Civile Sent. Sez. U Num. 22437 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: VINCENTI ENZO
Data pubblicazione: 24/09/2018
SENTENZA
sul ricorso 16354-2014 proposto da:
MANITOWOC CRANE GROUP ITALY S.R.L. (già POTAIN SUD EUROPA S.R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 7, presso lo studio dell’avvocato UGO LECIS, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ALLIANZ S.P.A. (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ S.P.A.), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRIVATA DI SANTA TERESA 23, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO HAZAN, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO SPADAFORA e GIORGIO SPADAFORA;
CEV S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende;
– controricorrenti –
contro
LABORATORI PIAZZA S.R.L. (già LABORATORI PIAZZA DI PIAZZA DARIO & C. S.N.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, che la rappresenta e difende;
– resistente –
nonchè contro
MARTIGNONE S.N.C. DI MARTIGNONE GIOVANNI & C.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 264/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 3/02/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2018 dal Consigliere ENZO VINCENTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del ricorso;
uditi gli avvocati Ugo Lecis, Giorgio Spadafora, Giuseppe Ciliberti, Rita Gradara e Maurizio Hazan.
FATTI DI CAUSA
1. In data 28 giugno 2002 si verificò, in Treviso, il distacco e la caduta del braccio di una gru per l’edilizia nel cantiere in cui operava la C.E.V. s.p.a., che determinò il crollo dell’adiacente magazzino della Martignone s.n.c., agente della Laboratori Piazza s.n.c., le cui merci, custodite in detto magazzino, furono danneggiate; la Laboratori Piazza s.n.c. (poi s.r.l.), nel 2003, convenne, quindi, in giudizio la C.E.V. s.p.a. e la Martignone s.n.c., per sentirle condannare al risarcimento dei danni conseguentemente subiti.
1.1. Le società convenute si costituirono negando la propria responsabilità; la C.E.V. s.p.a. chiamò in causa la società che aveva fabbricato la gru, Potain Sud Europa s.r.l., che successivamente assunse la denominazione di Manitowoc s.r.l.
1.2. Quest’ultima società fu convenuta, altresì, dalla stessa Laboratori Piazza s.r.l.; a seguito della riunione delle cause, la Manitowoc s.r.l. chiamò in giudizio, per la manleva, il proprio assicuratore della responsabilità civile, Ras s.p.a. (attualmente Allianz s.p.a.), assumendo che, essendo il sinistro verificatosi il 28 giugno 2002, per quell’evento era garantita dalla polizza avente durata dal 1° gennaio 2001 al 1° gennaio 2003, con una franchigia di euro 4.547,00.
1.3. L’Allianz s.p.a. si costituì contestando la fondatezza della domanda di garanzia.
A tal fine dedusse di aver stipulato con la Manitowoc due distinti contratti di assicurazione della responsabilità civile: l’uno (contraddistinto dal n. 36217044/9) di durata dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2002; l’altro (contraddistinto dal n. 48.859.279) di durata dal 1° gennaio 2003 al 1° gennaio 2004.
In entrambi i contratti operava la c.d. “clausola claims made“, sicché l’assicuratore era obbligato all’indennizzo solo per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all’assicurato durante il periodo di efficacia della polizza; pertanto, avendo la Laboratori Piazza s.r.l., terzo danneggiato, avanzato le proprie pretese nei confronti della Manitowoc soltanto nel 2003, era alla seconda polizza che doveva farsi riferimento, la quale, tuttavia, prevedeva una franchigia (di euro 150.000) superiore al risarcimento richiesto, con la conseguenza che l’assicurato non poteva pretendere alcun indennizzo.
1.4. L’adito Tribunale di Treviso, con sentenza del febbraio 2007, accolse la domanda proposta dalla Laboratori Piazza s.r.l. nei confronti della C.E.V. s.p.a. e della Manitowoc s.r.l., che condannò al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di euro 88.031,69, oltre accessori; accolse, altresì, la domanda di garanzia della Manitowoc nei confronti della Allianz, dichiarando nulla, ai sensi dell’art. 1341 c.c., la clausola claims made.
2. Avverso tale decisione proponevano gravame, in via principale, la Allianz s.p.a. e, in via incidentale, tutte le altre parti, ad eccezione della Martignone s.n.c.
2.1. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 3 febbraio 2014, accoglieva soltanto l’impugnazione principale della Allianz s.p.a., respingendo, quindi, la domanda di garanzia proposta dalla Manitowoc.
2.2. La Corte lagunare reputava, anzitutto, che la clausola claims made, di tipo “puro”, non rendesse nullo il contratto ai sensi dell’art. 1895 c.c. e che non si prestasse neppure ad essere considerata vessatoria, avendo l’effetto non già di restringere la responsabilità dell’assicuratore, bensì di delimitare l’oggetto del contratto.
2.3. Ciò premesso, il giudice di appello evidenziava che la polizza assumeva espressamente il “sinistro” assicurato come “la richiesta di risarcimento di danni per i quali è prestata l’assicurazione”, per cui, essendo il fatto verificatosi nel giugno 2002, ma la prima richiesta dei conseguenti danni pervenuta l’anno dopo, nel caso di specie doveva applicarsi la maggiore franchigia di euro 150.000 euro, tale essendo la misura prevista dal contratto vigente all’epoca in cui la Laboratori Piazza aveva domandato di essere risarcita, sicché nulla era dovuto dalla Allianz s.p.a. poiché il danno causato dall’assicurata era inferiore a tale limite.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Manitowoc s.r.l. sulla base di cinque motivi.
La Allianz s.p.a. e la C.E.V. s.p.a. hanno resistito con separati controricorsi, mentre la Laboratori Piazza s.r.l. ha depositato procura speciale di nomina del difensore e la Martignone s.n.c. di Martignone Giovanni & C. non ha svolto attività difensiva.
In prossimità dell’udienza dell’8 novembre 2017 sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c.
3.1. La causa è stata, quindi, assegnata a queste Sezioni unite su impulso dell’ordinanza interlocutoria n. 1465 dell’8 gennaio 2018, con cui la Terza Sezione civile ha prospettato che il caso all’esame pone, in tema di clausola c.d. claims made, questioni, di massima di particolare importanza, ulteriori e diverse rispetto a quelle già scrutinate dalla sentenza delle stesse Sezioni unite n. 9140 del 6 maggio 2016, così da sollecitarne un nuovo intervento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., in punto di nullità per difetto di meritevolezza della clausola claims made.
