Civile Sent. Sez. U Num. 21764 Anno 2021
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: MAROTTA CATERINA
Data pubblicazione: 29/07/2021
SENTENZA
sul ricorso 12853-2015 proposto da:
AZIENDA USL DI PESCARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 15, presso lo studio dell’avvocato DARIO BUZZELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANTE ANGIOLELLI;
– ricorrente –
contro
INPGI – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI «GIOVANNI AMENDOLA», in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GABRIELE CAMOZZI 9, presso lo studio dell’avvocato GAVINA MARIA SULAS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO PETROCELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6484/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/2021 dal Consigliere CATERINA MAROTTA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale STEFANO VISONA’, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Paola Campilii per delega dell’avvocato Dante Angiolelli e Marco Gustavo Petrocelli.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 6484 del 2014, accoglieva l’impugnazione proposta dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Giovanni Amendola (INPGI) nei confronti dell’Azienda USL di Pescara avverso la pronuncia resa tra le parti dal Tribunale di Roma.
Il giudice di secondo grado, in riforma della sentenza appellata, rigettava il ricorso della Azienda USL avverso il verbale ispettivo con cui l’INPGI le aveva contestato il mancato pagamento dei contributi per il periodo 1° gennaio 2001 – 31 dicembre 2006 relativamente alla posizione dei dipendenti Renato Cytron Muni e Claudio Perolino, proposto innanzi al Tribunale di Roma il 27 marzo 2008 e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall’INPGI, condannava l’Azienda a pagare in favore di quest’ultimo la somma di euro 138.838.00, a titolo di contributi, interessi e sanzioni, oltre interessi e sanzioni dal 15 marzo 2007 al saldo.
2. Il Tribunale aveva dichiarato l’insussistenza dell’obbligo di versamento dei contributi all’INPGI, assumendo che l’attività dei due lavoratori non fosse di tipo giornalistico.
3. La Corte d’appello, riteneva, al contrario, che si trattasse di attività giornalistica.
4. Richiamava l’art. 9 della 1. n. 150 del 2000, che prevede, tra l’altro, che gli uffici stampa delle amministrazioni pubbliche sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, la direttiva del Dipartimento della funzione pubblica del 7 febbraio 2002 che delinea l’attività degli uffici stampa degli enti pubblici, e il parere del Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, secondo cui i dipendenti delle pubbliche amministrazioni ai quali è affidato incarico giornalistico, o che svolgono attività giornalistica, devono essere iscritti presso l’INPGI.
Ricordava che, mentre l’art. 17, comma 3, della 1. n. 503 del 1992, aveva stabilito che i dipendenti giornalisti professionisti o praticanti giornalisti, i cui rapporti di lavoro sono regolati dal contratto nazionale giornalistico, sono obbligatoriamente iscritti presso l’INPGI, il successivo art. 76 della 1. n. 388 del 2000, con effetto dal 1° gennaio 2001, aveva previsto in via generale che l’INPGI provvede alla gestione delle forme di previdenza obbligatorie anche in favore dei giornalisti pubblicisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica.
Assumeva che l’iscrizione all’INPGI fosse, altresì, obbligatoria per i giornalisti pubblicisti che svolgano in regime di subordinazione un’attività di tipo giornalistico, anche alle dipendenze di soggetti diversi dagli editori di testate, ed anche con contratto di lavoro non giornalistico.
Riteneva, comunque, che l’obbligo di iscrizione all’INPGI presupponesse l’effettivo svolgimento di attività giornalistica.
Evidenziava che, nello specifico, l’Azienda USL di Pescara con delibera del 7 marzo 2000 aveva istituito l’ufficio stampa aziendale, specificandone i compiti, ed aveva conferito l’incarico di dirigente dell’ufficio stampa aziendale al dott. Muni Cytron, dirigente sociologo, in possesso dell’iscrizione all’ordine dei giornalisti e della necessaria esperienza in campo giornalistico. Con successiva delibera dell’8 aprile 2003, preso atto dell’entrata in vigore della 1. n. 150 del 2000, l’Azienda aveva confermato l’assegnazione definitiva dell’assistente amministrativo Claudio Perolino – già addetto all’ufficio relazioni con il pubblico dal 4 settembre 1999 – come addetto stampa collaboratore, con specifico incarico di provvedere alla realizzazione dei media aziendali e di curare il corretto rapporto con la stampa, al quale sarebbe stato applicato il contratto giornalistico come consentito dalla 1. n. 150 del 2000.
Rimarcava che entrambi i lavoratori fossero iscritti all’albo dei giornalisti pubblicisti (Cytron Muni dal 9 febbraio 1990, Perolino dal 1° marzo 1985).
Riteneva non rilevante per escludere la natura giornalistica dell’attività il rapporto di subordinazione gerarchica dei due dipendenti e rilevava che nell’attività svolta dai predetti vi fossero gli elementi per considerare sussistente quell’attività di mediazione tra il fatto e la diffusione della notizia che contraddistingue l’attività giornalistica.
Pertanto, per gli stessi andava ritenuta obbligatoria l’iscrizione all’INPGI, e non potevano ritenersi liberatori i pagamenti effettuati all’INPDAP, salva la facoltà di recupero dei contributi versati.
Da ultimo, considerava inapplicabile, al fine di escludere interessi e sanzioni, l’art. 1189 cod. civ. per essere insussistenti il presupposto dell’apparenza o il requisito della buona fede.
5. Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso l’Azienda USL di Pescara, prospettando quattro motivi di ricorso.
6. L’INPGI ha resistito con controricorso.
7. Fissata l’adunanza pubblica innanzi alla sezione lavoro, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie, il Collegio ha emesso l’ordinanza interlocutoria n. 27173, depositata in data 27/11/2020, con cui ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza interlocutoria, dopo una ampia ricostruzione del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale e di legittimità di riferimento, ha ritenuto sussistente, al fine di stabilire rispetto a quale soggetto previdenziale (INPGI oppure INPS) vada adempiuto l’obbligo contributivo del datore di lavoro pubblico, l’esigenza di una interpretazione sistemica della disciplina della professione giornalistica, che trova il suo fulcro nell’iscrizione all’albo professionale, a cui si collegano: – l’applicazione del contratto collettivo giornalisti e il versamento della contribuzione previdenziale all’INPGI; – l’insieme delle fonti legali, in particolare l’art. 9 della n. 150 del 2000, che ha istituito gli uffici stampa e ha rimesso l’individuazione e regolamentazione dei profili professionali degli addetti – dipendenti pubblici iscritti all’albo dei giornalisti – ad una specifica area di contrattazione da negoziare con l’intervento delle oo.ss. giornalisti; – le fonti contrattuali (nella specie il c.c.n.l. Comparto sanità 2016-2018) che hanno previsto, ex art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, in sede diversa da tale negoziazione, profili professionali per le attività di comunicazione e informazione svolte dalle pubbliche amministrazioni.
Ha così ritenuto che, sollevando al riguardo il ricorso una questione di massima di particolare importanza quanto ai profili sistematici, nonché per le ricadute di forte impatto sociale ed economico che derivano dalla scelta di ritenere per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, iscritti all’albo dei giornalisti, addetti ad attività di informazione e comunicazione, anche costituite in ufficio stampa, l’INPGI oppure l’INPS come destinatario dei versamenti contributivi previdenziali da parte del datore di lavoro pubblico, questione che investe anche l’esame del rilievo, a tale specifico fine, della contrattualizzazione dei profili professionali relativi a informazione e comunicazione rispetto alle caratteristiche della professione del giornalista, come delineata dalla 1. n. 63 del 1969, il ricorso dovesse essere trasmesso al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
8. Il Primo Presidente, in ragione della particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste Sezioni unite.
9. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate insistendo per il rigetto del ricorso (così modificando le conclusioni già rese per l’adunanza camerale del 29 settembre 2020).
10. In prossimità dell’udienza, l’Azienda USL di Pescara e l’INPGI hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 9 della 1. n. 150 del 2000, in relazione all’art. 76 della 1. n. 388 del 2000, e dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, nonché del c.c.n.l. Comparto sanità.
La ricorrente contesta che, come invece ritenuto dalla Corte d’appello, dal combinato disposto dell’art. 9 della 1. n. 150 del 2000, e dell’art. 76 della I. n. 388 del 2000, discenda l’obbligo di contribuzione in favore dell’INPGI.
Ed infatti il citato art. 9 prevede che negli uffici stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali siano affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.
Di talché, ad avviso della ricorrente, il legislatore ha previsto una specifica area di contrattazione da applicare al personale interno all’amministrazione che è destinato all’ufficio stampa, con la conseguenza che i contributi previdenziali dovevano essere versati all’INPDAP, ora INPS.
Argomenti a sostegno si possono desumere dalla sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2007, secondo la quale i profili professionali e il trattamento economico degli addetti agli uffici stampa devono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva di appartenenza.
Nella specie, l’attività dei suddetti lavoratori non era che una delle attività che l’Azienda offriva, per cui doveva farsi riferimento, per tutto il personale, al c.c.n.l.
Comparto sanità, che accanto all’attività sanitaria prevedeva anche un profilo professionale tecnico e amministrativo.
Dunque, assume la ricorrente, l’obbligo di contribuzione all’INPGI sussiste solo per i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale, ai quali si applica il contratto nazionale di categoria dei giornalisti, mentre è facoltativo per i giornalisti pubblicisti.
