REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –
Dott. ODDO Massimo – Presidente di Sez. –
Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez. –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19460-2007 proposto da:
FALLIMENTO MARTI DI AMADARDO GIANFRANCO & C. S.N.C., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato LOIACONO ROMAGNOLI Maria Teresa, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NATALINO MANENTE, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
CLELIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, che ha rilevato l’azienda ESA DI MARCHESIN PAOLA & C. S.A.S. (già ESA DI WEBBER INES & C. S.N.C.) comprensiva del contenzioso con il Fallimento di Marti di Amadardo Gianfranco & C. s.n.c., in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato ONGARO Alessandro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TONETTO, per procura speciale in atti;
– controricorrente –
sul ricorso 23125/2007 proposto da:
FALLIMENTO MARTI DI AMADARDO GIANFRANCO & C. S.N.C, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA LOIACONO ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NATALINO MANENTE, per delega a margine del ricorso – (ricorso iscritto con certificato negativo);
– ricorrente –
contro
CLELIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, che ha rilevato l’azienda ESA DI MARCHESIN PAOLA & C. S.A.S. (già ESA DI WEBBER INES & C. S.N.C.) comprensiva del contenzioso con il Fallimento di Marti di Amadardo Gianfranco & C. s.n.c, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ONGARO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TONETTO, per procura speciale in atti;
– controricorrente –
sul ricorso 10243/2008 proposto da:
CLELIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, che ha rilevato l’azienda ESA DI MARCHESIN PAOLA & C. S.A.S. (già ESA DI WEBBER INES & C. S.N.C.) comprensiva del contenzioso con il Fallimento di Marti di Amadardo Gianfranco & C. s.n.c, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ONGARO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TONETTO, per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO MARTI DI AMADARDO GIANFRANCO & C. S.N.C., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA LOIACONO ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NATALINO MANENTE, per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
sul ricorso 16522/2008 proposto da:
CLELIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, che ha rilevato l’azienda ESA DI MARCHESIN PAOLA & C. S.A.S. (già ESA DI WEBBER INES & C. S.N.C.) comprensiva del contenzioso con il Fallimento di Marti di Amadardo Gianfranco & C. s.n.c, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ONGARO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TONETTO, per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO MARTI DI AMADARDO GIANFRANCO & C. S.N.C.;
– intimata –
sul ricorso 18150/2008 proposto da:
FALLIMENTO MARTI DI AMADARDO GIANFRANCO & C. S.N.C., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA LOIACONO ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NATALINO MANENTE, per delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
CLELIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, che ha rilevato l’azienda ESA DI MARCHESIN PAOLA & C. S.A.S. (già ESA DI WEBBER INES & C. S.N.C.);
– intimata –
avverso la sentenza parziale n. 1846/2004 depositata il 3/11/2004 e definitiva n. 1812/2006 depositata il 14/11/2006, entrambe della Corte d’Appello di Venezia per quanto riguarda i ricorsi r.g. nn. 19460/2007 e 23125/2007; il decreto (r.g. n. 7329/2007) depositato l’11/03/2008 per quanto riguarda il ricorso r.g. n. 10243/2008 e il decreto (r.g. n. 44/2008) depositato il 21/05/2008 entrambi della Sezione Fallimentare del Tribunale di Venezia per quanto riguarda il ricorso r.g. n. 16522/2008 + 18150/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/01/2015 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
uditi gli avvocati Ilaria ROMAGNOLI per delega dell’avvocato Maria Teresa Loiacono Romagnoli, Giancarlo TONETTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità ex art. 372 c.p.c.; improcedibilità ex art. 369 c.p.c., del ricorso n. 23125/2007 Marti; rigetto del ricorso n. 19460/2007; statuire il principio per cui “in applicazione della L. Fall., art. 72, comma 7, il Curatore del fallimento del promittente venditore – anche in sede stragiudiziale ma prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c. – può legittimamente sciogliersi dal contratto preliminare, ancorchè sia stata trascritta prima dell’iscrizione del fallimento la domanda del promittente acquirente tesa ad ottenerne l’esecuzione in forma specifica, salvo che non ricorra la fattispecie disciplinata dalla L. Fall. vigente art. 72, u.c.”; rigettare per conseguenza i ricorsi nn. 10243 e 16522/2008, restando assorbito il ricorso incidentale 18150/2008”; spese compensate.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 29.5.2001 n. 1194, in parziale accoglimento delle domande proposte dalla s.n.c. Esa di Webber Ines e C, con citazione notificata il 7 ottobre 1998, nei confronti della s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C.:
a) dichiarò che il contratto 31.12.1997 concluso tra Marti s.n.c. ed Esa s.n.c. ha natura di contratto preliminare di compravendita;
b) trasferì, ai sensi dell’art. 2932 c.c., da Marti s.n.c. a Esa s.n.c. la proprietà dell’immobile così individuato: comune di (OMISSIS), foglio 24, mappale 90, piano terra, Via (OMISSIS), e, precisamente, la porzione posta sul fronte dell’accesso all’area costituita da ampio locale parzialmente separato da tramezzatura centrale, nel quale sono ricavati un vano ufficio, due vani servizio, un’area soppalcata raggiungibile con scala, due aree di lavoro e magazzinaggio; unità servita da cinque ampi accessi carrabili ed un ingresso all’ufficio; il tutto per il prezzo di l. 500.000.000 oltre Iva già pagato.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza non definitiva del 3.11.2004 n . 1846, rigettò l’appello principale proposto dalla s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C. e, con sentenza definitiva del 14.11.2006 n. 1812, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla s.n.c. Esa di Webber Ines e C, condannò la s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C. a pagare, a titolo di risarcimento dei danni cagionati per la mancata disponibilità dell’immobile, la somma complessiva di Euro 139.470,87, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Con sentenza del 27.4.2007, mentre ancora pendeva il termine lungo per l’impugnazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c., il Tribunale di Venezia dichiarò il fallimento della s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C..
Con ricorso notificato il 5.7.2007 (R.G. 19460/2007), il curatore del fallimento della s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C, propose ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso entrambe le sentenze della Corte d’Appello.
A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha, in particolare, sottolineato che con missiva notificata in data 22 giugno 2007 alla s.a.s. Esa di Marchesin Paola e C. (già s.n.c. Esa di Webber Ines e C), ha dichiarato, a norma della L. Fall., art. 72, comma 1, di sciogliersi dal contratto preliminare concluso con la società fallita il (OMISSIS).
Con ricorso notificato il 7 maggio 2007 (R.G. 23125/2007), anche la s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C. ha chiesto la cassazione delle dette sentenze.
La s.a.s. Esa di Marchesin Paola e C, già s.n.c. Esa di Webber Ines e C., resiste con controricorsi.
La stessa società s.a.s. Esa, con ricorsi depositati il 25 settembre 2007 e 3 gennaio 2008, propose opposizione allo stato passivo del fallimento della s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C, chiedendo, rispettivamente, l’ammissione del credito di Euro 214.204,88, come stabilito dalla Corte d’appello di Venezia con la sentenza n. 1812 del 2006, e, previa rivendica, la consegna dell’immobile promesso in vendita, come stabilito dalla Corte di appello di Venezia con la sentenza n. 1846 del 2004.
Il Tribunale di Venezia, con decreti in data 11.3.2008 e 15.5.2008, rigettò entrambe le domande.
La s.a.s. Esa di Marchesin Paola e C. ha chiesto la cassazione di entrambi i decreti.
