Civile Sent. Sez. U Num. 31730 Anno 2023
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO
Data pubblicazione: 15/11/2023
SENTENZA
sul ricorso 29425-2021 proposto da:
SOCIETÀ AGRICOLA LE FONTANE DI DUCOLI DOMENICO E GIACOMO S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ENZO BARILA’;
– ricorrente –
contro
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente della Regione pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 180, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANINO, rappresentata e difesa dagli avvocati ANNALISA SANTAGOSTINO e SABRINA GALLONETTO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2635/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/09/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2023 dal Consigliere FRANCESCO TERRUSI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale ALBERTO CARDINO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato;
uditi gli avvocati Enzo Lino Barilà ed Annalisa Santagostino.
Fatti di causa
La s.s. Agricola Le Fontane di Ducoli Domenico e Giacomo propose dinanzi al tribunale di Milano un’azione di accertamento negativo del diritto della regione Lombardia di recuperare, mediante compensazione, una parte degli aiuti comunitari versati in suo favore per gli anni 2015 e 2016 in base al calcolo fatto da Agea (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) ai sensi del Regolamento (UE) n. 1307 del 2013 e del D.M. Politiche Agricole 18/11/2014 n. 6513, per le imprese in zone svantaggiate.
Chiese inoltre la condanna della convenuta alla restituzione di quanto indebitamente compensato.
A sostegno dell’azione addusse che il recupero, dopo l’erogazione dei contributi, era stato fatto sul presupposto dell’erroneità del calcolo iniziale di Agea, e quindi sostenne che lo stesso non poteva essere disposto stante la buona fede del soggetto percettore, che non era stato nella condizione di scoprire l’errore stesso.
Nella resistenza della regione, sostenuta sia da motivi di merito che da una preliminare eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l’adito tribunale accolse le domande, per l’appunto ritenendo che la fattispecie dovesse esser ricondotta nell’alveo degli artt. 7, par. 3, e 23 del Regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014, e che l’erogazione fosse stata conseguenza di un errore dell’autorità competente non suscettibile di essere scoperto dalla beneficiaria, con conseguente irripetibilità delle somme versate.
La corte d’appello di Milano, adita dalla regione, ha riformato la decisione, disattendendo peraltro la pregiudiziale eccezione di difetto di giurisdizione riproposta dalla impugnante.
In sintesi, ha ritenuto che fosse stata attuata una riduzione lineare degli aiuti, da qualificare come potere–dovere espressamente attribuito dal citato Regolamento comunitario n. 1307 del 2013 (artt. 7, 30, 31) a ciascuno Stato membro col fine di garantire, prioritariamente, le categorie dei “giovani agricoltori e dei nuovi agricoltori”, nel rispetto dei principi generali in tema di concorrenza e parità di trattamento. Tale potere-dovere per sua stessa natura era esercitabile – e in concreto era stato esercitato – dalla competente Agea solo ex post, dopo cioè la presentazione di tutte le domande da parte degli interessati e l’individuazione dei presupposti soggettivi e oggettivi rispetto al plafond di spesa assegnato anno per anno.
Ha quindi stabilito che, effettuate le opportune rettifiche da parte di Agea a distanza di circa due anni dall’avvenuta erogazione del contributo, l’Organismo pagatore regionale (O.p.r.) aveva a sua volta legittimamente provveduto al recupero di quanto indebitamente corrisposto nell’ambito delle proprie competenze, mediante compensazione, ai sensi dell’art. 7 par. 1 del Regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014.
Ferma l’impossibilità giuridica di affermare esistente, nelle condizioni date, un errore di regione Lombardia, ha poi rilevato che anche sul piano probatorio l’assunto del tribunale (e dell’attrice) non poteva esser condiviso, perché nessuna emergenza documentale aveva supportato il possesso, da parte della regione, dei dati necessari a evitare pagamenti indebiti.
Ha inoltre osservato che la sola indicazione, nel registro informatico, della dicitura “errore p.a.” non poteva essere considerata dirimente per ritenere sussistente l’ “errore” giuridicamente rilevante, e che la valutazione complessiva della normativa comunitaria e nazionale, in ordine alle modalità e ai tempi previsti per l’erogazione e per gli eventuali ricalcoli in riduzione, nonché per i recuperi degli indebiti versamenti, era tale da escludere l’effettiva sussistenza di ogni ipotetico errore attribuibile alla regione stessa.
