Civile Ord. Sez. U Num. 20802 Anno 2022
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FALABELLA MASSIMO
Data pubblicazione: 28/06/2022
ORDINANZA
sul ricorso 25002-2021 proposto da:
BRUSCHI DANIELA, BARBIERI MARIA, BRUSCHI STEFANIA, BRUSCHI ROBERTA, BRUSCHI VALERIA, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALERIA GIUDICI ed ANGELO BONETTA;
– ricorrenti –
contro
BANQUE CRAMER & CIE S.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATERNO 9, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO PELLICCIARI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE VARRASI;
– controricorrente –
per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 531/2021 del TRIBUNALE di COMO.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/05/2022 dal Consigliere MASSIMO FALABELLA;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale MAURO VITIELLO, il quale chiede che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, in accoglimento del ricorso, affermi la giurisdizione del giudice italiano e disponga quanto necessario per la prosecuzione del giudizio.
FATTI DI CAUSA
1. ― Maria Barbieri, Daniela, Stefania, Valeria e Roberta Bruschi hanno proposto regolamento preventivo di giurisdizione deducendo quanto segue.
Con citazione notificata il 15 febbraio 2021 le ricorrenti avevano adito il Tribunale di Como al fine di sentir dichiarare la responsabilità contrattuale o, in subordine, extracontrattuale, della convenuta Banque Cramer & Cie S.A. e per sentirla condannare al risarcimento dei danni, diretti e indiretti, da accertarsi nel corso di istruttoria, oltre interessi e rivalutazione. Avevano allegato, in sintesi, che dopo il decesso di Renato Bruschi le medesime, in qualità di eredi, avevano conferito cinque mandati fiduciari ad Argos s.p.a., poi Hera Fiduciaria s.p.a., attribuendo a questa l’incarico di stipulare in proprio nome e per loro conto cinque distinte polizze di assicurazione con la società Swiss Life Luxembourg. Tali polizze erano state amministrate dalla convenuta Corte di Cassazione – copia non ufficiale Banque Cramer nel quadro di una attività di gestione di portafoglio in cui la banca stessa si era resa inadempiente avendo omesso di valutare il profilo di rischio e la specifica esperienza e competenza dell’investitrice, mancato di adeguare gli strumenti finanziari a tale profilo di rischio e provocato perdite per circa euro 460.000,00, di cui le stesse istanti non erano state informate.
Nel costituirsi in giudizio Banque Cramer aveva contestato la giurisdizione del giudice italiano ritenendo che la potestas iudicandi spettasse al giudice svizzero.
Il Tribunale aveva quindi pronunciato ordinanza con cui aveva delibato la fondatezza della eccezione sulla giurisdizione osservando: che, quanto alla responsabilità contrattuale, non ricorreva l’ipotesi di un contratto concluso da consumatori, posto che il mandato di gestione era stato affidato alla convenuta dalla fiduciaria Argos; che il diritto di azione spettante al mandante nei confronti del terzo non comprendeva il potere di agire per ottenere il risarcimento del danno; che il beneficiario di un contratto a favore di terzi non può essere considerato consumatore; che il luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio era stata eseguita, a norma dell’art. 5, comma 1, lett. a) della Convenzione di Lugano, non si trovava in Italia, considerata l’operatività della convenuta; che ai fini della domanda fondata sulla responsabilità extra-contrattuale rilevava il luogo in cui si era verificato l’evento dannoso, giusta l’art. 5, comma 3, della detta Convenzione: luogo che doveva identificarsi in quello in cui erano state impartite le disposizione gestorie, sito nella Confederazione elvetica.