Il Fallimento della s.n.c. Marti di Amadardo Gianfranco e C., in persona del curatore resiste con separati controricorsi, con il primo dei quali ha proposto anche ricorso incidentale condizionato.
I ricorsi proposti contro le sentenze rese dalla Corte d’appello di Venezia sono stati riuniti, così come i ricorsi proposti contro i decreti del Tribunale di Venezia, coinvolgendo le medesime parti e le stesse questioni di diritto.
La Prima Sezione Civile della Corte di cassazione, con ordinanza del 4.12.2013 n. 27111, emessa all’esito dell’udienza del 25.9.2013, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso.
I ricorsi riuniti sono stati chiamati alla presente udienza davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Le parti hanno anche presentato memoria.
Si è anche costituita con procura speciale notarile la società Clelia s.r.l. in liquidazione che ha rilevato l’azienda della società Esa di Paola Marchesini, già Esa di Webber Ines e C. s.n.c..
Motivi della decisione
1. La questione di diritto posta dall’ordinanza di rimessione.
La questione controversa è la seguente: “… se il curatore possa o meno esercitare la facoltà concessagli dalla L. Fall., art. 72, di sciogliersi dal contratto preliminare con il quale l’imprenditore poi fallito ha promesso in vendita un immobile a un terzo, anche nel caso in cui il terzo promissario acquirente abbia trascritto, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 c.c., volta ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto”.
Sul punto, l’ordinanza ha precisato che “… a quanto consta, la questione è stata ripetutamente affrontata da questa Corte solo in fattispecie in cui, ratione temporis, trovava applicazione il testo della L. Fall., art. 72, anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006, mentre nel caso in esame, poichè il Fallimento della Marti s.n.c. è stato dichiarato il 27.4.07, occorre aver riguardo al testo dell’articolo novellato dal predetto decreto legislativo (non ancora, ulteriormente, riformato dal D.Lgs. n. 169 del 2007). Deve escludersi, tuttavia, che dall’applicabilità della norma posteriore alla riforma, anzichè di quella anteriore, possa derivare una diversa soluzione della presente controversia: il vecchio testo della L. Fall., art. 72, comma 4, il quale prevedeva che “in caso di fallimento del venditore.. se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto”..; trova infatti sostanziale corrispondenza nel comma 1 e nel comma 3 del testo dell’art. 72 modificato dal citato D.Lgs., con i quali, rispettivamente, il legislatore ha ribadito, in via generale, che il curatore ha facoltà di sciogliersi dai rapporti pendenti ed ha precisato che detta facoltà può essere esercitata anche in presenza di un contratto preliminare, fatta salva l’ipotesi, che qui non interessa, disciplinata dall’art. 72 bis”.
2. La giurisprudenza della Corte di cassazione.
Sulla questione si era in passato formato un indirizzo consolidato, che attribuiva al curatore la facoltà di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita concluso dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4 e che poteva essere esercitata fino all’avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all’esecuzione del contratto preliminare o dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (fra le tante, con specifico riferimento al tema dell’avvenuta trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., ritenuta non preclusiva all’esercizio della predetta facoltà, Cass. nn. 3001/82, 4731/88, 1497/89, 4887, 4888, 4889/89, 12033/91, 2577/93, 518/95, 2703/95, 41105/97, 4358/97, 4747/99, 14102/00, 17257/02, 7070/04, nonchè Cass. S.U. n. 239/99).
Con la sentenza n. 12505 del 7.7.04, le S.U. di questa Corte, ponendosi in contrasto con tale indirizzo, hanno, per la prima volta, enunciato il principio secondo cui, quando la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento, la sentenza che l’accoglie, anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori ed impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento previsto, in via generale, dalla L. Fall., art. 72.
Il principio, però, non è stato sempre seguito dalla giurisprudenza successiva di legittimità che ha affrontato la questione.
Vi si sono uniformate Cass. nn. 15218/010, 16660/010 e 27093/011, mentre se ne sono discostate, adeguandosi al precedente indirizzo, Cass. nn. 20451/05, 28479/05, 46/06, 542/06, 33/2008, 17405/09).
3. Le questioni rilevanti.
Per la risoluzione della questione è necessario seguire un percorso argomentativo che tratti le seguenti questioni:
1) la disciplina generale dei rapporti giuridici pendenti alla data del fallimento;
2) la disciplina particolare degli effetti del fallimento sul contratto di compravendita;
3) la disciplina applicabile al contratto preliminare ed, in particolare, al contratto preliminare di compravendita immobiliare, nel caso di fallimento del promittente venditore.
3.1. La disciplina generale.
I presupposti comuni della disciplina dei rapporti pendenti al momento del fallimento sono:
1) la preesistenza di un contratto: vale a dire una fattispecie negoziale bilaterale già perfezionatasi al momento della dichiarazione di fallimento;
2) l’opponibilità del contratto nei confronti dei creditori a norma della L. Fall., artt. 44 e 45, a seguito dell’adempimento delle formalità necessarie per rendere l’atto efficace verso i terzi: in particolare la trascrizione in materia di beni immobili e di beni mobili registrati;
3) la natura sinallagmatica del contratto.
Il contratto, inoltre, deve essere rimasto ineseguito, in tutto o in parte, da entrambe le parti: le obbligazioni assunte, cioè, non hanno ricevuto compiuta esecuzione, con l’adempimento completo delle relative prestazioni, da parte sia del contraente fallito, sia del contraente in bonis.
Nei contratti ad effetto reale, il rapporto è Ineseguito (ed è, quindi, pendente) quando non si è verificato, al momento del fallimento, l’effetto traslativo del diritto (arg. L. Fall., ex art. 72, comma 4, vecchio testo; nel testo introdotto dal D.Lgs n. 5 del 2006, art. 72 bis, comma 1; art. 72, comma 1, testo in vigore), anche se la consegna del bene sia già avvenuta.
Se, invece, tale effetto si sia già prodotto, il rapporto deve essere semplicemente adempiuto: il contraente in bonis, che ha acquistato, deve eseguire in favore del curatore la prestazione dovuta al fallito, ma ha il diritto di ricevere dal curatore la consegna della cosa, previa ammissione al passivo della relativa pretesa restitutoria ai sensi della L. Fall., artt. 52 e 103.
La posizione del curatore, di fronte agli impegni negoziali assunti dal fallito e non esauriti, è variegata.
Il curatore, infatti, a volte agisce quale parte e successore del fallito, altre volte come terzo.
Tre sono i criteri con i quali la legge fallimentare disciplina i rapporti pendenti al momento del fallimento:
a) lo scioglimento automatico del rapporto contrattuale;
b) il subingresso automatico del curatore nel rapporto;
c) la sospensione del rapporto con il potere del curatore di subentrarvi o di provocarne lo scioglimento. Si discute quale, tra i tre criteri prima indicati, trovi applicazione per i rapporti pendenti non espressamente previsti dalla legge.
Sotto il vigore della disciplina anteriore alla riforma del 2006, era opinione diffusa che in tali ipotesi trovasse applicazione il principio fissato dalla L. Fall., art. 72, commi 2, 3 e 4 , nella parte in cui prevedeva la sospensione del contratto di compravendita in conseguenza del fallimento del venditore e l’attribuzione al curatore della facoltà di sciogliersi dal rapporto contrattuale pendente, con i conseguenti obblighi reciproci alle restituzioni di quanto prestato, ovvero di subentrarvi, assumendo i relativi diritti ed obblighi.
