Civile Ord. Sez. U Num. 15934 Anno 2023
Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: MARULLI MARCO
Data pubblicazione: 06/06/2023
ORDINANZA
sul ricorso 6413-2022 proposto da:
PENELOPE SPV, e per essa, quale procuratrice di INTRUM ITALY S.P.A. (già TERSIA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Via Cicerone n. 44 presso lo studio dell’avvocato Mariano Protto, rappresentata e difesa dell’avvocato MARCO SICA;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PESCIA, in persona del Commissario prefettizio pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TURCO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO VICICONTE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5997/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 23/08/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/05/2023 dal Consigliere MARCO MARULLI;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, il quale chiede alla Corte di dichiarare inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.1. Con sentenza n. 1158/2018 pubblicata il 30.8.2018 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana aveva dichiarato inammissibile il ricorso promosso dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia – cui, nelle more dell’odierno giudizio, sarebbe subentrata, in qualità di cessionaria del relativo credito, l’attuale ricorrente Penelope Spv – per l’annullamento degli atti a mezzo dei quali il Comune di Pescia, in relazione agli abusi edilizi di cui erano stati oggetto, aveva proceduto ad ordinare la demolizione, prima, e l’acquisizione, poi, degli immobili già di proprietà della Toscana Re gravati da ipoteca a favore della banca a garanzia dell’adempimento degli obblighi restitutori contratti dalla prima a fronte del mutuo concessole dalla seconda, immobili che la banca, malgrado l’inadempimento della mutuataria, non aveva potuto sottoporre ad espropriazione poiché il provvedimento di acquisizione adottato dal Comune aveva determinato l’automatica caducazione del vincolo ipotecario e la conseguente insoddisfazione delle riflesse ragioni di credito da esso garantite.
1.2. Nel motivare le ragioni del proprio pronunciamento, il giudice di prima istanza aveva giudicato il ricorso della banca carente in punto di legittimazione attiva e di interesse ad agire. Da un lato, infatti, la ricorrente, tenuto conto della sua estraneità rispetto alla vicenda che aveva impegnato il Comune e Toscana Re, non poteva reputarsi titolare di una posizione differenziata in grado di porla in relazione diretta con l’atto oggetto di impugnativa, sicché la sua condizione non era diversa da quella di chi, più generalmente, si renda portatore di un’aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell’azione amministrativa, il che, sotto il profilo processuale, se fosse stata verificata la sussistenza dell’iscrizione ipotecaria, ne avrebbe al più giustificato l’intervento ad adiuvandum, semmai gli atti sospettati di illegittimità fossero stati impugnati dalla Toscana Re, circostanza, tuttavia non verificatasi nella specie, tanto che detti atti erano divenuti definitivi e non più modificabili; dall’altro, non si sarebbe potuto riconoscere in capo all’istante neanche l’interesse ad agire, non essendo l’attività acquisitiva, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, attività discrezionale, ma attività vincolata per legge ed essendo per contro la caducazione dell’ipoteca diretto effetto di ciò, con la conseguenza che i beni in questione non avrebbero potuto perciò costituire oggetto di sequela e di soddisfazione in via coattiva delle ragioni della creditrice.
1.3. Pur non condividendo questa impostazione – è ben vero che il terzo ipotecario resta fuori dal circuito relazionale e dal contraddittorio tra pubblica amministrazione e proprietario del bene, ma non può negarsi la natura pregiudizievole della situazione di fatto a cui il terzo ipotecario sarebbe, nel caso di specie, andato incontro – il Consiglio di Stato, adito dalla soccombente in sede di gravame, ha tuttavia ritenuto di non poterne accoglierne le ragioni, rigettando nel merito il proposto atto di appello.