La società Agricola Le Fontane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, deducendo sette motivi, illustrati da memoria.
La regione ha replicato con controricorso, parimenti illustrato da memoria, nel quale ha formulato un ricorso incidentale condizionato sulla questione di giurisdizione, affidato a un motivo.
Al ricorso incidentale la società ha replicato con controricorso.
La Prima sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza sui profili indotti, in reciproca combinazione, dal ricorso principale e dal ricorso incidentale.
Il Primo Presidente ha disposto in conformità.
Ragioni della decisione
I. – Le doglianze formulate nel ricorso principale sono le seguenti.
Col primo mezzo, deducendo la violazione degli artt. 75 del Reg. (UE) n. 1306/2013, 7, 30, 31 e 40 del Reg. (UE) n. 1307/2013, 18 del Reg. (UE) n. 639/2014, 7 e 23 del Reg. (UE) n. 809/2014, 7 e 11 del d.m. n. 6513/2014, 2 d.m. n. 144/2015, nonché delle norme dei Reg. (UE) n. 1089/2015 e n. 1748/2015, la ricorrente innanzi tutto censura la statuizione con la quale l’impugnata sentenza ha ritenuto l’azione di recupero riconducibile a una riduzione lineare degli aiuti, secondo le previsioni del citato Reg. (UE) n. 1307/2013, anziché alla correzione di un antecedente errore valutabile nell’ottica dell’ art. 7, par. 3, Reg. (UE) n. 809/2014. Assume che tale errore, in mancanza del presupposto soggettivo involgente l’impresa destinataria, non avrebbe consentito di recuperare le somme già erogate.
Inoltre, sempre a dire della ricorrente, la corte d’appello, nel qualificare diversamente il recupero, non avrebbe considerato che, in base al citato Reg. (UE) n. 1307/13, le riduzioni lineari operano nei confronti dell’intero pagamento di base (ovvero di tutti i titoli spettanti alle imprese non aventi accesso alla riserva nazionale), e non in relazione alla sola riduzione, invece, dei titoli da riserva nazionale antiabbandono di terre e per compensazione di svantaggi specifici. Mentre questo era avvenuto nella fattispecie, in base a quanto comunicato da Agea con circolare del 4 ottobre 2017.
Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in ordine alla ripartizione dell’onere della prova, giacché, anche in base al principio di vicinanza della prova, avrebbe dovuto essere la p.a. a dimostrare i fatti costitutivi del diritto da essa azionato, vale a dire l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento assunto come non dovuto, con il conseguente maturare dell’indebito.
Col terzo motivo è dedotta la violazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 111 cost. per motivazione apparente della sentenza a proposito della mancanza di prove dell’errore della p.a., rilevante ai sensi dell’art. 7, par. 3, del Reg. (UE) n. 809/2014, volta che invece in una mail di Agea rivolta agli organismi pagatori regionali (in data 16-3-2018) era stata riconosciuta la riconducibilità del ricalcolo a un errore amministrativo.
In coordinazione con quest’affermazione, il quarto motivo deduce a sua volta l’omesso esame del fatto decisivo già sopra indicato, afferente al contenuto della citata mail di Agea del 16-3-2018.
Nel quinto motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 111 cost. per motivazione apparente della sentenza a proposito della negazione della buona fede del soggetto percettore, essendo stata la mancanza di buona fede associata alla possibilità di scoprire l’errore della p.a. in forza della conoscibilità della circolare di Agea n. 275 del 3-6-2015, nella parte concernente “la possibile riduzione lineare” dei contributi, anziché direttamente in base alla disciplina di legge.
Nel sesto motivo deduce inoltre l’omesso esame di fatti decisivi desumibili da due ulteriori circolari di Agea dell’anno 2017, le quali, espressamente richiamate nel ricorso, si sarebbero dovute considerare incompatibili con la qualificazione del ricalcolo come riduzione lineare.
