Civile Ord. Sez. U Num. 5306 Anno 2024
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: GIUSTI ALBERTO
Data pubblicazione: 28/02/2024
R.G. 9109/2023
Cron.
Rep.
C.C. 16/1/2024
albo avvocati
O R D I N A N Z A
sul ricorso iscritto al NRG 9109-2023 promosso da:
Avv. MURATORI Franco, rappresentato e difeso da se medesimo e, unitamente e disgiuntamente, dall’Avvocato Mauro Vaglio;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA;
– intimato –
e nei confronti di
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la decisione n. 41-2023 emessa in data 25 marzo 2023 dal Consiglio nazionale forense.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024 dal Consigliere Alberto Giusti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – L’avv. Franco Muratori è un cittadino italiano, iscritto all’albo ordinario degli avvocati di Roma dal 29 marzo 2012.
In data 10 maggio 2022 l’avv. Muratori ha chiesto di essere iscritto all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 22, comma 3, della nuova legge professionale forense n. 247 del 2012, il quale, in via transitoria, consente l’iscrizione a coloro che abbiano maturato i requisiti secondo la normativa previgente (esercizio della professione per almeno dodici anni davanti a corti d’appello e tribunali, ex art. 33 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito in legge n. 36 del 1934) entro un certo numero di anni (inizialmente tre, poi divenuti undici) dalla data di entrata in vigore della nuova legge professionale.
L’istanza è stata rigettata dal Comitato per la tenuta dell’albo speciale costituito presso il Consiglio nazionale forense, sul rilievo che l’interessato aveva maturato un periodo di iscrizione all’albo ordinario degli avvocati inferiore a quello, di dodici anni, prescritto dalla normativa previgente, richiamata dal citato art. 22, comma 3.
Avverso la delibera del Comitato l’avv. Muratori ha proposto ricorso al Consiglio nazionale forense.
Il CNF, con decisione del 25 marzo 2023, ha respinto il ricorso.
Il CNF ha premesso che l’avv. Muratori, quale avvocato stabilito ai sensi del d.lgs. n. 96 del 2001, venne iscritto inizialmente, in data 18 marzo 2010, nella sezione speciale dell’albo, e passò all’albo ordinario soltanto in data 29 marzo 2012, sicché, rispetto a quest’ultima data, non erano maturati i dodici anni necessari per l’iscrizione nell’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Il CNF ha quindi richiamato l’orientamento, già applicato dallo stesso Consiglio, secondo cui l’iscrizione nell’albo ordinario, a seguito di intervenuta integrazione, di un avvocato precedentemente iscritto nella sezione speciale per gli avvocati stabiliti, di cui al d.lgs. n. 96 del 2001, non può comportare il cumulo della relativa anzianità di iscrizione; e ciò in quanto l’iscrizione alla sezione speciale consente una forma peculiare e limitata di esercizio della professione forense, caratterizzata dalla spendita del solo titolo straniero e dalla necessità di intesa con un avvocato iscritto all’albo ordinario, attività, questa, funzionale all’espletamento del procedimento di stabilimento-integrazione ai sensi dello stesso decreto legislativo, il che esclude l’esistenza di qualsivoglia disparità di trattamento costituzionalmente rilevante.
Su questa base, il CNF ha escluso che l’avv. Muratori possa computare, nei dodici anni richiesti dall’art. 22, comma 3, della legge n. 247 del 2012, anche gli anni in cui lo stesso aveva svolto l’attività professionale come avvocato stabilito.
L’anzianità di iscrizione nella sezione speciale, secondo il CNF, non è cumulabile con l’anzianità di iscrizione nell’albo ordinario a seguito di integrazione, giacché le due iscrizioni corrispondono a diverse forme di esercizio della professione, che presuppongono titoli diversi (il titolo straniero per lo stabilito, il titolo di avvocato per l’iscritto nell’albo ordinario), senza che ne derivi violazione della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo.
2. – Per la cassazione della decisione del CNF l’avv. Muratori ha proposto ricorso, con atto notificato il 24 aprile 2023, sulla base di un unico motivo.
L’intimato Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma non ha svolto attività difensiva in questa sede.
3. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità dell’adunanza camerale il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso. Secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, non è configurabile la violazione della direttiva europea 98/5/CE, in considerazione della ratio del divieto del cumulo delle anzianità, corrispondendo le due iscrizioni, nella sezione speciale e nell’albo ordinario, a due diverse forme di esercizio della giurisdizione.
La difesa del ricorrente, a sua volta, ha presentato una memoria illustrativa, nella quale si sostiene che, qualora le Sezioni Unite serbassero dubbi riguardo alle istanze sollevate nel ricorso, poiché l’esercizio professionale in Italia con la qualifica estera atterrebbe prevalentemente al diritto italiano (e sarebbe dunque idoneo a consentire di maturare periodi di esperienza in tale giurisdizione), sarebbe indispensabile investire della questione la Corte di giustizia dell’Unione Europea.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo, l’avv. Muratori prospetta la violazione degli 3, 6 e 9 della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un punto decisivo della controversia e l’omessa o apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole dell’omessa considerazione, da parte del CNF, delle doglianze sollevate in ordine alla eccepita illegittimità della delibera adottata dal Comitato per la tenuta dell’albo speciale per violazione della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui era stata acquisita la qualifica.
Sostiene il ricorrente – richiamando, in particolare, la sentenza della Corte di giustizia 17 luglio 2014 (nelle cause riunite C-58/13 e C-59/13, Angelo Alberto Torresi e Pierfrancesco Torresi contro Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata) – che la direttiva istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati migranti che desiderino esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine. Pertanto, gli avvocati i quali abbiano acquisito il diritto di fregiarsi di tale titolo professionale in uno Stato membro e che presentino, all’autorità competente dello Stato membro ospitante, il certificato della loro iscrizione presso l’autorità competente di questo primo Stato membro devono essere considerati in regola con tutte le condizioni necessarie per la loro iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante con il loro titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine.
La finalità della direttiva – si ribadisce nella memoria – sarebbe quella di consentire l’esercizio della professione forense da parte di chi abbia acquisito in altro Stato membro il titolo equivalente a quello di avvocato.
In questo contesto, il mancato computo del periodo di prima iscrizione dell’avvocato stabilito ai fini dell’iscrizione all’albo speciale dei cassazionisti violerebbe, ad avviso del ricorrente, la direttiva del Parlamento Europeo, denotando, altresì, un intento discriminatorio.
Secondo il ricorrente, la pronuncia impugnata sarebbe nulla per omessa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione sulla eccepita illegittimità della delibera per violazione della direttiva. Il CNF avrebbe dovuto motivare la decisione di non adeguarsi alla direttiva e non limitarsi a ribadire che non possono computarsi, nei dodici anni richiesti dal sistema dell’art. 33 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, cui fa rinvio, in via transitoria, l’art. 22, comma 3, della legge n. 247 del 2012, anche gli anni in cui il richiedente stesso aveva svolto l’attività professionale come avvocato stabilito.
In via subordinata, il ricorrente solleva istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia del quesito se osti al diritto dell’Unione Europea, ed in particolare alla direttiva 98/5/CE là dove quest’ultima ha tra i propri scopi l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione tra avvocati di diversi Stati membri, una prassi nazionale che, nel computare i periodi di anzianità necessari per ottenere l’abilitazione al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, escluda i periodi di iscrizione all’albo in qualità di avvocato stabilito, considerando invece solo quelli maturati con la qualifica italiana eventualmente successivamente ottenuta.
2. – Il ricorso pone la questione se l’iscrizione nell’albo ordinario, a seguito di intervenuta integrazione, di un avvocato precedentemente iscritto nella sezione speciale per gli avvocati stabiliti, di cui al lgs. n. 96 del 2001, comporti o meno il cumulo della relativa anzianità di iscrizione ai fini della maturazione del requisito di anzianità di esercizio della professione necessario per l’accesso all’albo speciale degli avvocati cassazionisti, secondo quanto dispone l’art. 22, comma 3, della legge n. 247 del 2012.