Con riguardo all’ufficio stampa della USL, la facoltà di iscrizione all’INPGI può essere consentita solo per coloro a cui viene applicato il contratto nazionale giornalisti, e cioè a coloro che sono assunti come personale esterno alla pubblica amministrazione, per svolgere attività di informazione, comunicazione e promozione aziendale.
Diversa è la situazione dei due dipendenti della Azienda USL di Pescara, assunti con qualifica propria del pubblico impiego, e che fanno capo al Comparto sanità, ai quali non si applica il contratto di lavoro giornalistico, e la relativa contribuzione va versata all’INPS.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 17 del d.lgs. n. 503 del 1992, in relazione all’art. 76 della 1. n. 388 del 2000, e all’art. 9 della 1. n. 150 del 2000.
È contestata la statuizione che afferma l’obbligatorietà della contribuzione all’INPGI, in quanto l’attività espletata dai due dipendenti della Azienda USL di Pescara, aveva natura giornalistica.
Assume la ricorrente che condizione unica per il versamento dei contributi all’INPGI, è l’essere il rapporto di lavoro regolato dal c.c.n.l. dei giornalisti. Ciò, tenuto conto dell’art. 17 cit., che àncora il versamento dei contributi all’INPGI esclusivamente alla regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti mediante contratto di lavoro nazionale giornalistico, e non alla natura giornalistica dell’attività svolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso è illustrata la violazione e/o falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, delle norme di diritto di riferimento, in particolare dell’art. 9 della I. n. 150 del 2000. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2575, cod. civ., e della 1. n. 633 del 1941.
Assume la ricorrente che l’attività svolta dai due dipendenti applicati all’ufficio stampa aziendale non integrava attività giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale.
Nella attività espletata dagli stessi mancavano tutti gli elementi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità al fine di definire l’attività giornalistica quale attività intellettuale che, utilizzando il mezzo di diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare, ad una massa indifferenziata di utenti, idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai campi più diversi della vita spirituale, politica, economica, scientifica e culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunte da valutazione critica.
L’attività giornalistica, inoltre, è contraddistinta dalla creatività di colui che, con prestazione d’opera professionale, raccoglie ed elabora le notizie.
Nella specie, tali caratteristiche non erano ravvisabili e andava considerato che l’ufficio stampa era sotto la direzione dell’ufficio programmazione ed organizzazione dell’Azienda USL di Pescara, il quale, insieme all’URP, era sottoposto a supervisione e coordinamento.
Andava, inoltre, considerato che, da un lato, non costituisce attività giornalistica il semplice riferimento di notizie, e dall’altro, il vincolo della subordinazione è attenuato.
Come era risultato dall’istruttoria espletata: mancava l’autonomia tipica dell’attività giornalistica; non sussisteva l’attività di reperimento della notizia; mancava il requisito della creatività; mancava l’autonomia dell’informazione; la funzione dell’ufficio stampa era solo quella di presentare le iniziative dell’azienda, a scopo di promozione e comunicazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1189 cod. civ..
La ricorrente si duole della statuizione che l’ha condannata al pagamento di interessi e sanzioni sui contributi in questione, atteso che avrebbe dovuto trovare ingresso il meccanismo liberatorio di cui all’art. 1189 cod. civ., non valendo ad escludere l’applicazione di tale norma né il riferimento alla nota del Ministero del lavoro del 24 settembre 2003, né quello ad un asserito contratto giornalistico, mai applicato al Cytron Muni e al Perolino.
I due lavoratori, quali dipendenti della Azienda USL, erano soggetti solo al c.c.n.l. di categoria del personale sanitario, e inseriti nell’ente previdenziale di appartenenza degli stessi.
Le sanzioni, quindi, non potevano trovare applicazione, atteso che l’adempimento vi era stato, seppure nei confronti di un altro ente.
Dunque, al più avrebbe dovuto operare la compensazione legale tra gli importi richiesti dall’INPGI e quelli già versati all’INPDAP, senza il pagamento di interessi o sanzioni.
5. I suddetti motivi sono resistiti dall’INPGI, secondo cui, in particolare, ai fini del versamento della contribuzione in proprio favore, esattamente in ragione della disciplina richiamata dalla ricorrente, è sufficiente l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto attività giornalistica, essendo irrilevante la natura del datore di lavoro.
Ciò, sia per i giornalisti professionisti sia per i pubblicisti, sussistendo la natura giornalistica del rapporto di lavoro subordinato. Nella specie, peraltro, le risultanze testimoniali deponevano a favore dello svolgimento di attività giornalistica.
Quanto alla prospettata applicabilità dell’art. 1189 cod. civ., la stessa andava esclusa poiché mancava la prova della buona fede da parte della Azienda.
6. Il procuratore generale ha chiesto respingersi il ricorso evidenziando, sulla base di precedenti di legittimità – Cass. 20 luglio 2007, n. 16147; Cass. 26 giugno 2004, n. 11944 -, che ciò che rileva ai fini dell’iscrizione all’INPGI è lo svolgimento di attività giornalistica, a prescindere dalla natura del datore di lavoro e del c.c.n.l. applicato e che anche i dipendenti pubblici i quali, in possesso dei titoli necessari, svolgano per la pubblica amministrazione attività di tipo giornalistico devono essere iscritti all’INPGI a prescindere dal fatto che il loro rapporto sia soggetto ad un c.c.n.l. diverso dal contratto nazionale giornalistico.
7. Va innanzitutto rilevato che i motivi di ricorso superano il vaglio di ammissibilità in quanto evidenziano in modo specifico e circostanziato le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie.
8. L’esame delle censure di cui ai primi tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connesse, postula la ricognizione del complesso quadro normativo e contrattuale in materia, nonché della giurisprudenza della Corte costituzionale e di quella di legittimità, con riguardo anche ai recenti arresti di entrambe.
9. È innanzitutto opportuna una ricostruzione della evoluzione che, nel tempo, ha avuto l’INPGI e la funzione allo stesso attribuita.
9.1. Storicamente le prime forme di previdenza in favore dei giornalisti e, più in generale di coloro che prestavano attività di lavoro nel mondo dell’informazione, erano rappresentate dalle “Casse pie di assistenza”, associazioni di natura volontaria sorte a fine Ottocento con l’obiettivo di garantire ai soci ed alle relative famiglie determinate erogazioni, vitalizie o temporanee, nel caso di eventi lesivi della salute o del reddito di lavoro degli iscritti (malattie, infortuni, vecchiaia, disoccupazione) e finanziate oltre che dal contributo personale dei soci, dai residui attivi del “Fondo carta” e dai contributi sulla pubblicità.
Con l’art. 23 del c.c.n.l. di lavoro stipulato il 1° ottobre 1925 tra Federazione nazionale della stampa e l’unione nazionale editori di giornali venne stabilito che: “È istituito presso la federazione nazionale della stampa italiana un Fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia dei giornalisti, disciplinato da un regolamento speciale che sarà redatto a cura della Federazione stessa”.
Così il sistema del Fondo assunse già una connotazione diversa passando da una forma di contribuzione volontaria ad una obbligatoria ancorché su base contrattuale (e, dunque, evidentemente vincolante solo per i soggetti cui il c.c.n.l. si applicava). Nel medesimo contratto collettivo si stabiliva che al Fondo dovevano concorrere in misura paritaria le amministrazioni dei giornali ed i giornalisti, le une e gli altri con versamenti obbligatori, sullo stipendio mensile globale.
La diversa forma di finanziamento consentì al Fondo di garantire quale principale prestazione la concessione di un trattamento di quiescenza al raggiungimento del 60° anno di età o al compimento del 35° anno di servizio professionale.
Un anno dopo, con il R.D. 25 marzo 1926, n. 838, il Fondo assunse la veste ufficiale di Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, con la natura giuridica di ente morale e ordinamento di tipo federativo.
Successivamente, con la 1. 31 dicembre 1928, n. 3316, vennero fuse nell’INPGI le varie Casse Pie ancora esistenti in alcune città italiane (come quelle di Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia e Udine). I redditi netti provenienti dai patrimoni degli enti stessi furono utilizzati ai fini generali della previdenza e dell’assistenza dei giornalisti italiani.
Il sistema previdenziale così configurato si inseriva in un contesto in cui per le assicurazioni per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria sussistevano comunque determinate esclusioni.
Ad esempio, l’art. 38 del R.D.L. n. 1827 del 1935 fissava un limite retributivo stabilendo che non fossero soggetti a tali assicurazioni obbligatorie gli impiegati la cui retribuzione, ragguagliata a mese, superasse un determinato ammontare (poi elevato dall’art. 5 del R.D.L. n. 636 del 1939).
Con l’art. 1 della 1. 28 luglio 1950, n. 633 il suddetto limite di retribuzione fu soppresso con decorrenza 10 settembre 1950. Ciò comportò una generalizzazione dell’obbligo assicurativo e determinò anche per gli editori l’obbligo di versare all’INPS i contributi già dovuti all’INPGI a seguito degli accordi contrattuali.
La norma del 1950 generò il rischio di soppressione dell’Istituto in quanto le sue forme assicurative si andavano ad inserire automaticamente nel quadro istituzionale del regime generale obbligatorio.
