Autorità competente dello Stato membro, in Italia individuato, a partire dal d. lgs. 17 marzo 1995 n. 220, nell’allora Ministero delle risorse agricole ed alimentari (oggi Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali), cui compete, insieme alle Regioni, ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, per i rispettivi ambiti territoriali di competenza, la vigilanza sugli organismi di certificazione.
2.3. La succitata evoluzione della disciplina di settore in ambito europeo ha determinato la necessità dell’adeguamento del diritto interno alle nuove disposizioni regolamentari, le cui tappe salienti, successivamente all’adozione del succitato d.lgs. n. 220/1995, possono essere individuate nel d.m. 20 dicembre 2013, in tema di adozione di un elenco di “non conformità”, riguardanti la qualificazione biologica dei prodotti e le corrispondenti misure che gli Organismi di controllo devono applicare agli operatori, ai sensi del Reg. (CE) n. 889/2008, modificato dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 392/2013 della Commissione del 29 aprile 2013 e nel d.lgs. 23 febbraio 2018, n. 20, che ha abrogato il precedente d.lgs. n. 220/1995.
3. Appare utile premettere che il d.lgs. n. 20/2018 è entrato in vigore il 22 marzo 2018 e quindi, sul piano procedimentale, salvo quanto di seguito precisato (si veda infra par. 4.6), è certamente applicabile alla controversia in oggetto riguardante, come si è detto, impugnazione di provvedimenti resi dall’organismo di controllo nei confronti dell’azienda agricola nel periodo luglio – agosto 2018.
3.1. Le ipotesi di “non conformità” sono modulate, da ultimo, secondo il disposto dell’art. 5 del citato d.lgs. n. 20/2018, secondo un ordine decrescente di gravità, indicate rispettivamente quali “infrazioni”, “irregolarità” ed “inosservanze”, secondo la definizione rispettivamente fattane dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 20/2018, dal comma 6 e dal comma 8 del citato art. 5 del suddetto decreto.
3.2. In particolare il comma 7 del citato art. 5 del d.lgs. n. 20/2018 prevede che «L’accertamento di una o più irregolarità comporta l’applicazione, da parte dell’organismo di controllo al quale è assoggettato l’operatore, previa diffida in caso di irregolarità sanabili, della soppressione delle indicazioni biologiche, in proporzione all’importanza del requisito violato e alla natura e alle circostanze particolari delle attività irregolari. La soppressione comporta il divieto per l’operatore di riportare le indicazioni relative al metodo di produzione biologica, nel’etichettatura e nella pubblicità dell’intera partita o dell’intero ciclo di produzione in cui è stata riscontrata irregolarità»
3.3. L’art. 6, comma 1, lett. d), del citato decreto prevede che
«Nell’esercizio dell’attività di controllo, fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 6, l’organismo di controllo, ha l’obbligo di:
adottare, in caso di irregolarità o infrazioni, le misure corrispondenti a carico degli operatori, anche se receduti o esclusi dal sistema, per fatti antecedenti al recesso o all’esclusione».
L’art. 4, comma 6, richiamato nella disposizione precedente citata, disciplina i requisiti necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione, che debbono essere assicurati, senza soluzione di continuità, per l’intera durata dell’autorizzazione medesima.
4. Ciò premesso, il motivo e quindi il ricorso su di esso basato debbono ritenersi fondati, dovendo trovare ulteriore conferma le considerazioni già espresse dalle Sezioni Unite di questa Corte, in sede di decisione su istanza di regolamento di giurisdizione, con l’ordinanza 5 aprile 2019, n. 9678.
4.1. In quella sede, nell’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, si evidenziava come la Corte di Lussemburgo avesse affermato, nella vigenza dell’originario Regolamento (CE) n. 2092/91, di seguito abrogato dal succitato Regolamento (CE) n. 834/07, che gli organismi privati «mettono in atto, conformemente all’art. 9, n. 3 del regolamento n. 2092/91, le misure di controllo e le misure precauzionali elencate all’allegato III dello stesso», e, «ai sensi dell’art. 9, n. 9, lett. a) e b), del regolamento n. 2091/91 […] possono, sulla scorta dei controlli effettuati, permettere o meno agli operatori controllati di utilizzare indicazioni relative al metodo di produzione biologico per i prodotti messi in commercio e, qualora accertino un’infrazione manifesta o avente effetti prolungati, ritirare al singolo operatore il diritto di commercializzare prodotti recanti indicazioni siffatte per un periodo da convenirsi con l’autorità pubblica competente, dovendo «in forza dell’art. 9, nn. 6, lett. c) e 8, lett. a) e b) sempre del regolamento n. 2092/91 […] rendere conto della loro attività all’autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza, rispettivamente, informandola delle irregolarità e delle infrazioni constate nonché delle sanzioni inflitte, fornendole tutte le informazioni richieste e trasmettendole ogni anno un elenco degli operatori da essi controllati ed un rapporto di attività (cfr. Corte Giust., 29 novembre 2007, C-393/05; Corte Giust., 29 novembre 2007, C-404/05). Se, dunque, come rilevato dalla stessa Corte di Giustizia nella succitate decisioni, l’attività degli organismi di controllo non è limitata alla mera organizzazione dei controlli di conformità dei prodotti dell’agricoltura biologica, ma si estende all’applicazione delle misure connesse all’esito dei controlli espletati, l’assoggettamento alla sorveglianza dell’autorità pubblica competente risulta tale da garantire l’obiettività ed accertare l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati.