1.4. A fondamento di ciò il decidente pone la considerazione, reiteratamente enunciata da questa Corte, secondo cui l’ordinanza di acquisizione degli immobili abusivi o abusivamente trasformati, alla cui adozione il Comune procede in caso di inosservanza dell’ordine di demolizione, determina in capo al procedente l’acquisto a titolo originario del bene che ne è oggetto, assolvendo in tale veste alla duplice funzione di sanzionare i comportamenti illeciti di cui il destinatario si è reso responsabile e di prevenire la perseveranza nel tempo dei loro effetti dannosi. In questo contesto, l’acquisto del bene a titolo originario comporta la caducazione di tutti i diritti preesistenti, ivi compresi i diritti di garanzia, sicché la procedura esecutiva instaurata dal creditore ipotecario nei confronti del manufatto abusivo, già gravato da iscrizione a proprio favore, è improduttiva di qualsivoglia effetto stante l’originarietà dell’acquisto operato dall’ente pubblico. Se questo rende, quindi, indifferenti le ragioni di gravame che si fanno valere con riferimento alla preesistenza dell’iscrizione ipotecaria ovvero al carattere vincolato dell’ordine di acquisizione o ancora alla mancata motivazione dell’ordine di demolizione rispetto alle ragioni del terzo ipotecario, ciò nondimeno il terzo ipotecario, pure leso come detto nella propria aspettativa creditoria e come tale legittimato ad agire in giudizio per vedere riconosciute le proprie ragioni, non resta per questo privo di tutela, potendo infatti sempre provare l’illegittimità del provvedimento caducatorio che ne pregiudica il diritto, dato che la recessività dell’iscrizione ipotecaria rispetto all’acquisizione ex lege del bene abusivo postula in ogni caso l’accertata sussistenza della relativa condotta illecita. Su questo fronte, osserva conclusivamente il decidente, la tesi impugnante si rivela tuttavia priva di fondamento: le contestazioni in ordine all’illegittimo modus procedendi del Comune sono infatti generiche ed inidonee a sconfessare gli addebiti puntualmente contestati, mentre l’allegato difetto di notificazione dei provvedimenti impugnati non è circostanza che può essere fatta valere dall’impugnante, giacché i provvedimenti di che trattasi sono stati notificati ai soggetti previsti dalla legge, tra i quali non è ricompreso il terzo ipotecario.
1.5. Impugnando detta pronuncia avanti a questa Corte la ricorrente ne lamenta l’eccesso o il difetto di giurisdizione; e di ciò chiede giustizia sulla base di cinque motivi di ricorso, seguiti da memoria e resistiti con controricorso e memoria dal Comune di Pescia, mentre non ha svolto attività processuale Toscana Re.
Requisitorie scritte del Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da eccesso di potere giurisdizionale, segnatamente sotto il profilo del rifiuto di giurisdizione, posto che il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la legittimazione della banca, aveva tuttavia omesso di pronunciarsi su quanto da essa denunciato, ritenendo erroneamente che essa potesse tutelare le proprie ragioni solo dimostrando, nell’incardinato giudizio amministrativo, l’illegittimità degli atti impugnati per insussistenza degli abusi sanzionati. Più in dettaglio, sostiene l’impugnante, censurando il capo della decisione che a questo fine aveva fatto leva sull’estraneità del terzo ipotecario al circuito relazionale e al contraddittorio tra pubblica amministrazione e proprietario del bene, il principio in parola, ove rettamente inteso, avrebbe dovuto condurre a conclusioni diametralmente diverse da quelle enunciate, in quanto, proprio perché estraneo all’abuso edilizio, il creditore ipotecario doveva essere messo in condizione di tutelare i propri diritti prima che l’amministrazione adottasse l’atto oggetto di lagnanza, a nulla rilevando, in contrario, l’astratta tutelabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo, dato che in quella sede il creditore non avrebbe potuto valersi di quegli strumenti, azionabili invece stragiudizialmente, come ad esempio l’istanza in sanatoria, idonei a preservarne il diritto e a scongiurare il pregiudizio diversamente subito.