Civile Ord. Sez. U Num. 18880 Anno 2023
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: IOFRIDA GIULIA
Data pubblicazione: 04/07/2023
ORDINANZA
sul ricorso 8640-2022 proposto da:
SOCIETÀ MARLIN S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCELLO BRESCIA MORRA e LODOVICO VISONE;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CENTOLA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO FIORENTINO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ANNUNZIATA;
– controricorrente –
contro
CAPUANO CLAUDIO, CAPUANO GIULIANO, CIMMINO MARIA, COZZOLINO FRANCESCO, DE MARE ANGELA, DI MATOLA LUISA, IAMONE EMILIA, SIBILLO FABIO, DI COSTANZO NICOLA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 149/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 10/01/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 149/2022, pubblicata il 10/1/2022, – nei giudizi riuniti promossi dalla Marlin srl nei confronti del Comune di Centola e di alcuni soggetti privati, al fine di sentire annullare la determinazione n. 18079/2017 del Comune resistente, recante diniego di proroga del termine di ultimazione dei lavori richiesto, nel 2015, dalla Marlin, in relazione al titolo edilizio n. 1005 del 28/10/2010, rilasciato dal suddetto Comune per la ristrutturazione ed il recupero di un villaggio turistico preesistente nella costa cilentana, in località Palinuro, frazione del Comune di Centola, declaratoria di decadenza del permesso di costruire e sospensione dell’ulteriore corso dei lavori, nonché l’ordinanza di demolizione n. 1/2018 in data 9/3/2018, con la quale erano stati contestati alla società una serie di abusi edilizi, in primis il «mutamento della destinazione d’uso di tutte le unità abitative , da strutture turistiche ricettive a rotazione d’uso extra alberghiere assentite a civile abitazione», e la nota prot.n. 6184 del 2/8/2018 del S.U.A.P. Cilento di ordine di sospensione delle attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi con riferimento agli interventi di variante in corso d’opera di cui alla SCIA 4640/2018, – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva, per quanto in questa sede interessa, respinto tutti i motivi a sostegno dei tre ricorsi riuniti.
In particolare, i giudici d’appello hanno : a) respinto i motivi di gravame concernenti l’illegittimità del diniego di proroga del termine di ultimazione dei lavori, ribadendo la correttezza della decisione del Comune in ordine alla tardività della presentazione dell’istanza di proroga, ex art.15, commi 2 e 3, DPR 380/2001, allorché il titolo edilizio risultava ormai decaduto per intervenuta scadenza del relativo termine di efficacia, dovendosi escludere che i vari fattori invocati dalla Marlin possano avere avuto un’automatica efficacia sospensiva del termine, con conseguente irrilevanza del riferimento, presente nel provvedimento amministrativo impugnato, ai «giorni di pioggia»; b) respinto anche i motivi concernenti le contestazioni edilizie (incluso il mutamento di destinazione d’uso) e l’ordine di demolizione conseguente, rilevando che l’area di interesse ricade in zona «G5 Zona di insediamento extralberghiero» e, in parte, in zona «G 3 Zona di insediamento extra-alberghiero esistente», rispetto alle quali il Comune di Centola ha previsto esclusivamente interventi di riqualificazione con trasformazione di «preesistenze di modesta specializzazione tipo camping in villaggi turistici, così come definiti dalla legge regionale n. 13/93», e che il decreto dirigenziale della Giunta Regionale Campania n. 10/2013, recante la rimozione del vincolo di destinazione per la struttura turistico-alberghiera de qua, che consentiva il mutamento di destinazione d’uso in residenziale, è stato dichiarato inutiliter data con delibera del consiglio comunale n. 43/2013 (oggetto di impugnazione con altro ricorso respinto dal TAR con decisione non impugnata), cosicché l’unica destinazione dell’area è quella originaria per villaggi turistici e «anche a voler aderire alla tesi della destinazione a casa vacanze, nel caso di specie» si finirebbe per esorbitare dalla univoca destinazione d’uso.
Avverso la suddetta pronuncia, la Società Marlin srl propone ricorso per cassazione, notificato tra il 21/3/2022 e il 29/3/2022, affidato a due motivi, nei confronti di Comune di Centola, Claudio Capuano, Giuliano Capuano, Maria Cimmino, Francesco Cozzolino, Angela De Mare , Luisa Di Matola, Emilia Iamone, Fabio Sibilio e Nicola Di Costanzo (che non svolgono difese).