2. ― Al ricorso per regolamento resiste Banque Cramer. Il pubblico ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso e quindi per la declaratoria della giurisdizione del giudice italiano. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. ― Le ricorrenti contestano l’assunto di Banque Cramer secondo cui le controparti contrattuali in senso formale della stessa convenuta sarebbero due persone giuridiche, e cioè Swiss Life Luxembourg e Fiduciaria Giardini s.p.a., succeduta nella posizione precedentemente ricoperta da Argos. Con riferimento alla responsabilità contrattuale le istanti rilevano che a norma dell’art. 16 della Convenzione di Lugano l’azione del consumatore avverso la controparte contrattuale può essere proposta davanti al giudice del luogo in cui è domiciliato il consumatore e che esse attrici rivestivano indubbiamente tale qualità. Osservano che i contratti conclusi risultavano essere collegati tra loro e che l’odierna controricorrente era perfettamente a conoscenza del fatto che il mandato gestorio era destinato a beneficiare le medesime ricorrenti: in tal senso, il mandato fiduciario ad Argos, poi a Fiduciaria Giardini, e la polizza Swiss Life erano negozi finalizzati a realizzare, in via unitaria, l’investimento di somme di denaro mediante l’intermediario svizzero Banque Cramer. Rilevano che tanto il mandato fiduciario ad Argos, quanto la polizza Swiss Life contemplavano la giurisdizione del giudice italiano, onde «postulare che le beneficiarie del mandato gestorio conferito a Banque Cramer debbano rivolgersi al giudice svizzero costituisce un’evidente distonia» rispetto ai principi in tema di collegamento negoziale. Deducono che, anche indipendentemente dal collegamento negoziale, sia il contratto assicurativo che il mandato di gestione integrino contratti in favore di terzi, a norma dell’art. 1411 c.c., e che l’impegno assunto dalla controricorrente con lo stipulante Swiss Life era diretto ad assicurare alle attrici il risultato utile dell’investimento del patrimonio conferito in gestione. Rilevano, in proposito, che nell’ipotesi di contratto in favore di terzi la qualità di consumatore e assunta dal soggetto in favore del quale il negozio è concluso. Con riguardo al tema della responsabilità extracontrattuale, infine, viene esposto che l’illecito omissivo della controparte si era consumato in Italia, in quanto nel territorio italiano Banque Cramer avrebbe dovuto raccogliere le informazioni per procedere alla Corte di profilazione delle ricorrenti. In tal senso, la giurisdizione del giudice italiano andrebbe affermata avendo riguardo a ciò: agli indirizzi di residenza di Como e Milano la banca svizzera aveva spedito per posta la modulistica contrattuale e ivi la stessa avrebbe dovuto sollecitarne la compilazione e la restituzione.
2. ― Va anzitutto disatteso l’argomento delle ricorrenti fondato sulla fattispecie del collegamento negoziale.
Il detto collegamento implica, certamente, la ripercussione delle vicende che investono un contratto sull’altro, seppure non necessariamente in funzione di condizionamento reciproco e non necessariamente in rapporto di principale ed accessorio (per tutte: Cass. 4 marzo 2010, n. 5195; Cass. 5 giugno 2007, n. 13164). Gli effetti del collegamento non investono però la giurisdizione (Cass. Sez. U. 14 giugno 2007, n. 13894, con cui si è escluso che, tramite la clausola di proroga della giurisdizione in favore di uno degli Stati aderenti contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice italiano si estenda a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola). Tale principio, negli ultimi anni, è stato più volte declinato sul diverso piano della competenza, in materia arbitrale: si è rilevato, cioè, che la deroga convenzionale alla competenza del giudice ordinario non possa essere affermata, quale effetto della clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, ove si tratti di controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati (Cass. 22 dicembre 2020, n. 29332; Cass. 17 gennaio 2017, n. 941); ma è significativo costatare come il detto principio fosse fermo, nella giurisprudenza della Corte, anche allorquando si riteneva che la relazione tra giudice ordinario e arbitri desse vita a una questione di giurisdizione, e non di competenza (cfr. infatti: Cass. 7 febbraio 2006, n. 2598; Cass. 11 aprile 2001, n. 5371).
3. ― Non appare concludente, poi, quanto dedotto dalle istanti con riguardo alla asserita applicabilità, alla controversia, dell’art. 16, comma 1, della Convenzione di Lugano.
Tale norma prevede che «[l’]azione del consumatore avverso la controparte contrattuale può essere proposta o davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio è domiciliata tale parte, o davanti al giudice del luogo in cui è domiciliato il consumatore».
