Civile Ord. Sez. U Num. 27140 Anno 2023
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA
Data pubblicazione: 22/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso 6976-2021 proposto da:
ERNST & YOUNG S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo STUDIO BONELLIEREDE WITH LOMBARDI, rappresentata e difesa dagli avvocati LUCA RAFFAELLO PERFETTI, CLAUDIO TESAURO e SARA LEMBO;
– ricorrente –
contro
AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
nonché contro
CONSIP S.P.A., KPMG S.P.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5899/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 06/10/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale STANISLAO DE MATTEIS, il quale conclude chiedendo alle Sezioni Unite della Corte di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 6 ottobre 2020, n. 5899, il Consiglio di Stato, in riforma della decisione del T.a.r. Lazio n. 11004/2018, ha respinto il ricorso proposto dalla Ernst & Young s.p.a. contro l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, volto all’annullamento del provvedimento sanzionatorio relativo ad un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 Tfue.
Il provvedimento dell’AGCM aveva accertato, nei confronti della predetta società e di altre otto società del settore, l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, consistente in una pratica concordata finalizzata a condizionare gli esiti della gara bandita dalla Consip s.p.a. per l’affidamento dei servizi di supporto e assistenza per la sorveglianza dei programmi cofinanziati dall’Unione europea, irrogando la sanzione di € 8.563.021; ed il T.a.r. del Lazio aveva accolto il ricorso nei soli limiti di una riduzione della sanzione.
Adìto con l’appello principale dell’AGCM e con l’appello incidentale della società, il Consiglio di Stato ha accolto il primo e respinto il secondo, respingendo l’originario ricorso.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che gli elementi documentali di prova in atti siano sufficienti a dimostrare in modo pieno l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, palesata dall’avere le principali imprese del settore posto in essere una pratica concordata, mediante cooperazione tra di esse, indicativa della concertazione operata nella gara de qua.
In particolare, ha ritenuto, al pari del primo giudice, che i documenti in atti (numerose email, corrispondenza, commenti post gara, anomalie intrinseche nelle singole offerte economiche) provino l’esistenza di condotte parallele delle imprese interessate, la cui unica spiegazione è nell’accordo raggiunto per minare la concorrenza nella gara, evitando di competere, mediante la tecnica di presentare ciascuna sconti più elevati nei lotti ad ognuna dall’accordo riservati e presentando mere “offerte di appoggio” inidonee per gli altri, del pari nella misura equivalente, in tal modo senza mai sovrapporsi alle altre imprese, e ciò per ben nove lotti della gara, senza che tali condotte trovassero alcuna spiegazione alternativa, mentre le spiegazioni fornite sono inidonee a superare la prova raggiunta.
Circa la misura della sanzione, ha ritenuto fondato l’appello dell’Autorità, non condividendo il convincimento del T.a.r., cha aveva reputato grave, ma non segreta la condotta tenuta con conseguente necessità per l’Autorità di ricalcolare la sanzione comminata.
Avverso questa sentenza è proposto ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione, sulla base di un motivo.
Ha depositato il controricorso l’Autorità garante, mentre non hanno svolto difese gli altri intimati.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
La ricorrente ha depositato anche la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’unico motivo deduce la violazione degli artt. 7 d.lgs. n. 3/2017, 6 Cedu e del principio della full jurisdiction, ai sensi degli artt. 111, comma 8, Cost., 362, comma 1, cod. proc. civ., e 110 c.p.a., in ragione del diniego di giurisdizione, per avere il Consiglio di Stato, in luogo di accertare i fatti, solo aderito alle ragioni del provvedimento dell’Autorità sanzionante, riproponendone pedissequamente le argomentazioni ed omettendo di accertare direttamente i fatti. In particolare, si deduce che il Consiglio di Stato avrebbe: i) omesso di accertare in via diretta i fatti storici su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM; ii) trascurato fatti storici il cui esame avrebbe consentito di fornire spiegazioni alternative e razionali della condotta oggetto di contestazione. Ciò risulterebbe dai documenti in atti, che non costituiscono affatto riscontri oggettivi alla pretesa condotta anticoncorrenziale, essendo la “verità” diversa da quanto ritenuto dal giudice amministrativo, senza pieno e diretto scrutinio dei fatti di causa.