Si rese, così, necessario un intervento legislativo che fu, a ben guardare, non solo di ‘salvataggio’, ma anche di riassetto generale delle competenze dell’Istituto.
9.2. Venne, a tale fine, emanata la 1. 20 dicembre 1951, n. 1564 (c.d. legge Rubinacci) che, non a caso, è comunemente definita la vera e propria legge istitutiva dell’Ente, con la quale si riconobbe all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola», con previsione di ambito generale, il carattere sostitutivo di tutte le forme di assistenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti attribuendosi allo stesso la natura di ente di diritto pubblico.
Ed infatti detta legge, tuttora in vigore, denominata “Previdenza ed assistenza dei giornalisti”, all’art. 1 ha previsto che: “La previdenza e l’assistenza attuate dall1stituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola» riconosciuto con regio decreto 25 marzo 1926, n. 838, nelle forme e nelle misure disposte dal suo statuto e dal regolamento a favore dei giornalisti iscritti all’Istituto stesso, sostituiscono a tutti gli effetti, nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti, le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie” ed all’art. 2 precisato che: “Le misure dei contributi dovuti all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola» dai datori di lavoro per i giornalisti da essi dipendenti e le prestazioni che l’Istituto è tenuto ad erogare a favore dei propri iscritti non possono essere inferiori a quelle stabilite per le corrispondenti forme di previdenza e di assistenza obbligatorie”.
Tale legge ha determinato l’ingresso dell’ente nel sistema istituzionale della sicurezza sociale delineato dall’art. 38 della Cost.. Con la peculiarità che con essa l’INPGI è stato chiamato a gestire in Italia tutte le forme previdenziali ed assistenziali obbligatorie in favore degli iscritti e dei loro familiari così da sostituirsi ai vari enti deputati, singolarmente, alla gestione dell’invalidità, vecchiaia e superstiti, all’assicurazione contro la disoccupazione e contro la tubercolosi, alla gestione degli assegni familiari, all’assicurazione malattia o della copertura del rischio infortuni.
9.3. Il completamento dell’assetto ordinamentale si è avuto con la l. 9 novembre 1955, n. 1122 (c.d. legge Vigorelli) con la quale si è provveduto a definire i soggetti assicurati, la retribuzione imponibile, le sanzioni applicabili in caso di omesso o tardivo versamento dei contributi dovuti, i poteri ispettivi conferiti ai funzionari di vigilanza.
9.4. Successivamente, nell’ambito del più generale disegno di riordino del sistema degli enti pubblici di previdenza ed assistenza delineato dal comma 32 dell’art. 1 della l. 24 dicembre 1993, n. 537 ed in virtù della delega esercitata con il d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, a decorrere dal 1° gennaio 1995, l’INPGI è stato trasformato da ente pubblico previdenziale in una fondazione, avente natura giuridica privata, permanendo lo svolgimento da parte dello stesso delle pubbliche funzioni con autonomia gestionale, organizzativa e contabile (l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 509 del 1994 così prevede: “Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali”; l’art. 2 aggiunge: “Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta”).
9.5. Attualmente, dunque, l’INPGI, mutata l’originaria natura di derivazione contrattuale, gestisce, in virtù del ruolo attribuitogli dalla 1. n. 1564 del 1951, in regime sostitutivo e con regolamentazione autonoma, tutte le forme assicurative obbligatorie di previdenza ed assistenza a favore dei giornalisti professionisti.
9.6. Con la successiva 1. 25 febbraio 1987, n. 67 (artt. 26 e 27) l’iscrizione all’Istituto è stata estesa anche ai praticanti e ai tele-cineoperatori di testate giornalistiche televisive iscritti all’albo dei giornalisti professionisti.
9.7. Con il d.lgs. 10 febbraio 1996, n. 103 è stata, poi, istituita la gestione separata, finalizzata alla previdenza obbligatoria di tutti i giornalisti liberi professionisti, estendendosi la tutela previdenziale obbligatoria anche ai soggetti che “svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in appositi albi o elenchi”.
Si sono così delineate due distinte sezioni: gestione lavoratori dipendenti, cd. ‘gestione principale’, per i giornalisti titolari di rapporto di lavoro dipendente e ‘gestione separata’, per i giornalisti lavoratori autonomi, con o senza partita Iva, e i giornalisti titolari di contratti di collaborazione (co.co.co .).
9.8. Come sopra evidenziato, dunque, ai sensi dell’art. 1 della 1. n. 1564 del 1951, l’INPGI gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria (AGO) nei confronti dei giornalisti lavoratori dipendenti (in tale regime l’INPGI gestisce anche l’assicurazione contro gli infortuni, che fu istituita e disciplinata per la prima volta dal contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del 1955, e confermata nei contratti successivi, con progressiva elevazione dei massimali degli indennizzi).
Ciò vale a distinguere l’INPGI da altri enti previdenziali privatizzati (v. Cass. 16 gennaio 2012, n. 1098). Una differenziazione rispetto agli altri enti previdenziali (ed in particolare alle Casse) si ricava anche dal fatto che il regime INPGI ricalca quello INPS per quanto attiene all’imposizione, riscossione e recupero dei contributi obbligatori.
Tale impostazione non si pone in contrasto con il d.lgs. n. 509 del 1994 che, come sopra evidenziato, ha disposto la privatizzazione degli enti di previdenza gestori di forme di previdenza obbligatoria, lasciando tuttavia intatta la natura dell’attività previdenziale da loro svolta.
Rispetto al sistema INPS quello sostitutivo dell’INPGI, almeno fino alla riforma varata dal Consiglio di Amministrazione dell’INPGI, con delibera del 28 settembre 2016, approvata dal Ministero del Lavoro e dal Ministero dell’Economia, contenente nuove regole che entrano in vigore da subito, per chi matura i requisiti a partire dal 1° gennaio 2017, ha conservato tutte le caratteristiche del metodo di calcolo retributivo (che continua ad essere applicato per le anzianità maturate fino al 31.12.2016 ed in base al quale la redditività delle pensioni INPGI risulta, così, alquanto superiore ai regimi che già adottavano diffusamente il calcolo contributivo o misto), il che rende evidentemente rilevante, per i soggetti interessati, l’una ovvero l’altra soluzione contributiva.
9.9. L’ampiezza della sopra indicata previsione legislativa (art. 2 della 1. n. 1564 del 1951) ed il riferimento all’obbligo contributivo previsto a carico dei “datori di lavoro per i giornalisti da essi dipendenti” è tale da far ritenere che la disposizione si applichi a tutti i datori di lavoro a prescindere dalla natura privata o pubblica.
Ai sensi di tale disciplina generale, dunque, qualunque datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze giornalisti è tenuto all’iscrizione all’INPGI.
9.10. Ciò è confermato anche dall’art. 6 della sopra citata 1. n. 1122 del 1955 che, senza alcuna distinzione, dispone che: “Il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare all’Istituto i giornalisti professionisti ad esso occupati, indicando la retribuzione corrisposta e tutte le altre notizie che gli sono richieste dall’Istituto stesso per l’iscrizione del giornalista professionista e per l’accertamento dei contributi dovuti”.
9.11. L’art. 38 della 1. 5 agosto 1981, n. 416 (“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria’) ha, poi, previsto, nella versione originaria, che: “1. L’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (INPGI), che, a norma della legge 30 dicembre 1931, n. 1364, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatorie nei confronti dei giornalisti professionisti, provvede a corrispondere ai propri iscritti: a) il trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dall’art. 33; b) la pensione anticipata di vecchiaia prevista dall’art. 37. 2. Gli oneri derivanti dalle suddette prestazioni sono a totale carico dell’Istituto. 3. Resta confermato all’INPGI il compito di provvedere alla corresponsione ai giornalisti professionisti del trattamento speciale di disoccupazione di cui all’art. 8 della legge 3 novembre 1968, n. 1113, e successive modificazioni e integrazioni, con finanziamento a totale carico del Fondo di garanzia per l’assicurazione contro la disoccupazione costituito presso l’Istituto medesimo a norma dei decreti ministeriali 24 novembre 1963 e 3 maggio 1977. 4. Le forme previdenziali gestite dall’INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”.
9.12. La norma è stata oggetto di interventi legislativi di modifica fino al testo sostituito dall’art. 76 della L n. 388 del 23 dicembre 2000: “1. L’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” (INPGI) ai sensi delle leggi 20 dicembre 1951, n. 1564, 9 novembre 1955, n. 1122, e 25 febbraio 1987, n. 67, gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti di cui all’articolo 1, commi secondo e quarto, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica. I giornalisti pubblicisti possono optare per il mantenimento dell’iscrizione presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Resta confermata per il personale pubblicista l’applicazione delle vigenti disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi”. 2. L’INPGI provvede a corrispondere ai propri iscritti: a) il trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dall’articolo 35; b) la pensione anticipata di vecchiaia prevista dall’articolo 37 (lettera poi abrogata dall’articolo 19, comma 18-ter, lettera b), del d.l. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla 1. 28 gennaio 2009, n. 2). 3. Gli oneri derivanti dalle prestazioni di cui al comma 2 sono a totale carico dell’INPGI. 4. Le forme previdenziali gestite dall’INPGI devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”.
