Civile Sent. Sez. U Num. 23793 Anno 2022
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 29/07/2022
SENTENZA
sul ricorso 6935-2022 proposto da:
MORGONI MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI CASALOTTI 286, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA PORZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ORAZIO PAPALE;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI RIMINI, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI RIMINI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 254/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 30/12/2021.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2022 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale LUISA DE RENZIS, il quale chiede che le Sezioni Unite rigettino il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rimini dispose la cancellazione dalla Sezione Speciale dell’Albo degli avvocati stabiliti del dott. Marco Morgoni, in possesso del titolo di “avocat” rilasciato in Romania dall’U.N.B.R. – struttura “Bota”, mancando il requisito di cui all’art. 6, co. 2, d. lgs. n. 96/2001, in quanto il predetto risultava iscritto <<sulla base del possesso dell’abilitazione all’esercizio della Professione Forense rilasciata dall’Unionea Nationala a Barourilor din Pompiliu Bota con sede in Bucarest Str. Academiei n 4-6, ente non legittimato a rilasciare tale titolo risultante dalle informazioni rese dal Ministero della Giustizia della Romania nr. 33860 del 07.05.2013, dalla nota del Ministero della Giustizia italiano del 20/09/2013 e dalle circolari CNF del 25/9/2013 n. 20 e del 3/02/2016 n. 1>>.
Il Consiglio nazionale forense, con la sentenza di cui in epigrafe rigettò il ricorso di Morgoni.
La sentenza condivide il ragionamento del Consiglio dell’Ordine locale, atteso che la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania”, avente sede in Bucarest Str. Academiei n. 4-6, non è il soggetto autorizzato al rilascio dell’abilitazione all’esercizio della professione forense. Ciò risulta dalle informazioni pervenute dal Ministero della Giustizia della Romania, di cui alla nota del corrispondente Ministero italiano del 20/9/2013 e di cui alle circolari del C.N.F. n. 20 del 25/9/2013 e n. 1 del 3/2/2016. Dal sistema I.M.I. (International Information System). Consta, invero, che l’autorità abilitata dalla Romania a verificare la validità del titolo di avokat acquisito in quel Paese si identifica nella Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.), con sede in Palatul de Justitie (c.d. U.N.B.R. tradizionale).
2. Marco Morgoni ricorre avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense sulla base di quattro motivi, dei quali solo il primo numerato.
Le controparti sono rimaste intimate.
Fissata la pubblica udienza, non essendo pervenuta dalle parti e dal P.G. richiesta di discussione orale, ai sensi dell’art. 23, co. 8bis, d. l. n. 137/2020, convertito nella l. n. 176/2000, si è proceduto in camera di consiglio.
Il P.G. ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo Marco Morgoni denuncia violazione dell’art. 3 della direttiva europea 16/2/1998, n. 98/5.
Il ricorrente assume che, a mente della disposizione richiamata, <<L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine>>. L’utilizzo della piattaforma I.M.I., di cui all’art. 3 del regolamento UE n. 1024/2012, ha il solo scopo di agevolare la cooperazione fra le autorità competenti degli Stati membri e la Commissione per l’attuazione degli atti in materia di mercato interno. Ad avviso del ricorrente, la piattaforma in parola, pertanto, non può avere la funzione di verificare la validità del titolo per l’iscrizione all’Albo. Da ciò consegue che <<secondo l’interpretazione del CNF il regolamento IMI rende inapplicabile il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 che non fa alcun riferimento alla idoneità del titolo>>. Titolo, il quale, nonostante non se ne disconosca la validità, vien dichiarato inidoneo.
1.1. La doglianza è destituita di giuridico fondamento.
Occorre principiare dalla direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, il cui art. 3 dispone: <<Iscrizione presso l’autorità competente.
1. L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.
2. L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine>>. La direttiva in parola ha trovato piena esecuzione in Italia con il d. lgs. n. 6, 2/2/2001, il cui art. 6 ai commi 1, 2 e 3, recita: <<Iscrizione
1. Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’articolo 2, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali.
2. L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo è subordinata alla iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine.
3. La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti:
a) certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva;
b) certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con la indicazione del domicilio professionale;
b) attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva>>.
“La competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine” è stata individuata dall’autorità rumena nella “Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.)”, con sede in “Palatul de Justitie”.
Poiché il ricorrente risulta iscritto presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania Struttura Pompiliu Bota”, con sede in Bucarest, Str. Academiei n. 4/6, è mancante del requisito essenziale “per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato”.
La circostanza che l’informativa sia stata comunicata alle autorità italiane da quelle rumene attraverso il c.d. sistema I.M.I. (International Market Information System) non muta di certo i termini della vicenda.