La Corte territoriale ha escluso che il contratto assicurativo inter partes sia affetto da nullità per contrasto con l’art. 1895 c.c., in quanto “atipico” in ragione della clausola claims made ivi contenuta, per effetto della quale è da considerarsi “sinistro” a tutti i fini contrattuali – e dunque non solo ai fini del pagamento dell’indennizzo – l’invio della richiesta di risarcimento all’assicurato da parte del danneggiato.
Tuttavia, il giudice di appello, nel giungere a tale conclusione, ha pretermesso il necessario giudizio di meritevolezza del contratto, che avrebbe dovuto effettuare, in modo stringente e in considerazione del complessivo regolamento negoziale, proprio in ragione della predicata atipicità.
2. Con il secondo mezzo è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1917, primo comma, c.c., sempre in punto di nullità della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata nonostante la citata norma non venga richiamata dall’art. 1932 c.c. tra quelle inderogabili, assumendo in sé siffatta natura, poiché rappresenta la funzione del contratto di assicurazione – ossia il trasferimento del rischio derivante dall’esercizio di un’attività dall’agente all’assicuratore -, per cui la sua deroga comporterebbe la nullità del contratto stesso per mancanza di causa e la sua immeritevolezza per contrarietà a norma imperativa.
3. Con il terzo mezzo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1895 c.c., ancora in punto di nullità della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto il contratto di assicurazione inter partes (del 2003, con franchigia di euro 150.000,00) ha assicurato, in concreto, un rischio già verificatosi (insorto con il sinistro del giugno 2002), ciò desumendosi dalla clausola di cui all’art. 9 dello stesso contratto, che impone all’assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, con la conseguenza che, dovendosi per sinistro intendersi il fatto dannoso, la claims made, riferendosi alla richiesta di risarcimento, consente di coprire un rischio già sorto.
4. Con il quarto mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., sulla vessatorietà della clausola claims made, che avrebbe dovuto essere dichiarata in quanto essa non limita l’oggetto del contratto di assicurazione, poiché, come si desume dalla citata clausola di cui all’art. 9 dello stesso contratto, imponendosi all’assicurato di denunciare il sinistro entro 10 giorni dalla sua verificazione, la responsabilità dell’assicuratore sorge con il fatto dannoso, con la conseguenza che la claims made, connettendola alla denuncia del terzo, la viene ad escludere.
5. Con il quinto mezzo è prospettata la violazione degli artt. 117 e 118 del d.lgs. n. 206 del 2005, sulla responsabilità del produttore.
La Corte territoriale avrebbe errato ad affermare la responsabilità di essa Manitowoc, produttrice della gru, reputando inconferenti le difese in punto di assenza di colpa e imprevedibilità del danno, addossando ad essa società la prova del fortuito, mentre, alla luce di quanto emerso dalla c.t.u., essa non poteva conoscere, né prevedere la difettosità del prodotto in relazione al presunto difetto di progettazione.
6. È logicamente prioritario lo scrutinio del quinto motivo di ricorso, giacché investe l’an debeatur.
Esso è in parte infondato e in parte inammissibile.
La Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. espletata in corso di giudizio, ha accertato che la caduta del braccio della gru era dipesa dalla “rottura del porta-ralla”, che “non era stato progettato in maniera corretta” (non essendo stata operata una “verifica a fatica per questo particolare, così come prescritto dalle norme DIN 15108”), là dove, poi, non erano “sufficienti – da sole – a spiegare il motivo del crollo” le “lesioni rilevate sul mantello cilindrico del porta-ralla, sicuramente da imputare a fenomeni di fatica del materiale”, così come erano “non dimostrabili sulla base dei dati oggettivi acquisiti” le ipotesi di “uso improprio o accidentalmente scorretto” della gru.
La sussunzione di detto accertamento nell’ambito della disciplina normativa di riferimento (artt. 5 e 6 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, applicabile ratione temporis, ora confluita negli artt. da 114 a 127 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. “codice del consumo”) è stata effettuata correttamente dal giudice di appello, giacché consentanea al principio (cfr., tra le altre, Cass., 29 maggio 2013, n. 13458) per cui la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto.
Pertanto, ai sensi dell’art. 8 del citato d.P.R. n. 224 del 1988 (trasfuso nell’art. 120 del c.d. “codice del consumo”), mentre sul soggetto danneggiato incombe la prova del collegamento causale tra difetto del prodotto e danno, il produttore è tenuto a dimostrare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell’art. 6 (tra cui: non aver messo il prodotto in circolazione; inesistenza del difetto al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione; stato di conoscenze scientifiche al momento della produzione del prodotto tali da non consentire di reputarlo come difettoso).
Si palesano, quindi, inconsistenti le censure in iure, mentre sono inammissibili le ulteriori critiche che investono direttamente la quaestio facti, le quali non veicolano un vizio ascrivibile al paradigma di cui al vigente n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. (ossia di omesso esame di un fatto, storico, decisivo e discusso tra le parti: Cass., Sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), ma prospettano soltanto una lettura delle (pur condivise) emergenze della c.t.u. divergente da quella fornita dal giudice del merito, affatto inidonea, dunque, a radicare uno scrutinio da parte di questa Corte.
7. Preliminare allo scrutinio dei motivi che deducono la nullità della clausola claims made inserita nei contratti assicurativi stipulati dalla ricorrente è l’esame dell’eccezione di giudicato interno sollevata dalla Allianz s.p.a. proprio in relazione alla validità di detta clausola, avendola il Tribunale ritenuta tale sotto il profilo della liceità, sebbene di natura vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., senza che l’anzidetta statuizione sia stata fatta oggetto di impugnazione.
7.1. L’eccezione va disattesa.
Il giudice di primo grado, in effetti, ha espressamente affermato (aderendo all’orientamento seguito da questa Corte con la sentenza n. 5624 del 2005) che la clausola claims made di cui al contratto di assicurazione inter partes, da reputarsi contratto atipico, era valida, giungendo poi a diverse conclusioni in punto di vessatorietà ai sensi del secondo comma dell’art. 1341 c.c., apprezzandola come tale, ossia vessatoria, giacché ritenuta limitativa della responsabilità dell’assicuratore.
