Civile Ord. Sez. U Num. 36636 Anno 2022
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 14/12/2022
ORDINANZA
sul ricorso 30531-2021 proposto da:
I.C.V. S.R.L. 08313891007, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 30, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ALESSANDRI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LORENZO AURELI, FRANCO COCCOLI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA alla VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso L’AVVOCATURA CAPITOLINA, rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO GAROFOLI, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché
SERA PRIMA SOC COOP EDILIZIA, SERA SECONDA SOC COOP EDILIZIA, ASSOCIAZIONE GIUSTA CASA;
– intimate –
avverso la sentenza n. 3589/2021 del CONSIGLIO DI STATO di ROMA, depositata il 07/05/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2022 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie della ricorrente;
FATTI DI CAUSA
Con ricorso dinanzi al TAR per il Lazio, Sede di Roma, la societĂ I.C.V. s.r.l. impugnava la delibera del Consiglio Comunale n. 62 del 6 agosto 2019, di decadenza e conseguente risoluzione della convenzione del 18 giugno 2009, relativa alla concessione del diritto di superficie per la realizzazione di alloggi abitativi da locare, su aree del comparto A/p del PdZ “Colle Fiorito”, in attuazione del programma sperimentale di edilizia residenziale, denominato “20.000 abitazioni in affitto”, con riacquisizione da parte
dell’Amministrazione delle aree e degli immobili ivi realizzati, di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, tra cui le note n. 157366 del 28 settembre 2018 di apertura del relativo procedimento, n. 187985 del 15 novembre 2018 di chiusura dell’istruttoria, n. 1121 del 31 luglio 2019 di chiusura del procedimento.
Infatti, con delibera del Consiglio Comunale n. 11 del 19 gennaio 2006, veniva concesso alla societĂ ICV il diritto di superficie, ex art. 35 della legge n. 865 del 1971, su aree del comparto A/p del PdZ “Colle Fiorito”, per la realizzazione di cubature residenziali pari a mc. 8.618, finanziata ex legge n. 21 del 2001, ed il 18 giugno 2009 la societĂ ICV stipulava col Comune di Roma apposita convenzione, ex art. 35 della legge n. 865 del 1971.
Con la successiva delibera consiliare n. 62 del 6 agosto 2019 l’Amministrazione, con riferimento alla citata convenzione, rilevava che in violazione dell’art. 1 del disciplinare, all. C, della convenzione, che prevedeva il divieto di cessione a terzi del diritto di superficie – salvo autorizzazione dell’Amministrazione – prima della dichiarazione di fine lavori (a pena di decadenza e di risoluzione automatica di diritto della convenzione), erano stati stipulati contratti preliminari di vendita con societĂ cooperative (Sera Prima e Sera Seconda) che, a loro volta, avevano sottoscritto contratti di prenotazione di alloggi e promesse di locazione. Inoltre, era stata divulgata pubblicitĂ ingannevole, tramite Servizi Prima Casa 2000 S.r.l., ed erano state fatte pagare ingenti somme
ai privati, avendo altresì l’impresa incamerato il contributo regionale, destinato invece a beneficio del fruitore finale dell’alloggio.
Si evidenziava, inoltre, che era stato consentito il godimento degli alloggi, seppur privi della necessaria agibilitĂ , ai sottoscrittori delle promesse di locazione e che era stata fatta dichiarazione non veritiera circa l’impegno a reperire i conduttori senza alcuna intermediazione. Così come pure dal prezzo massimo di cessione non era stato decurtato il contributo regionale, con conseguente frustrazione delle finalitĂ sociali di interesse pubblico del programma.
