Civile Ord. Sez. U Num. 26165 Anno 2022
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO
Data pubblicazione: 06/09/2022
ORDINANZA
sul ricorso 25754-2020 proposto da:
VODAFONE ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LO PINTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO CINTIOLI;
– ricorrente –
contro
AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO; U.DI.CON. APS, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO CAIROLI 2, presso l’avvocato MANUELE MISIANI (STUDIO C. e C. & PARTNERS), rappresentata e difesa dall’avvocato DONATO PATERA e GIUSEPPE CATALANO;
– controricorrenti –
nonchè contro
ASSOCIAZIONE CODICI ONLUS – CENTRO PER I DIRITTI DEL CITTADINO, ASSOCIAZIONE MOVIMENTO CONSUMATORI, CODACONS – COORDINAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI E DEI COMITATI DI TUTELA DELL’AMBIENTE E DEI DIRITTI DEGLI UTENTI E DEI CONSUMATORI, ASSOCIAZIONE DEGLI UTENTI PER I DIRITTI TELEFONICI – A.U.S. TEL
ONLUS;
– intimati –
avverso la sentenza n. 879/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 04/02/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4/2/2020 il Consiglio di Stato, ha respinto i gravami interposti dalla società Vodafone Italia s.p.a. -in via principale- e dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni-Agcom -in via incidentale- in relazione alle pronunzie Tar Lazio n. 11304 del 2018 e Tar Lazio n. 12481 del 2018, di -per quanto ancora d’interesse in questa sede- rigetto dell’impugnazione della delibera con la quale l’Agcom le ha imposto di ritornare entro il 23 giugno 2017 alla fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa e ad una periodicità almeno quadrisettimanale per quelli di telefonia mobile, con «ordine di retitutio in integrum dei giorni erosi mediante il differimento della fatturazione al posto di quello di storno», nonché dell’impugnazione della delibera di irrogazione nei suoi confronti di «una misura patrimoniale dal valore di decine di milioni di euro» per mancata ottemperanza alla detta precedente delibera.
Avverso la suindicata pronunzia la società Vodafone Italia s.p.a. propone ora ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con separati controricorsi l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Agcom e l’Associazione U.DI.CON.APS.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Con conclusioni scritte ex art. 380 bis.1 c.p.c. il P.G. presso questa Corte ha chiesto pronunziarsi il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con tutti i motivi la ricorrente denunzia violazione degli artt. 111 Cost., 91, 110, 133 d.lgs. n. 104 del 2010, 362 c.p.c.
Si duole essersi dal giudice amministrativo d’appello ravvisato «il potere di Agcom di adottare ordini di storno» andando «ben oltre la mera interpretazione della disposizione» ex art. 2, comma 20, lett. D), L. n. 481 del 1995», che «disciplina un potere del tutto diverso da quello in concreto esercitato da Agcom», essendo «concettualmente diversa l’erogazione di un indennizzo e l’adozione di un ordine restitutorio/ripristinatorio che preveda l’erogazione di prestazione gratuite all’utente».
Lamenta essere erroneo il richiamo all’esercizio da parte dell’Autorità di poteri impliciti.
Si duole essersi dal giudice amministrativo d’appello erroneamente rigettata l’eccezione di sovrapposizione ed invasione della «sfera di attribuzione della giurisdizione ordinaria», avendo omesso di considerare che «tra le azioni collettive a disposizione dei consumatori rientra anche quella volta a domandare “l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzione” ( art. 140 del codice del consumo )».
Lamenta che, nel riconoscere la legittimità dei provvedimenti impugnati e la spettanza all’Agcom del potere di adottarli, il giudice dell’appello amministrativo ha invaso ( anche ) la sfera riservata al legislatore eurounitario, altresì omettendo di disporre, come viceversa in altro giudizio, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Si duole che il giudice amministrativo abbia ravvisato il mantenimento da parte sua di una condotta «sleale» senza che l’Agcom abbia mai considerato tale l’adottata «scelta … di passare nel 2016 ad un ciclo di fatturazione calcolati ( recte, calcolato ) sui 28 giorni», tale giudice abbia «invaso il merito delle valutazioni riservate all’amministrazione ed in particolare .. travalicato le prerogative che l’ordinamento attribuisce all’Agcom ed all’Agcm nella valutazione delle pratiche commerciali nei rapporti tra utenti ed
operatori».