4.2. Da tale argomentazione le citate decisioni hanno tratto la duplice conclusione che «il ruolo ausiliario e preparatorio attribuito agli organismi privati di tale regolamento nei confronti dell’autorità di sorveglianza non può essere considerato una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri», atteso che «l’attività degli organismi privati quale definita dal regolamento n. 2092/91 non costituisce di per sé una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, tale che ogni ulteriore attività che partecipi ai pubblici ne sia necessariamente separabile».
4.3. Sebbene la Corte di Giustizia non abbia negato la possibilità per gli Stati membri di attribuire ai certificati natura pubblica, il sistema, quale ridisegnato da ultimo dal legislatore nazionale ai fini dell’armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui controlli in materia di agricoltura biologica, alla stregua del Regolamento (CE) n. 834/07, quale modificato dal Regolamento (CE) n. 967/08, non sembra giustificare le diverse conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio di Stato nell’impugnata decisione, il cui nucleo essenziale sta, secondo quanto sopra indicato, nell’affermazione secondo cui «L’attività dell’ICEA oggetto del presente giudizio, può […] qualificarsi come esercizio privato di una funzione pubblica[…]. Trattandosi dell’esercizio di una funzione pubblica per effetto di delega, la posizione giuridica del privato di fronte all’esercizio di tale potere autoritativo ha consistenza di interesse legittimo».
4.4. In effetti l’art. 3, comma 2, del citato d.lgs. n. 20/2018, prevede che «Il Ministero delega i compiti di controllo, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 4, lettera b) del regolamento» per tale dovendo intendersi, per effetto dell’art. 2, il Regolamento (CE) del Consiglio n. 834/2007, «ad uno o più degli organismi di controllo che, a tal fine, presentano istanza di autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, comma 1».
4.5. Ritiene tuttavia la Corte che non possa offrirsi una lettura del succitato termine “delega” se non nell’ambito del sistema complessivamente delineato che, non diversamente da quanto nella normativa sovranazionale previgente quale interpretata dalla corte di Giustizia, presuppone in realtà l’esercizio di un potere di autorizzazione dell’autorità pubblica di vigilanza subordinato al rispetto della sussistenza di requisiti tassativi previsti dalla legge in capo agli organismi di controllo, di modo che risulti garantita l’obiettività ed assicurata l’efficienza dei controlli effettuati dagli organismi privati, che segnatamente nell’ambito dell’attività di certificazione, legata a parametri tecnici, operano secondo il diritto privato in adempimento di obbligazioni aventi fonte contrattuale con il produttore biologico, che si assoggetta alla relativa certificazione di conformità.
4.6. Sul piano procedimentale va peraltro opportunamente precisato che, sebbene il contratto stipulato inter partes sia stato sottoscritto in data 26 marzo 2014, cioè anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 20/2018, le relative disposizioni sulla natura delle rilevate “non conformità” trovavano già disciplina nel citato d.m. 20 dicembre 2013, così come la relativa disciplina concernente le misure da adottare secondo la gravità delle accertate “non conformità”, senza che alcuna discrezionalità amministrativa potesse configurarsi in capo all’organo deputato a comminare le misure previste, così come la previsione della facoltà di chiedere il riesame dei provvedimenti emanati allo stesso organismo di controllo, che, nel caso dell’ICEA, ne aveva disciplinato l’esercizio secondo le disposizioni del proprio regolamento interno depositato in atti; sicché l’unica disposizione effettivamente inapplicabile nel giudizio in esame, pacificamente non essendo stata prevista nel contratto intercorso tra le parti alcuna clausola compromissoria, è quella di cui al richiamato allegato 2, lett. C, comma 8, lett. b), del d. lgs. n. 20/2018, nella parte in cui prevede che i pronunciamenti dell’organo collegiale dell’organismo di controllo deputato all’esame dei ricorsi «hanno natura di lodo arbitrale, come da specifica clausola compromissoria sottoscritta nel contratto di assoggettamento al controllo, ai sensi del titolo VIII del libro quarto del Codice di procedura civile».