La Riforma del 2006 ha espressamente confermato questo indirizzo, dettando, con la L. Fall., art. 72, comma 1, la regola generale secondo la quale – fatte salve le disposizioni diverse contenute nella stessa legge – l’esecuzione dei contratti conclusi dal fallito, che al momento del fallimento di uno dei contraenti siano ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti (ovvero, come aggiunto con il decreto correttivo del 2007, dei contratti reali che non abbiano ancora determinato l’effetto traslativo del diritto), è sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi ovvero di sciogliersi dallo stesso.
3.2. Il contratto di compravendita.
Ai fini che qui interessano, il contratto di compravendita – opponibile ai creditori ai sensi della L. Fall., artt. 44 e 45, quale contratto ad effetti reali, si considera eseguito quando, prima del fallimento, il venditore ha procurato il trasferimento della proprietà del bene (arg. L. Fall., ex art. 72, comma 1, nel testo in vigore; L. Fall., art. 72, comma 4, vecchio testo; L. Fall., art. 72 bis, comma 1, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006).
La L. Fall., art. 72, nel testo originariamente in vigore (ed applicabile ai fallimenti dichiarati in data anteriore 16 luglio 2006), disciplinava distintamente l’ipotesi del fallimento del venditore da quella del fallimento del compratore.
Con la riforma del 2006, la L. Fall., art. 72, non regola più con disciplina specifica il contratto di compravendita che, pertanto, è ora regolato dalle norme generali dettate dalla L. Fall., art. 72.
Ne consegue che il contratto di compravendita pendente al momento del fallimento, che sia rimasto ancora ineseguito o non completamente eseguito da entrambe le parti è sospeso fino a che il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di subentrare, ovvero di sciogliersi dal rapporto.
3.3. Il contratto preliminare di compravendita.
Il contratto preliminare di compravendita è il contratto con il quale le parti si obbligano a prestare il consenso per la conclusione di una futura compravendita, talvolta accompagnata dall’integrale pagamento del prezzo e dalla consegna dell’immobile (c.d. preliminare ad esecuzione anticipata).
La legge fallimentare, nella sua stesura originaria, non si occupava della disciplina degli effetti del fallimento sul contratto preliminare.
Nel testo normativo, l’unico accenno al contratto preliminare riguardava, infatti, l’ipotesi del preliminare trascritto ex art. 2645 bis c.c..
La L. Fall., art. 72, come novellato con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (ed applicabile alle procedure aperte a far data dal 16 luglio 2006), prevedeva espressamente che la norma dettata dal primo comma (che, come detto, dispone il principio della sospensione del contratto fino a quando il curatore non dichiari di subentrare nel rapporto pendente ovvero di sciogliersi dal medesimo) trovasse applicazione anche al contratto preliminare, con salvezza, però, di quanto stabilito dalla L. Fall., art. 72.
Quest’ultima norma disponeva, al comma 2, che, nel caso in cui il curatore avesse optato p e r lo scioglimento, il (promissario) acquirente avrebbe avuto il diritto di insinuare al passivo il suo (eventuale) credito alla restituzione di quanto prestato, con il privilegio previsto dall’art. 2775 bis c.c., a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non fossero cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento a norma dell’art. 2645 bis c.c..
Il c.d. decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) ha ulteriormente modificato la normativa in materia, non solo raccogliendo nella L. Fall., art. 72, l’intera disciplina dettata per il contratto preliminare di compravendita (che non abbia ad oggetto immobili da costruire: L. Fall., art. 72 bise D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, art. 1, lett. a), b) e d), artt. 5 e 6), con l’aggiunta del comma 7, ma anche prevedendo, con l’introduzione del comma 8, la norma (applicabile ai procedimenti aperti dal 1 gennaio 2008: cit. D.Lgs. n. 169, art. 22) per cui la disposizione dell’art. 72, comma 1 (che riconosce al curatore il potere di scelta tra subingresso e scioglimento del rapporto) non si applica “al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado” ovvero, come aggiunto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con la L. 7 agosto 2012, n. 134, “un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente”.
Va detto che, in effetti, già nel regime in vigore prima della riforma la tesi più diffusa riteneva che, in caso di fallimento del promittente venditore, trovasse applicazione la norma prevista dalla L. Fall., art. 72, comma 4, testo originario, per la vendita che non avesse determinato al momento del fallimento il trasferimento della proprietà, riconoscendo, quindi, al curatore la facoltà di scegliere tra il subentro nel rapporto pendente (con il conseguente obbligo del contraente in bonis di stipulare il contratto definitivo ed il diritto del curatore, in difetto, di agire in giudizio a norma dell’art. 2932 c.c.) e lo scioglimento dello stesso, con le conseguenti obbligazioni restitutorie delle eventuali prestazioni eseguite.
Ovviamente tale disciplina era applicabile sempre che il contratto non fosse stato, al momento del fallimento, già eseguito con la stipulazione del contratto definitivo (ovvero con il passaggio in giudicato della sentenza di esecuzione in forma specifica a norma dell’art. 2932 c.c.) ed il conseguente trasferimento della proprietà.
Irrilevante era invece la circostanza che il contratto avesse avuto anticipata esecuzione con la consegna del bene ed il pagamento, parziale o integrale, del prezzo pattuito, trattandosi di effetti meramente anticipatori dell’assetto finale di interessi che trova nel solo contratto definitivo il suo titolo giuridico (c.d. preliminare di vendita ad effetti anticipati).
3.4. Il caso non disciplinato testualmente dalla legge.
I problemi più delicati sul tema si sono posti in caso di fallimento del promittente venditore quando, anteriormente alla sentenza dichiarativa, il promissario compratore abbia proposto, a norma dell’art. 2932 c.c., la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare.
Le ipotesi prospettabili sono due:
a) il promissario acquirente ha proposto, prima del fallimento, la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma dell’art. 2932 c.c., ma non l’ha trascritta, ovvero l’ha trascritta, a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, ma successivamente al fallimento del promittente venditore;
b) il promissario acquirente ha proposto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare a norma dell’art. 2932 c.c., e l’ha trascritta a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, prima del fallimento del promittente venditore.
Nel primo caso la soluzione non presenta particolari problemi: il curatore, anche se il giudizio sia stato riassunto nei suoi confronti (L. Fall., art. 43) e fino a quando, in tal caso, non sia stato definito con il passaggio in giudicato della sentenza (a lui, quindi, opponibile ex artt. 2908 e 2909 c.c.), può in ogni momento efficacemente avvalersi della facoltà, di ordine sostanziale, di scegliere se subentrare oppure provocare lo scioglimento del rapporto a norma della L. Fall., art. 72.
Più complesso è il caso in cui il promissario acquirente abbia non solo proposto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ma l’abbia anche trascritta prima del fallimento del promettente venditore.
La complessa questione si articola in due sotto-problemi: da un lato, si tratta di stabilire se, sul piano sostanziale, il curatore conservi o meno il potere di dichiarare lo scioglimento del contratto preliminare; dall’altro (ove si risponda affermativamente al primo interrogativo), quali siano, in caso di scioglimento, gli effetti sulla domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c..
Per lungo tempo ha prevalso l’opinione che il curatore del fallimento del promittente venditore rimanga titolare del potere di provocare lo scioglimento del contratto preliminare.
La trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto, a norma dell’art. 2932 c.c. e art. 2652 c.c., n. 2, in data anteriore alla sentenza dichiarativa, infatti, ha, in questa prospettiva, il solo effetto di rendere opponibile (a norma del comb. disp. L. Fall., art. 45, art. 2652 c.c., n. 2 e art. 2915 c.c., comma 2) la domanda giudiziale (e, per l’effetto, il processo) al curatore.
Quest’ultimo, pertanto, una volta che il processo sia stato riassunto nei suoi confronti (L. Fall., art. 43 e art. 299 c.p.c.), ha l’onere di costituirsi e di eccepirvi, ove ancora possibile, lo scioglimento del contratto preliminare L. Fall., ex art. 72, comma 4.
Per il curatore rimane altresì l’alternativa stragiudiziale – purchè prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., che coprirebbe il dedotto e il deducibile – di sciogliere il contratto preliminare: al che conseguirebbe, per il venire meno del titolo invocato a suo fondamento, il rigetto della domanda proposta. In questo contesto l’azione del curatore opererebbe, non sul piano della procedibilità, ma su quello del merito (così in particolare Cass. 13.5.1982 n. 3001).
La trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., anteriormente alla declaratoria di fallimento del promittente venditore, infatti, non impedisce al curatore di scegliere tra il subingresso e lo scioglimento del rapporto contrattuale pendente (indipendentemente dal fatto che il promittente acquirente abbia per parte sua interamente eseguito la prestazione, pagando interamente il prezzo o facendone offerta nei modi di legge) ma gli imporrebbe solo l’onere, onde evitare l’accoglimento della domanda (a lui, come detto, opponibile), di esercitare tale potere fino a quando, con effetti a lui opponibili, non sia stato stipulato il contratto definitivo, ovvero sia passata in giudicato la sentenza pronunciata a norma dell’art. 2932 c.c..
Questa conclusione trova le sue ragioni in ciò che la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica prevista dall’art. 2932 c.c., anteriormente alla declaratoria di fallimento del promittente venditore è opponibile al curatore a norma della L. Fall., art. 45, art. 2652 c.c., n. 2 e art. 2915 c.c., comma 2.
Il processo può, quindi, validamente proseguire nei suoi confronti (e la sentenza di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., pur se pronunciata dopo il fallimento, è comunque efficace nei confronti dei creditori) ma il curatore può dichiarare – purchè risulti nel giudizio – la propria scelta di sciogliere il rapporto contrattuale, così determinando il rigetto della domanda.
La scelta del curatore di recedere dal contratto determina, infatti, lo scioglimento ex tunc del rapporto contrattuale (pur se in tutto o in parte adempiuto) quale fatto impeditivo all’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica proposta, a nulla rilevando la sua anteriore trascrizione, il cui effetto prenotativo presuppone – ex art. 2652 c.c., n. 2 – il suo accoglimento (con una sentenza che a norma dell’art. 2643 c.c., n. 14, deve essere a sua volta trascritta).
Chiarissimo in tal senso è un passo delle SS.UU. n. 239 del 1999, secondo cui “E’ da tenere presente che l’art. 2932 c.c., prevede l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto soltanto “qualora sia possibile”.
Orbene, il fallimento del promissario venditore segna una fase di arresto nel processo di formazione del negozio, perchè fa venire meno nel fallito il potere di disposizione e di amministrazione del patrimonio. La dichiarazione di fallimento immobilizza la situazione patrimoniale quale era alla data in cui fu pronunziata ed impedisce perciò che possa integrarsi una fattispecie suscettibile di produrre un mutamento della situazione stessa e soprattutto una diminuzione della massa attiva esistente ai sensi della L. Fall., art. 42.
Durante il fallimento rimane impedita l’esecuzione specifica della promessa di vendita di un bene del fallito, perchè tale esecuzione creerebbe un effetto traslativo, nonostante lo spossessamento prodotto dalla sentenza dichiarativa.
Nè la trascrizione della citazione diretta ad ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, avvenuta ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 2, prima del fallimento, può avere l’efficacia di risolvere l’apprensione del curatore sul bene promesso in vendita; in quanto esso spiega i suoi effetti condizionatamente alla trascrizione della sentenza che accoglie la domanda e tale sentenza non può essere pronunciata (così, testualmente, in motivazione, Cass. 10 maggio 1958 n. 1542)”.
3.5. La diversa prospettiva delle S.U. 7.7.2004 n. 12505.
Sotto diversa prospettiva, si sono poste le Sezioni Unite nella pronuncia n. 12505 del 2004.
La sentenza critica, in particolare, l’affermazione secondo la quale la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, eseguita dal contraente in bonis anteriormente alla dichiarazione di fallimento, non preclude al curatore la possibilità di sciogliersi dal contratto preliminare concluso con il fallito ai sensi della L. Fall., art. 72, osservando come “l’assunto muove dal convincimento che, dopo la dichiarazione di fallimento del promittente, la domanda del promissario, anche se trascritta in precedenza, non possa più trovare accoglimento e che, pertanto, non vi sarebbero ostacoli all’apprensione, da parte del curatore, del bene promesso in vendita”.
Invece, secondo le Sezioni Unite, una volta che la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare sia stata trascritta, a norma dell’art. 2932 c.c. e art. 2652 c.c., n. 2, prima della dichiarazione del fallimento, si determinerebbe un duplice effetto:
a) il susseguente giudizio è opponibile al curatore;
b) la sentenza di accoglimento, retroagendo – ed escludendo, quindi, il bene immobile dal patrimonio del promittente venditore, poi fallito, fin dal momento della trascrizione della domanda – impedisce al curatore di avvalersi del potere previsto dalla L. Fall., art. 72, di provocare lo scioglimento del rapporto.
Le argomentazioni della decisione si fondano sui seguenti rilievi:
a) ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 2, gli effetti della pronuncia di accoglimento ex art. 2932 c.c., subordinati alla trascrizione della sentenza, retroagiscono alla data di trascrizione della domanda. E’, quindi, l’adempimento di tale formalità che rileva ai fini dell’opponibilità ai terzi del trasferimento attuato con la pronuncia medesima e fa prevalere il diritto acquistato dall’attore, una volta trascritta la sentenza, sui diritti contrari o incompatibili intervenuti nel frattempo in capo al terzo;
b) il sistema del codice civile in ordine agli effetti della trascrizione delle domande giudiziali si completa con l’art. 2915 c.c., comma 2, che risolve il conflitto fra creditore pignorante ed i terzi, i cui diritti siano accertati in epoca successiva al pignoramento, in base alla data della trascrizione della domanda, che ha l’effetto di prenotare gli effetti della futura sentenza di accoglimento;
c) la L. Fall., art. 45, non si pone in antitesi con tale disciplina, ma la integra.
La norma, infatti, va interpretata nel senso che le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi hanno effetto rispetto ai creditori concorsuali se compiute in data anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento;
d) la Corte di cassazione ha sempre ritenuto opponibili ai creditori concorsuali le sentenze pronunciate in data successiva alla dichiarazione di fallimento se le relative domande siano state in precedenza trascritte, fuorchè nell’ipotesi di accoglimento della domanda svolta ai sensi dell’art. 2932 c.c..
4. La decisione di questa Suprema Corte.
Sono necessarie alcune precisazioni in tema di trascrizione della domanda proposta ex art. 2932 c.c.. L’art. 2652 c.c., comma 1, n. 2), stabilisce che devono essere trascritte le domande dirette a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre e che la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto successivamente alla trascrizione della domanda.