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da difetto di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, segnatamente, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera amministrativa, posto che il Consiglio di Stato, nel rigettare, sul presupposto della ritenuta recessività dell’ipoteca rispetto al provvedimento di acquisizione, il terzo ed il quarto motivo del ricorso avanti a sé – intesi a contestare l’illegittimità del provvedimento di acquisizione per la preesistenza dell’iscrizione ipotecaria ovvero il carattere vincolato dell’ordine di acquisizione o, ancora, la mancata motivazione dell’ordine di demolizione rispetto alle ragioni del terzo ipotecario – si sarebbe sostituito, nel rapporto con il terzo ipotecario, alla pubblica amministrazione, negando che il primo potesse attivarsi per tutelare le proprie ragioni prima che il bene fosse acquisito al patrimonio pubblico. Più in dettaglio, sostiene l’impugnante, censurando ancora il capo della decisione che a questo fine aveva fatto leva sull’estraneità del terzo ipotecario al circuito relazionale e al contraddittorio tra pubblica amministrazione e proprietario del bene, valutare l’apporto del privato nel procedimento che porta all’acquisizione del bene è compito che pertiene in prima battuta alla legge, che disciplina i diritti di partecipazione in campo amministrativo ed il diritto alla conservazione delle garanzie patrimoniali in campo civile, e quindi all’amministrazione, non potendo ritenersi a priori che l’apporto della banca in questo contesto sarebbe stato in ogni caso irrilevante, in ciò per vero evidenziandosi un’ulteriore ragione di censura sotto il profilo del sindacato di poteri non esercitati.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da un difetto di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, sotto il profilo della violazione del doppio grado di giurisdizione, posto che il Consiglio di Stato, pur rilevando l’errore in cui era caduto il primo giudice dichiarando inammissibile il ricorso della banca, in luogo di rimettergli gli atti per la rinnovazione del giudizio, aveva statuito nel merito rigettando le doglianze dell’appellante. Più in dettaglio, sostiene l’impugnante, illustrando le ragioni per le quali, sotto il profilo della tutela dei diritti della difesa, della riconoscibilità in parte qua di un rifiuto di giurisdizione e della possibile violazione degli obblighi motivazionali, il vizio denunciato infirma alla radice la decisione gravata, la rilevanza di esso non sarebbe esclusa dall’effetto devolutivo proprio del giudizio di appello, poiché, avendo il decidente ricusato dei esaminare le censure sollevate in primo grado, si renderebbe in ciò riconoscibile appunto il denunciato rifiuto di giurisdizione.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da difetto di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, nonché da un rifiuto di giurisdizione, segnatamente sotto il profilo della violazione dell’art. 13 CEDU, posto che il Consiglio di Stato, statuendo nei riferiti termini, aveva negato il diritto della banca a vedere efficacemente tutelate le proprie ragioni. Più in dettaglio, sostiene l’impugnante, la denunciata violazione si renderebbe ravvisabile nell’aver essa negato alla banca, sul presupposto del principio di recessività dell’ipoteca rispetto all’acquisizione del bene al patrimonio pubblico, di poter far valere le proprie ragioni in sede amministrativa, nonché nell’aver accollato alla stessa, ritenendo che essa potesse vedere riconosciute le proprie ragioni solo dimostrando il giudizio l’insussistenza dell’abuso sanzionato, una prova diabolica, essendo essa del tutto estranea alla sua consumazione.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta che la decisione impugnata sarebbe affetta da difetto di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale, segnatamente sotto il profilo della violazione del primo protocollo aggiuntivo della CEDU, della violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, della violazione degli art. 3, 24 e 113 Cost. e della violazione del principio di proporzionalità, posto che il Consiglio di Stato, pur investito delle corrispondenti questioni, aveva omesso di pronunciarsi in ordine ai vizi dedotti con riferimento alla citate norme sovranazionali. Più in dettaglio, sostiene l’impugnante, censurando il capo della decisione che, richiamando l’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, aveva convenuto sull’automatica caducazione della garanzia ipotecaria a fronte dell’intervenuta acquisizione alla sfera pubblica del bene abusivo, la norma richiamata non prevede che il Comune possa unilateralmente estinguere l’ipoteca gravante sul bene da esso acquisito o possa pregiudicarne altrimenti il diritto del creditore, sicché un’interpretazione costituzionalmente orientata di essa, conforme inoltre ai soprarichiamati principi sovranazionali ed in linea con il principio di proporzionalità tra illecito e sanzione, avrebbe dovuto condurre alla ben diversa conclusione di ritenere illegittimi i provvedimenti impugnati, tanto più considerando il pregiudizio in tal modo sofferto dal diritto di difesa di essa impugnante che, se i beni fossero stati trasferiti a terzi, avrebbe potuto comunque rivalersi su di essi.