È stato, così, innanzitutto mantenuto il regime sostitutivo; né rileva in senso contrario il fatto che, come sopra ricordato, l’INPGI sia stato privatizzato in epoca anteriore al citato art. 76, 1. n. 388 del 2000. La forma giuridica di un ente e la sua funzione pubblicistica o privatistica non necessariamente coincidono, cosicché è improprio sia far discendere dalla natura pubblicistica di un ente la sua assoggettabilità integrale alle norme sui pubblici servizi, sia viceversa escludere che un soggetto privato possa, sol per la sua forma giuridica, assolvere a funzioni pubblicistiche o essere destinatario di norme ispirate da finalità pubblicistiche.
9.13. La legge del 1981, in cui è inserito il sopra citato art. 38, è, invero, relativa alla “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”.
La successiva previsione di cui alla 1. n. 388 del 2000 ha, come detto, modificato l’art. 38.
Pur in un contesto di disciplina chiaramente relativo alle imprese editrici ed alle provvidenze per l’editoria, deve ritenersi che la disposizione di cui all’art. 38 (sia nel testo originario sia in quello modificato), specificamente rubricata “INPGI” abbia portata generale, ora anche per quanto attiene alla gestione in regime di sostitutività delle forme di previdenza obbligatoria in favore dei giornalisti pubblicisti di cui all’art. 1, commi 2 e 4, della 1. 3 febbraio 1963, n. 69.
Ciò emerge innanzitutto dal chiaro richiamo alla 1. n. 1564 del 1951 operato dall’art. 38.
Non può in contrario valorizzarsi il riferimento, con riguardo alla possibilità di opzione, al solo INPS, che, all’epoca, non ricomprendeva anche la gestione INPDAP: si ricorda, al riguardo, che l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica, nato come ente pubblico nel 1994 è stato accorpato all’INPS con il c.d. decreto “salva Italia”, (art. 21 del d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, poi convertito con modifiche nella I. n. 214 del 27 dicembre 2011).
Essendo, infatti, nel 2000 già vigente il sistema del pubblico impiego privatizzato con il conseguente obbligo per il datore di lavoro pubblico di attenersi alla disciplina della contrattazione del comparto (v. infra) nessuna possibilità di scelta poteva essere prevista in favore del giornalista pubblicista pubblico dipendente.
Si è, evidentemente, trattato di una disposizione, che, quanto alla possibilità di opzione, che come detto riguardava la sola gestione INPS, è stata meramente intesa ad una conservazione della situazione in atto (scopo di detta previsione normativa non è stato rendere facoltativa l’iscrizione all’INPGI dei giornalisti pubblicisti ma consentire a quei giornalisti pubblicisti già in forza alla data in vigore della legge ed iscritti all’INPS di optare per il mantenimento dell’iscrizione a questo ente: v. Cass. 4 giugno 2019, n. 15162).
9.14. D’altra parte, è stato ritenuto da questa Corte di legittimità (Cass. 20 luglio 2007, n. 16147, pronuncia richiamata anche da Corte cost. n. 112 del 2020) che “perché sorga l’obbligo di iscrizione all’INPGI è sufficiente la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto attività giornalistica con un soggetto che sia giornalista professionista o praticante giornalista. La natura del datore di lavoro è indifferente, sicché questo può essere un ente pubblico territoriale (e il giornalista dipendente un impiegato comunale: Cass. 26 giugno 2004, n. 11944) o un imprenditore che, pur operando in settori diversi dall’editoria, assume alle sue dipendenze un giornalista professionista o praticante assegnandogli mansioni di carattere giornalistico”.
Tale portata generale è stata ribadita da questa Corte nelle decisioni 12 gennaio 2016, n. 11407 e n. 15162/2019 cit. rese proprio con riferimento a pubblicisti addetti a uffici stampa istituiti presso pubbliche amministrazioni.
Il principio è stato applicato anche per affermare l’obbligo contributivo nei confronti dell’INPGI in presenza di un accertamento di attività giornalistica da parte di società (Matrix S.p.A.) che applicava il c.c.n.l. Grafici (v. Cass. 22 giugno 2016, n. 12897). Nel medesimo alveo si colloca Cass. 25 giugno 2018, n. 16691 che egualmente ha attribuito centralità all’attività giornalistica espletata che costituisce il presupposto di riferimento per ritenere l’obbligo di iscrizione all’INPGI.
Ancora più di recente è stato ribadito (Cass. 25 maggio 2021, n. 14391), richiamando i requisiti di iscrizione di cui al regolamento INPGI, che l’obbligo assicurativo presso l’INPGI ricorre nei casi in cui, a prescindere dal c.c.n.l. applicato e dell’inquadramento aziendale, concorrano le seguenti condizioni: a) iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti); b) svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica. Si tratta di condizioni che devono essere tra loro concorrenti e non alternative. Ai sensi della vigente normativa (1. n. 1564 del 1951,1. n. 1122 del 1955, art. 38 della 1. n. 416 del 1981 – come sostituito dall’art. 76 della 1. n. 388 del 2000 -, Statuto e Regolamento dell’INPGI), dunque, il giornalista (professionista, pubblicista e/o praticante) che svolga attività di lavoro subordinato riconducibile a quella della professione giornalistica, ai fini della tutela previdenziale, è obbligatoriamente iscritto all’INPGI.
Si tratta di principio che è stato nuovamente ribadito – per i dipendenti da aziende private – dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota n. 14072 del 27 dicembre 2005.
Ai sensi di tale più recente pronuncia, l’accertamento che l’attività svolta sia giornalistica è perciò un prerequisito indispensabile che concorre, con l’iscrizione anche d’ufficio e retroattiva all’albo dei praticanti, nel radicare il diritto del lavoratore e dell’Istituto a pretendere che si provveda all’iscrizione e che siano versati i dovuti contributi.
9.15. In verità, prima delle modifiche di cui alla 1. n. 388 del 2000 è intervenuto il d.lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992 (“Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421″) con il quale, all’art. 17, comma 3, è stato stabilito che: “I dipendenti giornalisti professionisti iscritti nell’apposito albo di categoria e i dipendenti praticanti giornalisti iscritti nell’apposito registro di categoria, i cui rapporti di lavoro siano regolati dal contratto nnionale giornalistico, sono obbligatoriamente iscritti presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola,” (comma modificato dall’art. 11 della 1. 24 dicembre 1993, n. 537).
Come la legge del 1951, anche quella del 1992 è di generale applicazione (ma tiene fuori i pubblicisti poi inseriti dal legislatore del 2000: si vedano, a confronto, il testo normativo dell’art. 38 della 1. n. 416 del 1981 nella versione originaria e quello sostituito dall’art. 76 della 1. n. 388 del 2000 sopra riportati) ed integra la prima con la previsione dell’obbligo di iscrizione obbligatoria all’INPGI per i dipendenti il cui rapporto sia regolato dal c.c.n.l. giornalistico.
Al riguardo va ritenuto che il legislatore del 1992, che è intervenuto quando la riforma del pubblico impiego che era già in itinere, abbia voluto dare una chiara indicazione stabilendo in termini generali l’iscrizione all’INPGI per tutti i giornalisti dipendenti con rapporto regolato dal c.c.n.l. giornalistico.
La norma non afferma che l’obbligo sussista ‘solo’ per i dipendenti cui si applica il c.c.n.l. giornalistico ma afferma che di certo quando si applichi tale c.c.n.l. c’è l’obbligo di contribuzione in favore dell’INPGI.
Una interpretazione diversa (basata sul discrimine esclusivo costituito dall’applicazione del c.c.n.l. giornalistico e che porterebbe ad accogliere la tesi dell’Azienda sanitaria) si scontra con tutta la giurisprudenza di questa Corte di legittimità sopra ricordata in materia di obbligo di iscrizione all’INPGI, anche nell’impiego pubblico, che afferma la sussistenza di tale obbligo a prescindere dalla natura del datore di lavoro (e quindi del c.c.n.l. applicato).
Peraltro, andrebbe considerato, per escludere la suddetta interpretazione diversa, che nell’impiego privato, per il quale la applicazione del c.c.n.l. non è obbligatoria ma rimessa ad un atto di volontà (ciò, ovviamente, per l’impiego privato diverso da quello facente capo agli editori di quotidiani e di periodici, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, all’emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale, agli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali cui si applica obbligatoriamente il c.c.n.l. giornalistico: per una ricostruzione si rimanda a Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2020, n. 1867 evidenziandosi che il primo contratto nazionale di lavoro giornalistico del 10/1/1959 è stato reso efficace erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, e ha pertanto valore di legge; lo stesso è stato seguito dai contratti collettivi sottoscritti in data 1/10/1995, 30/9/1999, 1/3/2001, 28/2/2005, 1/4/2009, 31/2/2013), basterebbe applicare un contratto di diverso da quello giornalistico per sfuggire all’iscrizione all’INPGI, nonostante lo svolgimento di attività giornalistica, il che non è sostenibile.
9.16. Si aggiunga che vi è stata una significativa conformazione, per consolidata e pluriennale prassi amministrativa, ad una interpretazione nel senso sopra illustrato da parte non solo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ma dello stesso INPDAP.