La disposizione va tuttavia posta in relazione al precedente art. 15, che dispone, al primo comma:
«Salve le disposizioni dell’articolo 4 e dell’articolo 5, paragrafo 5, la competenza in materia di contratti conclusi da una persona, il consumatore, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale è regolata dalla presente sezione:
a) qualora si tratti di una vendita a rate di beni mobili materiali; o
b) qualora si tratti di un prestito con rimborso rateizzato o di un’altra operazione di credito, connessi con il finanziamento di una vendita di tali beni; o
c) in tutti gli altri casi, qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato vincolato dalla presente convenzione in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato o verso una pluralità di Stati comprendente tale Stato, purché il contratto rientri nell’ambito di dette attività».
Alla stregua di tale complessa disciplina, dunque, la qualità di consumatore non comporta, ai fini dell’individuazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulle relative controversie, l’automatica applicabilità della regola contenuta nell’art. 16 della Convenzione, atteso che l’art. 15 distingue tra contratti con consumatori che ricadono sic e simpliciter nell’ambito di applicazione della convenzione (vendita a rate di beni mobili o prestiti connessi con finanziamenti per tali vendite) e contratti con consumatori per i quali è richiesto che il professionista svolga la sua attività nello Stato vincolato in cui è domiciliato il consumatore, oppure che tale attività sia diretta, con qualsiasi mezzo, verso di esso, vale a dire che sia offerta alla potenziale clientela di quello Stato (Cass. Sez. U. 4 marzo 2021, n. 6001; cfr. pure: Cass. Sez. U. 4 marzo 2019, n. 6280; Cass. Sez. U. 19 maggio 2009, n. 11532). E’ questo, del resto, un approdo condiviso dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nell’interpretazione degli artt. 15 e 16 del reg. 44/2001/CE, che hanno lo stesso contenuto degli artt. 15 e 16 della Convenzione di Lugano (cfr. in particolare Corte giust. 7 dicembre 2010, C-585/98 e C-144/09, Pammer, 76, ove si precisa che, ai fini dell’applicazione del criterio di cui alla lett. dell’art. 15, lett. c), del regolamento comunitario, occorre accertare se, prima dell’eventuale conclusione del contratto con il consumatore, esistessero indizi che evidenziavano che il commerciante intendeva trattare con consumatori residenti in altri Stati membri, tra i quali quello sul territorio del quale il consumatore stesso è domiciliato).
Ciò posto, nessuna allegazione è stata formulata e nessuna prova è stata fornita quanto alla circostanza sopra indicata: è da rimarcare, al riguardo, che deduzioni nel senso indicato non risultano essere state formulate dalle ricorrenti nemmeno con le note depositate avanti al Tribunale di Como il 24 settembre 2021, a seguito della costituzione con cui Banque Cramer aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
Discende da ciò che non risultano integrati i presupposti per l’applicazione della norma di cui all’art. 16, comma 1, della Convenzione di Lugano.
4. ― L’assunto dei ricorrenti circa la necessità di guardare alla qualità rivestita dal beneficiario del contratto a favore del terzo per stabilire se il negozio concluso possa qualificarsi contratto del consumatore non può, comunque, condividersi.
Gli istanti invocano, sul punto, il precedente di Cass. 11 gennaio 2007, n. 369, secondo cui nei contratti conclusi tra il consumatore e il professionista, per i quali è prevista la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, e per i quali si presume vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, alla figura del consumatore contraente è assimilabile quella del terzo beneficiario di una polizza, giacché il diritto di quest’ultimo deriva direttamente dal contratto stipulato con il professionista e contro quest’ultimo egli è legittimato ad agire in caso di inadempimento. In detta sentenza era espressamente richiamata la pronuncia con cui la Corte costituzionale, con ordinanza n. 235 del 2004, ebbe a dichiarare la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469 bis c.c., sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.: norma, questa, che venne censurata avanti al Giudice delle leggi nella parte in cui non aveva incluso nella nozione di consumatore anche il beneficiario non contraente della polizza cumulativa per gli infortuni stipulata dal datore di lavoro, sul rilievo della irragionevole ed immotivata disparità di trattamento tra il consumatore che avesse stipulato direttamente il contratto predisposto dal professionista ed il beneficiario non contraente della menzionata polizza. In realtà, nella circostanza la Corte costituzionale si limitò a porre in evidenza le mancanze delle ordinanze di rimessione, osservando come i giudici a quibus, non adempiendo all’onere gravante sul giudice che intenda proporre una questione di legittimità costituzionale, non avessero previamente neppure tentato un’interpretazione della norma conforme a Costituzione. La pronuncia della Corte costituzionale non contiene, dunque, alcuna puntuale affermazione nel senso dell’incostituzionalità di una disciplina che escluda l’applicazione della disciplina consumeristica ai contratti in favore del terzo consumatore da parte di un professionista.