In subordine, la ricorrente chiede di sottoporre alla Corte di giustizia ex art. 267 Tfue la questione pregiudiziale se il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale «osti ad un sistema processuale che consenta al giudice del ricorso di effettuare una analisi non completa dei fatti di causa e di non riscontrare e/o non esaminare circostanze di fatto che rilevano rispetto alla motivazione dell’autorità nazionale di concorrenza e sono decisive ai fini dell’accertamento di contatti qualificati e/o di spiegazioni plausibili alternative».
2. – Il motivo è inammissibile.
2.1. – Secondo principio consolidato presso le Sezioni unite, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) – nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento (tra le altre, Cass., sez. un., n. 8311/2019; n. 19675/2020; n. 15573/2021; n. 11549/2022; n. 14301/2022).
Si è da tempo chiarito, in particolare, che il motivo, con il quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta (cfr. Cass., sez. un., 6 giugno 2017, n. 13976; in precedenza, già Cass., sez. un., n. 3037/2013 e n. 14211/2005; in séguito, v. Cass., sez. un., n. 37522/2021; n. 19675/2020; n. 8842/2020, non massimata; n. 20169/2018; n. 16973/2018, ed altre).
Al contrario, non può essere sindacato innanzi alle Sezioni unite l’errore che non si risolva nel rifiuto di esercitare la giurisdizione, bensì nel suo denunziato cattivo esercizio.
Il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione, e tuttavia nell’esercitarla applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore interno e, se tale errore porti a negare tutela alla situazione fatta valere, si ha una mera valutazione di infondatezza – in senso lato, occorre precisare, quindi comprendente anche la pronuncia in rito – della richiesta di tutela; e ciò, ancorché la statuizione, in quanto proveniente dal giudice di ultimo grado della giurisdizione adìta, comporti che la situazione rimanga priva di tutela giurisdizionale.
Ciascuna giurisdizione si esercita, infatti, con l’attribuzione, all’organo di vertice interno al plesso giurisdizionale, del controllo e della statuizione finale sulla correttezza in facto ed in iure di tutte le valutazioni necessarie a decidere sulla controversia, onde non è possibile prospettare che il modo in cui tale controllo viene esercitato dall’organo di vertice della giurisdizione speciale – ove pure si sia risolto nel negare tutela alla situazione giuridica azionata – sia suscettibile del controllo da parte delle Sezioni unite, assumendosi quindi che la negazione di tutela in concreto, con l’applicazione da parte del giudice speciale delle regole sostanziali e processuali interne alle controversie devolute alla sua giurisdizione, si sia risolta in un vizio di violazione delle regole di giurisdizione.
2.2. – Non muta le conclusioni la mera circostanza che sia denunziata, in ragione dell’assunto di un mancato completo accertamento dei fatti storici, la violazione del principio della full jurisdiction sulle sanzioni amministrative, quale pienezza della tutela giurisdizionale (artt. 6 Cedu e 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), secondo cui è sancito il diritto che la questione relativa alla legittimità della sanzione comminata sia sottoposta ad un organo indipendente e imparziale, dotato del potere di esercitare un sindacato pieno sulla fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte amministrative.
Il preteso mancato esame completo dei fatti si risolverebbe, invero, anch’esso in un error in procedendo o in iudicando, non sindacabile col ricorso alle Sezioni unite.
Al giudice amministrativo compete il “giudizio sul fatto”, posto a fondamento del provvedimento amministrativo, concernente l’esistenza o l’inesistenza delle circostanze concrete prese in considerazione dalla p.a. nel provvedimento impugnato (cfr. Cass., sez. un., ord. 5 giugno 2023, n. 15706).