Infine nel settimo motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la sentenza affermato di respingere “le domande”, a fronte invece dell’accoglimento, da parte del tribunale, della sola domanda di accertamento negativo, visto che quella ulteriore di condanna alla restituzione degli importi recuperati, pur avanzata in primo grado, non era stata riproposta in appello.
II. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale la regione ha impugnato a sua volta, ma in forma condizionata, la statuizione con cui la corte d’appello ha respinto l’eccezione di difetto giurisdizione.
A fronte dell’argomentazione della sentenza, secondo la quale l’attrice aveva dedotto a fondamento delle proprie domande non il vizio di legittimità dell’atto amministrativo di ricalcolo dei contributi, ma la violazione del legittimo affidamento del soggetto che quei contributi aveva ricevuto in buona fede in misura maggiore del dovuto, per un errore dell’autorità competente non immediatamente riscontrabile, la regione ha eccepito che il riparto di giurisdizione avrebbe dovuto essere invece determinato sulla base della posizione giuridica azionata; e quindi con rilevanza del petitum sostanziale, da identificare non solo in funzione della concreta pronuncia richiesta, ma soprattutto della causa petendi, sulla base dei fatti allegati e del rapporto giuridico del quale sono manifestazione.
Tali fatti, evincibili dai provvedimenti di ricalcolo emessi da Agea, avrebbero dovuto indurre a riscontrare che Agea aveva giustappunto modificato in autotutela i precedenti provvedimenti di attribuzione dei contributi nell’ambito della riserva nazionale perché in contrasto col pubblico interesse, giacché se la rideterminazione non fosse stata compiuta si sarebbe violato l’interesse pubblico al rispetto del plafond di ciascun regime e della parità di trattamento tra gli agricoltori, oltre che il divieto di distorsioni del mercato e della concorrenza secondo quanto stabilito dall’art. 30, par. 4, del Reg. (UE) n. 1307/2013.
Donde in definitiva, a differenza di quanto sostenuto dalla corte territoriale, tutte le censure si sarebbero palesate, nel giudizio di merito, come attinenti al concreto esercizio del potere di agire in autotutela mediante la riduzione lineare.
III. – La Prima sezione civile ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite su due questioni di massima di particolare importanza, così testualmente declinate:
(a) “a quale giurisdizione spetta conoscere la domanda di accertamento negativo del diritto della p.a. di recuperare contributi pubblici nel settore agricolo che sono stati erogati in forza di provvedimenti di attribuzione di finanziamenti, successivamente annullati/revocati o comunque sottoposti ad autotutela (con riduzione lineare operata da Agea a seguito di ricalcolo dei contributi effettivamente dovuti) non per inadempienze del beneficiario, ma per contrasto iniziale con il pubblico interesse;
(b) quale sia la “qualificazione della richiesta della p.a. di restituzione di contributi pubblici nel settore agricolo in base alla normativa UE di riferimento (riduzione lineare ex art. 31, par 1, lett. g), del Regolamento (UE) n. 1307/2013 oppure correzione di precedente errore dell’Amministrazione ex art. 7, par.3, Regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014)” e quale la “interpretazione e applicazione della normativa comunitaria relativa alla formazione della riserva nazionale e (..) della riduzione lineare al fine del ricalcolo dei diritti spettanti alle categorie prioritariamente interessate alla stessa da parte dello Stato membro, nonché relativa all’osservanza degli obblighi statali nei confronti dell’UE in tema di contributi comunitari all’agricoltura”.
IV. – Le ragioni al fondo della prima questione sono state agevolmente tratte dal rilievo che il ricorso incidentale attiene alla giurisdizione, che è materia devoluta alla cognizione delle Sezioni Unite a norma dell’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.
Peraltro, l’ordinanza interlocutoria ha anche aggiunto che sulla questione nodale posta dalla ricorrente incidentale manca una pronuncia delle Sezioni Unite che possa rilevare ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ. quale margine di intervento della sezione semplice, perché ciò che andrebbe accertato è se l’asserita inesistenza del diritto di recuperare gli aiuti sia, nel caso concreto, direttamente collegata alla circostanza per cui i provvedimenti iniziali di attribuzione dei finanziamenti sono stati successivamente annullati o revocati o comunque sottoposti ad autotutela, non per inadempienze del beneficiario, ma per contrasto iniziale con il pubblico interesse.