4.7. Ciò, in effetti, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata nel passaggio testualmente sopra trascritto nella parte inerente l’esposizione dei fatti di causa, era stato rilevato come mero obiter dictum dal TAR Basilicata, che, dopo aver già dichiarato «l’inammissibilità per difetto di giurisdizione del ricorso» dinanzi ad esso proposto dall’azienda agricola, riteneva di aggiungervi «la precisazione che non può tenersi conto delle disposizioni dettate dal punto 8, lett. b) dell’Allegato 2 al D. Lg.vo n. 20/2018, in quanto nel contratto, stipulato il 26.3.2014, tra l’azienda agricola Vittorio Faraone e l’ICEA, non vi è la clausola compromissoria», applicabilità diretta peraltro non invocata nella controversia dinanzi al TAR dall’Istituto nella propria comparsa di costituzione, essendone stato fatto riferimento unicamente per trarne, in via argomentativa, ulteriore elemento a sostegno della tesi esposta della devoluzione della controversia al giudice ordinario.
4.8. Al riguardo va ribadito come competa alla Corte di cassazione, nell’ambito dell’esame di ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenza del Consiglio di Stato «non soltanto il giudizio vertente sull’interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull’applicazione delle disposizioni non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni» (cfr. Cass. SU 23 novembre 2011, n. 20727).
5. Deve, pertanto, ribadirsi l’affermazione della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto già affermato dalla citata Cass. SU, ord. n. 9678/2019.
5.1. Né a ciò osta il diverso petitum di annullamento dei provvedimenti impugnati, oggetto della domanda originariamente proposta dall’azienda agricola Vittorio Faraone dinanzi al TAR Basilicata, rispetto alla domanda risarcitoria nei confronti dell’organismo privato autorizzato che aveva – secondo il produttore di limoni nel giudizio nel corso del quale era stata avanzata l’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione definito dalla succitata ordinanza di questa Corte – “ingiustamente e negligentemente” disposto, in esecuzione del contratto di certificazione “bio” il divieto di commercializzazione del prodotto come biologico sulla base del prelevamento di un solo campione dello stesso.
5.2. Dovendo infatti, farsi riferimento, ai fini della decisione sulla giurisdizione, al c.d. petitum sostanziale, la domanda va correlata alla posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dal Consiglio di Stato, di diritto soggettivo, dovendo escludersi che l’organismo autorizzato assuma la veste di pubblica amministrazione ex art. 7, comma 2, cod. proc. amm., ovvero eserciti, nell’ambito dell’esecuzione del contratto di certificazione, funzioni pubbliche.
5.3. Come già affermato da questa Corte con la citata Cass. SU ord. n. 9678/19, le certificazioni si configurano, infatti, come «strumenti di circolazione di “informazioni” destinate in particolare ai consumatori, quali attestazioni di conformità del prodotto agli standards di legge e di “garanzia” dell’affidabilità al riguardo dell’impresa e dei suoi prodotti». Ciò risponde all’esigenza, esplicitata nel considerando 22 del citato Reg. (CE) n. 834/07, che afferma che «È importante preservare la fiducia del consumatore nei prodotti biologici. Le eccezioni ai requisiti della produzione biologica dovrebbero pertanto essere strettamente limitate ai casi in cui sia ritenuta giustificata l’applicazione di norme meno restrittive».
6. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata, con conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale vanno rimesse le parti anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili il 15 settembre 2020
Il Consigliere Estensore
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 28 gennaio 2021, n. 1914, in tema di agricoltura biologica
Nota della Avv.ta Valentina Petruzziello
Le controversie tra organismo di controllo e operatore nel settore dell'agricoltura biologica rientrano nella giurisdizione ordinaria
1. Il principio di diritto
Rientra nella giurisdizione ordinaria la controversia tra organismo di controllo e operatore nel settore dell'agricoltura biologica, avente ad oggetto le misure adottate da parte del primo in caso di riscontrate non conformità da parte dell'operatore sottoposto a verifica.
2. La questione di giurisdizione
Le Sezioni Unite decidono il conflitto di giurisdizione conseguente all’affermazione (cfr., Consiglio di Stato, 18 giugno 2019, n. 4119) della giurisdizione amministrativa in relazione all’impugnazione dei provvedimenti sanzionatori emessi dagli organismi di controllo nei confronti di un’azienda agricola lucana, operante nel settore biologico.
Riprendendo un orientamento già inaugurato con sentenza n. 9678 del 5 aprile 2019, il Supremo Consesso afferma che, ai fini della individuazione del giudice avente giurisdizione, rileva la qualificazione della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, alla quale, nel caso di specie, deve attribuirsi la natura di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.
L’organismo di controllo non ha, invero, la qualifica di pubblica amministrazione né, tantomeno, la sua attività costituisce una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, sostanziandosi, al contrario, in un’attività certificativa operante secondo il diritto privato, in adempimento di obbligazioni aventi fonte contrattuale.
3. Conseguenze operative
La pronuncia, ponendosi nel solco già tracciato dalla richiama sentenza del 2019, rappresenta una svolta rispetto al precedente sistema, nel quale, in casi analoghi, si è ritenuta sussistente una situazione soggettiva di interesse legittimo, attratta quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Le Sezioni Unite, attraverso una riqualificazione della causa petendi, forniscono importanti argomenti per ricondurre, invece, la controversia tra organismo e azienda nell’alveo della giurisdizione civile.