Nel caso di specie, l’avv. Muratori ha richiesto l’iscrizione all’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori considerando computabile, nei dodici anni prescritti come requisito dalla disciplina cui fa rinvio l’art. 22, comma 3, della legge n. 247 del 2012, anche il periodo in cui lo stesso aveva svolto l’attività come avvocato stabilito, risultando iscritto nella apposita sezione speciale dell’albo degli avvocati.
Di diverso avviso è stato il Consiglio nazionale forense che, con la decisione qui impugnata, ha confermato il provvedimento di rigetto del Comitato per la tenuta dell’apposito albo speciale.
3. – La decisione del CNF si sottrae alle doglianze articolate con il motivo di ricorso.
4. – Non sussiste, innanzitutto, il denunciato vizio di nullità della pronuncia per omessa o apparente motivazione e per omesso esame.
L’assunto da cui muove il ricorrente, secondo cui la decisione impugnata non direbbe nulla in ordine alla eccepita illegittimità della delibera per violazione della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo, è smentito per tabulas dal tenore testuale della decisione del CNF. Questa, infatti, a pag. 5, indica espressamente le ragioni del non-contrasto con la direttiva del Parlamento Europeo, osservando che “l’anzianità che rileva ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale non è già un’iscrizione in albi italiani, bensì soltanto un’anzianità di servizio ed il ricorrente, al momento della proposizione della domanda, era avvocato iscritto nella sezione ordinaria dell’albo a seguito di integrazione e la sua anzianità in detto albo era inferiore ai dodici anni stabiliti per legge”.
5. – L’esame della censura di violazione e falsa applicazione di legge, sollevata dal ricorrente per non avere il giudice a quo operato la doverosa interpretazione conforme alla direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo della pertinente disciplina nazionale, presuppone l’analisi della normativa che disciplina le modalità di accesso al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
A tale riguardo, si deve considerare che, mentre la legge professionale forense (n. 247 del 2012) detta i presupposti ed i requisiti dell’iscrizione all’albo ordinario degli avvocati nonché all’albo speciale per gli abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, il d.lgs. n. 96 del 2001, di attuazione della direttiva 98/5/CE, disciplina l’esercizio della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, distinguendo tra avvocato stabilito (che, ai sensi dell’art. 3, lettera d, è definito come il cittadino di uno degli Stati membri dell’Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell’albo degli avvocati) e avvocato integrato (definito, dalla lettera e del medesimo art. 3, come colui che ha ottenuto il diritto di utilizzare in Italia il titolo di avvocato, che è il titolo professionale acquisito in Italia mediante iscrizione nell’albo degli avvocati).
In generale, la previsione di appositi requisiti per l’iscrizione nell’albo degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori risponde all’esigenza, avvertita dal legislatore, di riservare tale attività ad avvocati esperti e preparati: sia per non sovraccaricare le Corti di ultima istanza di ricorsi inammissibili o manifestamente infondati, sia per stimolare, con atti di impugnazione ben argomentati, l’elaborazione del diritto vivente ad opera della Corte di cassazione e, nel loro ambito, dalle altre giurisdizioni superiori.
Su questa base, la legge n. 247 del 2012, all’art. 22, dispone che l’iscrizione all’albo speciale dei cassazionisti possa essere richiesta al CNF: (a) da chi sia iscritto in un albo ordinario circondariale da almeno cinque anni e abbia superato l’apposito esame (comma 1); (b) da chi abbia maturato un’anzianità di iscrizione all’albo di otto anni e abbia proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento del CNF (comma 2); (c) infine, da coloro che entro undici anni dalla data di entrata in vigore della nuova legge abbiano maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa (comma 3).
Ora, quanto all’ipotesi sub c), la previgente normativa, applicabile in via transitoria, nel delineare il terzo canale di accesso all’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori, prevede, all’art. 33, secondo comma, del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, il percorso alternativo dell’anzianità di iscrizione nell’albo degli avvocati, e del conseguente esercizio della professione, per un periodo che l’art. 4 della legge n. 27 del 1997 ha fissato in dodici anni.