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va invero riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione ( che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale ) o di difetto relativo di giurisdizione ( riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici ), e, in coerenza con la relativa nozione posta da Corte Cost. n. 6 del 2018 ( che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento ), tale vizio non è configurabile in relazione ad errores in iudicando e in procedendo, i quali non investono la sussistenza dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 11/11/2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 11/9/2019, n. 22711; Cass., Sez. Un., 6/7/2019, n. 18079; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926).
Si è,in tema di eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore/ da queste Sezioni Unite altresì precisato che l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione legittimante il ricorso ex art. 111, 8° co., Cost., fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc (v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380), essendo esso pertanto configurabile solo ove il giudice amministrativo ( o contabile ) applichi non già la norma esistente bensì una norma da esso creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comportando viceversa la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacché il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale (v. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16974).
Ipotesi che dunque non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto ( cfr. Cass., 11/9/2019, n. 22711 ), a fortiori allorquando abbia correttamente argomentato non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì ( anche ) dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale avuto riguardo al sistema normativo invocato, tale operazione ermeneutica non integrando la violazione dei limiti esterni della giurisdizione ma potendo al più dare luogo ad un error in iudicando (v. Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784), sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite (cfr. Cass., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8720; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8719; Cass., Sez. Un., 25/9/2017, n. 22251; Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628; Cass., Sez Un., 10/9/2013, n. 20698; Cass., Sez Un., 10/6/2013, n. 14503 ), salvo il caso di radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc (v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380) tali da ridondare in denegata giustizia ( cfr. Cass., Sez. Un., 14/11/2018, n. 29285 ).
L’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore è allora configurabile solo ove il giudice amministrativo ( o contabile ) applichi non già la norma esistente bensì una norma da esso stesso creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comportando viceversa la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacché il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale ( v. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16974 ).
Il sindacato di queste Sezioni Unite sulle decisioni del giudice amministrativo ( e del giudice contabile ) è quindi circoscritto alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi anche -come detto- alla verifica degli errores in iudicando né degli errores in procedendo, qual è in particolare il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunziato ( cfr. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9687; Cass., Sez. Un., 4/10/2012, n. 16849; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 10/9/2019, n. 22569; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926 ) o l’applicazione di norme processuali ostative all’esame del merito della domanda ( v. Cass., Sez. Un., 27/6/2003, n. 10287) o la negazione dell’esistenza di condizioni dell’azione ( v. Cass., Sez. Un., 14/1/2015, n. 475 ) o il mancato esame di questione procedurale ( v. Cass., Sez. Un., 17/11/2016, n. 23395 ) o l’applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale nell’ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell’Unione europea direttamente applicabili secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte di Giustizia ( v. Cass., Sez. Un., 29/12/2017, n. 31226 ), o la violazione dell’obbligo di rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni relative all’interpretazione delle norme dell’U.E. ( v. Cass., Sez. Un., 28/7/2021, n. 21641; Cass., Sez. Un., 30/10/2020, n. 24107; Cass., Sez. Un., 15/11/2018, n. 29391 ).
Sotto altro profilo, si è da queste Sezioni Unite posto in rilievo che le decisioni del giudice amministrativo concernenti la legittimità dei provvedimenti della P.A. possono essere impugnate con il ricorso per cassazione ex art. 111, 8° co., Cost. qualora siano affette da eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della usurpazione della funzione amministrativa, configurabile solo allorquando eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito ( riservato alla P.A. ) detto giudice compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella della P.A. mediante una pronunzia che, in
quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa ( v. Cass., Sez. Un., 7/5/2021, n. 12155; Cass., Sez. Un., 4/2/2021, n. 2604).
Orbene, dei suindicati principi il giudice amministrativo d’appello ha nell’impugnata sentenza fatto piena e corretta applicazione, e le dedotte ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativo nella specie non risultano invero integrate.