Nella materia che interessa consta un successivo arresto della Corte regolatrice; si tratta della pronuncia resa da Cass. 27 novembre 2012, n. 21070, così massimata: nell’assicurazione per conto altrui contro gli infortuni, stipulata da un soggetto privo della qualità di consumatore ― nella specie, contratta da un ordine professionale a beneficio degli iscritti ― è inapplicabile la disciplina di tutela del consumatore posta dal d.lgs. n. 206/2005, a nulla rilevando che tale qualità sia rivestita dal beneficiario. Nel corpo della motivazione di tale decisione è spiegato che il contratto stipulato dalle associazioni professionali con terzi soggetti costituisce il frutto di una trattativa e non discende quindi da una predisposizione unilaterale: di qui la radicale esclusione dell’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore; come è noto, infatti, a norma dell’art. 34, comma 4, del d.lgs. n. 206/2005, non sono vessatorie le clausole e gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale. L’ordinanza (seguita da altre pronunce non massimate sul punto: da ultimo Cass. 18 gennaio 2019, n. 1261) non considera, per la verità, la figura del contratto in favore del terzo: valorizza, piuttosto, il dato per cui l’organizzazione professionale che negozia le condizioni di polizza agisce in rappresentanza dei propri iscritti.
Le conclusioni cui è pervenuta detta pronuncia sono però estensibili all’ipotesi del contratto a favore del terzo.
La Convenzione di Lugano non contiene una definizione della figura del consumatore, ma si limita a disciplinare «i contratti conclusi da una persona, il consumatore, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività professionale»: tale è l’espressione, già richiamata, che figura nel cit. art. 15.
In base all’art. 3, lett. a), d.lgs. n. 206/2005 ― norma che costituisce il frutto attuale della trasposizione, nel diritto interno, della previsione contenuta nell’art. 2, lett. b), dir. 93/13/CEE ― è consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. La qualità di consumatore postula, quindi, due condizioni: che lo stesso sia una persona fisica e che quest’ultima svolga la sua attività a fini non professionali.
E’ utile, sul punto, prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia, visto che, per un verso, la disciplina consumeristica è di derivazione comunitaria e che, per altro verso, il Protocollo n. 2 relativo all’interpretazione uniforme della Convenzione di Lugano e al Comitato permanente prevede che nell’applicare e interpretare le disposizioni della Convenzione stessa i giudici devono tener conto non solo dei principi definiti dalle pertinenti decisioni dei giudici degli Stati vincolati dalla Convenzione, ma anche da quelle della Corte di giustizia in relazione a dette disposizioni.
Tale giurisprudenza ha chiarito, da tempo, che una persona, diversa dalla persona fisica, che stipuli un contratto con un professionista, non può essere considerata come un consumatore ai sensi del cit. art. 2, lett. b), della direttiva 93/13 (Corte giust. CE 22 novembre 2001, Cape e Idealservice, C‑541/99 e C‑542/99, punto 16; cfr., più di recente, Corte giust. UE 2 aprile 2020, C-329/19, Condominio di via Meda in Milano, punto 29, la quale fa salva, peraltro, una giurisprudenza nazionale, quale quella italiana, che interpreti la normativa di recepimento in modo che le norme a tutela del consumatore siano applicabili anche a un contratto concluso da soggetto che non può qualificarsi tale, come appunto il condominio).
La circostanza, dunque, che il contratto sia concluso in nome proprio da una società (come nella specie è accaduto) esclude l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore.
Il fatto che il terzo sia beneficiario del contratto non sposta i termini della questione.