Il “regolamento IMI”, n. 1024/2012, approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, costituisce un <<sistema di informazione del mercato interno>>, allo scopo di consentire lo scambio per via informatica di informazioni fra gli Stati membri e la Commissione per la cooperazione amministrativa.
All’evidenza trattasi, pertanto di un meccanismo di ricognizione e comunicazione.
Non ha fondamento, di conseguenza, l’assunto del ricorrente, secondo il quale il C.N.F. avrebbe violato la direttiva 98/5/CE e il d. lgs. n. 6/2001, avendo attinto, attraverso l’informazione del Ministero della Giustizia, alla piattaforma I.M.I. per verificare l’iscrizione dell’interessato presso l’organizzazione individuata dalla Romania, allo scopo di potere esercitare stabilmente in Italia la professione di avvocato. Il sistema predetto, infatti, non costituisce fonte di produzione, trattandosi di un mero strumento ricognitivo (si veda, ex multis, in senso conforme S.U. n. 19405/2017, in motivazione).
Da ciò deriva, per principio consolidato, che nel giudizio di impugnazione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense del provvedimento di cancellazione dall’albo dell’avvocato stabilito per inefficacia del titolo abilitativo conseguito in uno Stato membro, l’accertamento della provenienza del titolo per l’esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato a rilasciarlo nel proprio ordinamento deve essere compiuto attraverso il ricorso al sistema IMI, obbligatorio e vincolante per lo Stato che accede a tale sistema informativo, dovendosi escludere la legittimazione a partecipare al giudizio del predetto organismo quale soggetto onerato della prova di certificazione al rilascio dell’attestato abilitativo (ex multis, Sez. U, n. 34429, 24/12/2019, Rv. 656485).
Queste Sezioni unite, proprio a riguardo del medesimo Paese, hanno affermato che il titolo dell’avvocato che abbia conseguito l’abilitazione professionale in Romania può essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla U.N.B.R. (Uniunea Nationala a Barourilor din Romania), Ordine tradizionale Bucarest, organismo indicato da tale Stato quale autorità competente ad operare in questa materia attraverso il meccanismo di cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione europea. Va, quindi, disattesa, per carenza del requisito del fumus boni iuris, l’istanza di sospensione della esecutività del provvedimento di cancellazione da quell’elenco per essere avvenuta la corrispondente iscrizione sulla base di un titolo reso da un organismo diverso (la U.N.B.R., struttura BOTA) – S.U. n. 15043, 21/07/2016, Rv. 640613).
Hanno, inoltre, evidenziato che l’iscrizione dell’avvocato stabilito nella sezione speciale dell’albo è subordinata al solo possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, sicché la censura che investa l’esito negativo della corrispondente verifica compiuta dal Consiglio Nazionale Forense – che avvalendosi della documentazione acquisita attraverso l’IMI (International Market Information System), abbia ritenuto inidoneo il titolo esibito dall’istante perché rilasciato da un organismo diverso da quello competente – si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione che, giusta il novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata (S.U. n. 22398, 04/11/2016, Rv. 641530).
2. La seconda censura, priva di numerazione, con la quale il ricorrente lamenta <<violazione del principio di legittimo affidamento>>, per non essere stata rispettata la propria posizione di diritto oramai acquisita, avendo il C.N.F. svolto attività che non gli è propria valutando il <<titolo proveniente da altro stato membro>>, è inammissibile.
La cancellazione non è dipesa, infatti, da una valutazione d’inidoneità del titolo rumeno. Correttamente la decisione richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, fermo restando che l’autorità italiana, competente ad acquisire le informazioni riguardo allo Stato estero, lo debba fare attraverso la piatta forma I.M.I., come è qui avvenuto, <<se le informazioni acquisite con quel sistema non sono corrette, perché lo Stato membro le ha fornite in modo inesatto, secondo le regole del proprio ordinamento, il soggetto che ritiene siano erronee deve tutelarsi nell’ordinamento di quello Stato, se del caso chiedendo al giudice di quello Stato di sindacare l’erroneo accertamento fatto dall’autorità statuale, in modo da poter ottenere che esso venga fatto constare nell’ordinamento italiano, in occasione di una nuova iscrizione>> (S.U. n. 21114/2017, in motivazione). Di conseguenza, sul punto la doglianza è inammissibile a cagione della sua evidente inidoneità a contrastare il ragionamento avversato.
Quanto all’altro profilo attraverso il quale il ricorrente, evocato un parere del C.N.F. (n. 17, 25/6/2009), ritiene che non avrebbe potuto disporsi la cancellazione di coloro che erano stati ammessi sulla base di un titolo professionale straniero, reputato non più congruo, deve osservarsi che una simile doglianza non risulta riportata dalla sentenza, né il ricorrente allega precipuamente di averla posta.