In relazione a questo terzo canale di accesso – che è quello che viene qui in rilievo – l’art. 39 del regio decreto n. 37 del 1934 prevede che gli aspiranti all’iscrizione nell’albo speciale di cui all’art. 33 della legge professionale del 1933 debbano “unire alla domanda un certificato del Presidente del Consiglio dell’ordine”, dal quale risultino “l’attuale iscrizione nell’albo degli avvocati e l’anzianità di essa con l’attestazione” di effettivo esercizio della professione “per il periodo prescritto”.
Quanto al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori degli avvocati stabiliti, questo rinviene la propria disciplina nell’art. 9 del d.lgs. n. 96 del 2001.
Secondo tale disposizione, nei giudizi dinanzi alla Corte di cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori, l’avvocato stabilito può assumere il patrocinio se iscritto in una sezione speciale dell’albo, ferma restando l’intesa con un avvocato abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni. L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo può essere richiesta al Consiglio nazionale forense dall’avvocato stabilito che dimostri di aver esercitato la professione di avvocato per almeno otto anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia, e che successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal Consiglio nazionale forense, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012.
6. – Tale essendo il quadro normativo di riferimento, al quesito se, ai fini dell’iscrizione nell’albo speciale degli avvocati cassazionisti, si possa computare, nei dodici anni di iscrizione all’albo ordinario degli avvocati richiesti dalla normativa cui fa rinvio l’art. 22, comma 3, della legge 247 del 2012, anche il periodo in cui il richiedente stesso aveva svolto l’attività professionale come avvocato stabilito, correttamente il CNF ha dato risposta negativa.
Difatti, l’avvocato stabilito è iscritto in una apposita “sezione speciale” contenuta nell’albo professionale degli avvocati e tale iscrizione nella sezione speciale produce effetti diversi rispetto all’iscrizione nella sezione ordinaria dell’albo, sia all’interno dell’ordinamento professionale forense che in relazione al tipo di attività professionale che può essere esercitata. Nell’esercizio della professione l’avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine. Inoltre, nell’esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali ed amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori. L’avvocato “comunitario” che abbia esercitato in maniera effettiva ed ininterrotta la professione in Italia per tre anni può chiedere al proprio Consiglio dell’ordine la dispensa dalla prova attitudinale e, se dispensato, può iscriversi nell’albo degli avvocati ed esercitare la professione con il titolo di avvocato.
Ne deriva che l’iscrizione all’albo speciale degli avvocati stabiliti è finalizzata ad una forma peculiare di esercizio della professione forense, caratterizzata dalla spendita del solo titolo straniero e dalla necessità di una intesa con un avvocato iscritto nell’albo. Tale forma di esercizio della professione non è pienamente assimilabile a quella conseguente al superamento dell’esame di abilitazione per avvocato. Sul piano ordinamentale, soltanto l’avvocato stabilito che è stato dispensato dalla prova attitudinale avendo esercitato per almeno tre anni in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine, può iscriversi nell’albo degli avvocati e per l’effetto esercitare la professione con il titolo di avvocato. Soltanto con l’acquisizione del titolo di avvocato integrato si assiste al venir meno delle limitazioni connesse all’avere fino a quel momento operato in Italia sulla base del titolo di abilitazione acquisito all’estero e alla conseguente equiparazione a tutti gli effetti all’avvocato iscritto ex novo all’albo ordinario.
In siffatta prospettiva, è rispondente alla lettera della disposizione dell’art. 22, comma 3, della legge n. 247 del 2012, e coerente con la sua ratio, che non si tenga conto dell’attività professionale svolta spendendo il titolo acquisito nello Stato di origine, trattandosi di attività ontologicamente diversa da quella che si svolge a seguito dell’iscrizione nell’albo ordinario e non assimilabile a questa.
La ratio del sistema, in particolare, emerge considerando il passaggio dallo status di avvocato stabilito allo status di avvocato integrato: l’avvocato integrato è quello che ha acquisito tutte le conoscenze legate alle peculiarità dell’ordinamento (diverso da quello in cui ha acquisito il titolo) per poter esercitare, al pari di un avvocato che abbia acquisito il titolo in Italia, la professione.
Quindi, correttamente la decisione impugnata è pervenuta alla conclusione secondo cui l’anzianità di iscrizione nella sezione speciale non è cumulabile con l’anzianità di iscrizione nell’albo ordinario a seguito di “integrazione”, proprio in virtù del fatto che le due iscrizioni corrispondono a due diverse forme di esercizio della professione, che presuppongono titoli diversi (il titolo straniero per lo stabilito, il titolo di avvocato per l’iscritto nell’albo ordinario).