3. Tutti i sopradetti motivi si prestano ad una comune declaratoria di inammissibilità in quanto volti a denunciare violazioni di legge o, al più, errores in iudicando, che, afferendo ai limiti interni della giurisdizione affidata al giudice speciale, fuoriescono dal perimetro entro cui si esercita il controllo di giurisdizione previsto dagli artt. 111, comma 8, Cost. e 362 cod. proc. civ.
4. È bene a questo riguardo fissare inizialmente le coordinate di principio entro cui si situa l’odierno contenzioso, anche per evitare di alimentare facili suggestioni indotte dalla convinzione – su cui pure si sofferma il controricorrente – che il controllo di giurisdizione che l’ordinamento processuale affida alle SS.UU. di questa Corte sulle sentenze dei giudici speciali, in vista di un concetto “dinamico” di giurisdizione o, se si vuole, di una concezione della tutela giurisdizionale nel senso più ampio accordato dal diritto unionale, possa estendersi ben oltre i limiti indicati con chiarezza dal legislatore costituente.
Non è allora inopportuno ricordare che la Corte Costituzionale, nel rigettare con sentenza 6/2018 la questione di legittimità costituzionale a tale riguardo sollevata dalle SS.UU. di questa Corte con ordinanza 6891/2016, ha, tra l’altro, affermato che il controllo di giurisdizione previsto dall’art. 111, comma 8, Cost. «attinge il suo significato e il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma settimo, che prevede il generale ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione». Deve di conseguenza «ritenersi inammissibile ogni interpretazione di tali motivi che, sconfinando dal loro ambito tradizionale, comporti una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso». «L'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici».
Costituisce, in ragione di ciò, perciò ius receptum il principio, stabilizzatosi nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite a seguito del riportato dictum di costituzionalità (in motivazione, ex multis, Cass., Sez. U, 9/11/2022, n. 33075; Cass., Sez. U, 7-12-2021, n. 38978; Cass., Sez. U, 14/01/2020, n. 413) e, rafforzatosi in maniera significativa (Cass., Sez. U, 15/11/2022, n. 33641; Cass., Sez. U, 9/11/2022, n. 33100; Cass., Sez. U, 10/10/2022, n. 29502) dopo Corte Giust., 21.12.2021, C-497/20, Randstad Italia – che, com’è noto, negando che sia contraria all’ordinamento unionale una disposizione di diritto interno che renda insindacabile la decisione del giudice speciale di ultima istanza anche quando si assuma che essa contrasti con il diritto dell’Unione, ha, allo stato, posto un punto fermo nella discussione in materia – secondo cui il controllo esercitabile dalla Corte di Cassazione sulle decisione dei giudici speciale ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. è circoscritto alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa, ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza stessa della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio, con la conseguenza che con il ricorso per cassazione avverso le decisioni del giudice amministrativo o del giudice contabile non possono essere dedotti altri eventuali errori, in iudicando o in procedendo (così in motivazione Cass., Sez. U, 5/07/2021, n. 18976; Cass., Sez. U, 15/09/2020, n. 19168; Cass., Sez. U, 10/05/2019, n. 12586). In particolare, si è precisato – diversamente assumendo il controllo di giurisdizione una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario (Cass., Sez. U, 14/11/2018, n. 29285) – che il controllo del limite esterno della giurisdizione non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo“, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale (Cass., Sez. U, 9/11/2022, n. 33074; Cass., Sez. U, 16/12/2021, n. 40479; Cass., Sez. U, 4/12/2020, n. 27770).
5. Questi pochi rilievi smentiscono alla radice i contrari convincimenti esplicati dalla ricorrente nell’impugnare la decisione in disamina.
6.1. Nessun seguito può invero trovare la doglianza che prende corpo nel primo motivo di ricorso.
Va qui, infatti, previamente ricordato che secondo quel si insegna abitualmente il rifiuto di giurisdizione, in guisa del quale la decisione adottata dal giudice speciale si rende sindacabile sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., risulta riconoscibile soltanto se il giudice adito nel declinare la giurisdizione ritenga che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia in astratto priva di tutela, ovvero riconosca la giurisdizione del giudice ordinario o di altro giudice speciale (Cass., Sez. U, 30/11/2021, n. 37552).