La vicenda attiene all'<<aumento di circa l’8,6% delle condizioni economiche per i contratti di telefonia fissa, dall’odierna ricorrente introdotto nel 2016 mediante la riduzione del periodo di rinnovo e/o fatturazione delle offerte, che assò dalla cadenza mensile ad una quadrisettimanale (28 gg.), ritenuto dall’Agcom pregiudizievole per l’utenza in quanto determinante un aumento tariffario mediante non già libere scelte imprenditoriali degli operatori di TLC bensì particolari modalità della cadenza di fatturazione in un mercato quale quello della telefonia fissa tradizionalmente connotato da periodi di fatturazione ordinaria su base mensile, a sua volta coincidente con le modalità di fatturazione di altri servizi ed utenze, oltre che con la cadenza con la quale si genera usualmente il reddito mensile degli utenti», altresì «non rispettosa della dovuta trasparenza nei confronti degli utenti, in quanto sostanzialmente rivolta a realizzare aumenti tariffari di non immediata percezione da parte dei consumatori», oltre che ostativa alla «comparabilità delle offerte».
L’Agcom pertanto «impose a detti operatori di telefonia, ma senza contestar loro l’aumento in sé della tariffa, di ritornare, entro il 23 giugno 2017, alla fatturazione su base mensile o suoi multipli per i servizi di telefonia fissa e ad una periodicità almeno quadrisettimanale per quelli di telefonia mobile».
L’impugnazione da parte dell’odierna ricorrente della relativa delibera, nonché di quella avente ad oggetto l’irrogazione della «sanzione di euro 1.160.000» per mancata ottemperanza alla medesima, è stata rigettata nei due gradi del giudizio amministrativo di merito.
Nello stigmatizzare l'<<eccentricità della scelta, comune a tutti i principali operatori di telefonia, verso una fatturazione dei servizi erogati con cadenza a 28 giorni, anziché, com’è sempre stato e lo è comunque dall’entrata in vigore della novella recata dall’art. 19- quinquiesdecíes del DL 148/2017», secondo la «periodicità mensile ( o multipli del mese )», quale «scadenza d’uso da sempre adoperata per I contratti di durata relative alle utilities continuativamente erogati ( tipo la telefonia fissa )>>, assurta a «fatto notorio ex art. 115, II co., c.p.c.» e trovante «buona conferma pure a livello eurounitario nell’art. 5, § 1, lett. e) della Dir. n. 2011/83/UE [ ( sugli obblighi informativi precontrattuali del professionista al fine della stipula di contratti da concludere con i consumatori a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali )» che «si premura di precisare, per i contratti di abbonamento o a tempo indeterminato che prevedono l’addebito di una tariffa fissa, che il prezzo totale equivalga anche ai costi mensili totali», sicché «il legislatore UE reputa un dato di fatto ovvio, ossia un patrimonio di conoscenza comune della collettività per i contratti a prestazioni continuative a cadenza fissa, che il parametro ordinario di riferimento sia appunto il mese solare» ], il giudice ammnistrativo d’appello ha nell’impugnata sentenza in particolare sottolineato che la condotta dell’odierna ricorrente «s’appalesa sleale, non solo perché indusse l’utente, grazie all’apparente piccolo scarto tra 28 giorni e mese intero a sottovalutare tal sottile discrepanza e non cogliere fin da subito il predetto aumento» ( la «nuova cadenza di fatturazione» sembrando «impedire o, comunque, rende più difficile all’utente rappresentare a se stesso e con la dovuta immediatezza come, attraverso la contrazione della periodicità di tariffazione, il gestore telefonico percepisce, nel corso di un anno, il corrispettivo per 13, anziché per 12 volte» ), ma anche perché «la scelta a 28 giorni limitò drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili e rese difficoltoso, se non inutile, l’esercizio del diritto di recesso, non essendo più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata», sicché l’«anomalia era legata al riscontro, da parte degli utenti, di un aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche con modalità non trasparenti in seguito alla nuova e simultanea rimodulazione dell’offerta».
A tale stregua, il «passaggio dalla fatturazione a cadenza mensile a quella a 28 giorni, quantunque annunciata dall’appellante alla sua clientela, determinò una violazione del principio di trasparenza, rendendo meno intellegibile l’effettivo costo del servizio al fine di non consentire la percezione immediata dell’aumento della tariffa ed impedendo perciò una libera valutazione delle offerte».
Con tale «passaggio» si è infatti realizzato «un aumento del costo dei sevizi … pari a ca. l’8,6%».
Per altro verso, «il cambio di tal cadenza da parte di tutti i principali operatori non consentì nei fatti la possibilità di recesso».
