Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 27/04/2006) 09/06/2006, n. 13429
SUCCESSIONE > Riduzione di donazioni e di disposizioni testamentarie
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Presidente aggiunto
Dott. DUVA Vittorio – Presidente di sezione
Dott. SENESE Salvatore – Presidente di sezione
Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere
Dott. ALTIERI Enrico – Consigliere
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Consigliere
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Consigliere
Dott. GRAZIADEI Giulio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato SILVIA MARIA CINQUEMANI, rappresentata e difesa dall’avvocato ARMANI Saverio, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
R.G., RI.GI., T.F., T. I., M.G., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI Benito, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO DAPOR, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 393/2000 della Corte d’Appello di TRENTO, depositata il 01/12/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27/04/2006 dal Consigliere Dott. Roberto Michele TRIOLA;
udito l’Avvocato Nicola DI PIERRO, per delega dell’avvocato Benito Panariti;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 12 luglio 1994 V.A. conveniva davanti al Tribunale di Rovereto i nipoti G. e R. G., I. e T.F., A. e M. G. e premesso che in data (OMISSIS) era deceduta, la propria madre R.I., che l’aveva completamente pretermessa con il testamento pubblico in data (OMISSIS), con il quale aveva Istituito eredi i figli delle altre tre figlie, chiedeva si procedesse alla riduzione delle disposizioni testamentarie, con attribuzione della quota di legittima che le spettava.
I convenuti, costituitisi, resistevano alla domanda.
Con sentenza non definitiva in data 14 aprile 1999 il Tribunale di Rovereto affermava che ad V.A. spettava una quota di legittima pari ad 1/4 sulla eredità della madre.
G. e Ri.Gi., I. e T.F., A. e M.G. proponevano appello, sostenendo, tra l’altro, che la quota eventualmente
spettante ad V. A. era pari ad 1/6.
V.A., a sua volta, proponeva appello incidentale, sostenendo che la quota a cui aveva diritto era pari ai 2/3 dell’eredità (per il principio dell’accrescimento, avendo le sorelle accettato l’eredità, ma rinunciato ad esperire l’azione di riduzione) o, in subordine, alla metà (qualora non si accettasse il principio dell’accrescimento), La Corte di Appello di Trento con sentenza in data 1 dicembre 2000 confermava la decisione di primo grado in base alla seguente motivazione:
Sostiene l’appellata che le spetterebbero, in base alla teoria dell’accrescimento (avendo le sorelle di fatto accettato l’eredità e rinunciato ad agire in riduzione) i due terzi o quanto meno, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 537 c.c., comma 1, la metà dell’eredità.
Nessuna delle sueesposte tesi merita accoglimento.
Come ricordato la testatrice ha nominato eredi universali i suoi sei nipoti, figli delle di lei figlia V.R., A. e M.R..
Le figlie della testatrice non risultando eredi non possono aver rinunciato all’eredità spettando una tale facoltà ovviamente solo agli eredi.
Le sorelle dell’ A. devono per contro ritenersi legittimarie pretermesse che hanno peraltro rinunciato tacitamente ad esperire l’azione di riduzione prestando acquiescenza alla volontà della de cuius. Ciò non incide comunque sul calcolo della, quota dell’ A., in quanto la rinunzia delle altre legittimarle non da luogo ad alcuna vacanza di quota, e quindi non pone un problema di collocazione della medesima, per essere la riserva priva della porzione di beni ad essa correlativa, fin tanto che non venga esperita dai legittimar l’azione di riduzione.
Ne consegue non solo l’esclusione dell’accrescimento ma anche, al tempo stesso, che quella rinunzia possa incidere sull’entità aritmetica della riserva per cui debba procedersi ad un diverso computo dello stesso.
La quota dell’ A., dunque, è stata correttamente quantificata in un 1/6 dell’eredità e solo per errore materiale indicata in 1/4 nel dispositivo dell’impugnata sentenza.
V.A. ha proposto ricorso per Cassazione, con un unico motivo, illustrato da memoria.
Resistono con controricorso G. e Ri.Gi., I. e T.F., A. e M.G..