Peraltro, nel caso in esame, il titolo straniero non risultava idoneo ab origine proprio per decisione dell’autorità rumena.
3. Con il terzo motivo, non numerato, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., assumendo che la decisione impugnata aveva violato la norma predetta per avere effettuato un accertamento <<attraverso l’applicazione di un regolamento non avente valore certificatorio>>. Nella specie, secondo il ricorrente, l’acquisizione del dato attraverso il sistema I.M.I. non poteva considerarsi idoneo ad assumere il valore di certificazione.
3.1. La doglianza non è scrutinabile, poiché investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso il richiamo dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato conferma nei principi enunciati di recente dalle Sezioni unite (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), che hanno affermato che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Ove si deduca, invece, che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). Inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Rv. 659037).
Occorre solo soggiungere che l’autorità interna non ha esercitato alcun potere certificatorio, o comunque valutativo, essendosi limitata a prendere atto che per quella rumena quel titolo non era utile per l’esercizio della professione d’avvocato in un altro Stato membro dell’Unione.
4. Il quarto motivo, anch’esso non numerato, con il quale la ricorrente denuncia violazione dell’art. 97 Cost., è inammissibile, in quanto la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. , in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf. Cass. n. 15879/2018).
La sentenza di queste S.U. n. 11167/2022 non contraddice il consolidato principio sopra riportato, emblematica conseguenza dell’assetto costituzionale, che assegna al giudice il compito di rimettere, in via incidentale, al vaglio della Corte costituzionale le norme di legge, delle quali debba fare applicazione (profilo della rilevanza), che appaiano contrastare con una o più norme parametro della Carta costituzionale non in misura manifestamente infondata, bensì contemplazione dell’ipotesi peculiare in cui, mancando una norma ordinaria di riferimento, debba farsi diretta applicazione di quella costituzionale (si fa l’esempio dell’art. 36 Cost., a proposito del diritto a una retribuzione proporzionata al lavoro svolto e tale da assicurare una vita “libera e dignitosa”).
5. Non deve farsi luogo a regolamento delle spese non avendo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Rimini svolto difese in questa sede.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 5 luglio 2022, nella camera di consiglio
Allegati:
SS.UU, 29 luglio 2022, n. 23793, in tema di cancellazione dall’albo
Nota dell'Avv. Valentina Petruzziello
L’iscrizione come avvocato stabilito sulla base di un titolo rilasciato in Romania da un organismo diverso dalla U.N.B.R. determina la cancellazione dall’albo
1. Il principio di diritto
Nel giudizio di impugnazione dinanzi al CNF del provvedimento di cancellazione dall'albo dell'avvocato stabilito per inefficacia del titolo abilitativo conseguito in uno Stato membro, l’accertamento della provenienza del titolo per l’esercizio della professione, da un organismo effettivamente abilitato a rilasciarlo nel proprio ordinamento, deve essere compiuto attraverso il ricorso al sistema IMI (International Market Information System), obbligatorio e vincolante per lo Stato che accede a tale sistema informativo, dovendosi escludere la legittimazione a partecipare al giudizio del predetto organismo quale soggetto onerato della prova di certificazione al rilascio dell’attestato abilitativo.
2. Il motivo di ricorso
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda la cancellazione del ricorrente dalla Sezione Speciale dell’Albo degli avvocati stabiliti, per difetto del requisito di cui all’art. 6, c. 2, del D.Lgs. 96/2001.
Nello specifico, l’iscrizione è risultata in forza di un titolo (di “avocat”) rilasciato, in Romania, da un ente non autorizzato ai fini dell’abilitazione all’esercizio della professione forense.
3. Riflessioni conclusive
La pronuncia delle Sezioni Unite muove dall’esame della Direttiva 98/5/CE, disciplinante l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica.
Per l'esercizio in Italia, i cittadini degli Stati membri in possesso del titolo sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo; la domanda deve essere corredata, tra l’altro, dall’attestato di iscrizione alla “organizzazione professionale dello Stato membro di origine”.
Nel caso di specie, la ricorrente è risultata iscritta presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania Struttura Pompiliu Bota”, con sede in Bucarest, str. Academiei n. 4/6, e non presso la “Unionea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.)”, con sede in “Palatul de Justitie“, individuata dall’autorità rumena come la competente “organizzazione professionale dello Stato membro di origine”.
Del resto, le stesse Sezioni Unite hanno affermato, già in precedenza, che il titolo di avvocato conseguito in Romania può essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla stessa U.N.B.R. (Uniunea Nationala a Barourilor din Romania) (cfr., SS.UU, 21 luglio 2016, n. 15043).
Si vedano anche SS.UU, 29 luglio 2022, nn. 23791 e 23794.