Civile Sent. Sez. U Num. 23791 Anno 2022
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 29/07/2022
SENTENZA
sul ricorso 31646-2021 proposto da:
LOCCIOLA FABIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI CASALOTTI 286, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA PORZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ORAZIO PAPALE;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FOGGIA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FOGGIA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BARI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 190/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 05/11/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2022 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale LUISA DE RENZIS, il quale chiede che le Sezioni Unite rigettino il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia dispose la cancellazione dalla Sezione Speciale dell’Albo degli avvocati stabiliti del dott. Fabio Locciola, in possesso del titolo di avocat rilasciato in Romania dall’U.N.B.R. – struttura “Bota”, mancando il requisito di cui all’art. 6, co. 2, d. lgs. n. 96/2001, atteso che il predetto risultava iscritto a <<una struttura facente capo a soggetto non legittimato in Romania al rilascio dell’abilitazione all’esercizio della professione legale>>.
Il Consiglio nazionale forense, con la sentenza di cui in epigrafe rigettò il ricorso del Locciola.
La sentenza condivide il ragionamento del Consiglio dell’Ordine locale, in quanto la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania”, avente sede in Bucarest Str. Academiei n. 4-6, non è il soggetto autorizzato al rilascio dell’abilitazione all’esercizio della professione forense. Ciò risulta dalle informazioni pervenute dal Ministero della Giustizia della Romania, di cui alla nota del corrispondente Ministero italiano del 20/9/2013 e di cui alle circolari del C.N.F. n. 20 del 25/9/2013 e n. 1 del 3/2/2016. Dal sistema I.M.I. (International Information System) consta, invero, che l’autorità abilitata dalla Romania a verificare la validità del titolo di avokat acquisito in quel Paese si identifica nella Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.), con sede in Palatul de Justitie (c.d. U.N.B.R. tradizionale).
2. Fabio Locciola ricorre avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense sulla base di tre motivi, dei quali solo i primi due numerati.
Le controparti sono rimaste intimate.
Fissata la pubblica udienza, non essendo pervenuta dalle parti e dal P.G. richiesta di discussione orale, ai sensi dell’art. 23, co. 8bis, d. l. n. 137/2020, convertito nella l. n. 176/2000, si è proceduto in camera di consiglio.
Il P.G. ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo Fabio Locciola denuncia violazione dell’art. 3 della direttiva europea 16/2/1998, n. 98/5.
Il ricorrente assume che, a mente della disposizione richiamata, <<L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine>>. L’utilizzo della piattaforma I.M.I., di cui all’art. 3 del regolamento UE n. 1024/2012, ha il solo scopo di agevolare la cooperazione fra le autorità competenti degli Stati membri e la Commissione per l’attuazione degli atti in materia di mercato interno. La piattaforma in parola, ad avviso del ricorrente, pertanto, non può avere la funzione di verificare la validità del titolo per l’iscrizione all’Albo. Da ciò consegue che <<secondo l’interpretazione del CNF il regolamento IMI rende inapplicabile il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 che non fa alcun riferimento alla idoneità del titolo>>. Titolo, il quale, nonostante non se ne disconosca la validità, vien dichiarato inidoneo.
1.1. La doglianza è destituita di giuridico fondamento.
Occorre principiare dalla direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, il cui art. 3 dispone: <<Iscrizione presso l’autorità competente.
1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.
2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine>>. La direttiva in parola ha trovato piena esecuzione in Italia con il d. lgs. n. 6, 2/2/2001, il cui art. 6 ai commi 1, 2 e 3, recita: <<Iscrizione.
1. Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’articolo 2, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali.
2. L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo è subordinata alla iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine.
3. La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti:
a) certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva;
b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con la indicazione del domicilio professionale;
b) attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva>>.
“La competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine” è stata individuata dall’autorità rumena nella “Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.)”, con sede in “Palatul de Justitie”.
Poiché il ricorrente risulta iscritto presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania Struttura Pompiliu Bota”, con sede in Bucarest, str. Academiei n. 4/6, è mancante del requisito essenziale “Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato”.
La circostanza che l’informativa sia stata comunicata alle autorità italiane da quelle rumene attraverso il c.d. sistema I.M.I. (International Market Information System) non muta di certo i termini della vicenda.
Il “regolamento IMI”, n. 1024/2012, approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio costituisce un <<sistema di informazione del mercato interno>>, allo scopo di consentire lo scambio per via informatica di informazioni fra gli Stati membri e la Commissione per la cooperazione amministrativa.