Orbene il principio, applicato al caso che ne occupa, è con pari effetto preclusivo, illuminante: da un lato è evidente che la doglianza non si accorda con il tenore della decisione, dal momento che il Consiglio di Stato non ha affatto denegato la propria giurisdizione sulla domanda ricorrente, ma, pur riformando l’errata pronuncia del giudice di primo grado che ne aveva decretato l’inammissibilità per il difetto di legittimazione e di interesse all’azione dell’istante e riconoscendone perciò l’astratta tutelabilità avanti a sé, si è pronunciato su di essa pur se per rigettarla nel merito; dall’altro, appuntandosi, come si è visto la doglianza segnatamente sul punto in cui la sentenza ha affermato l’estraneità al circuito relazionale e al contraddittorio tra amministrazione pubblica e proprietario dei beni abusivi del terzo ipotecario, al quale sarebbe perciò precluso di poter interloquire nel relativo procedimento e di poter far valere in quella sede con più efficacia le ragioni del proprio credito, è altrettanto evidente che essa si risolve al più nella denuncia di un vizio del procedimento amministrativo per violazione, ove in concreto ravvisabile, del diritto di partecipazione del terzo interessato.
Nell’uno e nell’altro caso la doglianza si colloca apertamente al di fuori del vizio denunciabile in questa sede.
6.2. Anche il secondo motivo di ricorso si espone a rilievi parimenti preclusivi.
Posto, infatti, che l’eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera riservata al potere discrezionale della P.A., si rende configurabile se la pronuncia adottata dal decidente che non si limiti ad annullare il provvedimento impugnato, rimettendo all’Amministrazione ogni valutazione in ordine al prosieguo della procedura, ma si spinga fino a prefigurare il possibile esito di tale valutazione, individuando un’unica corretta modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa (Cass., Sez. U, 18/02/2022, n. 5365), ne discende, ancora una volta, considerando il caso che ne occupa ala luce del prefissato principio, che la doglianza non colga nel segno.
Il Consiglio di Stato ha invero respinto le doglianze argomentate con il terzo ed il quarto motivo del ricorso avanti a sé, a cui si correla la doglianza odierna, all’esito di un sindacato interpretativo che, muovendo dall’iniziale premessa – reiteratamente enunciata dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’acquisizione dell’immobile abusivo, che segue ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001 all’inottemperanza dell’ordine di demolizione, configura un acquisto a titolo originario in capo all’amministrazione procedente e caduca automaticamente tutti i diritti preesistenti, ivi compresi quelli di garanzia – è giunto alla naturale conclusione che le doglianze declinate con riferimento alla preesistenza dell’iscrizione ipotecaria e alla vincolatività ex lege dell’ordine di acquisizione non potessero trovare alcun accoglimento in ragione appunto della natura originaria dell’acquisto operato dalla P.A. e della conseguente recessività rispetto ad esso di ogni vincolo preesistente.
E’ allora evidente, guardando alla doglianza odierna, il duplice vulnus che ne infirma il proponimento: l’impugnata sentenza non prefigura, infatti, alcun esito di un ipotetico ravvedimento amministrativo, escludendo in partenza, che per il rigetto del terzo e del quarto motivo del ricorso avanti a sé, la vicenda debba formare oggetto di rinnovata delibazione in quella sede; ma neppure si mostra qui diversamente sindacabile, rendendosi al riguardo, al più, ipotizzabile un errore di interpretazione in cui sarebbe caduto il giudice speciale, che non è però declinabile quale motivo di impugnazione per eccesso di giurisdizione, l’attività interpretativa del giudice speciale rientrando, infatti, nei limiti interni della giurisdizione affidata al medesimo.
6.3. Rifluiscono infine nel solco di una denuncia che è intesa a censurare l’impugnata decisione sotto il profilo della violazione dei soli limiti interni della giurisdizione che fa capo al giudice speciale e si rendono, perciò, insuscettibili di valutazione sotto il profilo azionato le doglianze declinate con il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso.
Si è già per l’innanzi ricordato che il controllo esercitabile dalla Corte di Cassazione sulle decisioni dei giudici speciale ai sensi degli artt. 111, comma 8, Cost. e 362 cod. proc. civ. è circoscritto alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza stessa della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio, con la conseguenza che con il ricorso per cassazione avverso le decisioni del giudice amministrativo o del giudice contabile non possono essere dedotti altri eventuali errori, in iudicando o in procedendo (così in motivazione Cass., Sez. U, 5/07/2021, n. 18976; Cass. Sez. U, 15/09/2020, n. 19168; Cass., Sez. U, 10/05/2019, n. 12586).