La ratio della disciplina consumeristica è quella di approntare regole di riequilibrio del contratto: regole, che come è stato precisato in dottrina, sono ancorate a una presunzione astratta di disparità di potere contrattuale desumibile dal fatto oggettivo del compimento di un atto di consumo, a prescindere dalle qualità soggettive dell’autore. Ai fini dell’applicazione della detta disciplina, è dunque necessario che chi «agisce» ex artt. 2, lett. b), dir. 93/13/CEE e 3, lett. a), d.lgs. n. 206/2005 sia una persona fisica che operi a fini non professionali. Tanto spiega la posizione assunta in passato dalla Corte costituzionale allorché riconobbe non censurabile la scelta del legislatore di escludere dalla tutela consumeristica tutti quei soggetti, quali professionisti, piccoli imprenditori e artigiani, che in forma individuale o anche collettiva agiscono per scopi comunque connessi all’attività economica, quantunque senza finalità di lucro: come ebbe ad osservare la Corte, «la preferenza nell’accordare particolare protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale si dimostra non irragionevole allorché si consideri che la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l’id quod plerumque accidit sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; onde la logica conseguenza dell’esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti ― quali quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani ― che proprio per l’attività abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità» (Corte cost. sent. n. 469 del 2002).
In presenza di un contratto concluso, nell’interesse di terzi, che si assumono consumatori, da una società ― e quindi da un soggetto imprenditoriale, diverso dalla persona fisica, per ciò solo necessariamente munito della capacità di trattare ― non vi è dunque spazio peri invocare la disciplina in tema di clausole abusive: disciplina che, attraverso una nuova modulazione delle regole concorrenziali, mira a correggere quelle situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali che derivano proprio dalla disparità delle condizioni di forza delle parti che si fronteggiano. Quel che rileva è, in altri termini, l’assenza della qualità di consumatore in capo al soggetto che conclude il contratto nomine proprio: in capo al soggetto che «agisce», per usare la locuzione che compare nell’art. 2, lett. b), della direttiva e nell’art. 3, lett. b), della legge nazionale. E infatti, il contratto non può nascere squilibrato in ragione del fatto che altri ne sia il beneficiario: il terzo non è parte di esso né in senso sostanziale, né in senso formale e si limita a ricevere gli effetti di un rapporto già costituito ed operante, sicché la sua adesione si configura quale mera condicio iuris sospensiva dell’acquisizione del diritto (rilevabile per facta concludentia); la sua dichiarazione di voler profittare del contratto resta necessaria soltanto per renderlo irrevocabile ed immodificabile (art. 1411, comma 3, c.c.) (Cass. 30 marzo 2021, n. 8766; Cass. 9 dicembre 1997, n. 12447; Cass. 24 dicembre 1992, n. 13661; Cass. 4 febbraio 1988, n. 1136). E’ questa condizione di estraneità del terzo beneficiario alla fase di conclusione del contratto ― valorizzata nella cit. Cass. 27 novembre 2012, n. 21070 con specifico riguardo al tema della trattativa da altri condotta ― che esclude l’applicazione della disciplina consumeristica al detto soggetto. Nel conferire centralità alla posizione assunta dal terzo rispetto alla stipula, si perviene, del resto, a soluzione che obbedisce a una logica non dissimile da quella in cui si inscrive il principio per cui, nel caso di contratto in favore del terzo, gli stati soggettivi rilevanti ai fini dell’annullabilità del contratto sono esclusivamente quelli dei contraenti, mentre nessuna rilevanza assumono normalmente quelli del terzo (salvo che i raggiri in cui si sostanzia il dolo provengano dal terzo a cui favore il contratto è stato stipulato) (cfr. Cass. 24 dicembre 1992, n. 13661, cit.). Precisamente, il fatto che il terzo si limiti a ricevere gli effetti di un rapporto già costituito ed operante chiarisce come il detto soggetto non possa lamentare di essere stato personalmente coinvolto in una stipula segnata da una situazione di disparità delle posizioni contrattuali: disparità che, nelle due diverse fattispecie, è rispettivamente generata da ragioni strutturali, attinenti alla connotazione stessa del mercato (l’essere la parte consumatore), o da fattori contingenti, quali i vizi della volontà (l’essere stato il contraente vittima di errore, dolo, violenza morale). Entrambe le indicate forme di disparità in tanto contano (per gli effetti correlativi: applicazione della disciplina consumeristica e annullabilità del contratto), in quanto colpiscano la parte contrattuale.