Sul residuo versante la Prima sezione ha ritenuto che le questioni sollevate sia col il ricorso principale che con quello incidentale si presentano anche come questioni di massima di particolare importanza.
Questo perché col ricorso principale è stato dedotto, tra l’altro, che il recupero sarebbe stato erroneamente valutato dalla corte d’appello come riduzione lineare ex art. 31, par 1, lett. g), del Regolamento (UE) n. 1307/2013, e non quale correzione di precedente errore della p.a. ai sensi del Regolamento di esecuzione (UE) n. 809/2014.
Sicché, fermo che la riduzione lineare è di competenza dello Stato membro, e quindi per l’Italia, di Agea, che non è (e non è stata) parte nel giudizio, e fermo che nel ricorso principale è sostenuto che la riduzione era stata altresì eseguita in maniera non conforme alle disposizioni comunitarie, resterebbe in tal modo veicolata in giudizio una questione complessa di indubbio rilievo nomofilattico. Una questione in vero coinvolgente l’interpretazione e l’applicazione della normativa comunitaria relativa alla formazione della riserva nazionale e l’applicazione della riduzione lineare al fine del ricalcolo dei diritti spettanti alle categorie prioritariamente interessate alla stessa da parte dello Stato membro; la quale non solo si presenterebbe come relativa all’osservanza degli obblighi statali nei confronti dell’UE in tema di contributi comunitari all’agricoltura, ma sarebbe esponenziale di un contenzioso di serialità diffusa, oltre tutto connotato da decisioni di merito fin qui affatto univoche.
V. – Sul piano del metodo, occorre preliminarmente osservare che la questione posta col ricorso incidentale condizionato andrebbe affrontata – a rigore – solo a valle dell’esame dei motivi di cui al ricorso principale, in base al noto insegnamento che, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, converge sulla regola della posposizione: “il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito”; mentre “qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale” (v. Cass. Sez. U n. 5456-09, Cass. Sez. U n. 23318-09, Cass. Sez. U n. 7381-13 e molte altre successive delle sezioni semplici).
E’ tuttavia possibile nel caso concreto derogare a un simile (ortodosso) metodo di trattazione onde dare risposta al primo quesito che l’ordinanza interlocutoria ha formulato in combinazione col tema paventato nel secondo.
Difatti nell’impostazione seguita dall’ordinanza interlocutoria le questioni si presentano come in certo qual modo sincretiche rispetto agli argomenti sviluppati nei ricorsi principale e incidentale. Sicché l’inversione (per così dire) del metodo d’indagine può essere utile per dare risposta unitaria ai quesiti prospettati.
All’esito dell’esame unitario, il ricorso principale è da considerare infondato (e in parte anche inammissibile), così che il ricorso incidentale condizionato resterebbe assorbito. Ma a scopo di chiarificazione deve essere confermato che la giurisdizione sulla domanda avanzata dall’attrice spettava (e spetta) comunque al giudice ordinario, e che la soluzione non sarebbe mutata, dal punto di vista dell’appartenenza della giurisdizione, neppure ove la domanda fosse stata fin dall’inizio rivolta a sostenere l’illegittimità di un recupero di per sé conseguente a riduzione lineare.
VI. – Favorisce la comprensione dei temi una puntualizzazione sull’oggetto del processo.
Dal testo della sentenza impugnata, non contraddetto da nessuna diversa risultanza, emerge che la ricorrente aveva introdotto avanti al tribunale una domanda di accertamento negativo in ordine al diritto della regione di recuperare i contributi già erogati, incentrata sull’essere stato il recupero conseguenza non dell’esercizio di una potestà amministrativa tradotta da un atto illegittimo, sebbene di un previo errore di calcolo dell’autorità competente (Agea); un errore tuttavia insuscettibile di esser scoperto dal destinatario che, in buona fede, aveva percepito le somme; e quindi, secondo l’attrice, insuscettibile di legittimare altresì la riscossione in concreto operata dall’ufficio regionale mediante compensazione.