Ed infatti, come evidenziato anche nella sentenza impugnata, già con parere n. 80907 del 24 settembre 2003, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, preso atto della disposizione di cui all’art. 76 della 1. n. 388 del 2000, ha affermato l’iscrizione previdenziale dei giornalisti all’INPGI indipendentemente dalla contrattazione collettiva ad essi applicabile. In sede di tale parere si è evidenziato che l’unico requisito richiesto è dato dalla natura dell’attività espletata che deve essere ‘giornalistica’ e si è posto in rilevo che, a decorrere dal 1° gennaio 2001, i giornalisti assunti alle dipendenze della pubblica amministrazione, a tempo determinato o a tempo indeterminato, pubblicisti e professionisti, in presenza del duplice requisito di affidamento di incarico di natura giornalistica, ovvero svolgimento di attività riconducibile alla professione giornalistica e di iscrizione all’albo di categoria, devono essere obbligatoriamente iscritti, ai fini pensionistici, presso l’INPGI.
Ciò ha comportato che da allora le amministrazioni si sono adeguate e (fatte salve, a quanto risulta dai contenziosi, le eccezioni per lo più costituite da Enti locali e da ASL), i contributi sono stati versati all’INPGI.
Sulla scorta di dette indicazioni Ministeriali sono state anche diramate circolari congiunte INPGI e INPDAP (così la n. 9 del 9 febbraio 2004) con cui si poneva a carico delle amministrazioni pubbliche aventi alle proprie dipendenze personale soggetto all’obbligo contributivo presso l’INPGI di provvedere alla costituzione delle posizioni assicurative presso tale Istituto (si vedano gli ampi riferimenti contenuti nel controricorso dell’INPGI; si veda anche la nota operativa INPDAP n. 12 del 16 febbraio 2007 con la quale si è chiarito che: “In applicazione del citato disposto legislativo, i giornalisti dipendenti da pubbliche amministrazioni, iscritti all’INPDAP fino al 31 dicembre 2000, sono stati iscritti ope legis all’INPGI dal 10 gennaio 2001 senza alcuna modifica degli elementi costitutivi e fondamentali del rapporto di lavoro che, pertanto, è proseguito senza alcuna modifica soggettiva o oggettiva dello stesso senza soluzione di continuità”).
10. In questo quadro si inserisce l’art. 9 della 1. 7 giugno 2000, n. 150 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”) che ha così disposto: “1. Le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, possono dotarsi, anche in forma associata, di un ufficio stampa, la cui attività è in via prioritaria indirizzata ai mezzi di informazione di massa. 2. Gli uffici stampa sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti. Tale dotazione di personale è costituita da dipendenti delle amministrazioni pubbliche anche in posizione di comando o fuori ruolo, o da personale estraneo alla pubblica amministrazione in possesso dei titoli individuati dal regolamento di cui all’art. 5, utilizzato con le modalità di cui all’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni, nei limiti delle risorse disponibili nei bilanci di ciascuna amministrazione per le medesime finalità. 3. L ‘ufficio stampa è diretto da un coordinatore, che assume la qualifica di capo ufficio stampa, il quale, sulla base delle direttive impartite dall’organo di vertice dell’amministrazione, cura i collegamenti con gli organi di informazione, assicurando il massimo grado di trasparenza, chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire nelle materie di interesse dell’amministrazione. 4. I coordinatori e i componenti dell’ufficio stampa non possono esercitare, per tutta la durata dei relativi incarichi, attività professionali nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche. Eventuali deroghe possono essere previste dalla contrattazione collettiva di cui al comma 5. 5. Negli uffici stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ai giornalisti in servizio presso gli uffici stampa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in via transitoria, sino alla definizione di una specifica disciplina da parte di tali enti in sede di contrattazione collettiva e comunque non oltre il 31 ottobre 2019, continua ad applicarsi la disciplina riconosciuta dai singoli ordinamenti (comma modificato dall’articolo 25-bis, comma 1, del D.L 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 28 marzo 2019, n. 26). 5- bis. Ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali., in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti collettivi nazionali di lavoro (comma, quest’ultimo, inserito dall’art. 1, comma 160, della 1. 27 dicembre 2019, n. 160)”.
Sono, quindi, intervenuti il Regolamento di attuazione di cui al d.P.R. 21 settembre 2001, n. 422, (in G.U. n. 282 del 4 dicembre 2001) recante “Norme per l’individuazione dei titoli professionali del personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attività di informazione e di comunicazione e la disciplina degli interventi formativi” e la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica del 7 febbraio 2002 (in G.U. n. 74 del 28 marzo 2002).
10.1. In realtà, già sulla scia delle proclamazioni di taluni statuti regionali che, a partire dagli anni 70, avevano tradotto in specifiche previsioni di quella particolare fonte del diritto che, in virtù del principio di autonomia, disciplina l’organizzazione interna delle Regioni, la necessità di un rapporto bidirezionale tra pubblici poteri e comunità (inserendo disposizioni intese, ad esempio, a promuovere l’informazione sui programmi, sulle decisioni e sugli atti di rilevanza regionale), la Corte costituzionale, con la sentenza n. 348 del 1990, ha per prima riconosciuto che ogni articolazione dei pubblici poteri, e, in particolare, ogni soggetto di autonomia non può non avere, tra i suoi compiti, anche quello di realizzare un corretto circuito informativo con la comunità di riferimento.
In sede di tale pronuncia si è significativamente evidenziato che: “L’informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati), esprime (…) una condizione preliminare (o, se vogliamo, un presupposto insopprimibile) per l’attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico. Nell’ambito di tale forma, qualsivoglia soggetto od organo rappresentativo investito di competenze di natura politica non può, di conseguenza, pur nel rispetto dei limiti connessi alle proprie attribuzioni, risultare estraneo all’impiego dei mezzi di comunicazione di massa”.
10.2. È in questo contesto culturale che si colloca la 1. n. 150 del 2000 che è, indubbiamente, figlia di questa idea, dell’idea cioè che l’attivazione di circuiti di informazione e comunicazione tra amministrazioni e cittadini è un aspetto irrinunciabile della democratizzazione dell’informazione.
10.3. L’art. 1 di tale legge fissa le finalità e l’ambito di applicazione della stessa stabilendo che: “1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione dei principi che regolano la trasparenza e l’efficacia dell’azione amministrativa, disciplinano le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”.
La medesima norma introduce, poi, una distinzione tra “comunicazione” e “informazione”: dove per “informazione” si intende (art. 1, comma 4, lett. a) l’attività rivolta “ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici”, mentre la comunicazione (quella “esterna’, cui si affianca quella “interna” tra vari uffici di ciascun ente), è intesa come l’attività “rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa” (art. 1, comma 4, lett. b e c).
Si tratta di una distinzione cui si ricollega anche la distinzione tra le diverse “strutture” deputate ad occuparsi della informazione e comunicazione pubblica.
Ed infatti, secondo l’art. 6 della 1. n. 150 del 2000: “le attività di informazione si realizzano attraverso il portavoce e l’ufficio stampa e quelle di comunicazione attraverso l’ufficio per le relazioni con il pubblico, nonché attraverso analoghe strutture quali gli sportelli per il cittadino, gli sportelli unici della pubblica amministrazione, gli sportelli polifunzionali e gli sportelli per le imprese”.
Tale distinzione, poi, si riflette sui differenti titoli richiesti per lo svolgimento delle funzioni.
Per quanto riguarda le Amministrazioni dello Stato, tali titoli sono previsti dal citato Regolamento attuativo di cui al d.P.R. n. 422 del 2001.
Con specifico riferimento allo svolgimento dell’attività di informazione nell’ambito degli uffici stampa, l’art. 9, comma 2, della 1. n. 150 del 2000 prevede che: “Gli uffici stampa sono costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti”.
L’art. 3 del Regolamento, sviluppando l’indicazione già contenuta nel suddetto art. 9, comma 2, stabilisce che l’esercizio di tale attività “è subordinato, oltre al possesso dei titoli culturali previsti dai vigenti ordinamenti e disposizioni contrattuali in materia di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, al possesso del requisito della iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell’albo nazionale dei giornalisti”, limitatamente, però, al “personale che svolge funzioni di capo ufficio stampa”, nonché (comma 2) al ‘personale che, se l’organizzazione degli uffici lo prevede, coadiuva il capo ufficio stampa nell’esercizio delle funzioni istituzionali, anche nell’intrattenere rapporti diretti con la stampa e, in generale, con i media”.
Il requisito dell’iscrizione all’albo nazionale dei giornalisti è, dunque, richiesto proprio perché il compito informativo, inteso alla creazione di un flusso continuo di notizie ed al trasferimento di specifiche tematiche di pubblico interesse, è svolto interfacciandosi con i “mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici”.
L’indicato titolo professionale non è, invece, previsto né per coloro che svolgano attività di comunicazione né per i portavoce (quanto ai primi – art. 2 del Regolamento – è richiesto il diploma di laurea in scienze della comunicazione o in relazioni pubbliche e materie assimilate ovvero specializzazioni o perfezionamento post lauream rilasciati in scienze della comunicazione o relazioni pubbliche o materie assimilate, titoli che, a ben guardare, sarebbero senz’altro adeguati ad una attività, non giornalistica, di mera comunicazione delle notizie, quale sarebbe, nell’assunto della ricorrente, quella degli uffici stampa presso la pubblica amministrazione; nessun requisito professionale specifico è richiesto per il personale addetto all’ufficio stampa ma con mansioni non rientranti nelle previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 3 e per i portavoce).