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente Marlin lamenta: a) con il primo motivo, la violazione degli artt.111, comma 8°, Cost., 37 c.p.c. e 34, comma 2, c.p.a., per avere il Consiglio di Stato esorbitato dai suoi poteri giurisdizionali ed esercitato quelli dell’Amministrazione attiva; b) con il secondo motivo, la violazione dell’art.118, comma 8°, Cost., in relazione all’art.37 c.p.c. ed al principio di soggezione del giudice alla legge di cui all’art.101, comma 2°, Cost.
Si denuncia che il Consiglio di Stato avrebbe «travalicato i limiti della propria giurisdizione», avendo sostanzialmente effettuato la valutazione di competenza del Comune, ponendo in essere «la tipica funzione di amministrazione attiva».
Invero, a fronte di doglianze volte ad evidenziare (cfr. pag. 5-6 del ricorso) che il T.A.R. Campania aveva sostituito integralmente la motivazione addotta dall’amministrazione in punto di proroga e che era andato oltre i limiti del riscontro della legittimità del provvedimento impugnato, essendosi sostituito all’amministrazione anche sul diverso tema – totalmente estraneo al provvedimento impugnato – di ciò che la legge regionale Campania n. 17/01 consente di realizzare in zona G3 e GS del Comune di Centola, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile la prima censura, per tardività della deduzione (in quanto veicolata non con il ricorso, ma con successiva memoria) che il termine di validità del PAV era stato prorogato di tre anni, con la legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, (art. 30, comma 3bis), e ha ritenuto infondata la censura concernente il mutamento di destinazione sul presupposto che la destinazione prescelta sia stata esclusivamente quella dei «villaggi turistici», con la conseguenza che, anche volendo aderire alla tesi della destinazione a «case vacanze», nel caso di specie si finisce per esorbitare dalla univoca destinazione d’uso.
Secondo la ricorrente, si sarebbe dunque superato il confine tra amministrazione attiva e giurisdizione di legittimità, superamento che si risolve in radicale difetto di giurisdizione per indebita invasione del campo riservato all’Amministrazione attiva, nella parte in cui, il T.A.R., prima, il Consiglio di Stato, poi, preso atto dell’inconsistenza della ragione addotta dal Comune a fondamento dell’ordine di demolizione, hanno ritenuto di poter sostituire a quella ragione una (totalmente) diversa giustificazione, e cioè che in quella «zona» erano consentite non tutte le opere definite «strutture turistiche extralberghiere» dalla legge, ma solo i «villaggi turistici». In seconda battuta, si afferma che il Consiglio di Stato si sarebbe sostituito all’amministrazione laddove ha espresso «la necessità che ogni sospensione -anche se disposta con provvedimento generale, come l’ordinanza sindacale che vieti ogni lavoro edile nei mesi di luglio ed agosto- sia formalizzata in un apposito provvedimento “ricognitivo“».
Con la memoria, la ricorrente ha depositato successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 8270/2022 del 26/9/2022, con la quale il giudice amministrativo ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla società Marlin (fondato sull’asserito errore di fatto posto in essere dal Consiglio di Stato in punto di proroga ex lege, biennale e non triennale, del termine di ultimazione dei lavori) avverso la sentenza n. 149/2022, qui impugnata per motivi di giurisdizione.
2. Il ricorso è inammissibile.
L’art. 111, ult. comma, Cost., dispone che il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione», ripetendo sostanzialmente la formula del primo comma, n. 1, dell’art. 360 e del primo comma dell’art. 362 cod. proc. civ., cui si sono aggiunti, più di recente, l’art. 110 cod. proc. amm. e l’art. 207 cod. giust. cont. e l’aggettivo «soli» sta chiaramente ad indicare il carattere limitativo della previsione costituzionale: limitativo, cioè, rispetto all’ambito del sindacato esercitabile dalla Corte di cassazione sulle sentenze dei giudici speciali in genere, consentito invece per qualsiasi «violazione di legge» dal penultimo comma del medesimo art. 111 Cost.
Nella giurisprudenza di queste Sezioni unite è costante l’affermazione che il sindacato da esse esercitato sulle sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti ha per oggetto l’osservanza dei soli «limiti esterni» della giurisdizione (a fronte di pronuncia su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale), non già dei suoi limiti interni, che ricomprendono, in genere, gli errori «in iudicando» o «in procedendo», ossia le violazioni delle norme sostanziali o processuali, e che pertanto non costituiscono vizio attinente alla giurisdizione (tra i numerosissimi precedenti Cass. Sez. Un. 12/06/1999, n. 325; 04/11/2002, n. 15438; 19/02/2004, n. 3349), ancorché si siano concretati in violazioni dei principi del giusto processo consacrati nel novellato art. 111 Cost.