Deve pertanto concludersi nel senso che, in caso di contatto in favore del terzo, ai fini dell’applicazione della disciplina di tutela del consumatore, occorre guardare alla posizione delle parti che concludono il contratto, non a quella del terzo beneficiario: con la conseguenza che, assunta la veste di stipulante da una società, la detta disciplina non può essere utilmente invocata dal terzo in questione.
5. ― In considerazione del fatto che la controricorrente ha sede legale in Svizzera e che il contratto ha avuto ivi pacificamente esecuzione (la circostanza è stata affermata nel provvedimento del Tribunale di Como e non risulta contestata in questa sede), deve quindi ritenersi che, avendo riguardo alla domanda principale, la giurisdizione appartenga al giudice elvetico, giusta gli artt. 2 e 5, comma 1, lett. a), della Convenzione di Lugano.
6. ― La giurisdizione del giudice italiano non può nemmeno basarsi sulla proposizione della domanda subordinata basata sulla responsabilità extracontrattuale.
Secondo queste Sezioni Unite, qualora l’attore proponga nei confronti di un convenuto non residente in Italia una domanda principale ed una subordinata, la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano va verificata con esclusivo riferimento alla domanda principale (Cass. Sez. U. 26 aprile 2017, n. 10233); si afferma che la questione di giurisdizione sulla domanda subordinata viene in esame soltanto quando sia stato sciolto il nesso di subordinazione, il che accade se la domanda principale sia rigettata nel merito o per ragioni di rito, ma senza chiusura del processo innanzi al giudice adito (Cass. Sez. U. 23 luglio 2021, n. 21165; Cass. Sez. U. 14 aprile 2020, n. 7822). Il principio si trova affermato anche con specifico riferimento all’ipotesi ― che qui ricorre ― in cui sussista, in relazione alla domanda principale, una competenza giurisdizionale in favore del giudice di altro Stato (così Cass. Sez. U. 20 febbraio 2007 n. 3841: nella fattispecie veniva in questione, con riferimento alla domanda principale, una valida proroga della competenza giurisdizionale in favore del giudice di altro Stato membro ai sensi dell’art. 23 del reg. CE n. 44/2000).
Ove, come nel caso in esame, il giudice italiano debba dichiarare la carenza della propria giurisdizione sulla domanda principale, reputa tuttavia il Collegio sia conforme ai principi del giusto processo e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, commi 1 e 2, Cost. una diversa soluzione, già adottata da questa Corte in materia di riparto interno di giurisdizione. Si allude al principio, enunciato con riguardo all’ipotesi del conflitto negativo di giurisdizione su domande cumulate avvinte da nesso di subordinazione, secondo cui il potere delle Sezioni Unite di regolare la giurisdizione va esercitato con riferimento a tutte le domande, attesa l’esigenza di risolvere la questione di giurisdizione una volta per tutte sull’intera controversia, ma senza sciogliere il nesso di subordinazione voluto dalla parte: con la conseguenza che il conflitto va risolto rimettendo le parti innanzi al giudice munito di giurisdizione sulla domanda principale e dichiarando la giurisdizione, eventualmente diversa, sulla domanda subordinata, declaratoria, quest’ultima, rilevante solo condizionatamente alla definizione della domanda pregiudiziale (Cass. Sez. U. 14 aprile 2020, n. 7822; in senso conforme: Cass. Sez. U. 30 luglio 2020, n. 16458).