In presenza, dunque, di una espressa qualificazione in termini di validità della clausola, sia pure per profili differenti da quello inerente alla disciplina dell’art. 1341 c.c., ma, in ogni caso, condizionante l’impostazione e l’indagine del primo giudice (che altrimenti si sarebbe arrestata in limine, stante la comunque doverosa attivazione del rilievo officioso, anche in assenza di sollecitazione di parte: Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), la Manitowoc s.r.l., seppur vittoriosa all’esito finale della lite, aveva l’onere, al fine di sottoporre alla cognizione del giudice dell’impugnazione la devoluzione della predetta questione preliminare di nullità del contratto, di proporre appello incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo d’ufficio ex art. 345, comma secondo, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma secondo, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., utilizzabile, invece, ove quella questione non fosse stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del primo giudice (Cass., Sez. un., 12 maggio 2017, n. 11799; Cass., 19 marzo 2018, n. 6716).
Come risulta dagli atti (cui questa Corte ha accesso, quale giudice del “fatto processuale”, per la natura dello scrutinio richiesto dall’eccezione di giudicato interno), la Manitowoc ha proposto, avverso la decisione di primo grado, tempestivo appello incidentale, indicando formalmente come ad esso attinenti sei motivi, tra i quali non figura quello sulla validità della clausola claims made, come affermata dalla sentenza del Tribunale di Treviso.
Tuttavia, la stessa appellante incidentale, nel contrastare il motivo di appello della Allianz s.p.a. avverso la declaratoria di vessatorietà della predetta clausola, ha argomentato specificamente sulla nullità della stessa (segnatamente, per contrasto con gli artt. 1895 e 1917 c.c.: cfr. pp. 19/21 appello incidentale), per poi concludere (p. 45 appello incidentale) anche nel senso del rilievo della nullità della clausola claims made contenuta nella polizza 48.859.279, al fine della conferma della sentenza di primo grado, con applicabilità della diversa polizza n. 36217044/9.
Nell’appello incidentale della Manitowoc è, dunque, ravvisabile, anche in riferimento alla questione della nullità della clausola claims made (per profili diversi dalla vessatorietà), una chiara e specifica contestazione della parte di sentenza di primo grado relativa all’affermazione di validità della clausola medesima, trovando risalto, nel contesto dell’atto di impugnazione (senza che si imponga l’utilizzo di forme sacramentali per un’efficace proposizione rispetto allo scopo), quella combinazione tra parte volitiva e argomentativa diretta alla confutazione delle ragioni addotte dal primo giudice che rende l’impugnazione stessa non solo riconoscibile come tale, ma anche ammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. (Cass., Sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199).
8. I primi due motivi di ricorso hanno indotto la Terza Sezione civile a sollecitare (con la ricordata ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018) un nuovo intervento di queste Sezioni unite, dopo quello recente di cui alla sentenza del 6 maggio 2016, n. 9140, sulle problematiche giuridiche che, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, si agitano intorno alle c.d. “clausole claims made” (di seguito anche soltanto claims made o claims).
9. Giova anzitutto rammentare che dette clausole – come già evidenziato dalla citata sentenza delle Sezioni unite n. 9140 del 2016 – operano una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall’art. 1917, primo comma, c.c., poiché la copertura assicurativa viene ad operare non “in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell’arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata” (modello c.d. loss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall’assicurato al proprio assicuratore.
Se questo è lo schema essenziale al quale si ispira il sistema c.d. claims made (letteralmente: “a richiesta fatta”), esso trova poi concretizzazione, nella prassi assicurativa, in base a più varianti, la cui riduzione alle due categorie più generali della claims “pura” (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims “impura” (o mista: poiché operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente) è frutto unicamente di convenzionale semplificazione, la quale, tuttavia, non può elidere la complessità del fenomeno.
Complessità che si apprezza, anzitutto, proprio a motivo di quelle varianti cui si faceva cenno, che introducono ulteriori previsioni pattizie orientate in più direzioni: per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o di “postuma”); per altro verso, dirette a consentire all’assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all’assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause).
9.1. Sono ben note le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell’ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli ’80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi – in estrema sintesi – come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria).
Di qui, per l’appunto (come ricordato dalla citata sentenza n. 9140 del 2016), l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi”, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.
9.2. Volgendo per un momento lo sguardo a quelle aree di cultura giuridica più vicine al nostro ordinamento, non è superfluo evidenziare come l’assicurazione on claims made basis sia stata oggetto già da tempo, in alcuni Paesi (ad es., Francia, Spagna e Belgio), di riconoscimento a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari e (come accenna la stessa ordinanza interlocutoria n. 1475 del 2018) quale risposta al sostanziale sfavore della giurisprudenza (seppure una tale dinamica non colga propriamente la realtà spagnola).
In Francia, dapprima la legge 30 dicembre 2002-1577 (c.d. Loi About), in materia di responsabilità sanitaria, ha previsto che la relativa assicurazione possa prevedere clausole c.d. base reclamation, per cui l’operatività della garanzia presuppone la richiesta risarcitoria del danneggiato ed è modulata con la previsione di una retroattività illimitata ed una ultrattività (garantie subséquente) non inferiore a cinque anni ovvero di dieci anni per i medici liberi professionisti in caso di cessazione dell’attività o di decesso.
Di poco successiva è stata, quindi, l’emanazione della legge 10 agosto 2003-706 (di Securité Financieré), che, novellando il Code des Assurances, ha introdotto, accanto alla assicurazione incentrata sul fait dommageable e per i soli rischi industriali e professionali, il meccanismo di garanzia base reclamation, imponendo, tuttavia, una durata quinquennale del relativo contratto.
In Spagna, all’esito di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla validità o meno delle claims made, il legislatore (modificando l’art. 73 della legge 8 novembre 1995, n. 30, sull’ordinamento delle assicurazioni private) ha introdotto le claims made come clausole “limitative” dei diritti dei contraenti deboli, configurandone l’ammissibilità in base a due tipologie: 1) quella (post-copertura) che estende la garanzia ad un periodo minimo di almeno un anno rispetto alla scadenza del contratto; 2) quella che estende la copertura in modo retroattivo, ad evento dannoso verificatosi prima della conclusione del contratto, ma con richiesta di risarcimento intervenuta durante la vigenza del contratto.
Il dibattito rimane aperto (non sulla validità in astratto delle clausole claims made, ma) sulla qualificazione legislativa di “clausola limitativa dei diritti degli assicurati”, là dove la giurisprudenza (Trib. S. n. 2508/2014) sembra orientata a ritenere che le claims made siano piuttosto previsioni limitative dell’”oggetto del contratto”.