Con la medesima deliberazione veniva quindi disposta la decadenza e la conseguente risoluzione della convenzione, la riacquisizione delle aree e degli immobili ivi realizzati, per accessione ex art. 934 c.c., con fabbricati ancora da completare, ai fini della dichiarazione di fine lavori, del collaudo, dell’agibilitĂ , con successiva valutazione delle posizioni dei singoli conduttori, l’avvio di contatti con la Regione Lazio, volti al recupero coattivo del contributo, l’attivazione quindi delle procedure per l’assegnazione degli alloggi agli aventi diritto, la trascrizione della delibera medesima nei registri immobiliari della Conservatoria, ex art. 2645 c.c.
Il TAR, con la sentenza n. 5978 del 5 giugno 2020, ha respinto il ricorso ed ha condannato la ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese del giudizio tra le parti.
Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto:
a) sussistente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, commi 1 e 2, c.p.a.;
b) legittima l’impugnata decadenza, in quanto fondata sulla violazione degli artt. 1 e 5 del disciplinare della convenzione, determinata dalla cessione e dal successivo trasferimento della disponibilitĂ degli alloggi, in assenza del certificato di agibilitĂ , nonchĂ© sulla violazione dell’art. 13 del disciplinare, dato l’avvenuto reperimento dei conduttori avvalendosi dell’intermediazione delle cooperative cessionarie;
c) proporzionata la misura della risoluzione della convenzione, alla luce della gravitĂ e della pluralitĂ degli inadempimenti;
d) che l’essersi attivata la ricorrente con rimedi negoziali e giudiziali verso le cooperative, peraltro nel proprio esclusivo interesse, non rilevasse ai fini dell’eliminazione dei suoi inadempimenti e degli effetti pregiudizievoli prodottisi nell’ambito della realizzazione del programma abitativo;
e) che la dedotta omessa considerazione delle osservazioni controdeduttive della ricorrente non conducesse all’annullamento della delibera impugnata, ex art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, atteso che la stessa non poteva avere un contenuto diverso da quello in concreto assunto.
Avverso tale sentenza la societĂ ricorrente ha proposto appello, e, nella resistenza del Comune, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3589 del 7 maggio 2021 ha rigettato il gravame.
In via preliminare rilevava che la causa della decadenza era stata circoscritta alla violazione dell’art. 1 del disciplinare, all. C, della convenzione, in ragione della stipula dei contratti preliminari di vendita da parte della societĂ ICV con le societĂ cooperative Sera Prima e Sera Seconda, così che le ulteriori violazioni ivi constatate non assumevano alcuna efficacia causale determinante ai fini della decadenza e della conseguente risoluzione della convenzione.
Quanto alla presunta inidoneitĂ della stipula dei detti contratti preliminari a determinare la violazione della disposizione pattizia, questione avente portata assorbente di tutte le altre censure che investivano gli ulteriori inadempimenti addebitati alla societĂ concessionaria, la sentenza ricordava che l’art. 1 del “Disciplinare Generale di Norme, Patti, Oneri e Condizioni”, costituente l’allegato “C” della citata Convenzione tra Roma Capitale ed il concessionario, vieta qualsiasi trasferimento, a qualunque titolo, del diritto reale concesso con la convenzione stessa, anteriormente alla dichiarazione di fine lavori risultante dal libretto di cantiere, salvo autorizzazione dell’Amministrazione.
Il rispetto della previsione pattizia è posto a pena dell’immediata ed automatica decadenza, nonchĂ© della conseguente risoluzione di diritto della convenzione, ai sensi dell’art. 1456 del codice civile.
Secondo il Collegio le condotte ascrivibili alla società appellante in occasione della stipula dei predetti contratti preliminari di vendita erano di per sé idonee a determinare la
predetta sanzione convenzionale, dovendosi escludere che i predetti contratti preliminari avessero, come sostenuto dall’appellante, un’efficacia meramente obbligatoria, considerato che con la stipula di essi le parti, assumendo l’obbligo di addivenire alla conclusione del rispettivo contratto definitivo, davano avvio ad una sequenza contrattuale destinata a determinare il definitivo trasferimento del diritto sul bene, eventualmente a mezzo dell’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. con una sentenza sostitutiva del contratto non concluso.