10.4. Quello previsto dalla 1. n. 150 del 2000 è, come evidenziato anche nella sopra indicata direttiva, un nuovo indispensabile strumento a disposizione delle pubbliche amministrazioni per sviluppare le loro relazioni con i cittadini, potenziare e armonizzare i flussi di informazioni al loro interno e concorrere ad affermare il diritto dei cittadini ad un’efficace comunicazione.
Quest’ultima cessa di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell’azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte integrante.
A termini di legge, per consentire il pieno raggiungimento di questi obiettivi, le pubbliche amministrazioni devono: 1) dare avvio e sviluppo alle strutture deputate alla realizzazione delle attività di informazione, portavoce e ufficio stampa, e di comunicazione, ufficio per le relazioni con il pubblico; 2) promuoverne il pieno raccordo operativo sotto forma di coordinamento e attraverso una adeguata struttura organizzativa.
Ma il legislatore ha anche previsto l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali per mezzo della contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.
10.5. Un dato certo è che proprio lo scopo di cui alla 1. n. 150 del 2000 (che, come evidenziato da Corte cost. n. 81 del 2019, ha connotati di specialità, anche rispetto alla normativa di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, regolando l’attività di comunicazione e informazione nelle pubbliche amministrazioni, prevedendo una specifica area di contrattazione per gli addetti agli uffici stampa; si vedano anche Corte cost. n. 10 del 2019 e n. 112 del 2020) e l’intento di realizzare una ‘casa di vetro’ induce ad una considerazione dell’attività di informazione professionale a tanto dedicata (che il legislatore non qualifica espressamente attività giornalistica pur dettando, come sopra evidenziato, chiare coordinate per una individuazione in tali termini) caratterizzata da una spiccata autonomia anche nell’acquisizione delle conoscenze.
Se l’obiettivo è quello di ‘non nascondere nulla’ di quanto avviene all’interno dell’amministrazione per fornire all’esterno, con la mediazione di figure professionali (iscritte all’albo dei giornalisti e regolamentate attraverso una – non ancora attuata – speciale area di contrattazione con l’intervento delle organizzazioni rappresentative dei giornalisti), una corretta informazione, si è di fronte ad una attività finanche più libera di quella tradizionalmente svolta ad esempio alle dipendenze di una testata editoriale in cui, ad esempio, vi è una linea politica da seguire.
10.6. Sotto questo profilo, ritiene il Collegio di non condividere l’impostazione di cui a Cass. 15 giugno 2020, n. 11543 che parte dal differente assunto secondo cui la garanzia di riservatezza che caratterizza l’attività interna sarebbe tale da impedire l’indiscriminata divulgazione di qualsiasi possibile notizia del formarsi dell’azione amministrativa e così escluderebbe quell’autonomia tipica dell’attività giornalistica.
Una tale impostazione, secondo cui l’attività svolta dagli addetti all’ufficio stampa non potrebbe per definizione assumere le caratteristiche dell’attività giornalistica, è, infatti, smentita dallo stesso art. 1 della I. n. 150 del 2000 che, come detto, fissando la finalità di applicazione della legge medesima, ha specificato che la stessa è quella di attuare i principi che regolano “la trasparenza e l’efficacia dell’azione amministrativa, disciplinano le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” (sul punto è del tutto condivisibile quanto evidenziato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni scritte) e che lo stesso art. 9 della legge prevede, al comma 3, che, nei collegamenti con gli organi di informazione, deve essere assicurato “il massimo grado di trasparenza, chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire nelle materie di interesse dell’amministrazione”, ancorché sulla base delle “direttive impartite dall’organo di vertice dell’Amministrazione”.
Non vi è dubbio che l’intento del legislatore sia stato quello di prevedere, per realizzare la sopra indicata finalità, figure deputate allo svolgimento di vera e propria attività giornalistica nel solco della tradizionale elaborazione di tale attività effettuata sulla base della I. n. 69 del 1963.
Tanto di ricava dalla formale istituzione degli uffici stampa, dalla differenziazione tra attività di informazione e di comunicazione, dalla necessità per gli addetti agli uffici stampa dell’iscrizione all’albo nazionale dei giornalisti, dall’essere stata l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali affidata alle parti collettive nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.
È stato, dunque, delineato un modello di informazione che non vi è dubbio si ricolleghi al concetto di attività giornalistica come tracciato dalla Corte di legittimità
(v. da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 1867/2020 cit. secondo cui, alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica, della I. n. 63 del 1969, nella parte in cui include il giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e doveri disciplinari, la “professione di giornalista” è da intendersi come quell’attività “di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione”: si vedano anche Cass. 1° febbraio 2016, n. 1853; Cass. 29 agosto 2011, n. 17723; Cass. 21 febbraio 1992, n. 2166).
10.7. Peraltro, il modello dell’addetto all’ufficio stampa dipendente pubblico è assolutamente conforme ai principi del buon andamento e imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. che esclude che si possano modificare ovvero edulcorare all’esterno notizie per compiacere gli organi di vertice perché ciò sarebbe in contrasto con quel principio di trasparenza sopra ricordato oltre al principio secondo il quale i pubblici impiegati (tutti, e quindi anche gli addetti agli uffici stampa) sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) e non al servizio dei titolari pro tempore delle posizioni di vertice.
D’altra parte, l’art. 1, comma 4, della I. n. 150 del 2000 chiarisce che le attività di comunicazione ed informazione devono svolgersi: “nel rispetto delle norme vigenti in tema di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di tutela della riservatezza dei dati personali e in conformità ai comportamenti richiesti dalle carte deontologiche”.
Esiste, allora, di certo una tutela sulla riservatezza dell’attività interna, ma tale ambito di tutela non può essere ricavato mediante un’operazione di bilanciamento con la libertà di espressione essendo rimessa alla professionalità del giornalista (e ne costituisce il proprium) la cernita di ciò che si deve e si può pubblicare e quello che invece non è necessario o non è consentito rendere pubblico. Oltre i suddetti limiti legislativamente previsti la pubblica amministrazione, come qualunque altro soggetto giuridico, non potrà opporre ostacoli alla ‘trasparenza’ dell’operato dell’addetto all’ufficio stampa.
Del resto, non è affatto scontato che l’addetto all’ufficio stampa, cui si richiede soprattutto credibilità laddove il compito attribuito è quello di creare all’esterno una buona immagine della pubblica amministrazione, sia tenuto solo a riportare quanto riferito dal proprio ente di appartenenza (ed in ogni caso si tratterebbe, non diversamente da quanto avviene nelle agenzie di stampa, di una fonte indiretta o intermedia, che si organizza autonomamente allo scopo di divulgare notizie) e non possa, invece, per una migliore riuscita della comunicazione, integrare quanto riferito con altre notizie apprese aliunde o anche seguire iniziative editoriali o pubblicare articoli su “materie di interesse dell’amministrazione” che non servano a dare specifico conto di atti o attività e che siano perciò fondati su altri strumenti di conoscenza (integrando, così, una fonte diretta di informazione), rientrando nell’ambito degli obiettivi dell’ufficio stampa anche quello di accreditare il proprio Ente come riferimento indispensabile su specifiche tematiche.
Né appare rilevante, al fine di escludere la natura giornalistica, il fatto che, come previsto dalla 1. n. 150 del 2000, l’addetto all’ufficio stampa si interfacci con i “mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici” e non direttamente con il pubblico indifferenziato, tale essendo per lo più anche l’attività delle agenzie di stampa che storicamente sono nate proprio per fornire informazioni ai giornali e fungono da fonti per i mass media.
È pur vero che il giornalista dell’ufficio stampa pubblico, in quanto dipendente della pubblica amministrazione, è tenuto anche all’obbligo di fedeltà proprio di qualunque lavoratore subordinato, e quindi deve evitare di “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione” del suo datore di lavoro e non deve “farne uso in modo da recare pregiudizio” all’amministrazione (art. 2105 cod. civ.), ma questo è un limite generale, che riguarda anche il giornalista ‘privato’ che non deve pregiudicare gli interessi del proprio editore.
Anche la circostanza che gli addetti all’ufficio stampa siano vincolati alle “direttive impartite dall’organo di vertice dell’amministrazione” non è certo tale da escludere, per ciò solo, la natura giornalistica della prestazione, configurandosi anche in questo caso una situazione non dissimile da quella tradizionale del rapporto giornalista-editore (si ricorda, peraltro, che l’art. 6, comma 4, del c.c.n.l. lavoro giornalistico 1/4/2014 – 31/3/2016 prevede che: “[…] è competenza specifica ed esclusiva del direttore fissare ed impartire e direttive politiche e tecnico-professionali del lavoro redazionale, stabilire le mansioni di ogni giornalista, adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata, nei contenuti del giornale e di guanto può essere di uso con il medesimo”).
L’iscrizione all’albo professionale e l’appartenenza ad un Ordine che fissa le regole deontologiche e vigila sulla loro osservanza è quanto consente al giornalista subordinato di resistere alle sollecitazioni ed interferenze cui sia eventualmente esposto nella sua posizione di dipendenza, a tutela dell’interesse pubblico alla correttezza dell’informazione.