Il giudice ammnistrativo d’appello ha ulteriormente posto in rilievo che «buona fede e correttezza ( regole specifiche sia della fase di conclusione che di quella di esecuzione del contratto, artt. 1175, 1375 c.c. ), nonché [ il ] rispetto del principio di trasparenza … imponevano all’appellante di render noto ai suoi utenti» quanto sopra «già alla luce del solo art. 71, co. 1, CCE, senza bisogno pertanto di coinvolgere pure il Codice del consumo».
Ha osservato, ancora, che il fondamento del potere nella specie esercitato dall’Agcom è da individuarsi nella L. n. 481 del 1995, istitutiva di tutte le Autorità per i servizi di pubblica utilità ( e in particolare l’art. 2, comma 12 lett. d), g) ed h); l’art. 2, comma 20 lett. d); l’art. 2, comma 37 ), nonché nella L. n. 249 del 1997, istitutiva dell’Agcom.
Ha ulteriormente posto in rilievo che «in base all’art. 2, co. 20, lett. d) della L. n. 481/1995, il quale consente all’Autorità d’imporre agli operatori, a fronte di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, l’obbligo di corrispondere loro un indennizzo, che, ai sensi del precedente c. 12, lett. g), può pure essere automatico», nonché giusta l'<<art. 2, co. 12, lett. d) e lett. h) della stessa legge n. 481», il quale «consente all’Autorità di definire ” … in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente …”, se del caso proponendo, ai sensi della precedente lett. d), ” … la modifica … delle condizioni di svolgimento dei servizi, ove ciò sia richiesto dall’andamento del mercato o dalle ragionevoli esigenze degli utenti …”», l’Agcom non ha esercitato il proprio potere di attivare il rimedio generale posto dalla legge ( dunque, tutt’altro che privo di base normativa ) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione».
In un quadro che trova riscontro anche a livello eurounitario, a tutela dei consumatori e di protezione dei soggetti deboli, e a cui fronte «non giova» nemmeno «averne a suo tempo dato comunicazione ai clienti, poiché una cosa è aver avuto contezza d’una data pratica (poi rivelatasi scorretta), ben altra è offrire, secondo buona fede, ai propri clienti un insieme di serie e precise informazioni atte a comprendere la misura adottanda e capirne di conseguenza tutte le sue eventuali implicazioni nocive».
Nel sottolineare la differenza che intercorre tra «indennità» e «risarcimento», in quanto «il danno è una lesione di un bene protetto, mentre il fatto genetico dell’obbligo restitutorio di natura indennitaria è la perdita o limitazione della sfera giuridico-patrimoniale altrui in correlazione ad un trasferimento forzoso ed alla nascita di un diritto in capo ad altri che l’ordinamento vuole riequilibrare» sicché l’«indennizzo ha una funzione di corrispettività o … carattere sostitutivo del bene che è stato trasferito», il giudice ammnistrativo d’appello ha ulteriormente posto in rilievo che nella specie nel legittimo esercizio dei propri poteri ex «art. 2, co. 20, lett. d)» L. n. 481/1995 l’«Agcom non ha esercitato un potere sanzionatorio vero e proprio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge ( dunque, tutt’altro che privo di base normativa ) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione», che «per sua natura … sfugge al principio di tipicità proprio delle sanzioni», ponendo in essere la «c.d. tutela amministrativa dei diritti o public enforcement», a tale stregua non risultando pertanto nemmeno configurabile la violazione della libertà d’impresa ex art. 41 cost. né la tutela civilistica del contratto e di tutela dei consumatori.
Ha quindi sottolineato come il successivo intervento legislativo (art. 19 quinquiesdecies D.L. n. 148 del 2017) abbia in realtà «completato quello che l’atto di regolazione aveva già stabilito», espressamente regolamentando un potere già desumibile dalle norme anteriormente vigenti, prevedendo la cadenza mensile quale «periodicità temporale d’uso per i pagamenti nei contratti di somministrazione [recte, continuativa] di beni ( energia, gas, acqua ) e di servizi (telefonia fissa)», pur non trattandosi «né della conferma della carenza di potere dell’Autorità in materia, né tampoco d’una sorta di “sanatoria” della delibera n. 121», la «detta novella» avendo avuto «al più» lo «scopo d’estendere, recte, di rammentare la tutela per la violazione del principio di trasparenza all’erogazione degli altri servizi di TLC».