Che questa fosse la causa petendi emerge dall’avere l’attrice allegato i seguenti fatti: (a) lo svolgimento di attività agricola in zona di montagna svantaggiata, (b) la percezione in buona fede di aiuti comunitari cd. “anti abbandono terre”, calcolati da Agea ed erogati dall’O.p.r., (c) l’avversa pretesa di recupero parziale a causa di un errore di calcolo iniziale di Agea, (d) l’infondatezza della pretesa perché contraria all’art. 7, par. 3, del Reg. (UE) n. 809 del 2014, volta che l’obbligo di restituzione non si applica nel caso in cui il pagamento sia stato effettuato per errore dell’autorità competente, se l’errore non poteva ragionevolmente essere scoperto dal beneficiario.
A fronte di tanto, il principio al quale allude la regione Lombardia – vale a dire che il riparto di giurisdizione muove dal criterio del petitum sostanziale, a sua volta identificabile in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (ex plurimis, Cass. Sez. U n. 20350-18; Cass. Sez. U n. 21928-18, Cass. Sez. U n. 10105-21 e via seguitando) – non giova alla tesi contraria da essa sostenuta nel ricorso incidentale, perché quel principio in ogni caso presuppone che si tenga conto dei fatti allegati in correlazione con l’oggetto della domanda. Ed è assolutamente pacifico che il petitum sostanziale non è automaticamente inciso neppure dalle eventuali repliche che l’attore abbia a svolgere a fronte di avverse eccezioni della p.a. convenuta, le quali devono essere considerate irrilevanti ai fini della individuazione della giurisdizione, a meno che non si sostanzino in una richiesta ulteriore (nella specie non riscontrabile) di accertamento, con efficacia di giudicato, dell’illegittimità di eventuali provvedimenti posti a fondamento delle eccezione stesse (v. Cass. Sez. U n. 28053-18, Cass. Sez. U n. 23536-19, Cass. Sez. U n. 156-20).
Il petitum sostanziale era stato prospettato in considerazione della semplice (affermata) violazione del criterio di correttezza del calcolo iniziale e della corrispondente lesione della buona fede del soggetto percettore; non anche invece – come afferma la regione – in base al profilo della illegittimità dell’autotutela operata da Agea mercé la riduzione lineare a seguito del ricalcolo dei contributi effettivamente dovuti.
Tale ulteriore profilo è quello che la corte d’appello ha ritenuto corrispondere a quanto in concreto era avvenuto sul piano storico e sostanziale.
Il che però non incide affatto sulla giurisdizione, ma integra semplicemente la ragione di rigetto della domanda, atteso che il diverso assunto, unicamente posto dall’attrice a fondamento di quella domanda, era da aversi per infondato quanto al presupposto.
VII. – Nel rispondere al coacervo di interrogativi prospettati dalla Prima sezione è necessario ulteriormente precisare che le finalità della Politica agricola comune (Pac) – v. oggi l’art. 38 e seg. del TFUE – sono state al centro di uno sviluppo storico-normativo alquanto articolato.
Tale sviluppo (dopo il Trattato di Roma del 1957) ha conosciuto diverse fasi, infine confluite nella riforma delle politiche comunitarie attuata nel quadro finanziario della UE.
Non è il caso, ovviamente, di ripercorrere in questa sede le tappe della menzionata progressione storico-normativa.
Va detto invece che la Pac ha subito, in questo senso, nel tempo, l’influenza di istanze di tutela diversamente modulate, le quali, negli ultimi anni, sono state conchiuse nell’obiettivo fondamentale di garantire la sostenibilità esterna degli aiuti senza effetti distorsivi sul versante del mercato.
Inquadrato nel contesto, e per quanto qui interessa, il Reg. (UE) n. 1307 del 2013 ha disciplinato il pilastro dei pagamenti diretti e ha inteso
l’art. 267 del TFUE deve essere a sua volta interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, e risolverla sotto la propria responsabilità, laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio; in questa prospettiva tale giudice nazionale non è tenuto neppure a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte .
Con riguardo ai profili che qui rilevano non è dato rinvenire emergenze giurisprudenziali in ambito europeo tali da indurre a credere che una diversa esegesi delle citate norme sia stata in qualche misura adombrata negli ordinamenti interni di altri Stati o dalla stessa Corte di giustizia.
X. – Così delineato in iure l’ambito della fattispecie, è possibile rispondere ai vari interrogativi formulati dall’ordinanza della Prima sezione.
la qualificazione dell’operazione a monte del recupero implica – come d’altronde bene emerge dal caso di specie – un accertamento di fatto.
La corte d’appello di Milano ha ricostruito l’operazione nell’alveo della riduzione lineare, e tanto ha fatto con motivazione adeguata e immune da errori giuridici.
Da questo punto di vista i motivi del ricorso principale, che vanno dal primo al sesto e che unitariamente sono esaminabili per connessione, si rivelano inammissibili.
Essi invero si risolvono in un tentativo di rivisitazione del giudizio di fatto laddove continuano a sostenere che, invece, quella a monte del recupero era stata non una riduzione lineare ma una mera correzione di un errore di calcolo di Agea.
Questa cosa è affermata (nel primo motivo e nel terzo) in dipendenza del riferimento a produzioni documentali della regione, a proposito di circolari e mail della stessa Agea asseritamente confermative dell’esistenza di un tale errore.
Ma vi è che, invece, la corte d’appello ha concluso diversamente, motivatamente ritenendo non decisive le indicazioni emergenti da quei documenti, ivi compresi quelli integrati dai riferimenti alla dicitura “errori p.a.” e alle “rettifiche finanziarie puntuali” per gli anni 2015 e 2016.
E così facendo ha per l’appunto esaminato sia i documenti che i fatti ivi enunciati, nel contesto di una diversa ricostruzione in ordine alla loro specifica portata.
XIII. – Dopodiché le doglianze svolte sul versante della motivazione sono infondate, sia nella parte allusiva a un vizio ex art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (perché la motivazione dell’impugnata sentenza è ben evincibile in ciascuno dei passaggi argomentativi), sia nella parte tesa a denunziare l’omesso esame di fatti decisivi (v. Cass. Sez. U n. 8053-14).
Così come è infondato riferire (primo motivo, in fine) di una presunta decisività in senso contrario della circolare di Agea del 4-10-2017.
Ciò non solo e non tanto perché tale circolare non risulta colpita da impugnativa nella sede propria (come sottolineato dal procuratore generale nella sua requisitoria), quanto e soprattutto perché – cosa rettamente riferita dalla sentenza impugnata – detta circolare aveva stabilito che si dovesse comunque utilizzare la riserva prioritariamente per soddisfare le categorie privilegiate di giovani e nuovi agricoltori; e in questa direzione, dopo aver indicato la modalità di riduzione dei titoli di riserva per le fattispecie di abbandono terre e compensazione di vantaggi specifici da soddisfare nei limiti del plafond residuo, aveva esplicitamente menzionato (e seguito) le antecedenti circolari del febbraio e del giugno dello stesso anno, esse stesse attinenti – per la necessità di adeguamento al valore medio nazionale del titolo da riserva – alla riduzione lineare.
XIV. – Né serve sostenere – in cassazione – che la riduzione lineare si sarebbe dovuta fare in altro modo.
A valle del primo motivo la ricorrente ha in vero affermato che Agea avrebbe dovuto provvedere mediante una riduzione lineare di tutti i pagamenti di base, e non solo di quelli disposti per le imprese al novero delle quali appartiene la ricorrente stessa. E inoltre che la riduzione non si sarebbe potuta fare dopo i pagamenti eseguiti.
Questo asserto è stato ripreso anche in memoria, mercé l’affermazione che la fisiologica riduzione lineare dei titoli, che può rendersi necessaria ai fini dell’assegnazione dei nuovi titoli da riserva a giovani e nuovi agricoltori, è operazione che riguarda l’intero pagamento di base (andrebbero cioè ridotti tutti i titoli Pac, e non solo la minima frazione di quelli da riserva nazionale); sicché sarebbe da compiersi prima della assegnazione e del pagamento di tutti i titoli, in quanto l’ordinamento eurounitario non consente di qualificare la riduzione di una sola categoria di titoli, peraltro fatta molto tempo dopo l’assegnazione.