La ratio di tale norma appare evidente.
Infatti, al fine di evitare collusioni tra il promittente ed i terzi durante il processo (v. relazione al Re, n. 1077), la norma consente al promissorio acquirente di prenotare, nei confronti degli aventi causa dal promittente che – anche se hanno acquistato precedentemente alla trascrizione della domanda –
trascrivano o iscrivano successivamente il loro diritto acquisito, gli effetti della trascrizione della sentenza di accoglimento della domanda, pur se tale domanda era fondata su di una situazione puramente obbligatoria.
Gli effetti così prodotti retroagiscono alla data di trascrizione della domanda, rendendo inefficaci nei confronti dell’attore le trascrizioni e iscrizioni da loro effettuate contro il promittente convenuto, fermo restando che il promissorio acquisterà la proprietà del bene soltanto con la sentenza (costitutiva) che avrà accolto la domanda.
L’introduzione della trascrizione della domanda diretta all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (con l’effetto di consentire di prenotare gli effetti della trascrizione della relativa sentenza) ha in sostanza conferito al contratto preliminare lo stesso effetto – sia pure differito – del contratto definitivo.
L’incertezza è nell’ an, non nel quando.
In altri termini, il contratto preliminare trascritto è circondato da una serie di pressanti garanzie volte ad assicurare l’effetto traslativo ex tunc se interverrà la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..
Con la trascrizione del contratto preliminare si crea in definitiva, una situazione giuridica che va oltre quella che era la volontà delle parti di far sorgere una semplice obbligazione: infatti, la norma dispone che la trascrizione della domanda (se seguita dalla trascrizione della sentenza) prevalga sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite successivamente contro il convenuto; il che vuoi dire l’opponibilità all’attore dei soli diritti trascritti o iscritti precedentemente alla trascrizione della domanda.
La norma di cui all’art. 2652 c.c., n. 2, attribuisce alla trascrizione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre gli stessi effetti che il successivo n. 3) attribuisce alla trascrizione della domanda giudiziale diretta a d ottenere l’accertamento della sottoscrizione di scritture private in cui si contiene un atto soggetto a trascrizione o a iscrizione. Peraltro, la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda ex art. 2932 c.c., è necessaria unicamente per ottenerne l’effetto retroattivo nei confronti dei terzi.
Nei rapporti tra attore e convenuto, infatti, la sentenza ex art. 2932 c.c., ha piena efficacia costitutiva anche senza la sua trascrizione, ma solo dalla data della sua emanazione.
La posizione – e quindi – la tutela del promissario acquirente è stata ulteriormente rafforzata con l’introduzione, nel sistema, dell’art. 2645 bis c.c., che prevede chela trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta a d ottenere l’esecuzione in forma specifica, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promettente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Per effetto della pubblicità immobiliare, peraltro, non si attribuisce, al contratto preliminare – che mantiene una mera efficacia relativa – alcun effetto di natura reale.
La nuova disciplina della trascrizione del contratto preliminare ha esteso il campo della trascrizione con funzione prenotativa, prima riservata solo alla trascrizione delle domande giudiziali, non essendo logicamente precluso l’effetto prenotativo collegato, oltre che alla domanda ex art. 2932 c.c.. anche alla trascrizione fondata sullo stesso atto che promette l’alienazione.
Anche in questo caso, l’efficacia lato sensu costitutiva del contratto definitivo, o della sentenza che accolga la domanda ex art. 2932 c.c., si produce tra le parti anche in mancanza della trascrizione di tali atti, come avviene in relazione all’efficacia della detta sentenza tra le parti del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto.
Ciò che retroagisce al momento della trascrizione del contratto preliminare è unicamente l’effetto dichiarativo tipico della trascrizione dell’atto traslativo o costitutivo ovvero della sentenza costitutiva, che è quello dettato dall’art. 2644 c.c., prenotato appunto affinchè retroagisca alla data della trascrizione del contratto preliminare o della trascrizione della domanda giudiziale.
La differenza fra le due trascrizioni consiste nel raggio di azione dell’effetto prenotativo offerto dalla trascrizione del preliminare.
Nel primo caso, infatti, retroagisce l’effetto dichiarativo della trascrizione di qualsiasi atto traslativo o costitutivo che costituisca esecuzione del preliminare ovvero della sentenza costitutiva ex art 2932 c.c..
Nel secondo, la trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., fa sì che retroagisca l’effetto dichiarativo soltanto della trascrizione della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..
Ciò vuoi dire che se le parti rinunciano al giudizio promosso ex art. 2932 c.c. e concludono quello definitivo, l’effetto della trascrizione di esso non retroagirebbe alla data della trascrizione della domanda giudiziale, ma solo eventualmente alla data della trascrizione del contratto preliminare, se questa è stata precedentemente effettuata.
4.1. Contratto preliminare trascritto e vicenda fallimentare.
Le considerazioni riportate consentono ora di inquadrare giuridicamente il quesito posto se il curatore possa o meno esercitare la facoltà concessagli dalla L. Fall., art. 72, di sciogliersi dal contratto preliminare con il quale l’imprenditore poi fallito ha promesso in vendita un immobile a un terzo, anche nel caso in cui il terzo promissario acquirente abbia trascritto, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 c.c., volta ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto.
Al curatore è riconosciuta la facoltà di scelta di subentrare nel contratto preliminare pendente alla data della dichiarazione di fallimento o di sciogliersi dallo stesso ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 1, secondo le regole ivi previste.
Un tale potere di natura sostanziale rimane integro pur dopo la proposizione di una domanda di esecuzione in forma specifica da parte del promissorio acquirente finalizzata ad ottenere dal giudice una pronuncia costitutiva del trasferimento che tenga luogo del contratto rimasto inadempiuto alla data della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore.
Non si discute dell’esistenza di tale potere e neppure della validità della dichiarazione del curatore di sciogliersi dal preliminare: si discute della sua efficacia verso il promissario acquirente che abbia anteriormente trascritto.
La distinzione non è irrilevante perchè se il procedimento ex art. 2932 c.c., si estingue per qualsiasi causa, viene rimosso il limite all’efficacia nei confronti del promissario acquirente della dichiarazione di scioglimento da parte del curatore, senza che occorra una sua nuova manifestazione di volontà. A tale ultimo riguardo va aggiunto che nell’ordinamento non si rinvengono preclusioni in ordine ai tempi e ai modi con le quali il curatore eserciti la facoltà di scioglimento: può farlo in forma espressa o tacita, nell’ambito del giudizio o stragiudizialmente (purchè in tale ultimo caso ci sia un valido atto processuale che veicoli tale manifestazione di volontà portandola a conoscenza del giudice).
Quel che è problematico è accertare quali siano gli effetti nei confronti del promissario acquirente che abbia trascritto la domanda di esecuzione in forma specifica anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Sul punto queste Sezioni Unite non possono che ribadire il precedente orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2004.
La giurisprudenza successiva che ha inteso discostarsene non offre argomenti logici o profili giuridici aventi il carattere della novità.
Riesaminiamoli in rapida sintesi.
Un primo argomento è di ordine testuale: dal fatto che della L. Fall., art. 72, comma 7, espressamente esclude il potere di scioglimento del curatore in determinate specifiche ipotesi di contratto preliminare si è desunto che la regola generale deve ritenersi in senso opposto.