Siffatto approdo ermeneutico appare in linea con la disciplina dettata dal già citato art. 9 del d.lgs. n. 96 del 2001 per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori da parte dell’avvocato stabilito.
Tale disposizione riconosce all’avvocato stabilito la possibilità di iscriversi in una sezione speciale dell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, per poter dinanzi alle stesse esercitare con il titolo professionale di origine e sulla base di intesa con un avvocato iscritto nell’albo speciale.
A tal fine, il comma 2 dell’art. 9 prevede che “l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo indicato al comma 1 può essere richiesta al Consiglio nazionale forense dall’avvocato stabilito che dimostri di aver esercitato la professione di avvocato per almeno otto anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell’attività professionale eventualmente svolta in Italia, e che successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal Consiglio nazionale forense, ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
Si tratta, com’è evidente, di un percorso diverso da quello di cui all’art. 22 della legge professionale. In virtù dell’iscrizione ordinaria all’albo speciale, infatti, l’avvocato può esercitare con piena facoltà dinanzi alle giurisdizioni superiori e spendendo il titolo di avvocato. In virtù, invece, dell’iscrizione nella sezione speciale di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 96/2001, l’avvocato stabilito potrà sì esercitare dinanzi alle giurisdizioni superiori, ma con il titolo professionale di origine e come avvocato stabilito (dunque, d’intesa con un professionista iscritto nell’albo speciale).
7. – Alla stregua di tali elementi, l’interpretazione dell’art. 22, comma 3, della legge 247 del 2012 seguita dal CNF neppure si appalesa contrastante con il diritto euro-unitario.
Attribuire ex post, all’avvocato che ha esercitato ancora con il titolo acquisito nello Stato di origine, la stessa anzianità di iscrizione dell’avvocato iscritto nel relativo albo e che abbia esercitato con il titolo di avvocato, ai fini della successiva iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, non è affatto richiesto dalla direttiva 98/5/CE.
Inoltre, la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi, sicché non sussistono i presupposti per investire la Corte di giustizia del rinvio pregiudiziale sollecitato dal ricorrente anche con la memoria illustrativa.
Preme, infatti, evidenziare: che la citata direttiva permette agli avvocati di esercitare la loro attività in un altro Stato membro con il proprio titolo professionale di origine anche allo scopo di facilitare loro l’ottenimento del titolo professionale dello Stato membro ospitante; che, dopo tre anni di attività effettiva e regolare svolta nello Stato membro ospitante e riguardante il diritto di questo Stato membro, ivi compreso il diritto comunitario, è lecito presumere che tali avvocati abbiano acquisito le competenze necessarie per integrarsi completamente nella professione di avvocato dello Stato membro ospitante; che al termine di tale periodo l’avvocato in grado, con riserva di una verifica, di comprovare la propria competenza professionale nello Stato membro ospitante, deve poter ottenere il titolo professionale di tale Stato membro; che, qualora l’attività effettiva e regolare di almeno tre anni sia di durata inferiore relativamente al diritto dello Stato membro ospitante, l’autorità deve tenere conto anche delle altre conoscenze di tale diritto che può verificare nel corso di un colloquio; che se non viene fornita la prova che tali condizioni sono soddisfatte, la decisione dell’autorità competente di tale Stato di non concedere il titolo professionale di quest’ultimo, secondo le modalità di agevolazione connesse con tali condizioni, deve essere motivata ed è soggetta a ricorso giurisdizionale di diritto interno.
In particolare, gli artt. 3, 6 e 9 della direttiva prevedono, rispettivamente: che l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro; che l’avvocato che esercita nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale di origine è tenuto ad esercitare facendo uso di questo titolo, che deve essere indicato nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di origine, comunque in modo comprensibile e tale da evitare confusioni con il titolo professionale dello Stato membro ospitante; che indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato membro di origine, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato; che le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione devono essere motivate e sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno.
Il legislatore dell’Unione ha inteso, in particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione.