Infine, in Belgio, il meccanismo di garanzia improntato sulle clausole claims made è stato previsto dall’art. 78 della legge 25 giugno 1992 sul contratto di assicurazione terrestre, successivamente modellato (nel dicembre 1994) con una ultrattività di trentasei mesi dalla scadenza della polizza (garantie de posteritè) ed escluso per i c.d. rischi di massa.
10. Invero – ed è opportuno darne conto sin d’ora -, anche nel nostro ordinamento l’assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dagli artt. 11 della l. 8 marzo 2017, n. 24 e 3, comma 5, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla l. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dall’art. 1, comma 26, della l. 4 agosto 2017, n. 124.
La prima disposizione, concernente l’obbligo (previsto dall’art. 10 della medesima l. n. 24) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari “liberi professionisti”, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 10, per i quali trova applicazione l’art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la “garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza”.
La norma prevede, poi, che, in caso di “cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa”, la garanzia debba contemplare “un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura”. Una tale ultrattività “è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta”.
È evidente che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla sua formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione.
Il comma 5 dell’art. 3 del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti.
Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza “prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”. La previsione è, poi, resa applicabile “alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
Nel caso dell’illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause.
Non può non rammentarsi, infine, che, sulla scia dell’originario art. 3, comma 5, del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148 del 2011) e del correlato art. 5 del d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, l’art. 12, comma 1, della l. 31 dicembre 2012, n. 247, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l’aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza.
Ne è scaturito il d.m. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa”, ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la “assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”, con esclusione, in capo all’assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto “a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività”.
11. L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile, nell’esaminare i primi due motivi di ricorso, si è interrogata sulla tenuta giuridica del sistema assicurativo claims made, adducendo che le censure di parte ricorrente suscitavano “problemi … ulteriori e diversi rispetto a quelli esaminati e decisi” dalla citata sentenza n. 9140 del 2016, per poi sintetizzare le “soluzioni preferibili” a detti “problemi” in due “principi”, dei quali si chiede che ne venga saggiata la correttezza.
11.1. Il primo di detti “principi” è così declinato: «Nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c., ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.».
Il “sinistro” – esordisce l’ordinanza interlocutoria – è soltanto un evento avverso, dannoso, e non voluto dall’assicurato. Ciò è confermato non soltanto da plurimi dati normativi, sia di rango primario, che secondario, e pure di matrice eurounitaria (Direttiva 2009/103/CE; Direttiva 2009/138/CE), ma anche dall’interpretazione sistematica, per cui il sinistro (o rischio in concreto/avverato) di cui all’art. 1882 c.c. è l’avveramento del rischio di cui all’art. 1895 c.c. (rischio in astratto) e il rischio assicurabile, nell’assicurazione contro i danni, è quello che ha ad oggetto un evento futuro, possibile, incerto, oggettivamente esistente e non artificialmente creato, derivante da causa non voluta pregiudizievole per l’assicurato.
Dunque, se le parti hanno la facoltà di assicurare qualsiasi tipo di rischio, non hanno, invece, la facoltà di definire “sinistro” un evento che non costituisca avveramento del rischio assicurato, e sia privo dei caratteri di quello, ovvero non volizione e dannosità (altrimenti, nulla più distinguerebbe un’assicurazione da una scommessa). Un patto di tal genere sarebbe nullo se concluso da un’impresa di assicurazione, la quale ha l’obbligo di limitare la propria attività alla stipula di contratti assicurativi ex art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, salve le eccezioni previste dalla legge, tra le quali non rientra di certo la raccolta di scommesse.
Analogamente, nell’assicurazione della responsabilità civile, che costituisce un sottotipo dell’assicurazione danni, la definizione di cui all’art. 1917, primo comma, c.c., consente di affermare che il rischio in astratto è l’impoverimento dell’assicurato, mentre il rischio in concreto (o sinistro) è la causazione, da parte dell’assicurato, di un danno a terzi del quale debba rispondere.
Le parti di un contratto di assicurazione della responsabilità civile non potrebbero quindi pattuire che il sinistro, ovvero il rischio avverato, possa consistere in un fatto diverso dalla commissione di un illecito aquiliano da parte dell’assicurato. Il rischio si avvera con il fatto illecito, perché è questo che fa sorgere l’obbligazione risarcitoria di cui si intende traslare il rischio stesso e non già con la richiesta risarcitoria.
Se ciò avvenisse e se si ritenesse valida la clausola che qualifica “sinistro” la richiesta risarcitoria del terzo, si verificherebbero “sei conseguenze talmente paradossali, da risultare inaccettabili a qualsiasi ordinamento civile”, e precisamente: a) si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore da un evento non dannoso, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c.; b) si farebbe dipendere l’obbligazione dell’assicuratore “dall’avverarsi di un evento al cui avverarsi l’assicurato non ha un interesse contrario”, in deroga a quanto stabilito dall’art. 1882 c.c.; c) si renderebbe impossibile l’adempimento dell’obbligo di salvataggio, di cui all’art. 1914 c.c., atteso che per adempiere tale obbligo l’assicurato dovrebbe rendersi irreperibile alle richieste del terzo, ovvero non accettare le raccomandate o le notificazioni da questo speditegli; d) l’assicurato non potrebbe mai avere nessuna copertura nell’ipotesi di assicurazione della responsabilità civile per conto altrui (art. 1891 c.c.; ad esempio quella stipulata dal datore di lavoro a beneficio dei dipendenti), perché il contraente che avanzasse una richiesta di risarcimento porrebbe in essere un atto volontario, e quindi doloso, la cui copertura è esclusa dall’art. 1900 c.c.; e) si perverrebbe all’assurdo che anche una richiesta infondata costituirebbe un “sinistro”, e farebbe scattare per l’assicuratore il diritto di recesso; f) nel caso di morte dell’assicurato, cesserebbe il rischio ex art. 1896 c.c. e si scioglierebbe il contratto, e gli eredi dell’assicurato che avesse commesso un danno sarebbero sempre e comunque privi della copertura assicurativa.
11.2. Il secondo “principio” è così enunciato: «Nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito».
La meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. – argomenta il Collegio rimettente – non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Essa è, piuttosto, un giudizio che investe non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito, e tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, alla economia, al buon costume o all’ordine pubblico, ossia ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
Il “diritto vivente” ha ravvisato l’immeritevolezza di contratti o patti con lo scopo di: a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra (Cass. n. 19559 del 2015 e Cass. n. 22950 del 2015); b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra (Cass. n. 9975 del 1995, Cass. n. 1898 del 2000, Cass. n. 12454 del 2009, Cass. n. 3080 del 2013 e Cass. n. 4222 del 2017); c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (Cass. n. 14343 del 2009).