Come evidenziato da Cass., Sez. Un., n. 1867/2020 cit., richiamando Corte cost. n. 98 del 1968: “L’iscrizione all’albo è di per sé garanzia di qualità dell’informazione e di tutela degli interessi preminenti legati alla libertà di manifestazione del pensiero, perché consente all’ordine professionale di esercitare il suo controllo preventivo e sanzionatorio; il pubblicista, proprio perché iscritto all’albo, offre le stesse garanzie di professionalità ed efficienza del giornalista professionista, differenziandosi da questo unicamente in ragione della non esclusività della sua prestazione”.
11. Quello descritto è il sistema come delineato dal legislatore.
11.1. Orbene, uffici stampa sono stati istituiti presso le pubbliche amministrazioni mediante specifica articolazione organizzativa degli enti (si vedano: quanto alla sottoposizione del personale dell’ufficio stampa regionale al c.c.n.l. dei dipendenti degli enti locali, in ragione della sentenza della Corte cost. n. 189 del 2007, Cass. 9 giugno 2009, n. 13248; quanto all’impossibilità di costituire rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato per gli uffici stampa in mancanza di pubblico concorso, Cass. 9 febbraio 2015, n. 2370 e Cass. 4 novembre 2016, n. 22485; quanto all’inapplicabilità dell’accordo collettivo regionale siciliano del 24 ottobre 2007 per la mancata stipulazione del contratto integrativo, Cass. 11 gennaio 2017, n. 488).
11.2. Alcune Regioni italiane hanno, invero, stabilito di applicare le previsioni del vigente contratto collettivo dei giornalisti, stipulato dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI), al personale degli istituiti uffici stampa.
Le relative disposizioni di legge regionale, però, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione della sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego (richiamandosi, a tal fine, la previsione di cui all’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni il quale prevede, al comma 2, ultimo periodo, che “nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità” (v. Coste cost. n. 112 del 2020 e Corte cost. n. 200 del 2020 che hanno chiarito che è la contrattazione collettiva di settore la sede in cui si adottano le soluzioni più consone per regolamentare l’attività dei giornalisti alle dipendenze della pubblica amministrazione).
11.3. L’area speciale di contrattazione, come detto, non è stata attuata; tuttavia, raccogliendosi le sollecitazioni di cui alla Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2002 sopra ricordata, e l’invito ad adeguare i profili professionali alle nuove figure degli operatori dell’informazione e comunicazione legislativamente previsti, nei contratti collettivi di comparto sono state previste specifiche figure professionali per le attività di comunicazione e informazione e per quest’ultima il profilo dello “specialista nei rapporti con i media, giornalista pubblico” distinto rispetto a quello dello ‘specialista della comunicazione istituzionale’ (si veda il c.c.n.l. comparto funzioni locali 2016-2018 che, all’art. 18-bis ‘Istituzione nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione’, prevede: “1. Nel quadro dei processi di innovazione del lavoro pubblico, al fine di valorizzare e migliorare le attività di informazione e di comunicazione svolte dalle pubbliche amministrazioni, sono previsti distinti specifici professionali idonei a garantire l’ottimale attuazione dei compiti e funzioni connesse alle suddette attività, il comma 5 definisce i “contenuti professionali di base” delle attività di informazione e di comunicazione, in relazione ai quali gli enti procederanno alla definizione dei profili di cui al comma 1. 5. In linea con quanto previsto nei precedenti commi, i suddetti contenuti professionali di base sono così articolati e definiti:
a) Settore Comunicazione Categoria D Gestione e coordinamento dei processi di comunicazione esterna ed interna in relazione ai fabbisogni dell’utenza ed agli obiettivi dell’amministrazione, definizione di procedure interne per la comunicazione istituzionale, gestione degli eventi istituzionali, raccordo dei processi di gestione dei siti internet, nonché delle comunicazioni digitali WEB e social, anche nell’ottica dell’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza e della comunicazione esterna dei servizi erogati dall’Amministrazione e del loro funzionamento. Profili di riferimento: specialista della comunicazione istituzionale. b) Settore Informazione Categoria D Gestione e coordinamento dei processi di informazione sviluppati in stretta connessione con gli obiettivi istituzionali dell’Amministrazione; promozione e cura dei collegamenti con gli organi di informazione; individuazione e I o implementazione di soluzioni innovative e di strumenti che possano garantire la costante e aggiornata informazione sull’attività istituzionale dell’amministrazione; gestione degli eventi stampa, dell’accesso civico e delle consultazioni pubbliche. Profili di riferimento: specialista nei rapporti con i media, giornalista pubblico”; si veda anche il c.c.n.l. comparto sanità 2016-2018 e la disposizione di cui all’art. 13 del tutto sovrapponibile, per quanto qui rileva, rispetto a quella del c.c.n.l. comparto enti locali).
11.4. È allora dall’intero sistema che si ricava la natura giornalista dell’attività presso gli uffici stampa: dalla formale istituzione di tali uffici, dai titoli richiesti per l’assegnazione agli stessi, dalla previsione di una contrattazione speciale con l’intervento delle organizzazioni rappresentative dei giornalisti, dalle classificazioni della contrattazione di comparto (in qualche modo riempitive del vuoto di un’area di contrattazione speciale non attuata).
11.5. Certo è che, in assenza dell’area di contrattazione speciale, non si sfugge all’applicazione dell’ordinario c.c.n.l. di comparto. Né potrebbe essere diversamente
visto che, come già accennato, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato il datore di lavoro pubblico – a differenza del datore di lavoro privato – non ha il potere di disporre dell’inquadramento dei lavoratori ma è obbligato ad attenersi alla disciplina della contrattazione del comparto.
Il legislatore della privatizzazione, infatti, sin dal primo intervento ha provveduto a riconoscere il ruolo della contrattazione collettiva come fonte direttamente regolativa dei rapporti di lavoro ed ha dettato una specifica disciplina delle sue parti e delle modalità di negoziazione.
In particolare, l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, già art. 2, comma 3, d.lgs. n. 29 del 1993, stabilisce che i rapporti individuali di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono regolati contrattualmente e che i contratti collettivi sono stipulati secondo le modalità previste nel titolo III del medesimo decreto legislativo.
Il successivo art. 45 d.lgs. n. 165 del 2001, già art. 49 d.lgs. n. 29 del 1993, ha rimesso alla contrattazione collettiva la disciplina del trattamento economico e, nel contempo, ha posto il principio di parità di trattamento contrattuale dei dipendenti.
Va anche considerato che questa Corte di legittimità (Cass. n. 16691/2018 cit.) ha già affermato che la qualificazione dell’attività giornalistica, per la sua rilevanza
pubblicistica con riflessi costituzionali (art. 21 Cost.) non può desumersi in via primaria ed esclusiva dalla contrattazione collettiva (resa efficace erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153), ma trova gli elementi per la sua qualificazione e regolamentazione in un compendio normativo costituito dalla Costituzione, dalla 1. 3 febbraio 1963, n. 69 e dal regolamento di esecuzione emanato con d.P.R. 4 febbraio 1965, n. 115, modificato dal d.P.R. 19 luglio 1976, n. 649 e dal contratto collettivo 19 gennaio 1959, efficace erga omnes (v., per le prime affermazioni del principio appena enunciato, le decisioni di questa Corte in tema di qualificazione come giornalistica dell’attività dei telecinefotoperatori, fra le altre, Cass. 2 luglio 1985, n. 3998 e 21 aprile 1986, n. 2780 e numerose successive conformi; fra le più recenti, in tema di attività giornalistica radiotelevisiva ravvisata in programmi di intrattenimento o svago, Cass. 19 gennaio 2016, n. 830). Anche il legislatore del 2001, con la 1. n. 62 del 2001, art. 1, recante nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali, non ha introdotto una definizione di giornalismo o informazione on line, dando rilievo all’informazione con qualunque strumento mediatico utilizzato e delineando, con il comma 3-bis introdotto dalla 1. 26 ottobre 2016, n. 198, il contenuto della testata giornalistica costituita da un quotidiano on line.
Dalla citata sentenza si evince, altresì, che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea equipara la stampa tradizionale a quella on line, ritenendo irrilevante il mezzo utilizzato per la pubblicazione, dovendosi avere riguardo soltanto alla finalità di divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee, a prescindere dal mezzo utilizzato (cfr., fra le altre, CGUE 16 dicembre 2008, causa C-73/07, Satakun Markkinaporssi ed ulteriori precedenti richiamati da Cass., Sez. Un. pen., n. 31022 del 2015 e Cass. 18 novembre 2016, n. 23469). Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Corte EDU, Gr. Ch., 16 giugno 2015, Delfi As c/Estonia, ric. n. 64569/09, punto 133) presuppone tale equiparazione, ai fini della libertà di espressione, riconoscendo che i siti internet contribuiscono grandemente a migliorare l’accesso del pubblico all’attualità e, in maniera generale, a facilitare la comunicazione dell’informazione (richiamando i suoi precedenti 18 dicembre 2012, Ahmet Yildirim c. Turchia, ric. n. 3111/10, punto 48, nonché 10 marzo 2009, Times Newspapers ltd c. Regno Unito, ricorsi nn. 3002/03 e 23676/03, punto 27).
11.6. I suddetti principi rilevano quando, come nel caso in esame, la struttura ‘ufficio stampa’ sia stata istituita e gli addetti a tale ufficio siano stati inquadrati in modo diverso rispetto alla specifica qualificazione dei c.c.n.l. (che non è quella che dovrebbe risultare dall’apposita contrattazione di area speciale ma che, come detto, fornisce significative indicazioni sulla qualificazione dell’attività di cui al profilo dello “specialista nei rapporti con i media, giornalista pubblico’).