Detto criterio consente di pervenire a una soluzione più in armonia coi richiamati principi costituzionali: affermata la giurisdizione sulla domanda subordinata, il giudizio resta radicato presso il giudice italiano, potendo riprendere il suo corso allorché quello straniero sciolga il vincolo di subordinazione con una pronuncia che rigetti nel merito o dichiari inammissibile in rito la domanda principale. Il coordinamento tra il giudizio che si svolge avanti al giudice straniero e quello che resta incardinato presso il giudice italiano è assicurato dall’istituto della sospensione necessaria, secondo un modulo già recentemente sperimentato, se pure con riferimento a una situazione parzialmente diversa, da questa Corte. Con riferimento a una ipotesi in cui risultavano proposte una domanda di accertamento di inadempimento contrattuale, appartenente alla giurisdizione del giudice straniero, e una domanda di cancellazione dell’ipoteca, dipendente dalla prima, di cui doveva conoscere il giudice italiano, le Sezioni Unite hanno infatti escluso che quest’ultimo potesse conoscere delle domande contrattuali in via incidentale e richiamato, invece, la disciplina processuale che prevede «lo strumento per sospendere il processo in corso fino alla decisione da parte di altro giudice, con efficacia di giudicato, su una questione pregiudiziale» (Cass. Sez. U. 30 settembre 2021, n. 26654, in motivazione). A tale istituto può dunque opportunamente far ricorso il giudice italiano per operare il coordinamento tra il giudizio sulla domanda principale, devoluto al giudice straniero, e quello sulla domanda subordinata, su cui egli ha giurisdizione: l’«altro giudice» che, a norma dell’art. 295 c.p.c., deve risolvere la controversia dalla cui definizione dipende la decisione della sua causa è, in questo caso, quello straniero, investito della domanda che reclama priorità di trattazione.
Ciò detto, l’art. 5, n. 3), della Convenzione di Lugano, nel prevedere che la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato dalla Convenzione può essere convenuta in un altro Stato vincolato dalla Convenzione stessa «in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire» ha lo stesso tenore dell’art. 5, n. 3), del reg. 44/2001/CE e dell’art. 7, n. 2), del reg. 1215/2012/UE e prevede che la nozione di «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» si riferisce tanto al luogo in cui si è concretizzato il danno quanto al luogo in cui si è verificato l’evento generatore dello stesso, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro luogo (Corte giust., 5 luglio 2018, C-27/17, AB flyLAL‑Lithuanian Airlines, 28; Corte giust. 16 giugno 2016, C-12/15, Universal Music International Holding, 28; Corte giust. 28 gennaio 2015, C-375/13, Kolassa, 45). Il cit. art. 5, n. 3) del reg. n. 44 del 2001, deve essere poi interpretato nel senso che, in una situazione in cui un investitore propone un ricorso per accertare la responsabilità da illecito civile, diretto contro una banca che ha emesso un certificato in cui egli ha investito, in base al prospetto relativo a tale certificato, i giudici del domicilio di tale investitore sono, in quanto giudici del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto, ai sensi di tale disposizione, competenti a pronunciarsi su tale ricorso, qualora l’asserito danno consista in un pregiudizio economico che si realizza direttamente su un conto bancario dell’investitore presso una banca avente sede nel territorio di competenza di tali giudici e le altre circostanze specifiche di tale situazione concorrano parimenti ad attribuire detta competenza a tali giudici (Corte giust. 12 settembre 2018, C-304/17, Lober, 36: la pronuncia è stata richiamata di recente da Cass. Sez. U. 16 febbraio 2022, n. 5132, non massimata in CED).
La spendita di tale criterio non conduce, per quanto qui interessa, alla giurisdizione del giudice italiano, perché gli stessi ricorrenti deducono che Banque Cramer era «gerente come banca depositaria degli attivi» (pag. 3 del controricorso). Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, non possono d’altro canto rilevare inadempienze a obblighi negoziali (quali quelle dedotte dalle ricorrenti); assume invece centralità l’atto dispositivo, inteso come fatto generatore del danno (conferisce rilievo ad esso anche Cass. Sez. U. 16 febbraio 2022, n. 5132, cit.): va osservato, allora, che il Tribunale ha accertato, senza che sul punto sia stata sollevata puntuale contestazione, che le disposizioni gestorie sono state impartite in Svizzera.
7. ― Anche la domanda subordinata di responsabilità extracontrattuale appartiene, dunque, alla giurisdizione del giudice elvetico.