Dunque, la claims made, “nella parte in cui esclude il diritto dell’assicurato all’indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto”, è immeritevole sotto tutti e tre gli anzidetti profili, in quanto: 1) procura all’assicuratore un ingiusto vantaggio senza contropartita, poiché esclude dalla copertura i sinistri verificatisi in prossimità della scadenza della polizza e che verosimilmente verranno denunciati all’assicurato dopo la scadenza, determinando così uno iato tra il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione (e pagato il premio) e il tempo nel quale può avverarsi il rischio; 2) pone l’assicurato in una posizione di soggezione rispetto al danneggiato, che può liberamente decidere il momento in cui inoltrare all’assicurato la richiesta di risarcimento, momento che potrebbe cadere dopo la scadenza della polizza [e ciò comporterebbe due conseguenze paradossali: a) l’interesse dell’assicurato a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in contrasto col principio desumi[bi]le dall’art. 1904 c.c.; b) l’aporia in forza della quale l’assicurato che tace e aspetta la richiesta perde la copertura, ma se si attiva e sollecita il danneggiato, viola l’obbligo di salvataggio ex art. 1915 c.c.]; 3) se l’assicurato adempisse spontaneamente all’obbligazione risarcitoria, secondo correttezza e buona fede, mancherebbe una richiesta di risarcimento fatta dal danneggiato e di conseguenza l’assicuratore potrebbe anche rifiutare l’indennizzo.
12. Reputa questa Corte, a Sezioni unite, che agli interrogativi posti dall’ordinanza interlocutoria occorra dare una risposta unitaria, che affronti e risolva direttamente la problematica di fondo che gli stessi, pur evocando aspetti apparentemente diversi, mettono al centro del discorso giuridico, ossia quella che, a partire dal profilo della meritevolezza degli interessi coinvolti, investe il piano della validità delle clausole claims made.
Una problematica, dunque, da esaminare anzitutto in ragione dell’astratto declinarsi di un siffatto meccanismo assicurativo, sia pure tenendo conto delle variabili operative in precedenza ricordate.
12.1. Il percorso decisionale non è pregiudicato, né comunque ingessato, nella scelta, tra più opzioni possibili, della soluzione interpretativa da preferire, dalla sentenza n. 4912 del 2 marzo 2018, nel frattempo intervenuta in controversia tra le medesime parti del presente giudizio, sorta a seguito dello stesso fatto illecito di danno (sebbene con conseguenze dannose differenti) e vertente su azione di manleva, proposta dalla Manitowoc s.r.l. nei confronti della Allianz s.p.a., in forza delle polizze assicurative anche in questa sede dedotte, con la distinzione, però, della presenza (in quel giudizio) di un’appendice alla seconda polizza (quella distinta dal n. 46859279), contenente una clausola del tipo loss occurence.
Circostanza, quest’ultima, che, unitamente al rilievo per cui la ratio decidendi della sentenza n. 4912 (che sorregge l’esito della cassazione con rinvio della sentenza ivi impugnata) rinviene il proprio antecedente logico necessario non già nella presupposta qualificazione giuridica dei contratti di assicurazione inter partes, bensì nei ritenuti meccanismi pratici di operatività delle stipulate polizze in collegamento tra loro, porta ad escludere che, nella specie, detta pronuncia possa configurarsi come giudicato esterno. Giudicato che, altrimenti, avrebbe impedito il più ampio margine di esercizio dei compiti che l’art. 65 del r.d. n. 12 del 1941 assegna a questa Corte Suprema.
Dunque, la vitalità dello spazio così interamente conservato alla funzione nomofilattica consente di esercitare quest’ultima in modo armonico rispetto alla sua specifica vocazione di costituire in precedente orientativo il principio di diritto che si andrà ad enunciare.
13. Il delineato contesto induce il Collegio a privilegiare un’impostazione di metodo che fa muovere l’ermeneusi dall’analisi di una complessità già risolta sul piano del diritto positivo di più recente conio – seppure esso si collochi in un momento successivo ai fatti generatori della controversia in esame -, per poi trarne un risultato capace, insieme ad altri elementi convergenti, di alimentare l’argomentazione giuridica sino a condurla nel porto della regula (o delle regulae) iuris da somministrare anche nel presente caso concreto.
13.1. L’intervento del legislatore nazionale innanzi illustrato (§ 10), in sostanziale consonanza con la regolamentazione di settore presente in altri ordinamenti di comune cultura giuridica, illumina il “fenomeno” delle clausole claims made (complessivamente inteso, nelle varie formulazioni in cui si manifesta) con una luce retrospettiva, che ne consente una lettura disancorata dal mero dato diacronico costituito dal momento di emanazione delle disposizioni dettate dalla fonte formale di rango primario (art. 11 della l. n. 24 del 2017; art. 3, comma 5, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148 del 2011 e novellato dall’art. 1, comma 26, della l. n. 124 del 2017) o da quella espressamente abilitata a normare (art. 2 del d.m. 22 settembre 2016), giacché il diritto legislativo (o di immediata derivazione) ha recuperato nel substrato della realtà materiale socio-economica una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo.
La legge, dunque, nell’imporre l’adozione di “idonea” assicurazione per la responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere, ha individuato, tra le coordinate di base, inderogabili in pejus, della disciplina del relativo contratto, il modello della clausola claims made, seppure con le modulazioni e le varianti di cui innanzi si è detto.
Nel porsi, dunque, sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale di ciò che, espressamente, è qualificata come assicurazione della responsabilità civile e, quindi, riannodandosi alla fattispecie di cui all’art. 1917 c.c., che, a sua volta, è modello innestato nel corpo del tipo dell’assicurazione contro i danni (artt. 1882 e 1904-1918 c.c.), il legislatore ha in tal modo evidenziato che, nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.) del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato art. 1917 (ossia dello schema improntato al loss occurence o all’act committed), ben si colloca, e non da ora soltanto, il modello claims made, da accettarsi, dunque, nell’area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni, rifluendo nell’alveo proprio dell’esercizio dell’attività assicurativa (secondo il combinato disposto degli artt. 2, comma 3, n. 13 e 11, comma 2, dell’art. 11 del d.lgs. n. 209 del 2005).