Sennonché, anche a voler prescindere dalla considerazione che la censura è rivolta contro Agea, essendo la riduzione opera di Agea – e Agea non è stata evocata in giudizio –, è da osservare che il rilievo della ricorrente implica un mutamento della domanda.
Non risulta in prospettiva di autosufficienza, ed è anzi smentito dalla stessa narrativa operata dalla ricorrente, che l’azione di accertamento negativo – svolta nei soli confronti dell’Organismo regionale pagatore – sia stata affidata ad altro che all’esigenza di ovviare a un precedente errore di calcolo.
Ne segue che per questa specifica parte il primo motivo di ricorso è addirittura (per l’appunto) inammissibile.
E’ inoltre (comunque) anche infondato nella tesi che ne fa da supporto, perché la riduzione lineare corrisponde a un obbligo dello Stato membro espressamente stabilito dagli artt. 7, 30 e 31 del Reg. (UE) n. 1307 del 2013, onde garantire, prioritariamente, le categorie considerate nel rispetto dei principi generali in tema di concorrenza e parità di trattamento.
Come esattamente sottolineato dalla corte d’appello, la riduzione lineare non può che essere esercitata in un momento successivo alla presentazione delle domande degli interessati, oltre che all’individuazione delle categorie cui gli stessi appartengono e all’identificazione di quelle da soddisfare prioritariamente in base al plafond annuale di spesa.
In vero deve essere precisato che è fisiologico (per ripetere l’espressione utilizzata dalla ricorrente) che la riduzione avvenga non solo dopo l’attribuzione, ma anche dopo il pagamento.
E ciò per due ragioni, concorrenti e coordinate tra loro.
Innanzi tutto perché il soggetto giuridico che esegue il pagamento è l’Organismo pagatore regionale (O.p.r.), che per l’Italia (e segnatamente per la regione Lombardia) è soggetto diverso dall’autorità nazionale di coordinamento (Agea) alla quale, in base alle previsioni eurounitarie, spetta di autorizzare i contributi in agricoltura e di procedere, eventualmente, ai necessari ricalcoli in riduzione.
In secondo luogo perché l’O.p.r. è tenuto a eseguire i pagamenti entro termini specifici (art. 75 del Reg. (UE) n. 1306 del 2013), sulla base delle domande ricevute in ambito regionale:
In questa complessiva condizione è ben comprensibile che la riduzione lineare da parte dell’autorità nazionale di coordinamento, supponendo il ricalcolo – in ragione dei criteri all’inizio citati – dei diritti già assegnati dopo la verifica di ammissibilità delle domande, avvenga allorché sia stato già eseguito, nei più stringenti termini, il relativo pagamento da parte dell’O.p.r.
XV. – Solo per completezza deve infine osservarsi che è inammissibile la doglianza (secondo motivo di ricorso) basata sulla regola di riparto dell’onere della prova.
Su tale aspetto la ricorrente ha particolarmente insistito durante la discussione in udienza.
Ma il motivo non coglie che la corte territoriale non ha deciso la causa in base alla regola di riparto, quanto piuttosto mediante la specifica valutazione degli elementi acquisiti.
Ne deriva che la menzionata doglianza è infondata nel suo stesso presupposto, e da questo punto di vista non riflette neppure la ratio decidendi della sentenza impugnata.
XVI. – Resta assorbito il settimo mezzo.
XVII. – Il ricorso principale è rigettato, con assorbimento di quello incidentale.
Vanno fissati i seguenti principi:
– nell’ambito delle finalità della cd. Pac (Politica agricola comune) il Regolamento (UE) n. 1307 del 2013, disciplinando l’istituto dei pagamenti diretti, impone che
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili,
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 02 marzo 2023, n. 6356, per SS.UU, 15 novembre 2023, n. 31730, in tema di contributi pubblici
SS.UU, 15 novembre 2023, n. 31730, in tema di contributi pubblici
Nota dell'Avv.ta Maria Luisa Avellis
Riparto giurisdizione ed erogazione di contributi pubblici
1. Il principio di diritto
E’ sempre devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario la controversia su sovvenzioni pubbliche riconosciute direttamente dalla legge, in tutti i casi in cui la normativa di riferimento subordini la possibilità dell’interessato di godere dei benefici al solo accertamento, ad opera della pubblica amministrazione, della sussistenza delle condizioni a tal fine previste, senza che all’autorità amministrativa sia demandato alcun apprezzamento discrezionale, né sull'an, né sul quid, né sul quomodo.