In tale contesto, l’art. 3 della direttiva 98/5 provvede ad armonizzare completamente i requisiti preliminari richiesti ai fini di esercitare il diritto di stabilimento conferito da tale direttiva, prevedendo che l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere a tale iscrizione su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questo presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine.
La direttiva 98/5 riguarda unicamente il diritto di stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine.
Nel rapporto fra normativa interna e disposizioni eurounitarie in materia, invero, risulta determinante la circostanza che la direttiva (undicesimo considerando), per garantire il buon funzionamento della giustizia, lascia agli Stati membri la facoltà di riservare, mediante norme specifiche, l’accesso ai loro più alti organi giurisdizionali ad avvocati specializzati, senza ostacolare l’integrazione degli avvocati degli Stati membri che soddisfino le condizioni richieste.
La disciplina italiana risulta, pertanto, coerente con il contesto normativo sovranazionale e, in particolare, con i principi di libera circolazione delle persone e dei servizi, che hanno condotto al riconoscimento, mediante la normativa europea di fonte derivata, della facoltà di esercitare una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui si è acquisita la qualifica professionale.
Il legislatore europeo, con la direttiva 98/5/CE (“volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica”), ha lasciato agli Stati membri la facoltà di stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, di fatto escludendo dall’armonizzazione la disciplina dell’accesso ai più alti organi di giustizia.
Conformemente a tale previsione europea, il legislatore italiano, in sede di recepimento, ha dettato, come visto innanzi, regole specifiche per quanto riguarda l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori (cfr. art. 9 del d.lgs. n. 96 del 2001).
La disciplina che ne risulta si pone in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Nella sentenza 10 marzo 2021 – nella causa C-739/19, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda), con decisione del 4 ottobre 2019, pervenuta in cancelleria il 7 ottobre 2019, nel procedimento VK contro An Bord Pleanála – la Corte del Lussemburgo ha statuito che l’art. 5 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, dev’essere interpretato nel senso che: esso non osta, in quanto tale, in considerazione dell’obiettivo della buona amministrazione della giustizia, a
che a un avvocato, prestatore di servizi di rappresentanza del suo cliente, venga imposto di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi al giudice adito e che sarebbe in caso di necessità responsabile nei confronti di tale giudice, nell’ambito di un sistema che impone agli avvocati obblighi deontologici e procedurali come quelli di sottoporre al giudice adito qualsiasi elemento giuridico, legislativo o giurisprudenziale, ai fini del regolare svolgimento del procedimento, dai quali il singolo è dispensato qualora decida di provvedere egli stesso alla propria difesa; non è sproporzionato, in considerazione dell’obiettivo della buona amministrazione della giustizia, l’obbligo per un avvocato prestatore di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi al giudice adito, in un sistema in cui entrambi gli avvocati hanno la possibilità di definire i propri rispettivi ruoli, ove l’avvocato che esercita dinanzi al giudice adito è, in generale, chiamato soltanto ad assistere l’avvocato prestatore al fine di consentirgli di garantire l’adeguata rappresentanza del cliente e la corretta esecuzione dei suoi obblighi nei confronti di tale giudice; un obbligo generale di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi al giudice adito, che non consenta di tenere conto dell’esperienza dell’avvocato prestatore, andrebbe oltre quanto è necessario per conseguire l’obiettivo della buona amministrazione della giustizia.
Più in particolare, la sentenza della Corte (Grande Sezione) 17 luglio 2014 ha stabilito che l’art. 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, deve essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.
A tale approdo la Corte di giustizia è pervenuta dopo aver rilevato che l’art. 3 della direttiva 98/5 riguarda unicamente il diritto di stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine. Tale disposizione non disciplina l’accesso alla professione di avvocato né l’esercizio di tale professione con il titolo professionale rilasciato nello Stato membro ospitante. Ne risulta necessariamente che una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti, presentata ai sensi dell’art. 3 della direttiva 98/5, non è tale da consentire di eludere l’applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa all’accesso alla professione di avvocato. In questo senso, il citato art. 3 della direttiva 98/5, consentendo ai cittadini di uno Stato membro che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in un altro Stato membro di esercitare la professione di avvocato nello Stato di cui sono cittadini con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine, non è comunque tale da incidere sulle strutture fondamentali, politiche e costituzionali né sulle funzioni essenziali dello Stato membro di origine ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
8. – Il ricorso è rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese processuali, non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine svolto attività difensiva in questa sede.