Orbene, a fronte di siffatta ricostruzione in fatto e delle conclusioni al riguardo dal giudice ammnistrativo d’appello raggiunte nell’impugnata sentenza l’odierna ricorrente formula invero censura di eccesso di potere giurisdizionale sia nei confronti del legislatore -anche eurounitario-; nei confronti del giudice ordinario; nei confronti della P.A.
Quanto al legislatore, in ragione della ravvisata sussistenza del potere dell’Agcom di imporre agli operatori di TLC lo storno dei giorni erosi, a tal fine asseritamente creando una norma di diritto del tutto nuova ed avulsa dal quadro legislativo e regolamentare, atteso che solo successivamente, con l’emanazione dell’art. 19 quinquiesdecies D.L. n. 148 del 2017 è stato a quest’ultima invero riconosciuto tale potere, pertanto in capo alla medesima insussistente al momento dell’adozione delle impugnate delibere in argomento.
Con invasione invero anche del potere riservato al legislatore dell’U.E., non essendosi nemmeno disposto rinvio pregiudiziale in ordine alla suindicata delibera n. 121/2017 CONS.
Quanto al giudice ordinario, per indebita ingerenza a fronte della tutela apprestata dal Codice del consumo, compresa l’azione di classe ex art. 140.
Quanto all’autorità ammnistrativa, per avere il giudice amministrativo invaso la sfera di attribuzione dell’Agcom, sostituendo le proprie considerazioni di opportunità e di merito a quelle di quest’ultima.
Orbene, relativamente al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore, anche eurounitario, va osservato che nell’impugnata sentenza il giudice ammnistrativo d’appello ha posto in rilievo che nella specie «in base all’art. 2, co. 20, lett. d), l’Agcom non ha esercitato un vero e proprio potere sanzionatorio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt’altro che privo di base normativa) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione», avendo «la giurisprudenza da tempo … riconosciuto alle Autorità indipendenti, per la loro collocazione istituzionale, dei poteri impliciti, da esercitarsi in relazione agli scopi stabiliti dalla legge», a fortiori in un settore, quale quello di specie, in cui il «particolare tecnicismo» che lo contraddistingue impone di assegnare all'<<Autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all’evoluzione del sistema», in quanto «una predeterminazione legislativa rigida risulterebbe invero di ostacolo al perseguimento di tali scopi», il potere nella specie dall’Agcom esercitato -nell’ambito di «una fattispecie procedimentale a formazione progressiva … in contraddittorio con le imprese»- essendo «riconducibile all’ampio genus dei poteri conformativi ed inibitori spettanti all’Autorità per garantire la tutela degli utenti sul mercato», nell’ambito del riequilibrio di una «situazione alterata da un aumento dei prezzi non trasparente».
Potere, si è sottolineato, in realtà sussistente in capo all’Agcom già da epoca anteriore all’emanazione dell’art. 19 quinquiesdecies D.L. n. 148 del 2017, trovando fonte nell’art. 2, comma 20 lett. d), L. n. 481 del 1995, che a fronte di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti attribuisce alle Autorità di regolazione il potere di imporre il pagamento dell’indennizzo, che ai sensi del precedente comma 12 lett. g) può essere anche automatico.
A tale stregua, il giudice amministrativo si è invero attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto in termini non comportanti la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non ravvisandosi al riguardo alcun radicale stravolgimento delle norme di riferimento tali da ridondare in denegata giustizia, la stessa censura mossa dall’odierna ricorrente in realtà sostanziandosi nell’asserita erroneità dell’interpretazione della L. n. 481 del 1995 fornita dal giudice amministrativo, che -come dettopuò al più dare luogo ad un error in iudicando, sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite.
Deve per altro verso sottolinearsi che, come da queste Sezioni Unite posto in rilievo all’esito della pronunzia Corte Cost. n. 6 del 2018, anche la violazione del diritto dell’U.E. e il mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali debbono ritenersi compatibili con il diritto eurounitario, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, essendo rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione, pertanto non sindacabile ex art. 111, 8° co., Cost. da parte della Corte Suprema di Cassazione ( v., con riferimento al Consiglio di Stato, Cass., Sez. Un., 17/12/2018, n. 32622; Cass., Sez. Un., 30/10/2020, n. 24107; Cass., Sez. Un., 28/7/2021, n. 21641; e, conformemente, da ultimo, Cass., Sez. Un., 24/1/2022, n. 1996 ).