Con ordinanza in data 29 luglio 2004 la Sezione Seconda Civile di questa S.C. ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, in considerazione del fatto che ai fini della decisione occorre risolvere alcune questioni di particolare rilevanza giuridica, cui la dottrina da contrastanti soluzioni e che non sono state affrontate ex professo da questa S.C.; in particolare occorre stabilire: a) quale sia il criterio di determinazione della quota di riserva nella ipotesi in cui vi siano più legittimari pretermessi, dei quali uno solo abbia esperito l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie; b) se a tale ipotesi possa ritenersi applicabile l’art. 522 cod. civ..
Motivi della decisione
Con l’unico motivo del ricorso V.A. ripropone la tesi secondo la quale:
a) non avendo le altre tre sorelle (anch’esse figlie pretermesse dalla de cuius, esperito l’azione di riduzione, la quota di riserva era pari ai 2/3 del patrimonio, come se vi fosse un unico legittimario;
b) in via subordinata, sè la quota di riserva doveva essere determinata nella metà dell’asse ereditario per l’esistenza di più figli legittimari, la stessa doveva esserle attribuita per intero per effetto dell’accrescimento in suo favore determinato dal mancato esperimento dell’azione di riduzione da parte delle altre legittimarle.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Questa S.C. ha avuto occasione di affermare che se più sono i legittimar (nell’ambito della categoria dei discendenti), ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non all’intera quota, o comunque ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri (non) facessero valere il loro diritto (sent. 22 ottobre 1975 n. 3500, 1978 n. 5611).
Tale orientamento, peraltro, si pone in implicito contrasto con la giurisprudenza formatasi con riferimento alla ipotesi in cui disponibile e legittima variano in funzione della esistenza di più categorie di legittimari o del numero di legittimari nell’ambito di una stessa categoria.
Ad es., in base all’art. 542 cod. civ., comma 1, se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, legittimo o naturale, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; in base all’art. 542 cod. civ., comma 2, quando, invece, i figli, legittimi o naturali, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio ed al coniuge spetta un altro quarto.
Con riferimento ad entrambe le ipotesi si pone il problema se il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte del coniuge pretermesso comporta che la legittima dell’unico figlio o dei più figli si “espanda”, diventando rispettivamente pari alla metà o ai due terzi del patrimonio del de cuius, secondo quando previsto dall’art. 537 cod. civ., comma 1 e 2.
Con riferimento alla ipotesi prevista dall’art. 542 cod. civ., comma 1, si pone il problema se il mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte dell’unico figlio comporta la espansione della legittima del coniuge, in modo da farle raggiungere la misura prevista dall’art. 540 cod. civ., comma 1.
Con riferimento, infine all’ipotesi prevista dall’art. 542 cod. civ., comma 2, si pone il problema se l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di uno solo dei figli comporta che la legittima allo stesso spettante debba essere determinata secondo quanto disposto dal comma 1.
La giurisprudenza di questa S.C. si è mostrata favorevole alla tesi della c.d. espansione della quota di riserva con riferimento all’ipotesi di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte del coniuge superstite (sent. 26 ottobre 1976 n. 3888; 9 marzo 1987 n. 2434; il febbraio 1995 n. 1529).
Si è, in proposito, affermato (sent. 9 marzo 1987, cit.) che .. occorre tenere presente che, a norma dell’art. 521 c.c., la rinunzia all’eredità è retroattiva nel Benso che l’erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato all’eredità. E’ dunque impossibile far riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. E’ quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell’apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell’asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare.
Tale orientamento è conforme a quanto sostenuto in dottrina, in cui ugualmente si è invocato il principio della retroattività della rinuncia fissato nell’art. 521 c.c., e si è sostenuto che un argomento a favore dello stesso sarebbe desumibile dall’art. 538 cod. civ., che regola la riserva spettante agli ascendenti “se chi muore non lascia figli legittimi”, in quanto la norma dovrebbe applicarsi soltanto nel caso in cui l’ereditando non abbia avuto figli o questi siano tutti presenti o assenti; se invece sopravvivessero figli capaci di succedere e tutti rinunziassero, si dovrebbe concludere nel senso che o rimane ferma a beneficio degli ascendenti la quota riservata di due terzi stabilita dall’art. 537 c.c., oppure che non sorge alcun diritto di riserva in favore degli ascendenti, conclusioni, l’una e l’altra, evidentemente inammissibili.
Si tratta di un orientamento che il collegio ritiene di non poter condividere.