All’evidenza trattasi, pertanto, di un meccanismo di ricognizione e comunicazione.
Non ha fondamento, di conseguenza, l’assunto del ricorrente, secondo il quale il C.N.F. avrebbe violato la direttiva 98/5/CE e il d. lgs. n. 6/2001, avendo attinto, attraverso l’informazione del Ministero della Giustizia, alla piattaforma I.M.I. per verificare l’iscrizione dell’interessato presso l’organizzazione individuata dalla Romania in vista dello stabile esercizio in Italia della professione di avvocato. Il sistema predetto non costituisce fonte di produzione, trattandosi di un mero strumento ricognitivo (si veda, ex multis, in senso conforme S.U. n. 19405/2017, in motivazione).
Da ciò deriva, per principio consolidato, che, nel giudizio di impugnazione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense del provvedimento di cancellazione dall’albo dell’avvocato stabilito per inefficacia del titolo abilitativo conseguito in uno Stato membro, l’accertamento della provenienza del titolo per l’esercizio della professione, da un organismo effettivamente abilitato a rilasciarlo nel proprio ordinamento, deve essere compiuto attraverso il ricorso al sistema IMI, obbligatorio e vincolante per lo Stato che accede a tale sistema informativo, dovendosi escludere la legittimazione a partecipare al giudizio del predetto organismo quale soggetto onerato della prova di certificazione al rilascio dell’attestato abilitativo (ex multis, Sez. U, n. 34429, 24/12/2019, Rv. 656485).
Queste Sezioni unite, proprio a riguardo del medesimo Paese, hanno affermato che il titolo dell’avvocato che abbia conseguito l’abilitazione professionale in Romania può essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla U.N.B.R. (Uniunea Nationala a Barourilor din Romania), Ordine tradizionale Bucarest, organismo indicato da tale Stato quale autorità competente ad operare in questa materia attraverso il meccanismo di cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione europea. Va, quindi, disattesa, per carenza del requisito del fumus boni iuris, l’istanza di sospensione della esecutività del provvedimento di cancellazione da quell’elenco per essere avvenuta la corrispondente iscrizione sulla base di un titolo reso da un organismo diverso (la U.N.B.R., struttura BOTA) – S.U. n. 15043, 21/07/2016, Rv. 640613).
Hanno, inoltre, evidenziato che l’iscrizione dell’avvocato stabilito nella sezione speciale dell’albo è subordinata al solo possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, sicché la censura che investa l’esito negativo della corrispondente verifica compiuta dal Consiglio Nazionale Forense – che avvalendosi della documentazione acquisita attraverso l’IMI (International Market Information System), abbia ritenuto inidoneo il titolo esibito dall’istante perché rilasciato da un organismo diverso da quello competente – si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione che, giusta il novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata (S.U. n. 22398, 04/11/2016, Rv. 641530).
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5 del d. lgs. n. 33/2013, come modificato dal d. lgs. n. 97/2016 e dell’art. 3, l. n. 241/1990.
Il Locciola afferma di avere formalizzato richiesta, nel corso del procedimento di cancellazione, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, di accesso agli atti. La sentenza impugnata aveva reputato la violazione generica e il motivo inammissibile, tuttavia giudicando nel merito, affermando che la giurisdizione in materia di accesso agli atti appartiene al g.a. In realtà, prosegue il ricorrente, il C.N.F. non aveva colto il significato della censura, attraverso la quale si era inteso contestare <<il difetto di motivazione per non avere potuto il ricorrente accertare le circostanze di fatto che hanno portato alla cancellazione, accertamento che passa necessariamente dalla tutela del diritto di accesso>>.
2.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Il motivo non attinge le plurime rationes decidendi della decisione ed è privo di sufficiente specificità.
In primo luogo il C.N.F., dopo aver chiarito che la doglianza relativa alla violazione del diritto all’accesso gli atti deve farsi valere davanti al giudice amministrativo, afferma che: <<Dinanzi a questo giudice il mancato accesso agli atti potrebbe semmai rilevare sotto il profilo del controllo della motivazione degli atti del Consiglio territoriale>>. Il ricorrente in questa sede non si perita di specificamente riportare il contenuto di una tale doglianza davanti al C.N.F.
La decisione chiarisce, con una ulteriore ratio decidendi, che <<la mancanza di adeguata motivazione non costituisce motivo di nullità del provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, in quanto, alla carenza di motivazione, il Consiglio Nazionale Forense quale giudice di appello può apportare le integrazioni che ritiene necessarie>>.
Anche sul punto il ricorrente non muove doglianza.