Si può agevolmente replicare che il canone ermeneutico “inclusio unius, exclusio alterius” richiama il vetero positivismo giuridico dell’Ecole de l’Exegese, ma non ha cittadinanza nel complesso apparato dei criteri ermeneutici desumibili dall’art. 12 preleggi e dall’imponente elaborazione della giurisprudenza nazionale e convenzionale.
In definitiva, il criterio ermeneutico indicato è ambiguo e non risolutivo: non vi sono elementi per ritenere che i casi citati dalla L. Fall., art. 72, siano l’eccezione ad una regola opposta o non piuttosto un’applicazione specifica della regola stessa.
L’affermazione ricorrente secondo cui la dichiarazione di fallimento cristallizzerebbe il patrimonio del debitore fallito rendendolo insensibile alle vicende giuridiche successive è confutata dal rilievo che, al momento della dichiarazione di fallimento, è trascritta una domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare: il che significa che nella sfera giuridica del fallimento è cristallizzata una pretesa giuridica del promissorio acquirente.
La domanda giudiziale – per ricordare un autorevolissimo tradizionale insegnamento – incarna il diritto controverso, è la sua proiezione processuale.
Nè appare persuasiva l’affermazione ricorrente secondo cui, in caso di fallimento, la sentenza ex art. 2932 c.c., non potrebbe essere pronunciata perchè essa creerebbe l’effetto traslativo della proprietà impedito dallo spossessamento del debitore.
Tale affermazione dissimula una petizione di principio perchè inverte le premesse con la conclusione: invero, prima occorrerebbe dimostrare che nessuna norma consente in caso di fallimento la pronuncia ex art. 2932 c.c., e poi dedurne che il patrimonio del fallito rimane integro.
Va poi detto che l’argomento esibito presenta intrinseci profili di perplessità: semmai fosse valida la tesi, il fallimento determinerebbe una preclusione processuale, non l’infondatezza della domanda che trova nel valido preliminare stipulato tra le parti il suo fondamento. Ma soprattutto l’orientamento giurisprudenziale che ritiene irrilevante la trascrizione del contratto preliminare prima della dichiarazione di fallimento si scontra con due criteri ermeneutici fondamentali: quello sistematico e quello della ratio legis.
Sotto il profilo sistematico vanno richiamati i principii, riconosciuti pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità, per i quali la L. Fall., art. 45, va coordinato, non solo con gli artt. 2652 e 2653 c.c., ma anche con l’art. 2915 c.c., comma 2.
Pertanto, sono opponibili ai creditori fallimentari, non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, ma anche le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte.
In questa ottica acquista un particolare significato la norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, che stabilisce che la trascrizione della sentenza che accolga la domanda diretta a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre “prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda”, ivi compresa l’iscrizione nel registro delle imprese della sentenza di fallimento a norma della L. Fall., art. 16, u.c. e art. 17.
Nè in senso contrario rileva che l’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento non sia riferibile ai registri immobiliari; e ciò perchè la soluzione di alcuni conflitti è legata alla priorità temporale di adempimenti pubblicitari tra loro differenti (v. ad es. in tema di convenzioni matrimoniali Cass. 12.12.2013 n. 27854).
Con la riforma del 2006 tale meccanismo pubblicitario non riveste più una funzione di mera pubblicità notizia come nel regime precedente.
La L. Fall., art. 16, u.c., stabilisce, infatti, che la sentenza dichiarativa di fallimento produce effetti nei riguardi d e i terzi soltanto dalla data della sua iscrizione nel registro delle imprese, conferendo pertanto a tale adempimento una funzione di pubblicità dichiarativa.
Da tale momento l’atto pubblicato acquista efficacia nei confronti dei terzi, ed è quindi a questi opponibile.
Il che sancisce la sua rilevanza, non soltanto ai fini della L. Fall., art. 44, ma anche ai fini della efficacia L. Fall., ex art. 45 (formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento).
In questo modo si pone la regola per la risoluzione dei conflitti che si vengono a creare in relazione alla trascrizione delle domande giudiziali.
In tale contesto sistematico l’orientamento giurisprudenziale qui avversato pone un’unica, vistosa eccezione: la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c..
Ora, un vulnus così dirompente rispetto al sistema dovrebbe avere un fondamento giuridico in una norma che espressamente preveda tale eccezione.
Ma la norma non c’è.
L’eccezione al sistema viene ricavata dal principio generale dell’intangibilità del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione del fallimento. Ma si è visto che questo principio non vale per la trascrizione antecedente delle domande giudiziali: non si vede perchè debba valere solo per la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c..
Verosimilmente al fondo dell’orientamento tradizionale si annida il pregiudizio che il contratto preliminare non ancora eseguito è fonte di obbligazioni e che l’adempimento dell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo altererebbe in qualche modo la par condicio creditorum.
In realtà, si tratterebbe di una visione riduttiva e in qualche modo sfigurante del contratto preliminare.
Il contratto preliminare è regolato in modo che l’effetto traslativo sia già in esso potenzialmente incapsulato e garantito dal potente meccanismo giuridico della sentenza ex art. 2932 c.c. e della trascrizione della domanda giudiziale ad essa mirante.
In sostanza, il contratto preliminare porta in sè l’ineluttabile – anche se differito – effetto traslativo. Infine, il criterio ermeneutico della ratio legis cospira ulteriormente nel favorire l’interpretazione condivisa da questa Suprema Corte.
Il legislatore è chiamato ad effettuare il bilanciamento di interessi configgenti, entrambi meritevoli di tutela: quella del promissario acquirente a vedersi prestare tutela processuale con il riconoscimento del suo diritto, e quella della massa ad escludere, con l’esercizio della scelta da parte del curatore, che chiunque altro possa contrastare l’assoggettamento del bene al concorso fallimentare.
Il legislatore ha risolto il conflitto affermando il principio (di cui la norma della L. Fall., art. 45, è puntuale applicazione) che la durata del processo non torni a danno di chi ha ragione.
Per usare una metafora, potremmo dire che il legislatore ha fatto in modo che il tempo giuridico azzeri il tempo storico. E per far questo ha costruito il meccanismo trascrizione della domanda giudiziale – trascrizione della sentenza di accoglimento.
Questo meccanismo comporta una divaricazione – come si è già detto – nella produzione dell’effetto traslativo: la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., fissa l’an dell’effetto traslativo, la trascrizione della domanda giudiziale fissa il quando di tale effetto.
Principio che ha, nelle moderne codificazioni, ricevuto un più ampio riconoscimento proprio in virtù della generalizzazione del principio della trascrizione delle domande giudiziali, in precedenza prevista solo per alcune ipotesi (domande di revocazione, rescissione e risoluzione) specificamente indicate (art. 1933 c.c., n. 3 e art. 1865 c.c.).
Non senza sottolineare che un tale rilievo è stato negli anni ulteriormente rafforzato, sia dalla ratifica (con la L. 4 agosto 1955, n . 848) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che annovera tra i diritti fondamentali dell’individuo, la cui violazione da titolo al riconoscimento di un’equa soddisfazione (art. 41), anche del diritto alla durata ragionevole del processo (art. 6.1); sia dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., comma 2, che ha assunto la durata ragionevole del processo quale connotato necessario dell’attività giurisdizionale.
Tali principii sono oggi di comune ed incontroversa applicazione nella giurisprudenza di legittimità e trovano la loro ragione giustificatrice nell’interesse delle parti alla più sollecita definizione del giudizio il cui rilievo è tale da giustificare il riconoscimento di un indennizzo in favore delle parti che, a causa dell’eccessivo protrarsi del processo, abbiano risentito ragione di danno.