Appare, in primo luogo, inopportuno il richiamo agli effetti della rinuncia di uno dei chiamati in tema di successione legittima, secondo quanto previsto dagli artt. 521 e 522 cod. civ., per vari motivi.
Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante.
La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria.
Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno del legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo.
Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall’altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al legittimario che non eserciti l’azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest’ultimo avrebbe potuto disporre.
La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per l’adesione alla tesi finora sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza.
Dalla formulazione degli artt. 537 cod. civ., comma 1 (“se il genitore lascia”), art. 538 cod. civ., comma 1 (“se chi muore non lascia”), art. 542 cod. civ., comma 1 (“se chi muore lascia”), art. 542 cod. civ., comma 2 (“quando chi muore lascia”), risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine, l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari.
Mancano, pertanto, le condizioni essenziali (esistenza di una lacuna da colmare e possibilità di applicare il principio ubi eadem ratio ibi eadem legis dispositio) per una estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima.
La tesi criticata, poi, sembra in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest’ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio può disporre in favore di terzi. E’ evidente che l’esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all’apertura della successione, in funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l’azione di riduzione.
Non possono, poi, essere taciuti gli inconvenienti pratici connessi alla adesione della ed. espansione della quota di riserva.
Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l’esercizio dell’azione di riduzione è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione dell’eredità (art. 481 cod. civ.).
Ne consegue che all’apertura della successione ogni legittimario può esperire l’azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare di quest’ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi.
Nè utili argomenti a favore della tesi criticata possono desumersi dall’art. 538 cod. civ..
In primo luogo, nel ragionamento sopra trascritto è incomprensibile il riferimento ad una quota pari a due terzi riservata in favore dagli ascendenti dall’art. 537 cod. civ., dal momento che tale disposizione fa riferimento alla quota riservata ai figli legittimi o naturali.
Non si comprende, poi, perchè sarebbe inammissibile la conclusione (cui si perverrebbe aderendo alla tesi che il collegio ritiene preferibile) secondo la quale, ove sopravvivessero al de cuius figli legittimi e tutti rinunziassero non sorgerebbe alcun diritto di legittima a favore degli ascendenti.
Va, innanzitutto, rilevato che non è chiaro se la rinunzia viene riferita all’accettazione dell’eredità o all’esperimento dell’azione di riduzione.
Nel primo caso un problema di tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore di aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito della rinunzia all’eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione.
Nel secondo caso la esclusione della configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una quota del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento dell’apertura della successione. I parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimari solo in mancanza di quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso di mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte di questi ultimi.
Il definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell’intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l’azione di riduzione.
Alla luce delle considerazioni svolte si può, pertanto, concludere che ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2006
Allegati:
SS.UU, 09 giugno 2006, n. 13429, in tema di azione di riduzione
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Rinuncia alla azione di riduzione e cristallizzazione della quota di riserva
1. Il principio di diritto
Ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell'ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
2. Le questioni di massima di particolare importanza
Queste le questioni che prima della pronuncia non erano state mai affrontate dalla Corte Suprema Cassazione:
a) quale sia il criterio di determinazione della quota di riserva in presenza di più legittimari pretermessi, dei quali uno solo abbia esperito l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie;
b) se in tale ipotesi possa ritenersi applicabile l'art. 522 c.c..
Due le impostazioni che si sono contese il campo: un primo filone giurisprudenziale si è mostrato favorevole alla tesi della c.d. espansione della quota di riserva con riferimento all'ipotesi di mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte del coniuge superstite (cfr., Cass., 26 ottobre 1976, n. 3888; 09 marzo 1987, n. 2434; 01 febbraio 1995, n. 1529); un secondo indirizzo, di estrazione dottrinale, fatto proprio dalle Sezioni Unite, ha invece valorizzato il dato normativo – artt. 537, c. 1, c.c. (“se il genitore lascia”); 538, c. 1, c.c. (“se chi muore non lascia”); 542, c. 1, c.c. (“se chi muore lascia”); 542, c. 2, c.c. (“quando chi muore lascia”) – dal quale risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione.
3. Riflessioni conclusive
La soluzione adottata é in linea con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che é quella di consentire al de cuius di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi.
E' evidente che l'esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all'apertura della successione, in funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l'azione di riduzione.