3. La terza censura, priva di numerazione, con la quale il ricorrente lamenta <<violazione del principio di legittimo affidamento>>, per non essere stata rispettata la propria posizione di diritto oramai acquisita, avendo il C.N.F. svolto attività che non gli è propria valutando il <<titolo proveniente da altro stato membro>>, è inammissibile.
La cancellazione non è dipesa, infatti, da una valutazione d’inidoneità del titolo rumeno. Correttamente la decisione richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, fermo restando che l’autorità italiana, competente ad acquisire le informazioni riguardo allo Stato estero, lo debba fare attraverso la piattaforma I.M.I., come è qui avvenuto, <<se le informazioni acquisite con quel sistema non sono corrette, perché lo Stato membro le ha fornite in modo inesatto, secondo le regole del proprio ordinamento, il soggetto che ritiene siano erronee deve tutelarsi nell’ordinamento di quello Stato, se del caso chiedendo al giudice di quello Stato di sindacare l’erroneo accertamento fatto dall’autorità statuale, in modo da poter ottenere che esso venga fatto constare nell’ordinamento italiano, in occasione di una nuova iscrizione>> (S.U. n. 21114/2017, in motivazione). Di conseguenza, sul punto la doglianza è inammissibile a causa della sua inidoneità a contrastare il ragionamento avversato.
Quanto all’altro profilo attraverso il quale il ricorrente, evocato un parere del C.N.F. (n. 17, 25/6/2009), ritiene che non avrebbe potuto disporsi la cancellazione di coloro che erano stati ammessi sulla base di un titolo professionale straniero, reputato non più congruo, deve osservarsi che una simile doglianza non risulta riportata dalla sentenza, né il ricorrente allega precipuamente di averla posta.
Peraltro, nel caso in esame, il titolo straniero non risultava idoneo ab origine proprio per decisione dell’autorità rumena.
4. Non deve farsi luogo a regolamento delle spese non avendo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia svolto difese in questa sede.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 5 luglio 2022, nella camera di consiglio
Allegati:
SS.UU, 29 luglio 2022, n. 23791, in tema di cancellazione dall’albo
Nota dell'Avv. Valentina Petruzziello
L’iscrizione come avvocato stabilito sulla base di un titolo rilasciato in Romania da un organismo diverso dalla U.N.B.R. determina la cancellazione dall’albo
1. Il principio di diritto
Nel giudizio di impugnazione dinanzi al CNF del provvedimento di cancellazione dall'albo dell'avvocato stabilito per inefficacia del titolo abilitativo conseguito in uno Stato membro, l’accertamento della provenienza del titolo per l’esercizio della professione, da un organismo effettivamente abilitato a rilasciarlo nel proprio ordinamento, deve essere compiuto attraverso il ricorso al sistema IMI (International Market Information System), obbligatorio e vincolante per lo Stato che accede a tale sistema informativo, dovendosi escludere la legittimazione a partecipare al giudizio del predetto organismo quale soggetto onerato della prova di certificazione al rilascio dell’attestato abilitativo.
2. Il motivo di ricorso
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda la cancellazione del ricorrente dalla Sezione Speciale dell’Albo degli avvocati stabiliti, per difetto del requisito di cui all’art. 6, c. 2, del D.Lgs. 96/2001.
Nello specifico, l’iscrizione è risultata in forza di un titolo (di “avocat”) rilasciato, in Romania, da un ente non autorizzato ai fini dell’abilitazione all’esercizio della professione forense.
3. Riflessioni conclusive
La pronuncia delle Sezioni Unite muove dall’esame della Direttiva 98/5/CE, disciplinante l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica.
Per l'esercizio in Italia, i cittadini degli Stati membri in possesso del titolo sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo; la domanda deve essere corredata, tra l’altro, dall’attestato di iscrizione alla “organizzazione professionale dello Stato membro di origine”.
Nel caso di specie, la ricorrente è risultata iscritta presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania Struttura Pompiliu Bota”, con sede in Bucarest, str. Academiei n. 4/6, e non presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.)”, con sede in “Palatul de Justitie“, individuata dall’autorità rumena come la competente “organizzazione professionale dello Stato membro di origine”.
Del resto, le stesse Sezioni Unite hanno affermato, già in precedenza, che il titolo di avvocato conseguito in Romania può essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla stessa U.N.B.R. (Uniunea Nationala a Barourilor din Romania) (cfr., SS.UU, 21 luglio 2016, n. 15043).
Si vedano anche SS.UU, 29 luglio 2022, nn. 23793 e 23794.