8. ― In conclusione, con riguardo alla controversia in esame va dichiarata la carenza di giurisdizione del giudice italiano.
9. ― Le spese processuali ― quelle relative al regolamento e quelle relative al giudizio di merito ― possono essere compensate, tenendo conto dell’assenza di univocità dei responsi espressi dalla Corte di legittimità sul punto dell’estensione della disciplina consumeristica al terzo nella fattispecie di cui all’art. 1411 c.c.: tema affrontato dal Tribunale di Como per dar ragione della propria delibazione sul difetto di giurisdizione con riferimento alla domanda principale.
Non essendo il regolamento preventivo di giurisdizione un mezzo di impugnazione, non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte
dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano; compensa le spese relative al regolamento di giurisdizione e quelle afferenti il giudizio di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite
Allegati:
SS.UU, 28 giugno 2022, n. 20802, in tema di contratto a favore del terzo
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Contratto a favore del terzo ed applicabilità della disciplina consumeristica
1. Il principio di diritto
In caso di contratto in favore del terzo, ai fini dell’applicazione della disciplina di tutela del consumatore, occorre guardare alla posizione delle parti che concludono il contratto, non a quella del terzo beneficiario: con la conseguenza che, assunta la veste di stipulante da una società, la detta disciplina non può essere utilmente invocata dal terzo in questione.
2. Le ragioni della decisione
La pronuncia, originata da un regolamento di giurisdizione, affronta il tema della applicabilità della disciplina del consumatore alla ipotesi del contratto concluso da una società, alla quale la persona fisica aveva conferito mandato fiduciario allo scopo di porre in essere una serie di attività per conto proprio del mandante.
Per le Sezioni Unite, “l’assunto dei ricorrenti circa la necessità di guardare alla qualità rivestita dal beneficiario del contratto a favore del terzo per stabilire se il negozio concluso possa qualificarsi contratto del consumatore non può, comunque, condividersi”.
La circostanza che il contratto sia concluso in nome proprio da una società (come nel caso di specie) esclude l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore.
Il fatto che il terzo sia beneficiario del contratto non sposta i termini della questione.
La ratio della disciplina consumeristica, precisano le Sezioni Unite, è quella di approntare regole di riequilibrio del contratto: regole, che come è stato precisato in dottrina, sono ancorate ad una presunzione astratta di disparità di potere contrattuale, desumibile dal fatto oggettivo del compimento di un atto di consumo, a prescindere dalle qualità soggettive dell’autore.
3. Riflessioni conclusive
In presenza di un contratto concluso nell’interesse di terzi, che si assumono consumatori, da una società ― e quindi da un soggetto imprenditoriale, diverso dalla persona fisica, per ciò solo necessariamente munito della capacità di trattare ― non vi è, dunque, spazio per invocare la disciplina in tema di clausole abusive: disciplina che, attraverso una nuova modulazione delle regole concorrenziali, mira a correggere quelle situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali che derivano proprio dalla disparità delle condizioni di forza delle parti che si fronteggiano.
La Cassazione non esita: quel che rileva è, in altri termini, l’assenza della qualità di consumatore in capo al soggetto che conclude il contratto nomine proprio.
Assai rilevante, poi, la seguente riflessione desumibile dalla traiettoria argomentativa delle Sezioni Unite.
E’ proprio la condizione di estraneità del terzo beneficiario alla fase di conclusione del contratto ― valorizzata nella sentenza di Cassazione del 27 novembre 2012, n. 21070 con specifico riguardo al tema della trattativa condotta da altri ― che esclude l’applicazione della disciplina consumeristica.
Nel conferire centralità alla posizione assunta dal terzo rispetto alla stipula, si perviene, del resto, a soluzione che obbedisce ad una logica non dissimile da quella in cui si inscrive il principio per cui, nel caso di contratto in favore del terzo, gli stati soggettivi rilevanti ai fini dell’annullabilità del contratto sono esclusivamente quelli dei contraenti, mentre nessuna rilevanza assumono normalmente quelli del terzo (salvo che i raggiri in cui si sostanzia il dolo provengano dal terzo in favore del quale il contratto è stato stipulato) (cfr., Cass., 24 dicembre 1992, n. 13661).