Queste Sezioni Unite hanno d’altro canto già avuto modo di sottolineare come solo ad un primo sguardo la lettera dell’articolo 267, paragrafo 3, TFUE «potrebbe indurre a ritenere tale giudice “tenuto” al rinvio» ( così Cass., Sez. Un., 15/4/2020, n. 7839 ), laddove non ricorre in materia alcun automatismo ma va dal giudice vagliata la relativa necessità «per evitarne gli abusi>> ( v. Cass., Sez. Un., 23/2/2021, n. 4848; Cass., Sez. Un., 15/4/2020, n. 7839; Cass., Sez. Un., 10/9/2013, n. 20701 ).
Quanto al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del giudice ordinario, va ulteriormente osservato che la relativa inconfigurabilità nella specie discende dalla considerazione che, come sottolineato anche dal P.G. presso questa Corte nelle sue conclusioni scritte, l’esercizio da parte dell’Agcom dei propri poteri regolatori mediante l’applicazione del <<rimedio generale>> ex art. 2, comma 20 lett. d), L. n. 481 del 1995 opera invero su un piano diverso e «parallelo» rispetto alla tutela civilistica apprestata dal codice civile e dal codice del consumo ex artt. 138 ss., cui si aggiunge, senza escluderli.
In ordine al dedotto eccesso di potere giurisdizionale nei confronti dell’autorità ammnistrativa, va infine posto in rilievo che nell’impugnata sentenza il giudice ammnistrativo d’appello ha ravvisato la piena legittimità dell’intervento nella specie dall’Agcom operato nell’esplicazione dei propri poteri in materia.
A tale stregua, il giudice amministrativo non si è sostituito a detta Autorità nel valutare l’opportunità e la convenienza dell’atto, nemmeno là dove ha qualificato come sleale o contraria a buona fede o correttezza la condotta dell’odierna ricorrente nel caso mantenuta.
Atteso che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il vizio in argomento non è invero configurabile in relazione a pronunzia come nella specie di rigetto dell’impugnazione del provvedimento amministrativo, sostanziandosi essa nella conferma di quest’ultimo e non sostituendosi al medesimo ( sicché l’Autorità che l’ha emesso mantiene intatti tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, con la sola eccezione di ravvisare in esso i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice amministrativo: v., da ultimo, Cass., Sez. Un., 7/5/2021, n. 12155 ), va al riguardo evidenziato che le valutazioni espresse dal giudice amministrativo si appalesano invero nella specie meramente aggiuntive al riguardo, senza pertanto infirmare i poteri e i provvedimenti dell’Agcom, sicché esse possono eventualmente integrare al più la violazione dei meri limiti interni della giurisdizione.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 13.200,00, di cui euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni-Agcom; in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori
come per legge, in favore dell’Associazione U.DI.CON.APS.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 23/11/2021
Allegati:
SS.UU, 06 settembre 2022, n. 26165, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Eccesso di potere del giudice speciale e sindacato delle Sezioni Unite
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione deve essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici).
In coerenza con la relativa nozione posta dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento), tale vizio non è configurabile in relazione ad errores in iudicando e in procedendo, i quali non investono la sussistenza dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
2. Il motivo di ricorso
Nella fattispecie, secondo il ricorrente, il TAR, con la decisione impugnata, avrebbe creato una norma di diritto del tutto nuova ed avulsa dal quadro giuridico e regolamentare, adottando un rimedio non previsto dalla legge, con irrogazione di una sanzione che l’ordinamento non prevede e che non può essere ricavata neanche in via interpretativa.
Da qui il ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. affidato a quattro motivi.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite precisano che l’interpretazione della legge, o la sua disapplicazione, rappresentano il proprium della funzione giurisdizionale e che l’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è, appunto, proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto.
Alla medesima conclusione si giunge allorquando il magistrato abbia correttamente argomentato, non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni, bensì (anche) dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale, avuto riguardo al sistema normativo invocato.
Tale operazione ermeneutica non integra la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, potendo al massimo dare luogo ad un error in iudicando, sottratto al sindacato delle Sezioni Unite, salvo il caso del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc, in modo da ridondare in denegata giustizia.
L’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore è, dunque, configurabile solo ove il giudice amministrativo (o contabile) applichi, non già la norma esistente, bensì una norma da esso stesso creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
La mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comporta, viceversa, la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacché il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale.
Si veda anche SS.UU, 6 settembre 2022, n. 26164.