In particolare, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 6/2018 (ove si è affrontato il tema in modo approfondito, superando radicalmente le precedenti oscillazioni giurisprudenziali e disattendendo la tesi, emersa in alcune pronunce di questa Corte, che propugnava un certo ampliamento del concetto di «motivi inerenti alla giurisdizione», attraverso una interpretazione che estendeva il perimetro del controllo della Cassazione in ulteriori ambiti, variamente definiti dalle singole pronunce), volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonché i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111, comma 8, Cost., «il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per «invasione» o «sconfinamento» nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per «arretramento» rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un “error in iudicando”, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione» (Cass. Sez. Un. n. 8311/2019).
Il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, comma 8, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include quindi il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori «in iudicando» o «in procedendo», senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il «proprium» distintivo dell’attività giurisdizionale (Cass. Sez. Un. n. 27770/2020; Cass. Sez. Un. n. 29653/2020; Cass. Sez. Un. n. 19244/2021).
Questa Corte ha, di recente (Cass. Sez. Unite, Ord., 30 novembre 2021, n. 37552), chiarito ulteriormente: « [è] naturale che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere letta in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perché la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame. Non per questo, però, ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111 Cost., comma 8, e dall’art. 362 c.p.c., e art. 207 del codice di giustizia contabile. Ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice speciale verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario: ciò che la norma costituzionale e le disposizioni processuali dianzi richiamate non sembrano invece consentire (Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19085). Si è ribadito (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2018, n. 32773; Cass., Sez. Un., 9 aprile 2020, n. 7762) che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali o processuali, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione».
Si deve poi ricordare che «l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 3, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, è configurabile solo quando l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione. Il che vuoi dire che il giudice, procedendo ad un sindacato di merito, emette una pronunzia autoesecutiva, intendendosi come tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa» (così, in motivazione, si veda Cass., Sez. Un., n. 774 del 2014; Cass., Sez. Un., n. 7157 del 2017); Cass. Sez. Un. n. 21300/2017).
Si è poi ritenuto (Cass. Sez.Un. 5951/2022) che «Non è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, se il giudice amministrativo non abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, e, nello specifico, laddove, senza sostituirsi all’autorità amministrativa mediante l’integrazione ex post della motivazione dell’atto impugnato, si sia limitato a svolgere l’attività interpretativa e valutativa connaturata all’esercizio della giurisdizione (rispetto alla quale non sono sindacabili avanti alle Sezioni Unite eventuali errores in iudicando o in procedendo)».
Nella specie, Viene denunciato l’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera riservata al merito della P.A., ma esso «è configurabile quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, istituzionalmente riservato alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’amministrazione mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa» (per tutte, tra le tante, Sez. Un. n. 12155 del 2021, nonché Sez.Un. n. 2605 del 2021 e Sez. Un. 9369/2023).
Invero, la prospettazione, ribadita in memoria, che, nel sindacare la legittimità dei provvedimenti amministrativi, il Consiglio di Stato abbia proceduto ad una integrazione della motivazione del provvedimento impugnato si risolve nella denuncia non già di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte di quel giudice per invasione della sfera della pubblica amministrazione, bensì nella denuncia di un error in iudicando e, dunque, di un errore commesso da quello stesso giudice all’interno della sua giurisdizione.
Nella specie, il lamentato sconfinamento non ricorre, in quanto la domanda di annullamento degli atti amministrativi non è stata respinta sulla base di ragioni diverse da quelle dedotte nella motivazione dei diversi provvedimenti impugnati.
Si è semmai di fronte, come anche rilevato dal P.G., da un lato, al contempo alla denuncia di un vizio di minuspetizione (nella parte in cui il giudice amministrativo ha sostenuto che l’appaltante avrebbe introdotto inammissibilmente una nuova censura con memoria del 20 settembre 2021, basata sulla proroga legislativa del PAUJI”) e di ultrapetizione o di extrapetizione (per aver lo stesso escluso l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla base di rationes decidendi che non trovano fondamento nell’impianto motivazionale dell’atto amministrativo) ossia a un error in procedendo, riconducibile alla violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e, per altro verso, a un error in judicando, quale violazione della normativa sostanziale (quale può essere l’affermata necessità che ogni sospensione sia formalizzata in un apposito provvedimento «ricognitivo»), senza che però il tutto renda configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale, stante l’assenza nel caso di specie del radicale stravolgimento delle norme di rito che implichi un evidente diniego di giustizia, né essendo ipotizzabile una diretta e concreta valutazione «dell’opportunità e convenienza dell’atto» tale da dar luogo a un provvedimento abnorme o anomalo ovvero da determinare uno stravolgimento delle norme di riferimento, con conseguente violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (v. Cass. Sez. Un. nn. 36899 del 2021 e 36593 del 2021).