Inoltre, nel caso di specie, alla luce del reale contenuto dei contratti preliminari di compravendita stipulati dalla societĂ appellante, si rilevava in essi un’efficacia anticipatoria degli effetti della futura contrattazione definitiva, investendosi in toto sin dalla pattuizione preliminare i punti essenziali della compravendita.
L’indagine sulla causa di tali contratti, volta ad individuare la natura di essi e l’intento comune dei contraenti, denotava che la loro causa negoziale concreta coincideva sostanzialmente con la funzione propria di un contratto avente ad effetto il trasferimento di diritti reali, principalmente alla luce della previsione contrattuale, nell’ambito di detti preliminari di compravendita, di prestazioni di carattere pecuniario. Inoltre, emergeva la natura strumentale dei contratti preliminari rispetto ai futuri contratti di compravendita, i cui effetti traslativi risultavano essersi giĂ prodotti al momento dell’accordo ed in base al consenso manifestato dalle parti.
Ciò aveva conferma nel riscontrato possesso degli alloggi da parte dei promissari acquirenti, come visto oggetto della diversa contestazione relativa alla omissione da parte della I.C.V. del”l’attivitĂ di vigilanza connessa alla realizzazione dell’intervento affidato, consentendo a soggetti sottoscrittori delle citate promesse di locazione, il godimento di alloggi ancora privi di agibilitĂ , e pertanto l’assoggettamento a rischi per l’incolumitĂ dei medesimi“.
Invero, la previsione dell’obbligo di pagamento connessa all’acquisizione del possesso degli immobili rafforzava la sostanziale coincidenza tra il contratto definitivo e il presupposto contratto preliminare, quest’ultimo inevitabilmente non potendo assumere una natura meramente obbligatoria.
NĂ© poteva invocarsi l’instaurazione di giudizi civili per l’ottenimento della risoluzione dei detti contratti preliminari, sia perchĂ© tale circostanza non era di per sĂ© idonea ad eliminare in radice e ab origine l’avvenuta violazione della previsione pattizia, sia in quanto allo stato risultava che solo uno dei due contratti era stato risolto in sede giurisdizionale, con l’accoglimento della relativa azione.
Andava quindi ribadita la legittimitĂ della decadenza e risoluzione della convenzione, stante la riscontrata violazione del citato art. 1 del disciplinare da parte della societĂ concessionaria.
La sentenza disattendeva anche il sesto motivo di gravame, in quanto l’art. 1 del disciplinare, prevedendo chiaramente il
divieto di trasferimento del diritto reale prima della dichiarazione di fine lavori, in assenza di specifica autorizzazione, a pena di decadenza e risoluzione di diritto della convenzione, impediva all’Amministrazione l’adozione di una decisione di diverso contenuto, in tal modo potendo essere superate ex art. 21-octies l. n. 241/1990 le dedotte violazioni procedimentali.
Avverso la sentenza del Consiglio di Stato è stato proposto ricorso per cassazione da ICV S.r.l. sulla base di tre motivi, illustrati da memorie.
Roma Capitale (giĂ Comune di Roma) ha resistito con controricorso.
Le altre intimate non hanno svolto attivitĂ difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dei limiti interni della giurisdizione del giudice amministrativo, con difetto relativo di giurisdizione.
Si sostiene che l’azione proposta dala società investiva la legittimità del provvedimento di decadenza e la conseguente risoluzione della convenzione, il che radicava la giurisdizione del GA ai sensi dell’art. 133 co. 1 lett. b) cpa.
Tuttavia, da tale giurisdizione esulano le controversie concernenti i rapporti di natura privatistica tra il concessionario ed i soggetti terzi.