Con il terzo motivo di ricorso, dolendosi che nel riformare la decisione di primo grado in punto di legittimazione ed interesse ad agire dell’impugnante, la sentenza gravata avrebbe violato il principio del doppio grado di giurisdizione non rimettendo la controversia al primo giudice, la ricorrente intende appunto veder sindacato in questa sede proprio un error in procedendo che, ove sussistente, si è consumato nei limiti interni della giurisdizione affidata a quel giudice e che come tale esula dall’eccesso di giurisdizione denunciabile avanti a queste Sezioni Unite.
Muovendo viceversa con il quarto ed il quinto motivo di ricorso alla volta di un error in iudicando in cui la sentenza impugnata sarebbe caduta nel non aver correttamente delibato, in relazione alla specie in disamina, le implicazioni interpretative sottese alle richiamate norme sovranazionali, la ricorrente addebita ancora una volta alla sentenza impugnata un errore che attiene all’interpretazione e all’applicazione delle norme di diritto, chiedendo inammissibilmente di sindacare un’attività che costituisce il proprium della giurisdizione esercitata al giudice speciale e che, rientrando nei limiti interni della giurisdizione affidata al plesso giurisdizionale di riferimento, non è suscettibile del vaglio qui richiesto.
7. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 9.5.2023.
Il Presidente
Dott. Guido Raimondi
Allegati:
SS.UU, 06 giugno 2023, n. 15934, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota dell'Avv.ta Valentina Siciliano
Sui limiti, interni ed esterni, della giurisdizione
1. Il principio di diritto
Il controllo esercitabile dalla Corte di Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali ai sensi dell’art. 111, c. 8, Cost. e dell’art. 362 c.p.c. è circoscritto alle sole “questioni inerenti alla giurisdizione”, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio.
Ne consegue che il controllo sul rispetto del limite esterno della giurisdizione non può estendersi alle scelte ermeneutiche compiute dal giudice amministrativo, le quali, pur potendo tradursi in errores in iudicando o in procedendo, rimangono tuttavia confinate entro i limiti interni della giurisdizione, senza che rilevi la gravità o l’intensità del presunto errore di interpretazione, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium dell’attività giurisdizionale (cfr., SS.UU, 14 febbraio 2023, n. 4591, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota del Dott. Vito D’Alessio).
2. Le motivazioni
Le Sezioni Unite delineano i contorni del vizio di eccesso di potere giurisdizionale, ponendosi in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr., sentenza n. 6/2018).
La Suprema Corte ricorda che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che ricorre quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla p.a. (cd. invasione o sconfinamento) ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cd. arretramento) –, nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, che si configura allorquando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad un diverso giudice.
Sotto il profilo del rifiuto di giurisdizione, le Sezioni Unite ribadiscono che il vizio di eccesso di potere si configura soltanto qualora il giudice adito, nel declinare la giurisdizione, ritenga che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio risulti in astratto priva di tutela, ovvero riconosca la giurisdizione del giudice ordinario o di altro giudice speciale (cfr., SS.UU, n. 37552/2021).
Si configura, invece, il vizio di eccesso di potere per sconfinamento nella sfera amministrativa, allorché la pronuncia adottata dal giudice non si limiti ad annullare il provvedimento impugnato, rimettendo all’Amministrazione ogni valutazione in ordine al prosieguo della procedura, ma si spinga fino a prefigurare il possibile esito di tale valutazione, individuando un’unica corretta modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa (cfr., SS.UU, n. 5365/2022).
3. Riflessioni conclusive
La Suprema Corte ribadisce che il controllo di giurisdizione, che l’art. 111, c. 8, Cost. affida alle Sezioni Unite, ha limiti ben delineati e circoscritti.
La nozione di eccesso di potere, pertanto, non ammette letture estensive ovvero dinamico-evolutivo neppure limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale, ovverosia caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento; né il relativo vizio si configura in presenza di violazioni di legge, sostanziale o processuale, riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale.