Civile Ord. Sez. U Num. 6324 Anno 2020
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO
Data pubblicazione: 05/03/2020
ORDINANZA
sul ricorso 8896-2019 proposto da:
BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 91, presso lo studio dell’avvocato MARCO DI PIETROPAOLO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO MANCINI e NICOLA DE GIORGI;
– ricorrente –
contro
RUFFINI ANNA, MORATO LUCA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268, presso lo studio dell’avvocato ANDREA REGGIO D’ACI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARIO AZZARITA;
– controricorrenti –
nonchè contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA;
– intimato –
per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 3944/18 del TRIBUNALE di VICENZA.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2019 dal Consigliere ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale UMBERTO DE AUGUSTINIS, il quale conclude per la giurisdizione del giudice ordinario.
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato il 12 giugno 2018, i signori Luca Morato e Anna Ruffini convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vicenza, la Banca d’Italia e la Consob per sentirne accertare e dichiarare la responsabilità per le negative conseguenze – imputabili non solo alla mala gestio dell’intermediario Banca Popolare di Vicenza (BPV) – delle operazioni finanziarie compiute (tra il 2011 e il 2014) su pressione dei funzionari della stessa banca, per violazione del principio del neminem laedere, non avendo ottemperato con la richiesta diligenza al duty of supervision nei confronti della BPV, con domanda di risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali.
A fondamento delle azionate pretese, gli attori deducevano che, in conseguenza dell’omessa vigilanza da parte degli enti convenuti, non era stato impedito alla Banca vicentina di attribuire alle azioni un valore improprio, di applicare criteri di calcolo non corretti, di falsificare i dati patrimoniali in modo da apparire una banca solida, sicura ed in crescita patrimoniale.
L’addebito consiste nell’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, a tutela del mercato e degli investitori, da parte della Consob e della Banca d’Italia che, secondo i rispettivi ambiti di competenza, non avevano rilevato la scorrettezza della metodologia utilizzata per determinare il prezzo dei titoli, né la falsificazione dei dati rappresentati nei bilanci, comunicati agli investitori, riflettenti il valore dei titoli e degli indici di stabilità rappresentati nei prospetti informativi (avendo la Banca vicentina scorrettamente finanziato la propria clientela per l’acquisto delle azioni, senza dichiararlo in bilancio, attraverso il meccanismo del cd. «capitale finanziato»).
Essi lamentavano di essere stati indotti a sottoscrivere contratti di investimento di titoli altamente rischiosi, in assoluta carenza e/o inadeguatezza dei presidi inderogabili di correttezza e buona fede ed in istato di assoggettamento al «dispotico potere» della BPV, la quale aveva imposto di sottoscrivere e vincolare le azioni, il cui valore si era azzerato, quale condizione per la concessione di finanziamenti e di avere vanamente tentato di venderle nel «mercato interno» della banca.
In particolare, precisavano che la Banca d’Italia aveva omesso di vigilare sul contenimento del rischio, sulla stabilità patrimoniale e sulla sana e prudente gestione della Banca vicentina; la Consob aveva omesso di vigilare sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti della stessa, ai fini della tutela anche degli investitori, omissioni ancor più gravi in quanto intervenute in un periodo nel quale erano stati lanciati dalla stessa banca consistenti aumenti di capitale.
La Consob era tenuta a tutelare gli interessi degli investitori e garantire il buon funzionamento dei mercati ma, nel caso di specie, nell’approvare e valutare il prospetto informativo dell’emittente, a norma dell’art. 94 bis t.u.f. (d. Igs. 24 febbraio 1998, n. 58), aveva ingenerato negli investitori un affidamento circa la veridicità delle informazioni in quel documento contenute.
Nel predetto giudizio si erano costituiti la Consob e la Banca d’Italia. Quest’ultima aveva eccepito, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, con atto notificato il 7 marzo 2019, ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con il quale ha chiesto di dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo. Gli intimati hanno insistito nella richiesta di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario.
CONSIDERATO CHE
1.- La domanda proposta dagli attori nel giudizio di merito è, in sintesi, di accertare la responsabilità delle autorità amministrative convenute per non avere o per avere posto in essere tardivamente e in modo inadeguato le condotte, delineate dalle legge secondo tipologie coerenti con le rispettive attribuzioni, che avrebbero
consentito di garantire la correttezza e trasparenza dei rapporti contrattuali intrattenuti dall’intermediario con gli investitori, a tutela dei loro crediti, al fine di evitare il deprezzamento e poi l’azzeramento del valore delle loro azioni.
2.- Per stabilire quale sia la giurisdizione competente a pronunciarsi sul merito di una siffatta domanda, si deve rispondere ai seguenti quesiti:
a) Le condotte, omesse o inadeguate, imputate alla Banca d’Italia e alla CONSOB, indicate come causa dei danni lamentati, costituiscono oggetto di «poteri amministrativi» in senso proprio nei confronti degli investitori e azionisti?
b) Costoro agiscono per la tutela di diritti soggettivi o di interessi legittimi?
c) E’ configurabile una ipotesi di giurisdizione esclusiva che abiliti il giudice amministrativo a conoscere di diritti soggettivi nella controversia in esame, a norma del codice del processo amministrativo?
2.1.- Al primo quesito (sub 2, lett. a) si deve dare risposta negativa.
In causa analoga a quella in esame, le Sezioni Unite hanno ritenuto esistente la giurisdizione del giudice ordinario sin dal 2003 (SU 2 maggio 2003, n. 6719), quando vigeva il criterio di riparto della giurisdizione (delineato dagli artt. 33 e 34 del d. Igs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205) che devolveva al giudice amministrativi interi «blocchi di materie», criterio successivamente inciso in senso riduttivo dall’intervento correttivo della Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 2004) che ha affermato il principio secondo cui la giurisdizione esclusiva presuppone che la P.A. agisca esercitando il suo potere autoritativo, ovvero avvalendosi della facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione del predetto potere.
Il suddetto principio è parametro di valutazione della costituzionalità delle norme creative di nuove ipotesi di giurisdizione esclusive, ma evidentemente anche di interpretazione delle norme vigenti da parte dei giudici comuni.
La citata ordinanza delle SU stabilì l’estraneità al «blocco» della giurisdizione esclusiva – riguardante allora «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare» (art. 7, comma 1, lett. a), della legge n. 205 del 2000) – delle controversie in tema di risarcimento dei danni vantati dai risparmiatori, i quali «rispetto all’esercizio dei poteri di vigilanza verso gli operatori del settore, non versano in situazione di interesse legittimo, con conseguente insussistenza della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo».
Il suddetto orientamento – che risulta rafforzato dalla sentenza n. 204 del 2004 – è stato confermato nella giurisprudenza successiva, secondo la quale «a differenza, infatti, di quanto avviene rispetto ai “soggetti abilitati” – nei cui confronti l’Autorità di vigilanza esercita una serie di “poteri” diretti ad assicurare che i loro comportamenti siano “trasparenti e corretti” e la loro gestione sia “sana e prudente” (artt. 5 e 91 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), onde le posizioni di tali soggetti nei confronti dell’Autorità si configurano, in linea di massima, come interessi legittimi – la CONSOB non esercita alcun “potere” sui risparmiatori, trattandosi dei soggetti che essa è tenuta a tutelare, con la conseguenza che la posizione di questi ultimi nei confronti dell’Autorità di vigilanza assume la consistenza del diritto soggettivo: diritto che – proprio perché non collegato ad alcuna relazione di potere con la P.A. – deve essere tutelato, in caso di violazione, innanzi al giudice ordinario, e ciò tanto più quando (come nel caso di specie) l’azione proposta trovi il suo fondamento in un preteso “comportamento” illecito della P.A. e sia diretta a conseguire il risarcimento dei danni subiti» (SU 29 luglio 2005, n. 15916; cfr. SU 11 luglio 2006, n. 15667).
Inerente al «potere amministrativo» è la scelta discrezionale, che compete all’Amministrazione che ne è titolare, di esercitarlo o no, in una direzione o in un’altra, sulla base di contingenti valutazioni di interesse pubblico.
Alla Banca d’Italia e alla Consob sono invece attribuiti, secondo le rispettive competenze (a garanzia della stabilità patrimoniale e della trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari), poteri-doveri di azione a tutela del risparmio (art. 47 Cost.) e, dunque, a favore degli investitori, che non investono scelte ed atti autoritativi, ma comportamenti «doverosi» che sono soggetti al rispetto del principio generale del «neminem laedere», da adempiere mediante l’osservanza di regole tecniche, ovvero di comuni canoni di diligenza e prudenza, la cui violazione può essere denunciata davanti al giudice ordinario.
Il fatto che detti comportamenti siano disciplinati dalla legge (t.u.f. approvato con d. Igs. 24 febbraio 1998, n. 58 e t.u.b. approvato con d. Igs. 1 settembre 1993, n. 385) non li fa diventare atti autoritativi sindacabili (necessariamente o esclusivamente) in sede di giurisdizione amministrativa, posto che la nozione di colpa (e
responsabilità) extracontrattuale per i danni cagionati a terzi dalla pubblica amministrazione si riferisce, a norma dell’art. 43 c.p., non solo alle situazioni in cui questa abbia agito senza rispettare i canoni della diligenza, prudenza e perizia propri di chiunque operi nel mondo esterno, ma anche quando abbia violato norme di leggi o regolamenti relative all’organizzazione o allo svolgimento di un pubblico servizio (una delle prime decisioni in tal senso è Cass. SU 19 giugno 1936, n.
2143).
Non si tratta di sindacare la legittimità formale di atti amministrativi adottati o non adottati dall’amministrazione, ma di valutare se questa abbia agito male in relazione ai sopra ricordati parametri e, quindi, debordato dai limiti esterni della discrezionalità tecnica, nel qual caso ad essere violato è il principio del «neminem laedere» che non esprime una norma di azione amministrativa, ma un precetto generale (Cass. 12 aprile 2018, n. 9067; 3 marzo 2001, n. 3132) applicabile a tutti i soggetti, privati e pubblici, per la cui violazione l’amministrazione è tenuta a rispondere dinanzi al giudice ordinario (Cass. SU 20 ottobre 2006, n. 22521).
Neppure rileva che si tratti di azionisti, secondo una tesi che li ritiene, diversamente dai risparmiatori, direttamente sottoposti al potere di vigilanza della Banca d’Italia. Ed infatti, i destinatari diretti delle misure (inibitorie, interdittive e di altro genere) adottate dalle autorità di vigilanza non sono gli azionisti, i quali ne sono in realtà i beneficiari, ma le banche e gli intermediari che agiscono tramite i loro organi amministrativi e di controllo (cfr. artt. 53 bis, 67 ter, 108, comma 3, 114 quinquies, comma 3, t.u.b.). E’ decisivo comunque il rilievo che ad essere contestata è anche l’indebita e strumentale sollecitazione ad acquisire la partecipazione sociale, che si pone come fattore causale concorrente nell’illecito imputato agli organi di vigilanza ex art. 2043 c.c., per violazione del «neminem laedere», secondo l’oggetto della domanda (art. 386 c.p.c.).
Se dunque i comportamenti che si assume male esercitati dalle autorità di vigilanza non sono «poteri amministrativi» (o, quanto meno, non sono in tale veste censurati), non v’è spazio nella fattispecie per configurare la giurisdizione generale di legittimità e, di conseguenza, neppure quella esclusiva.
2.2.- E’ necessario rispondere agli altri quesiti (svolti sub 2), al fine di replicare alle affermazioni della Banca d’Italia che invoca la giurisdizione del giudice amministrativo.
In particolare, al secondo (sub 2, lett. b) si deve rispondere nel senso che, nella controversia in esame, l’oggetto della domanda è la tutela di diritti soggettivi, coerentemente con la doglianza rivolta alle autorità di vigilanza di avere agito in modo inadeguato e scorretto, causando danni ingiusti, in violazione del «neminem laedere». Si potrebbe obiettare che per escludere la giurisdizione amministrativa non sarebbe sufficiente predicare la configurabilità di diritti soggettivi, ma è agevole replicare che perché il giudice amministrativo possa conoscere di diritti soggettivi è necessario che la controversia rientri in concreto nella giurisdizione esclusiva, la quale, tuttavia, non è configurabile quando, come nella specie, non siano implicati «poteri amministrativi», in mancanza dei quali non sono predicabili neppure interessi legittimi.
Ed infatti, il «necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità» (Corte cost. n. 204 del 2004, p. 3.2).
2.3.- L’interpretazione sistematica depone, dunque, per la giurisdizione ordinaria e trova conferma nell’assenza di disposizioni univoche idonee ad avvalorare la diversa soluzione sostenuta dalla Banca d’Italia.
Non lo è l’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. che devolve alla giurisdizione esclusiva le controversie «afferenti alla vigilanza sul credito», peraltro nell’ambito di una norma riguardante controversie di diversa tipologia, quali sono quelle «in materia di pubblici esercizi relative a concessioni di pubblici esercizi», né l’art. 95 del d. Igs. 16 novembre 2015, n. 180, che si limita a richiamare le norme del codice del processo amministrativo quando il giudice amministrativo sia fornito di giurisdizione.
E’ certo comunque che, all’epoca dell’entrata in vigore del d. Igs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.), l’interpretazione delle Sezioni Unite (formatasi sul testo, analogo all’attuale art. 133, lett. c), c.p.a., del dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004: v. SU n. 15916 del 2005) era nel senso della giurisdizione ordinaria in controversie come quella in esame ed è noto che, alla luce della delega (legge n. 69 del 2009, art. 44, comma 1), il codice non avrebbe potuto contenere disposizioni innovative in tema di riparto della giurisdizione (cfr. Corte cost. n. 162 del 2012 e n. 94 del 2014).