9. – Ricorrono i presupposti processuali per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara che ricorrono i presupposti processuali per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024.
Allegati:
SS.UU, 28 febbraio 2024, n. 5306, in tema di avvocato stabilito
Nota dell'Avv. Andrea Castaldo
Avvocato stabilito e iscrizione nell’Albo per il patrocinio dinanzi alle Magistrature Superiori
1. Il principio di diritto
Ai fini dell’iscrizione all’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori, per la maturazione del requisito di anzianità, nei dodici anni di iscrizione all’albo ordinario degli avvocati non si può computare anche il periodo di precedente iscrizione nella sezione speciale per gli avvocati stabiliti, perché le due iscrizioni corrispondono a diverse forme di esercizio della professione, che presuppongono titoli diversi (il titolo straniero per lo stabilito, il titolo di avvocato per l’iscritto nell’albo ordinario).
Siffatto approdo ermeneutico appare in linea con la disciplina dettata dall’art. 9 del D.Lgs. 96/2001 per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori da parte dell’avvocato stabilito.
2. Le questioni di massima di particolare importanza
Le Sezioni Unite sono intervenute a chiarire il requisito temporale dell’anzianità professionale necessario al c.d. avvocato stabilito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 del D.Lgs. 96/2001 e 22, c. 3, della L. 247/2012, per l’iscrizione nell’Albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori.
Ai sensi dell’art. 3, lett. d), del D.Lgs. 96/2001, l’avvocato stabilito è “il cittadino di uno degli Stati membri dell’Unione Europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che ne è iscritto nella sezione speciale dell’albo degli avvocati”.
A norma dell’arti. 4, ancora, l’avvocato stabilito “ha diritto ad esercitare la professione di avvocato (…) utilizzando il titolo professionale di origine, alle condizioni e secondo le modalità previste nel presente titolo” e, nei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori, deve avvalersi della collaborazione di un avvocato italiano abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni.
Le Sezioni Unite confermano la decisione del Consiglio Nazionale Forense, ribadendo che nel computo dei dodici anni di anzianità richiesti dalla legge professionale ai fini dell’iscrizione nell’Albo speciale non può essere ricompreso anche il periodo in cui il richiedente ha svolto l’attività professionale come avvocato stabilito.
Come chiarisce la Corte, l’avvocato stabilito è iscritto in una apposita sezione speciale dell’Albo professionale degli avvocati tenuto presso il Consiglio dell’Ordine di riferimento.
Da qui la differenza rispetto all’iscrizione nella sezione ordinaria dell’Albo.
Nell’esercizio della professione l’avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine e “deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori”.
Ne consegue che:
- “tale forma di esercizio della professione non è pienamente assimilabile a quella conseguente al superamento dell’esame di abilitazione per avvocato”;
- “non si può tener conto dell’attività professionale svolta spendendo il titolo acquisito nello Stato di origine, trattandosi di attività ontologicamente diversa da quella che si svolge a seguito dell’iscrizione nell’albo ordinario e non assimilabile a questa”.
3. Riflessioni conclusive
La Cassazione, passando in rassegna pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sottolinea come il nostro ordinamento è coerente con il contesto normativo sovranazionale e, in particolare, con i principi di libera circolazione delle persone e dei servizi, che hanno condotto al riconoscimento, mediante la normativa europea di fonte derivata, della facoltà di esercitare una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui si è acquisita la qualifica professionale.
L’avvocato stabilito, al fine di ottenere l’iscrizione nell’Albo speciale dei patrocinanti innanzi le Magistrature Superiori, non può venir meno al fondamentale requisito temporale, nel caso di specie almeno 12 anni dall’iscrizione nell’Albo ordinario, non potendosi l’anzianità di iscrizione nella sezione speciale cumularsi con l’anzianità di iscrizione nell’albo ordinario a seguito di integrazione.