E ciò, ovviamente, è conclusione che si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni, ma in linea più generale, perché quella standardizzazione attiene anzitutto al meccanismo di base di operatività della claims made, comune, dunque, agli altri campi di elezione in cui detto modello si trova ad essere praticato, in quanto aggregati, e giustificati, dalla medesima logica assicurativa, ossia quella della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.
14. La chiave interpretativa fornita dal diritto positivo vigente non solo consente una lettura, di per sé, concludente del “fenomeno” in esame, ma, al tempo stesso, esalta ulteriori virtualità ermeneutiche, già sperimentabili nel contesto soltanto codicistico e in nuce presenti nella stessa sentenza n. 9140 del 2016 di queste Sezioni unite, ma, in parte, predicate anche dall’ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018.
14.1. Non si dubita, infatti, che nell’assicurazione contro i danni (art. 1882 c.c.) la garanzia riguardi il danno “prodotto da un sinistro” e che, quest’ultimo, alla stregua del linguaggio giuridico fatto proprio dal “diritto vivente” (a prescindere, quindi, dalla anfibologia del linguaggio della prassi assicurativa), è da ravvisarsi nel fatto, materiale e storico (o come, si esprime l’art. 1917 c.c. il “fatto accaduto”), idoneo a provocare il danno.
Tuttavia, proprio perché il danno rappresenta l’ubi consistam dell’interesse dell’assicurato a stipulare il contratto, altrimenti nullo in assenza di esso (richiamando l’art. 1904 c.c., per l’appunto, l’interesse al “risarcimento del danno” e venendo, dunque, a configurare la c.d. “causa indennitaria” del tipo assicurativo in esame), occorre centrare l’attenzione proprio su quest’ultimo fattore, che integra il rischio assicurabile, la cui incertezza deve permanere intatta sino al momento di inizio dell’assicurazione, come incertezza – nel caso della assicurazione della responsabilità civile – sull’impoverimento del patrimonio del danneggiante-assicurato, quale conseguenza del relativo fatto generatore (ossia il sinistro).
Ciò che, del resto, segna anche la diversa portata che il binomio sinistro/danno assume nell’assicurazione contro i danni per la perdita o il danneggiamento di cose rispetto a quella che garantisce il patrimonio dalla responsabilità civile, là dove solo nel primo caso detto binomio palesa una inscindibilità, intrinseca, tra i due termini, essendo proprio e soltanto l’evento a determinare il danno da cui scatta l’obbligo di indennizzo.
14.2. In questa prospettiva è da assumersi l’approdo nomofilattico della citata sentenza n. 9140 del 2016 sulla assicurabilità dei rischi pregressi, là dove si pone in risalto, segnatamente, che “il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento”.
Sicché, la liceità della claims made con “garanzia pregressa” si apprezza “perché afferisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato”.
14.3. Ove, poi, si riconduca ancora nell’area del concetto di rischio assicurabile l’argomentazione giuridica, le conclusioni anzidette trovano ulteriore conforto in quel successivo passaggio della sentenza in cui la clausola claims made (seppure con uno sguardo incentrato su quella “impura”, ma in base ad assunti già spesi in linea più generale) è vista in termini di delimitazione dell’oggetto del contratto (con conseguente esclusione, quindi, della natura vessatoria della clausola ai sensi dell’art. 1341 c.c., in quanto non limitativa della responsabilità: approdo, questo, di un’interpretazione nomofilattica che va anche qui ribadito), correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle “conseguenze patrimoniali” di cui “l’assicurato intende traslare il rischio”: cioè, del “danno”) e della richiesta del danneggiato.
14.4. Se così è, l’ambito delineato risulta allora consentaneo ad una deroga convenzionale, abilitata dall’art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe.
14.5. La già ricordata scelta legislativa di questi ultimi tempi lo conferma, avendo portato ad emersione quella circolarità tra impianto codicistico e micro-sistema speciale che, nella evidenziata saldatura tra i due ambiti, esprime una forza ordinante particolarmente efficace, consentendo anche una simbiosi di categorie e rimedi.
15. La prima conseguenza di un tale esito ermeneutico è quella del superamento di un giudizio improntato alla logica propria della “meritevolezza”, siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322, secondo comma, c.c.) e, quindi, frutto di una autonomia privata che, in quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato riconoscimento nella realtà socio-economica, non ancora rinviene il proprio referente nel “tipo” prefigurato dalla legge.
Là dove, poi, quest’ultima, la legge, non può evidentemente soggiacere, in quanto tale, al test anzidetto, bensì solo ad una verifica (ove ritenuta rilevante e con un fumus di consistenza) di rispondenza ai parametri recati dalla sua fonte di validazione, ossia quelli costituzionali.
16. Rimane, però, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i “limiti imposti dalla legge”, che il primo comma dell’art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell’assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi “causa in concreto” del negozio.
Ed è un test che non prescinde, però, dalla stessa tensione ispiratrice dello scrutinio di meritevolezza di cui al capoverso del citato art. 1322 c.c. e che guarda – come questa Corte ha in più di un’occasione evidenziato (tra le altre, Cass., 1° aprile 2011, n. 7557; Cass., 10 novembre 2015, n. 22950; Cass., Sez. un., 17 febbraio 2017, n. 4224) – alla complessità dell’ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117, primo comma, Cost.) e segnatamente delle Carte dei diritti, le quali norme non imprimono all’autonomia privata una specifica ed estraniante funzionalizzazione, bensì ne favoriscono l’esercizio, ma non già in conflitto con la dignità della persona e l’utilità sociale (art. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela.
17. In tale contesto, quindi, si rende opportuna un’indagine a più ampio spettro, che non si arresti alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo, ma ne investa anche il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all’attuazione del rapporto.
Si tratta, del resto, di un territorio esplorato anche dalla menzionata sentenza n. 9140 del 2016 di queste Sezioni unite, che, sebbene proprio nell’ottica del giudizio di meritevolezza dell’esercizio dell’autonomia privata, ha, comunque, messo in risalto varie criticità – come l’asimmetria della posizione delle parti ovvero, per certi rapporti, l’operatività di un meccanismo penalizzante all’esordio e allo scadere della garanzia contrattuale, tale da determinare “buchi di copertura” assicurativa -, le quali non evaporano per il solo fatto che quel giudizio più non si imponga come tale.
18. Sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall’impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell’altro contraente, nell’ottica di far conseguire all’assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze.