Quando il rigetto del ricorso sia stato determinato da una ricostruzione asseritamente inesatta della vicenda sottoposta all’esame del giudice amministrativo, non sussiste un motivo inerente alla giurisdizione, se essa non si traduca anche nell’esclusione dell’astratta tutelabilità della situazione soggettiva fatta valere con la domanda, bensì nell’accertamento della sua infondatezza (cfr. Cass., sez. un., 30 agosto 2022, n. 25505; 16 febbraio 2022, n. 5121; nonché le non massimate Cass. 13 maggio 2020, n. 8842, 31 ottobre 2018, n. 27755 e 21 febbraio 2018, n. 4231).
2.3. – La medesima conclusione si impone, laddove si affermi che la decisione impugnata abbia motivato per relationem allo stesso provvedimento amministrativo di cui era denunziata la illegittimità.
L’obbligo motivazionale del giudice ammette che la giustificazione del suo decisum sia legittimamente espressa recependo gli argomenti di altri scritti agli atti del processo, purché sia preservata la riferibilità al medesimo, quale risultato dell’attività critica del giudice naturale. La motivazione di un provvedimento giurisdizionale può ben riprodurre il, o rinviare al, contenuto di un atto diverso processuale, di provenienza di un altro giudice, delle parti o di terzi, purché le ragioni della decisione siano chiare ed attribuibili al risultato della volizione al giudicante, che le abbia “fatte proprie” quale volontà oggettivata dello Stato. Il giudice può motivare per relationem, anche quanto alla ricostruzione dei fatti oggetto di prova, purché sia apprezzabile l’autonomo processo cognitivo e deliberativo del giudicante; ciò che rileva è il dato funzionale della comprensione della decisione e l’intelligibilità del percorso argomentativo.
Posti tali principî, peraltro, occorre rilevare che in nessun caso si tratterebbe della fattispecie della negazione della tutela in astratto, ma solo in concreto, e non sarebbe quindi integrato un motivo inerente alla giurisdizione, ma semmai la meramente ipotizzata, nella stessa prospettazione, sussistenza di un error in iudicando o in procedendo, i quali esulano dall’ambito del sindacato spettante alle Sezioni Unite in sede di violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
2.4. – In particolare, si è molte volte già ritenuto che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, pur non estendendosi al merito con conseguente sostituzione di un proprio provvedimento con quello impugnato, comporti la verifica diretta dei fatti posti a fondamento dell’atto e si estenda anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicarne della legittimità, salvo non includano valutazioni ed apprezzamenti che presentino un oggettivo margine di opinabilità, nel qual caso il sindacato è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante (cfr. Cass., sez. un., ord. 13 febbraio 2023; 21 dicembre 2022, n. 37404; 6 settembre 2022, n. 26165; 28 giugno 2022, n. 20634; 5 maggio 2022, n. 14301; 5 maggio 2022, n. 14283; 5 maggio 2022, n. 14257; 5 maggio 2022, n. 14255; 3 novembre 2021, n. 31311; ed ancora Cass., sez. un., n. 8093/2020; n. 11929/2019; n. 30974/2017; n. 1013/2014).
Si tratta di concetti espressi in modo costante e ripetuto, ben prima dell’incardinarsi del presente ricorso.
2.5. – È da dire che il ricorso si colloca nel momento successivo al consolidarsi dell’attuale orientamento di legittimità sopra indicato, e del superamento dal più ampio orientamento precedente, che attribuiva alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale la più estesa accezione di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, quale causa di denegata giustizia (in tal senso cfr. SU n. 2242 del 6 febbraio 2015 e n. 31226 del 29 dicembre 2017), nel rispetto delle linee tracciate da Corte cost. n. 6 del 2018.
Tuttavia, auspica una rimeditazione dell’attuale orientamento, con ritorno ad una maggiore ampiezza del sindacato della Corte, richiamando a questo scopo l’ordinanza interlocutoria n. 19598 del 2020, con la quale le Sezioni Unite della Corte, previa un’ampia ricognizione dei precedenti, sottoponevano alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali, tutte connesse al tema se la mancata applicazione del diritto dell’Unione ovvero il mancato esercizio dell’obbligo di rinvio pregiudiziale proprio da parte del Consiglio di Stato quale giudice amministrativo di ultima istanza diano luogo ad un’usurpazione della competenza interpretativa esclusiva della Corte di giustizia in materia di diritto dell’Unione e, come tali, costituiscano un eccesso di potere, scrutinabile dalla Cassazione.
Peraltro, l’ambito concettuale dell’ordinanza n. 19598 del 2020 non coincide con quello della controversia in esame, perché la predetta ordinanza ipotizza il diniego di giurisdizione soltanto quando il giudice nazionale neghi l’accesso alla tutela, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia che invece quella tutela ammette.
È, tuttavia, dirimente il fatto che tra la proposizione del ricorso e l’attuale decisione è intervenuta la decisione della Corte di giustizia dell’Unione del 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad, la quale rispondendo ai quesiti posti dal rinvio pregiudiziale di questa Corte ha affermato che non osta al diritto dell’Unione, sotto il profilo dell’esistenza di una tutela effettiva ed equivalente rispetto alle posizioni soggettive garantite dal diritto interno, una disposizione normativa nazionale, come quella italiana, che impedisce di contestare la conformità al diritto europeo di una sentenza del Consiglio di Stato dinanzi alla Corte di Cassazione.
L’atteggiamento di self restraint adottato dalle Sezioni Unite dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 ha dunque superato il vaglio di compatibilità con il diritto dell’Unione europea, sollecitato dalla predetta ordinanza interlocutoria, ed ha ricevuto conferma nella giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza della Corte di Giustizia del 21 dicembre 2021: la declaratoria d’inammissibilità del ricorso non incide sull’effettività della tutela giurisdizionale o sui principî del giusto processo, i quali ammettono tale esito (cfr., fra le tante Cass., sez. un., 4 ottobre 2022, nn. 28803 e 28800; 29 settembre 2022, n. 28431; 30 agosto 2022, n. 25503; 28 luglio 2022, n. 23657; 8 aprile 2022, n. 11549; 16 febbraio 2022, n. 5121; 31 gennaio 2022, n. 2879; 24 gennaio 2022, n. 1996; 18 gennaio 2022, n. 1454).
2.6. – Nel caso di specie, in cui la violazione della giurisdizione viene argomentata con l’assunto che il giudice amministrativo, nello svolgimento del giudizio sulla legittimità del provvedimento innanzi a sé impugnato ed asseritamente lesivo, sarebbe pervenuto a negare la tutela giurisdizionale richiestagli sulla base di una ricostruzione dei fatti errata, la questione posta esula del tutto dal controllo sui limiti esterni della giurisdizione demandato alle S.U.
In base ai principî esposti, il ricorso si palesa dunque inammissibile ex art. 360-bis c.p.c.
Il Consiglio di Stato si è limitato a stabilire se sussistesse o mancasse la prova della condotta materiale, ritenuta illecita dall’Autorità garante, ritenendo che delle condotte vi fosse la prova, come gli era indubitabilmente consentito, ed in tal senso ha autonomamente deciso, altro essendo l’avere ritenuto convincenti gli argomenti del provvedimento impugnato, che ha ritenuto consapevolmente ed ammissibilmente di fare propri.
Ancor prima, la prospettazione della ricorrente, indipendentemente da ogni valutazione sulla correttezza del convincimento esposto dalla sentenza impugnata, non evidenzia che il Consiglio di Stato abbia rifiutato di esercitare la giurisdizione o che la sua decisione si sia risolta in un sostanziale diniego del suo esercizio, ma evidenzia un asserito error in iudicando o in procedendo, che il giudice speciale avrebbe commesso nell’esercizio della sua giurisdizione.