Si tratta dunque di attività che costituisce il proprium della funzione giurisdizionale, non di un’attività riservata alla P.A. (S.U. n. 12155 del 2021), rientrante nell’ambito della giurisdizione di legittimità ed inerente alla funzione interpretativa da questa svolta, così come è interna a questa l’accertamento della situazione di fatto e la sua riconducibilità alla previsione normativa, per cui eventuali errori commessi nello svolgerla non ridondano in un vizio qui rilevante, a prescindere dalla (eventuale) gravità degli stessi (Sez. Un. n. 31023 del 2019; n. 31103 del 2018), restando esclusa, in radice, la possibilità di procedere ad un controllo della correttezza del giudizio di sussunzione e dell’interpretazione offerta dal giudice amministrativo, che non si sostanzi in un atto abnorme.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si deve dar atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 6.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, a Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2023
Allegati:
SS.UU, 04 luglio 2023, n. 18880, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota dell'Avv.ta Maria Luisa Avellis
Sull’eccesso di giurisdizione del Giudice speciale per sconfinamento nel merito amministrativo
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere giurisdizionale con sconfinamento nella sfera del merito amministrativo è configurabile quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato attraverso una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, seppur sotto forma di annullamento per vizi di legittimità, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’amministrazione, attraverso una pronuncia che non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
2. La fattispecie
Il Consiglio di Stato ha dichiarato infondato il ricorso proposto nei confronti dell’ordine di un provvedimento di sospensione dei lavori di una ordinanza di demolizione di un manufatto.
La sentenza è stata gravata in Cassazione ai sensi degli artt. 111, c. 8, Cost., 37 c.p.c. e 34, c. 2, c.p.a., ritenendo il ricorrente che il Giudice amministrativo avesse travalicato i limiti della propria giurisdizione, esercitando poteri di amministrazione attiva.
Secondo la prospettazione del ricorrente, il TAR si era integralmente sostituito alla motivazione addotta dall'amministrazione nei provvedimenti impugnati.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalle SS.UU. attraverso la ricostruzione dell’oggetto del sindacato sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti che l’art. 111, ultimo comma, Cost., nonché gli artt. 110 c.p.a. e 207 del codice di giustizia contabile (D.Lgs. 174/2016), demandano alla Corte di Cassazione.
Precisa la Corte, nella formula “per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”, l'aggettivo “soli” indica chiaramente la limitazione della previsione costituzionale rispetto al sindacato esercitabile dalla Cassazione sulle pronunce dei Giudici speciali in generale.
Le SS.UU. ricordano, quindi, che il sindacato sulla giurisdizione ha ad oggetto i soli limiti esterni della stessa, non già i limiti interni, tra i quali comprendere anche gli errori in iudicando o in procedendo, ossia le violazioni delle norme sostanziali o processuali, ancorché si siano concretizzati in violazioni dei principi del giusto processo consacrati nell'art. 111 Cost..
3. Riflessioni conclusive
Nella fattispecie in esame, a venire il rilievo è il difetto di giurisdizione c.d. assoluto – la cui configurabilità, nel caso di specie, è stata negata – che ricorre allorché si riscontri la ”invasione” o lo “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero, al contrario, lo “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale.
Occorre precisare che sono sindacabili dalle Sezioni Unite anche le pronunce di un Giudice speciale che si assumano viziate da difetto relativo di giurisdizione, che ricorre quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro Giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell'attribuzione.
Il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione non comprende, invece, anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente ai limiti interni della giurisdizione.
Del resto, diversamente opinando (come ricordato autorevolmente dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 6/2018, menzionata nell’ordinanza), si assimilerebbe il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti per “motivi inerenti alla giurisdizione” al ricorso per violazione di legge e ciò contrasterebbe con il dato costituzionale dell’art. 111, c. 8.