E tanto si imponeva (Cass., 24 aprile 2015, n. 8412) ben prima della posizione delle regole specificamente dettate dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private di cui al d.lgs. n. 209 del 2005 (tra le altre, artt. 120, 166, 183-187), essendo già scolpita nel sistema più generale la necessità che, nella fase precontrattuale, il contatto tra le parti, in quanto qualificato dall’affidamento reciproco e dallo scopo perseguito, sia improntato, alla stregua del formante normativo di cui agli artt. 1175, 1375 c.c. e 2 Cost., al rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (Cass., 12 luglio 2016, n. 14188), che, nella specie (e, segnatamente, quelli informativi), devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali.
18.1. La violazione di tali obblighi nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass., 23 marzo 2016, n. 5762).
Tanto a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell’ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.).
Sicché, il rimedio risarcitorio al quale potrà aspirare il contraente pregiudicato (nell’ottica, che va ribadita, della separazione tra regole di condotta, che attengono alla dinamica del rapporto, e regole di validità o di struttura, come delineata da Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e ripresa anche dalla citata sentenza n. 9140 del 2016) dovrà essere in grado di far conseguire ad esso un effettivo ristoro del danno patito, commisurabile all’entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso.
19. La stipulazione del contratto di assicurazione della responsabilità civile on claims made basisintroduce, poi, l’indagine sul contenuto negoziale.
19.1. Sotto questo profilo, non può escludersi, anzitutto, che, all’esito dell’interpretazione rimessa al giudice del merito e da condursi secondo i criteri legali (tra cui quello del comportamento delle parti che precede la genesi del vincolo contrattuale: art. 1362, secondo comma, c.c.), si possa giungere a riconoscere un’implementazione del regolamento negoziale ad opera di quelle prestazioni oggetto di informativa precontrattuale, inclini a modulare un adeguato assetto degli interessi dell’operazione economica, che non abbiano poi trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso.
19.2. E l’ottica di adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti è proprio quella che costituisce il fulcro dell’indagine in esame, che veicola, per l’appunto, una verifica di idoneità del regolamento effettivamente pattuito rispetto all’anzidetto obiettivo.
Verifica che transita attraverso la portata che assume la c.d. “causa concreta” del contratto, ossia quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (per tutte, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490).
19.3. È evidente che si tratta di una verifica condizionata dalle circostanze del caso concreto, ma essa trova già su un piano di generica astrazione le proprie coordinate, selezionate, a loro volta, dalla diversità della tipologia dei rapporti assicurativi, rispetto ai quali la risposta in termini di tutela non potrà che essere diversificata.
Con la precisazione, che sin d’ora si rende opportuna, che – come ricordato dalla sentenza n. 9140 del 2016 – rimane soltanto residuale la possibilità di avvalersi della tutela consumeristica somministrata dall’art. 36 del d.lgs. n. 206 del 2005 (in ragione del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” presidiato da una nullità di protezione), giacché riservata alle persone fisiche che concludono un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (tra le molte, Cass., 23 settembre 2013, n. 21763; Cass., 12 marzo 2014, n. 5705), ossia ai settori cui, in modo quasi assorbente, il mercato assicurativo claims made è rivolto.
19.4. Sicché, ove venga in rilievo l’assicurazione della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti, la legge (speciale) – come si è evidenziato nel precedente § 10 – ne detta ora, in regime di obbligatorietà, le coordinate di base, inderogabili in pejus, individuando in esse non solo il substrato del modello negoziale “meritevole”, ma, con ciò, la stessa “idoneità” del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi che entrano nel contratto, ai quali non è estraneo quello, di natura superindividuale, di una corretta allocazione dei costi sociali dell’illecito, che sarebbe frustrata ove il terzo danneggiato non potesse essere risarcito del pregiudizio patito a motivo dell’incapienza patrimoniale del danneggiante, siccome, quest’ultimo, privo di “idonea” assicurazione.
In tal prospettiva, la disciplina legislativa si colloca ancora sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale che salvaguardia la garanzia minima per evitare i c.d. “buchi di copertura”, là dove, però, come del resto impone lo stesso codice delle assicurazioni – tramite l’art. 183, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, che è norma comunque ricognitiva di un obbligo già inscritto nel principio più generale della condotta improntata a buona fede e correttezza -, il prodotto assicurativo offerto deve comunque adeguarsi alle esigenze dell’assicurato.
Sicché rimane intatta, per l’appunto, l’indagine sulla causa concreta del contratto, che spazia dalla verifica di sussistenza stessa (ossia della adeguatezza rispetto agli interessi coinvolti) a quella di liceità (intesa come lesione di interessi delle parti tutelati dall’ordinamento).
19.5. In quest’ottica, l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo (tale da superare le criticità innanzi ricordate: § 17), là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica.
Ciò in quanto, come già affermato da questa Corte, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell’individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni (Cass., 30 aprile 2010, n. 10596; ma, in forza di analoga prospettiva, anche Cass., Sez. un., 28 febbraio 2007, n. 4631).
Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale on claims made basispresenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.
Del resto, una significativa chiave interpretativa in tal senso è fornita dal considerando n. 19 della direttiva 93/13/CEE, che, sebbene abbia riguardo specificamente alla tutela del consumatore, esprime, tuttavia, un principio di carattere più generale, che trae linfa proprio dall’anzidetta relazione oggettiva rischio/premio, sterilizzando la valutazione di abusività della clausola di delimitazione del rischio assicurativo e dell’impegno dell’assicuratore “qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore”.
19.6. Il regolamento contrattuale dovrà, quindi, modularsi, nell’assicurazione della responsabilità professionale, anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell’assicurazione.
Ne deriva che lo iato tra il primo e la seconda [per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto (ma non solo), dell’indagine sull’equilibrio sinallagmatico anzidetto] comporterà la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418 c.c.
A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (Cass., Sez. un., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all’art. 1917, primo comma, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa.
Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura”, siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell’assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali.
Con la precisazione che la stessa legge di settore presenta, come si è visto, multiformi calibrature, modellando l’assicurazione claims made secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare.
19.7. Nondimeno, l’obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo, come detto (con il richiamo alla citata Cass. n. 8412 del 2015) già presente nell’ordinamento in forza del principio di buona fede e correttezza (artt. 1375 c.c. e 2 Cost.) prima ancora che fosse esplicitato dalla legislazione speciale (il citato art. 183, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005), consente, fin dove reso possibile dall’operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., l’osmosi dei rimedi innanzi illustrati anche nel contesto di rapporti assicurativi sorti prima dell’affermarsi del regime di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale.