Onde occorre concludere che nel caso di specie il diritto processuale nazionale consente, di per sé, agli interessati di proporre un ricorso dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale, costituito dalla giurisdizione amministrativa in primo ed in secondo grado, con la possibilità piena di far valere in modo effettivo dinanzi ad esso ogni violazione denunziata, ed esiste il rimedio giurisdizionale idoneo, che consente di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, essendo coerente con questo che spetti al Consiglio di Stato, quale organo di vertice della giustizia amministrativa, la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia di cui trattasi.
Previo esame dei fatti e delle risultanze istruttorie, l’organo di vertice della giustizia amministrativa ha autonomamente ricostruito la rilevanza giuridica delle condotte dei soggetti coinvolti, concludendo per l’esistenza della condotta materiale imputata. In tal modo il Consiglio di Stato ha svolto un’attività interpretativa e di apprezzamento degli elementi di causa, che costituisce una prerogativa tipica della funzione giurisdizionale e non può dunque integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost.
A ciò si aggiunga che il motivo è poi inammissibile anche perché, pur denunciando il superamento dei limiti esterni della giurisdizione, tenta direttamente di rimettere in discussione il merito della valutazione operata sui fatti di causa.
2.7. – Non vi è, dunque, spazio neppure per una nuova rimessione della questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 Tfue alla Corte UE, essendo la relativa richiesta inammissibile, in ragione di quanto sopra evidenziato circa il potere di questa Corte di vagliare, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., esclusivamente il rispetto, da parte del giudice speciale, dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione europea su cui veicolare quesiti interpretativi.
3. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della Autorità controricorrente, che liquida in € 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti per il versamento di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre
Allegati:
SS.UU, 22 settembre 2023, n. 27140, in tema di diniego di giurisdizione
Nota dell’Avv. Francesco Calosso
Diniego di giurisdizione e sindacato delle Sezioni Unite
1. Il principio di diritto
Il motivo, con il quale venga denunciato un diniego di giurisdizione da parte del Giudice amministrativo, rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice.
Al contrario, non può essere sindacato innanzi alle Sezioni unite l’errore che non si risolva nel rifiuto di esercitare la giurisdizione, bensì nel suo denunziato cattivo esercizio.
2. La fattispecie
Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi in ordine alle forme ed alla portata del rifiuto di giurisdizione, quale motivo che può formare oggetto di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 362, c. 1, c.p.c..
Nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha confermato, sulla base di elementi di fatto presenti agli atti, l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza idonea a condizionare gli esiti di una gara pubblica, così come precedentemente accertato da un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, confermato dal T.A.R. in sede di primo grado.
La ricorrente ha censurato dinanzi alla Suprema Corte l’asserito diniego di giurisdizione del Giudice di secondo grado, il quale si sarebbe limitato ad aderire alle ragioni del provvedimento dell’Autorità indipendente, riproponendone di fatto le argomentazioni, senza accertare direttamente i fatti, con conseguente ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale, censurabile in sede di legittimità.
La Corte di Cassazione, aderendo ad un indirizzo giurisprudenziale di legittimità consolidato (cfr., SS.UU, n. 25505/2022; n. 5121/2022; n. 8842/2020), rileva l’inammissibilità del motivo di ricorso, statuendo come l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile per motivi attinenti alla giurisdizione, possa/debba essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (invasione/sconfinamento/arretramento), nonché di difetto relativo di giurisdizione, per il caso di violazione dei c.d. limiti esterni della giurisdizione, senza che tale indagine possa estendersi alle ipotesi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero anche di “stravolgimento” della normativa di riferimento.
3. Riflessioni conclusive
In sintesi, le Sezioni Unite chiariscono come non sia possibile sindacare innanzi ad esse il diniego di tutela espresso dal giudice speciale sulla base di una ricostruzione (asseritamente) errata dei fatti, in quanto non qualificabile come rifiuto di esercizio della giurisdizione.