Ricordato, infatti, che il datore di lavoro pubblico non può attribuire inquadramenti in contrasto con quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e che il prestatore deve essere adibito allo svolgimento delle prestazioni per cui è stato assunto, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, o a quelle che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001, a fronte di una assegnazione all’ufficio stampa regolarmente istituito e dello svolgimento in fatto di attività giornalistica, con il possesso del relativo titolo, non può la pubblica amministrazione, per sottrarsi all’obbligo contributivo in favore dell’INPGI, opporre la mancanza del formale inquadramento con la qualifica giornalistica di cui al c.c.n.l. di comparto. In tal caso, infatti, mentre non sussiste per il prestatore un diritto a svolgere per sempre quelle funzioni, l’obbligo contributivo trova fondamento nell’art. 2126 cod. civ. che si applica anche al pubblico impiego privatizzato (v. Cass., Sez. Un., 29 maggio, 2012, n. 8519).
11.7. La questione si sposta, allora, sul piano dell’accertamento in fatto dell’attività svolta.
Nella fattispecie per cui è causa, la Corte territoriale ha concluso che: – l’attività svolta dai dipendenti Cytron e Perolino aveva quei caratteri di creatività ed originalità che caratterizzano l’attività di giornalista; – non si trattava di mera comunicazione all’esterno di dati e notizie inerenti l’azienda; – sussisteva una attività di mediazione tra il fatto e la diffusione della notizia; – il rapporto di subordinazione gerarchica non era in contrasto con il principio fondamentale dell’autonomia dell’informazione; – non vi era solo il trasferimento del contenuto di mail e documenti cartacei nel sito web ma anche l’elaborazione dei documenti che pervenivano; – il Cytron e il Perolino non si limitavano a riportare il testo delle dichiarazioni rese dai vari esponenti aziendali ma introducevano e commentavano la notizia collocandola all’interno di un articolato più organico simile ad un articolo di un comune quotidiano, con l’utilizzazione di un linguaggio ed uno stile tipicamente giornalistici.
Non vi era stato, dunque, il semplice trasferimento all’esterno di messaggi informativi ma la capacità di trattare l’informazione e cioè un’attività – implicante quella di reperire e verificare le notizie (ancorché nell’ambito delimitato di una azienda sanitaria), selezionare quelle rilevanti, individuare quelle suscettibili di essere veicolate all’esterno e le relative modalità – precipuamente espressiva della professionalità di cui alla 1. n. 69 del 1963.
11.8. Il suddetto accertamento non è rivedibile in sede di legittimità essendo, come è noto, riservati al giudice di merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze di causa, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ed a formare il proprio convincimento.
12. Vi è, a questo punto, da chiedersi se, stante la ricordata inattuazione della 1. n. 150 del 2000 per la parte relativa all’area di contrattazione speciale prevista per legge, un’attività svolta in concreto con le caratteristiche dell’attività giornalistica nel senso sopra considerato comporti, per tale via, per il datore di lavoro pubblico (che applica – essendovi tenuto – il c.c.n.l. di comparto ancorché, come nella fattispecie, senza l’inquadramento nello specifico profilo professionale del ‘giornalista pubblico’) l’obbligo di versamento dei contributi all’INPGI legislativamente previsto.
12.1. Orbene, per tutto quanto sopra detto con riguardo alle funzioni attribuite, nel tempo, dal legislatore all’INPGI, la fonte di tale obbligo è da rinvenirsi della normativa generale sopra ricordata rispetto alla quale, come evidenziato, l’applicazione – necessitata – di un c.c.n.l. pubblico non può costituire ragione ostativa.
Invero l’applicazione del c.c.n.l. giornalistico (ove pure in ipotesi sussistente per uno o per entrambi i pubblicisti per cui è causa) sarebbe stata una anomalia considerato quanto detto circa l’obbligo per la pubblica amministrazione di applicare il c.c.n.l. di comparto, stante la mancata attuazione dell’area di contrattazione speciale prevista per legge.
12.2. Da tanto consegue che vanno respinti i primi tre motivi di ricorso avendo la Corte territoriale correttamente ritenuto sussistente l’obbligo di contribuzione in favore dell’INPGI.
13. Il quarto motivo è inammissibile.
14. Nonostante la formale denuncia della violazione dell’art. 1189 cod. civ. il motivo, nella sostanza, tende a contrastare la valutazione di fatto del giudice di appello circa la non ricorrenza, nel caso di specie, dei presupposti di applicabilità della norma dell’apparenza e della buona fede: quanto al primo, il giudice d’appello ha argomentato che ogni possibile dubbio sull’individuazione dell’Ente cui versare i contributi doveva ritenersi superato da quando, con la nota del 24 settembre 2003, il Ministero del Lavoro aveva chiarito che i giornalisti assunti dalla pubblica amministrazione per svolgere attività giornalistica dovevano essere iscritti all’INPGI; quanto al secondo, il giudice d’appello ha ritenuto che la buona fede dovesse escludersi in base al fatto che l’Azienda con la delibera dell’8/4/2003 aveva manifestato l’intenzione di applicare al Perolino “il contratto di lavoro giornalistico come consentito dalla legge n. 150 del 2000”.
Peraltro, come questa Corte ha affermato in varie occasioni, deve negarsi, comunque, che possa esistere il presupposto dell’art. 1189 cod. civ., nel caso di pagamento all’INPS di contributi dovuti all’INPGI, in quanto il datore non può ignorare l’attività di lavoro espletata dai propri dipendenti e dove essa debba essere assicurata a fini previdenziali (Cass. 5 novembre 2012, n. 18916; Cass. n. 12897/2016 cit.).
15. Il ricorso va, dunque, rigettato dovendo enunciarsi i seguenti principi di diritto:
“Deve essere considerata giornalistica l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla 1. n. 150 del 2000 per la quale il legislatore ha richiesto il titolo dell’iscrizione all’albo professionale e previsto un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle oo.ss. dei giornalisti”.
“In presenza dello svolgimento di attività giornalistica l’iscrizione all’INPGI ha portata generale a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto”.
16. Le spese devono essere compensate tra le parti per l’evidente complessità e controvertibilità della questione.
17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 –quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 22 giugno 2021.
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 27 novembre 2020, n. 27173, per SS.UU, 29 luglio 2021, n. 21764, in tema di attività giornalistica
SS.UU, 29 luglio 2021, n. 21764, in tema di attività giornalistica
Nota della Dott.ssa Valentina Petruzziello
Iscrizione all’INPGI e obbligo contributivo del datore di lavoro
1. I principi di diritto
Deve essere considerata giornalistica l'attività svolta nell'ambito dell'ufficio stampa di cui alla L. 150/2000, per la quale il legislatore ha richiesto il titolo dell'iscrizione all'albo professionale e previsto un'area speciale di contrattazione con la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei giornalisti.
In presenza dello svolgimento di attività giornalistica, l'iscrizione all'INPGI ha portata generale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto.
2. La questione di massima di particolare importanza
Il giudizio riguarda la controversia insorta tra un’Azienda sanitaria e l’INPGI, a seguito del mancato pagamento da parte della prima dei contributi a due giornalisti addetti al suo ufficio stampa.
Le Sezioni Unite, al fine di stabilire rispetto a quale soggetto previdenziale (INPGI oppure INPS) vada adempiuto l'obbligo contributivo del datore di lavoro (pubblico), operano una ricostruzione sistematica della disciplina della professione giornalistica, che trova il suo fulcro nell'iscrizione all'albo professionale, a cui si collegano l'applicazione del contratto collettivo giornalisti e il versamento della contribuzione previdenziale all'INPGI.
Dopo aver delineato la natura giuridica dell’INPGI, quale (attualmente) fondazione, di natura privata e con funzioni pubbliche (di gestione, in regime sostitutivo e con regolamentazione autonoma, di tutte le forme assicurative obbligatorie di previdenza ed assistenza a favore dei giornalisti professionisti lavoratori dipendenti), il Supremo Collegio prosegue individuando le fonti normative essenziali ai fini della risoluzione della questione oggetto dell’ordinanza interlocutoria.
Il richiamo è, in particolare, all’art. 2 della L. 1564/1951 (c.d. legge Rubinacci), nella parte in cui si riferisce all'obbligo contributivo previsto a carico dei "datori di lavoro per i giornalisti da essi dipendenti".
Il carattere aperto di tale disposizione porta la Corte a rilevarne l’applicabilità a tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla loro natura privata o pubblica.
Ai sensi di tale disciplina generale, dunque, qualunque datore di lavoro, che abbia instaurato un rapporto di lavoro subordinato con giornalisti professionisti o pubblicisti, è tenuto al versamento dei relativi contributi all’INPGI.
3. Conseguenze operative
Le Sezioni Unite corroborano l’orientamento giurisprudenziale secondo cui i giornalisti, assunti alle dipendenze della p.a., a tempo determinato o indeterminato, iscritti all’albo nazionale di categoria, nonché affidatari di incarico di natura giornalistica ovvero di attività riconducibile alla professione giornalistica (per tale dovendosi intendere anche quella svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla L. 150/2000), debbano essere obbligatoriamente iscritti presso l’INPGI a fini pensionistici, con conseguente obbligo contributivo a carico del datore di lavoro (pubblico).