19.8. Del pari, la giuridica esigenza che il contratto assicurativo sia adeguato allo scopo pratico perseguito dai paciscenti (secondo quanto messo in risalto nei §§ che precedono) sarà criterio guida nell’interpretazione della stipulazione intercorsa al fine di garantire l’assicurato dalla responsabilità civile anche in settori diversi da quello sanitario o professionale e, segnatamente, in quelli che postulano l’esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza.
20. Quanto, infine, alla fase dinamica del rapporto assicurativo on claims made basis, si colloca su un piano di assoluta criticità – come del resto fatto palese, in guisa di ricognizione della prassi esistente, dalla normativa di settore innanzi richiamata (§ 10) – la clausola che attribuisce all’assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell’alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti.
Di qui, il vulnus destrutturante la funzionalità del contratto, non emendabile con la liberazione dell’assicurato dal versamento della parte dei premi residui.
21. Può, dunque, enunciarsi il seguente principio di diritto:
«Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole on claims made basis, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)».
22. Nel caso all’esame, i motivi di ricorso (dal primo al quarto) sono calibrati a denunciare profili di invalidità o inefficacia dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile on claims made basis di tipo c.d. “puro”, stipulati dalla Manitowoc s.r.l. con la RAS s.p.a. (n. 36217044/9 con validità dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2002 e n. 48.859.279 con validità dal 1° gennaio 2003 al 1° gennaio 2004), nell’ottica, eminentemente, della atipicità del modello assicurativo anzidetto.
Tuttavia, essi (più marcatamente nel primo e terzo motivo) intercettano e censurano aspetti di criticità della concreta operazione economica, che non sfuggono ad uno scrutinio orientato secondo le coordinate del principio di diritto poc’anzi enunciato.
In tale prospettiva si prestano ad essere particolarmente valorizzate, nella sostanza, le doglianze dirette a stigmatizzare l’astrattezza del giudizio della Corte territoriale, operato sul filo del sillogismo che connette atipicità della clausola claims made “pura” e sua validazione ordinamentale, senza scendere nel concreto della peculiare vicenda contrattuale dedotta in giudizio.
22.1. Nella sentenza impugnata in questa sede si rende evidente (pp. 22 e 23), all’esito del percorso interpretativo compiuto dal giudice di appello sul contenuto delle polizze stipulate inter partes, come la definizione generale di sinistro (“prodotti”) ivi contemplata sia solo riassuntiva del meccanismo operativo della claims made “pura”, giacché il sinistro è individuato nel fatto che genera il danno, mentre il claim del danneggiato opera come delimitazione temporale dell’operatività della polizza, in tal modo selezionando anche l’applicazione della relativa franchigia in rapporto ad ogni “sinistro”.
In definitiva, la Corte territoriale, nell’affermare la “sostanziale identificazione tra sinistro e richiesta”, ha espresso una valutazione di sintesi circa l’equiparazione richiesta/sinistro, in quanto direttamente funzionale al momento di operatività della polizza, la quale definisce l’oggetto dell’assicurazione pur sempre in ragione del danno determinato da un fatto accidentale verificatosi in relazioni ai rischi assicurati.
22.2. Pur muovendo, dunque, da un presupposto interpretativo plausibile e in parte armonico rispetto a talune coordinate generali dianzi tracciate, anche per ciò che attiene alla esclusione della natura vessatoria delle clausole claims made, in sintonia con quanto sopra messo in evidenza nel § 14.3., la Corte di merito ha però esaurito in ciò la propria valutazione, che, per il resto, è rimasta su un piano di astrattezza, postulando la validità delle polizze nell’ottica, errata, della atipicità del contratto e senza farsi carico della concretezza dell’operazione negoziale, da correlare funzionalmente all’assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare.
Una tale prospettiva in iure avrebbe, invece, dovuto guidare il giudice di appello nel considerare, in modo sinergicamente complessivo, l’atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio (ossia, della scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico-ambientale), la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio assicurato – che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell’importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto -, la presenza, infine, di clausola di recesso in costanza di rapporto.
23. I motivi, dunque, sono fondati per quanto di ragione, nei termini appena illustrati, e il ricorso deve trovare conseguenziale accoglimento.
La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione alle evidenziate ragioni di fondatezza dei motivi di impugnazione, con rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che, nella delibazione dell’appello della Manitowoc s.r.l., si atterrà al principio di diritto sopra enunciato (§ 21).
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il quinto motivo di ricorso e accoglie i restanti motivi per quanto di ragione;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come sopra accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 19 gennaio 2018, n. 1465, per SS.UU, 24 settembre 2018, n. 22437, in tema di assicurazione della responsabilità civile
SS.UU, 24 settembre 2018, n. 22437, in tema di assicurazione della responsabilità civile
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
La clausola claims made è valida e si colloca nell’area della tipicità
1. Il principio di diritto
Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausola “on claims made basis”, volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all’art. 1917, c. 1, c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta di risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore.
Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, c. 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati (ovverosia: responsabilità risarcitoria precontrattuale, anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, al principio di adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro).
2. La questione di massima di particolare importanza
Le Sezioni Unite, a distanza di soli due anni (cfr., SS.UU, n. 9140 del 2016, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Grandi Classici, con nota del Dott. Luca De Laurentiis), intervengono nuovamente sul tema della validità della claims made.
Assai raffinata la ricostruzione storico-legislativa della clausola, nonché della esigenza sottesa a tale tipo di contratto: le imprese assicuratrici tendono a circoscrivere l’operatività dell’assicurazione ai soli sinistri reclamati durante la vigenza del contratto, sì da conoscere con precisione sino a quando saranno tenute a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.
Secondo le Sezioni Unite, il legislatore ha evidenziato come nello spazio concesso dalla derogabilità (cfr., art. 1932 c.c.) del sottotipo delineato dall’art. 1917, c. 1, c.c. (ossia dello schema improntato al loss occurrence o all’act committed) ben si collochi il modello claims made, da ascrivere, dunque, nell’area della tipicità legale nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni.
3. Riflessioni conclusive
La deroga convenzionale, abilitata dall’art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile, di cui all’art. 1917, c. 1, c.c., non comporta una deviazione strutturale della fattispecie negoziale, tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni (cfr., art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe.
Detta conclusione, avverte il Supremo Collegio, sembra essere confermata anche dalle recenti scelte legislative, debitamente richiamate nella pronuncia.