2.4.- Premesso che il radicamento della giurisdizione amministrativa postula, in ogni caso, l’inerenza della controversia – che non ricorre nella specie – all’esercizio di poteri amministrativi, lo sforzo ermeneutico profuso dalla Banca d’Italia non è produttivo laddove trae argomenti direttamente dall’art. 7, comma 1, c.p.a. Ed infatti, con la suddetta disposizione – rispondendo al terzo quesito (sub 2, lett. c) – il legislatore non ha inteso estendere la giurisdizione amministrativa (esclusiva e di legittimità) a tutte le controversie o materie in cui sia ravvisabile «mediatamente» l’esercizio di un potere pubblico, non trattandosi infatti di una norma attributiva della giurisdizione, né modificativa degli ordinari criteri di riparto della stessa, ma di una disposizione meramente ricognitiva dei poteri del giudice amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione, come definita dalle norme costituzionali e dalle leggi ordinarie (SU 18 dicembre 2018, n. 32728).
3.- L’affermazione della giurisdizione ordinaria nella controversia in esame non è, infine, contraddetta da un precedente nel quale le Sezioni Unite hanno affermato la giurisdizione amministrativa in un caso in cui gli investitori chiedevano di ordinare alla CONSOB di porre termine al proprio comportamento omissivo adottando le misure idonee a ripristinare la corretta informazione circa la reale situazione patrimoniale (Cass. SU 8 maggio 2015, n. 10095).
Ed infatti, in primo luogo, la citata decisione ha premesso che la questione di giurisdizione non atteneva alla domanda risarcitoria ma unicamente a quella «cd. inibitoria» contestualmente proposta. In secondo luogo, non si potrebbe interpretare il suddetto precedente come se fosse ricognitivo della regola della duplicità delle giurisdizioni, a seconda del modo di declinare la domanda risarcitoria (da devolvere al giudice ordinario se proposta per equivalente e al giudice amministrativo se proposta in forma specifica), in considerazione della natura rimediale della tutela risarcitoria in entrambi i casi (cfr. art. 30, comma 2, c.p.a.) che impone di individuare il giudice competente in relazione alla natura dell’interesse sostanziale leso che, nel caso in esame, è il giudice ordinario.
4.- In conclusione, è enunciato il seguente principio: sulle domande proposte dagli investitori ed azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e CONSOB) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza nei confronti delle banche ed intermediari, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti «doverosi» a loro favore che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo dette autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del «neminem laedere».
P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, al quale rimette la liquidazione delle spese relative alla presente fase.
Roma, 3 dicembre 2019
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 05 marzo 2020, n. 6324, in tema di contratti bancari e risarcimento danni
Nota dell'Avv. Gisella Rosa Conforti
Le controversie afferenti alla responsabilità per omessa vigilanza delle autorità amministrative sono devolute al giudice ordinario
1. Il principio di diritto
In materia di contratti bancari, le controversie afferenti alla responsabilità per omessa vigilanza delle autorità preposte sono devolute al giudice ordinario, e non al giudice amministrativo, venendo in rilievo la contestazione di comportamenti doverosi.
2. La fattispecie
Banca d’Italia e Consob sono state convenute in giudizio per non aver vigilato sulle operazioni finanziarie compiute dall’intermediario Banca Popolare di Vicenza; gli attori hanno dedotto la falsificazione dei dati patrimoniali e l’attribuzione di valori impropri alle azioni emesse, lamentando la sottoscrizione di titoli rischiosi in assenza di presidi comportamentali improntati a buona fede e correttezza, da parte delle autorità amministrative, sul contenimento dei rischi, anche mediante la predisposizione di prospetti informativi non veritieri.
I convenuti hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione al fine di far dichiarare la giurisdizione amministrativa.
3. Riflessioni conclusive
Un consolidato orientamento (si veda, in particolare, SS.UU, n. 6719 del 2003) ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto che le controversie in tema di risarcimento dei danni vantati dai risparmiatori, rispetto all’esercizio dei poteri di vigilanza, assumono la consistenza di un vero e proprio diritto soggettivo, e non di interesse legittimo.
Le Sezioni Unite ribadiscono che il potere-dovere esercitato sugli investitori, da parte delle autorità di vigilanza, si sostanzia in comportamenti doverosi soggetti al principio del neminem laedere, con conseguente attribuzione della controversia al giudice ordinario.
Si vedano anche SS.UU, 05 marzo 2020, n. 6325, e SS.UU, 06 marzo 2020, nn. 6452, 6453 e 6454.