E‘, quindi, evidente che- secondo una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata – la norma, come quella in tema di trascrizione delle domande giudiziali, va necessariamente letta in modo da evitare proprio che la durata del processo possa compromettere la realizzazione di quella piena tutela, di cui la parte ha diritto di godere secondo il diritto sostanziale.
Il caso in esame palesa in modo eclatante la necessità di un bilanciamento degli interessi configgenti che richiedono entrambi tutela giuridica.
Basti rilevare che il fallimento della società Marti è stato dichiarato il 27 aprile 2007, mentre la domanda era stata trascritta il 3.12.1998, e la sua fondatezza era stata riconosciuta dal Tribunale con sentenza n. 1194 del 29.5.2001, confermata dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 1812 del 14.11.2006. Ed il curatore con missiva notificata il 22.6.2007 alla sas Esa di Marchesin Paola e C. ha dichiarato di sciogliersi dal contratto preliminare concluso il 31.12.1997, ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 1.. Il corrispettivo era stato interamente pagato. Quindi, il curatore ha esercitato il suo potere di sciogliersi dal contratto preliminare ben 9 anni dopo la trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c..
E’ difficile pensare che l’interpretazione giurisprudenziale qui confutata possa portare ad un giusto processo.
Possono allora trarsi le conclusioni.
Il curatore in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore – parte del giudizio L. Fall., ex art. 43, ma terzo in relazione al rapporto controverso – mantiene senza dubbio la titolarità del potere di scioglimento dal contratto sulla base di quanto gli riconosce la L. Fall., art. 72. Ma – ed è ciò che rileva ai fini che qui interessano – se la domanda sia stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento da parte del curatore non è opponibile nei confronti di quell’attore promissorio acquirente a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2.
Ciò che vuol dire che la domanda ex art. 2932 c.c. – trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese – non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissorio acquirente che una tale domanda ha proposto.
Tutto ciò, naturalmente, se la sentenza è accolta ed è trascritta a sua volta.
E ciò si coniuga con l’effetto prenotativo che attua la trascrizione della domanda ex art. 2652 c.c., n. 2, il cui meccanismo pubblicitario si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento.
Il giudice, pertanto, può senz’altro accogliere la domanda pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento.
Diversamente, se la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento rendendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto.
Ciò consente di mantenere inalterata la facoltà di scelta del curatore, quale espressione di un potere sostanziale che l’ordinamento con la L. Fall., art. 72, gli riconosce, ma che, nella concorrenza di determinati evenienze, non è opponibile – in caso di accoglimento della domanda in forma specifica – al promissario acquirente che abbia trascritto tale domanda anteriormente alla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore nel registro delle imprese.
Viene tutelato il promissario acquirente di buona fede, ma n e i confronti di comportamenti opportunistici compiuti in frode rimane ovviamente integra la possibilità di azioni dall’indubbia efficacia dissuasiva, come l’azione revocatoria.
Quel che si vuoi dire è che l’interpretazione si evolve in sintonia con l’evoluzione del sistema giuridico e che certi principi – assurti quasi a dogma – come quello dell’intangibilità del patrimonio del fallito al momento della dichiarazione di fallimento devono essere costantemente adeguati ad un sistema giuridico in movimento.
5. L’esame dei ricorsi.
Alla luce dei principii ora enunciati vanno ora esaminati i ricorsi proposti. Preliminarmente tutti i ricorsi sono riuniti.
5.1. Ricorsi: R.G. 19460/2007 + 23125/2007.
Entrambi avverso le sentenze non definitiva e definitiva della Corte d’Appello di Venezia.
Ricorso Fallimento Marti di Amadardo G. & C. Snc (R.G. 19460/2007).
Con il primo il ricorrente denuncia insufficienza di motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5).
Il motivo è manifestamente infondato per avere la Corte di merito dando puntuale e concisa risposta (pag. 16 sent.) alla insussistenza di una inequivoca volontà della promissaria acquirente di preferenza della risoluzione con la restituzione del prezzo al mantenimento dello stesso.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c..
Nella specie è applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c..
La norma prevede che il quesito di diritto debba essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Il quesito con cui si conclude il motivo è il seguente: codesta ecc.ma Corte dica “che l’inadempimento non costituisce, di per sè, fonte di danno: dovendo essere provato anche in ipotesi sussistano i presupposti per una determinazione in via equitativa”.
Trattasi di un quesito generico, senza alcun riferimento al caso concreto.
La conseguenza è l’inammissibilità del motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c..
Anche in questo caso il difetto di formulazione del quesito è evidente.
Il quesito è, infatti, il seguente: La Corte dica che “i fatti, costitutivi della domanda debbono essere provati dalla parte che ha fatto valere tale preteso diritto e che un tale onere non può essere sopperito mediante ricorso alla consulenza tecnica: mezzo istruttorio che non svolge una funzione suppletiva di prova”.
Un tale quesito, per la sua genericità, non consente alla Corte di legittimità di enunciare i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; S.U.5.1.2007 n. 36, e successive conformi).
Ricorso società Marti di Amadardo G. & C. Snc (R.G. 23125/2007).
Il ricorso per cassazione è inammissibile.
Il ricorso è stato notificato il 7.5.2007, ma la società ed il socio e legale rappresentante A.G. erano stati dichiarati falliti con sentenza del tribunale di Venezia del 27.4.2007.
E’ evidente che, con la dichiarazione di fallimento, essi avevano perso la capacità di agire, che spettava al curatore ai sensi della L. Fall., art. 43.
Il conseguente difetto di rappresentanza del legale rappresentante non consentiva, quindi, il conferimento della procura speciale al difensore.
E‘ inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal legale rappresentante di una società successivamente alla dichiarazione di fallimento di questa, neppure se il fallimento sia revocato nelle more del giudizio di legittimità.
Il vizio della procura rilasciata al difensore, infatti, non potrebbe essere sanato ex tunc dalla sopravvenuta revoca del fallimento, atteso che, sulla base delle norme dell’art. 125 c.p.c., comma 3 e art. 370 c.p.c., deve escludersi la possibilità della sanatoria del vizio che invalida l’instaurazione del rapporto processuale tutte le volte in cui sia richiesta una procura speciale, come avviene per il ricorso per cassazione, per la valida proposizione del quale l’art. 365 c.p.c., richiede che la procura sia validamente conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso (Cass. 28.4.2003 n. 6589). A maggior ragione quando alcuna revoca sia intervenuta.
Conclusivamente, il ricorso per cassazione della società Marti di Amadardo G. & C. Snc è dichiarato inammissibile.
5.2. Ricorso R.G. 10243/2007.
La società Esa di Webber Ines & C. ha proposto ricorso avverso il decreto n. 7329 del 24.1/11.3.2008 con il quale il tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di ammissione al passivo del credito di Euro 214.204,88 sulla base della statuizione della sentenza della Corte d’Appello n. 1812 del 2006.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione di norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: dell’ammissibilità dell’eccezione, L. Fall., ex art. 72, proposta per la prima volta nel giudizio davanti alla Suprema Corte di Cassazione.
Con il secondo motivo si denuncia art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione della norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: della possibilità di comunicare lo scioglimento del contratto, L. Fall., ex art. 72, dopo che vi è stata la trascrizione della citazione della causa avviata ex art. 2932 c.c. e dopo la trascrizione della sentenza dei giudici di merito che hanno accolto tale domanda.
I motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati.
Le conclusioni cui la Corte a sezioni unite è pervenuta sulla questione oggetto di trattazione in ordine alla facoltà di scioglimento del curatore ai sensi dell’art. 72 c.c. e le ragioni della decisione impongono ora al giudice del rinvio un nuovo esame alla luce dei principii enunciati.
Il ricorso è, dunque accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al tribunale di Venezia in diversa composizione.
5.3. Ricorsi: R.G. 16522/2008 + 18150/2008.
La ricorrente sas Esa di Marchesin Paola e C, già snc Esa di Webber Ines & C. ha proposto ricorso avverso il decreto del 15/21.5.2008 con il quale il tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di rivendica dell’immobile in questione ai sensi della L. Fall., art. 103.
Avverso il medesimo decreto ha proposto ricorso incidentale condizionato il Fallimento di Marti di Amadardo Gianfranco & C. Snc (R.G. 18150/2008).
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione di norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: sull’ammissibilità dell’eccezione, L. Fall., ex art. 72, proposta per la prima volta nel giudizio avanti alla Suprema Corte di Cassazione.
Con il secondo motivo si denuncia art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione della norma di diritto ed omessa, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: della possibilità di comunicare lo scioglimento del contratto, L. Fall., ex art. 72, dopo che lo stesso è stato interamente eseguito da parte promittente e dopo che vi è stata sia la trascrizione della citazione della causa avviata ex art. 2932 c.c., che la trascrizione della sentenza dei giudici di merito che hanno accolto tale domanda.
Anche in questo caso i motivi (che ricalcano quelli di cui al ricorso di R.G. 10243/2007) sono fondati per le ragioni più sopra esposte.
Le conclusioni cui la Corte è pervenuta e le ragioni della decisione impongono, quindi, un nuovo esame alla luce dei principii enunciati.
Il ricorso incidentale condizionato – a seguito dell’accoglimento del principale – va esaminato.
Esso è inammissibile.
Nella specie è applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c..
La norma prevede che il quesito di diritto debba essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
E’, quindi, inammissibile il motivo di ricorso sorretto da un quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito stesso, per la sua inidoneità a chiarire l’errore, o gli errori, di diritto imputati alla sentenza impugnata in riferimento alla fattispecie concreta (S.U. ord. 27.3.2009 n . 7433; Cass. 25.3.2009 n. 7197; s.u. 30.10.2008 n. 26020).
Nel caso in esame il quesito proposto in termini di violazione di norma di diritto (art. 342 c.p.c.) è totalmente astratto non contenendo alcun riferimento al caso concreto.
E’, infatti, del seguente tenore: “Dica la corte ecc.ma che la specificità dei motivi esige che – alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata – vengano contrapposte quelle dell’impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime”.
Un tale quesito non consente alla Corte di legittimità di enunciare i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; S.U. 5.1.2007 n. 36, e successive conformi).
Il ricorso principale è, dunque accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al tribunale di Venezia in diversa composizione; quello incidentale condizionato dichiarato inammissibile.
Conclusivamente, è rigettato il ricorso del Fallimento Marti di Amadardo Gianfranco & C. snc (R.G. 19460/07); è dichiarato inammissibile il ricorso della società Marti di Amadardo Gianfranco & C. snc (R.G. 23125/07).
Sono accolti i ricorsi della società Clelia srl in liquidazione avverso il decreto n. 7329/07 r.g. (ricorso R.G. n. 10243/08) ed avverso il decreto n. 44/08 r.g. (ricorso R.G. n. 16522/08) del tribunale di Venezia.
E’ dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato del Fallimento Marti (R.G. 18150/08).
La sentenza è cassata in relazione e la causa è rinviata al tribunale di Venezia in diversa composizione.
Le ragioni della decisione in relazione alla complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce tutti i ricorsi.
Rigetta il ricorso del Fallimento Marti di Amadardo Gianfranco & C. snc (R.G. 19460/07) e dichiara inammissibile il ricorso della società Marti di Amadardo Gianfranco & C. snc (ricorso R.G. n. 23125/07).
Accoglie i ricorsi della società Clelia srl in liquidazione, quale conferitaria del ramo di azienda della società Esa di Paola Marchesini, già Esa di Webber Ines e C . s.n.c., avverso il decreto n. 7329/07 r.g. (ricorso R.G. n. 10243/08) ed avverso il Decreto n. 44 del 2008 r.g. (ricorso R.G. n. 16522/08) del tribunale di Venezia.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato del Fallimento Marti (ricorso R.G. n. 18150/08).
Cassa in relazione e rinvia al tribunale di Venezia in diversa composizione.
Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 13 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2015
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 04 dicembre 2013, n. 27111, per SS.UU, 16 settembre 2015, n. 18131, in tema di contratto preliminare
SS.UU, 16 settembre 2015, n. 18131, in tema di contratto preliminare
Nota della Dott.ssa Matilde Santini
Scioglimento del preliminare da parte del curatore fallimentare ed effetti della trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica
1. Il principio di diritto
Il curatore fallimentare, in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore - parte del giudizio L. Fall., ex art. 43, ma terzo in relazione al rapporto controverso - mantiene senza dubbio la titolarità del potere di scioglimento dal contratto sulla base di quanto gli riconosce la L. Fall., art. 72.
Se, però, la domanda è stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento da parte del curatore non è opponibile all’attore-promissario acquirente, a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c..
La domanda ex art. 2932 c.c. - trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese - non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissario acquirente che una tale domanda ha proposto.
2. La questione di massima di particolare importanza
Le Sezioni Unite, chiarita la natura degli effetti della trascrizione del preliminare, si sono interrogate sulla possibilità o meno per il curatore di esercitare la facoltà riconosciutagli dall’art. 72 della Legge Fallimentare dopo la proposizione, da parte del promissario acquirente, della domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare.
La Cassazione ritiene che un siffatto potere, avente natura sostanziale, non possa negarsi per l’effetto della proposizione della sola domanda ex art. 2932 c.c..
La tesi che ammette il venir meno della facoltà di scioglimento del curatore si annida, secondo la Corte, sul pregiudizio secondo cui l’adempimento dell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo altererebbe in qualche modo la par condicio creditorum.
Ma ciò non è, ad avviso della Cassazione: il contratto preliminare, infatti, è disciplinato in modo tale che l’effetto traslativo sia già garantito dalla facoltà del promissario acquirente di agire in giudizio chiedendo l’esecuzione in forma specifica.
Secondo le Sezioni Unite, dunque, l’effetto traslativo – seppur differito – è intrinseco nel contratto preliminare, per cui la retroazione degli effetti della sentenza costitutiva non altera la par condicio creditorum, qualora la domanda venga proposta in data antecedente alla dichiarazione di fallimento.
3. Conseguenze operative
L’interpretazione fornita dalla Cassazione, che consente al curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto anche a seguito della proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica, comporta, in caso di estinzione del giudizio, il venir meno della non opponibilità della dichiarazione di scioglimento nei confronti del promissario acquirente.
Inoltre, la non opponibilità della dichiarazione non impedisce al curatore di esperire altre azioni dissuasive, quali l’azione revocatoria, in presenza di comportamenti opportunistici e in mala fede compiuti dal promissario acquirente.