2. La fattispecie e la questione di giurisdizione
Il caso è relativo a finanziamenti e contributi comunitari diretti agli agricoltori al fine di coordinare la politica agricola nella Comunità Europea (c.d. aiuti P.A.C.).
Il Regolamento (UE) n. 1307 del 2013, di disciplina dell’istituto dei pagamenti diretti, impone che gli importi destinati al finanziamento in agricoltura siano rispettosi dei massimali annui stabiliti dal Regolamento (UE) n. 1306 del 2013, così che l’importo totale di tali pagamenti, concedibili in uno Stato membro per un dato anno, non può essere superiore al corrispondente massimale stabilito nell’allegato III dello stesso Regolamento.
Al superamento di tale massimale, l’autorità nazionale di coordinamento (per l’Italia, AGEA) è obbligata a praticare una riduzione lineare degli importi di tutti i pagamenti diretti, eccezion fatta per quelli concessi a norma dei Regolamenti (UE) nn. 228 e 229 del 2013.
Tale riduzione, precisa la Cassazione, non è suscettibile di essere eseguita anche – e soprattutto – dopo il pagamento del contributo, e non è confondibile con la mera rettifica degli importi corrisposti per effetto di un errore di calcolo commesso in fase di erogazione, sicché a essa non si applica l’art. 7 del Regolamento (UE) n. 809 del 2014.
Ciò posto, l’ordinanza interlocutoria ha sollevato la necessità di accertare, da parte delle Sezioni Unite, “se l’asserita inesistenza del diritto di recuperare gli aiuti sia direttamente collegato alla circostanza per cui i provvedimenti iniziali di attribuzione dei finanziamenti sono stati successivamente annullati/revocati o comunque sottoposti ad autotutela non per inadempienze del beneficiario, ma per contrasto iniziale con il pubblico interesse”.
Nello specifico, una società agricola ha avanzato domanda di accertamento negativo in ordine al diritto della Regione di recuperare i contributi già erogati in eccesso, riferendo un errore di calcolo che AGEA aveva asserito, con comunicazione a mezzo mail, di aver commesso.
Con la costituzione della Regione, l’oggetto del giudizio è stato ampliato, introducendo il tema della natura vincolata del ricalcolo del contributo erogato per rispetto dei massimali posti dalla normativa comunitaria.
Causa pentendi e petitum sostanziale, dunque, non sono stati incentrati sulla contestazione di un cattivo esercizio di una potestà amministrativa tradottasi in un atto illegittimo, tale da consentire il radicamento della giurisdizione del Giudice amministrativo, ma sulla lesione della buona fede del soggetto percettore (ricostruzione ritenuta infondata).
3. Riflessioni conclusive
Nel confermare la giurisdizione del Giudice ordinario, le Sezioni Unite non si discostano dalla propria tradizionale impostazione, che, al fine della individuazione della giurisdizione, pone l’accento sulla prospettazione attorea del petitum e della causa petendi, rispetto alla quale non possono avere incidenza le eventuali diverse ricostruzioni di parte convenuta.
La Cassazione richiama espressamente le proprie recenti pronunce nn. 9634/2023 e n. 9816/2023, parimenti occasionate da fattispecie nelle quali la causa petendi ed il petitum sono stati incentrati sulla mera rispondenza tra la spettanza di un beneficio economico ed il ricorrere di determinati presupposti predeterminati ex lege: in tutti questi casi, precisa la Cassazione, si controverte di diritti attribuiti dal legislatore con norme che sono espressione del principio di legalità “in senso fortissimo”, rispetto ai quali non vi è spazio per l’esercizio del potere amministrativo.