Con la sentenza impugnata il Consiglio di Stato non si è limitato a decidere sulla legittimità dei provvedimenti incidenti sul rapporto concessorio, ma ha esaminato il contenuto dei contratti preliminari conclusi dalla ricorrente con società private, attribuendo agli stessi un’efficacia traslativa, procedendo quindi ad un’indebita riqualificazione e reinterpretazione dei medesimi, sostituendo la propria valutazione a quella invece emergente dalla reale volontà delle parti.
In tal modo la sentenza si è attribuita una giurisdizione su materia riservata a quella di altro giudice, essendo la cognizione circa la validità dei contratti de quibus riservata al Giudice Ordinario.
Il secondo motivo denuncia la violazione dei limiti interni della giurisdizione del Giudice Amministrativo con difetto relativo di giurisdizione.
Richiamando quanto esposto nel primo motivo, la ricorrente ricorda come il Giudice Ordinario, a seguito di apposita domanda aveva già affermato che i contratti in oggetto fossero da qualificare come preliminari (sentenza del Tribunale di Roma n. 17839/2019), e che tale pronuncia è passata in cosa giudicata.
La sentenza impugnata si pone, quindi, in contrasto con la diversa affermazione del Giudice Ordinario, circa la qualificazione del contratto come preliminare ad efficacia obbligatoria.
Inoltre, la pronuncia di risoluzione del Giudice Ordinario opera retroattivamente a far data della domanda risalente al luglio del 2016. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ric. 2021 n. 30531 sez. SU – ud. 06-12-2022 -11-
La sentenza impugnata ha quindi travalicato i limiti interni della propria giurisdizione, determinando altresì un insanabile contrasto tra giudicati, sebbene non idoneo a determinare una causa di revocazione, trattandosi di sentenze emesse tra parti parzialmente diverse.
Il terzo motivo denuncia la violazione dei limiti interni della giurisdizione del Giudice Amministrativo, con difetto assoluto di giurisdizione ed eccesso di potere giurisdizionale.
Pur tenendo conto dei limiti alla denuncia del vizio de quo, come posti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2018, si rileva che il Consiglio di Stato ha autonomamente riqualificato i contratti preliminari, provvedendo d’ufficio a modificare l’assetto contrattuale voluto dalle parti, così esercitando un potere che è riservato al Giudice Ordinario.
2. I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
Parte ricorrente, pur riconoscendo la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo sull’impugnativa del provvedimento di decadenza e conseguente risoluzione della convenzione ex art. 35 della legge n. 865/1971, intercorsa tra la ricorrente ed il Comune (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 6856/2003, secondo cui la deliberazione del Comune di concedere su aree costituenti il proprio patrimonio un diritto di superficie finalizzato alla costruzione di alloggi di tipo economico e popolare e la relativa convenzione attuativa, stipulata ai sensi dell’art 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, compongono entrambe la fattispecie complessa della concessione amministrativa ed istituiscono fra concedente e concessionario un rapporto che è unitario, con la conseguenza che le eventuali pretese, anche risarcitorie, attinenti alla detta convenzione sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo; conf. da ultimo Cass. S.U. n. 692/2016), ritiene che però la valutazione compiuta dal Giudice Amministrativo in merito alla natura giuridica dei contratti conclusi dalla concessionaria, in asserita violazione dei termini della convenzione, esuli dalla giurisdizione del GA e che quindi concreti un eccesso di potere giurisdizionale.
Non preclude la deducibilitĂ del vizio la circostanza che, nella prospettazione della ricorrente, analogo eccesso sarebbe stato compiuto anche dal giudice di primo grado, che, conformemente al Consiglio di Stato, avrebbe attribuito una natura sostanzialmente traslativa ai contratti intervenuti con le due societĂ cooperative, nonostante la qualificazione formale ivi adottata, occorrendo a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui non è configurabile un giudicato implicito sulla giurisdizione in relazione ad una sentenza del giudice speciale di primo grado che sia astrattamente affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, poichĂ© all’interno del plesso giurisdizionale della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, tale vizio non dĂ luogo ad un capo autonomo sulla giurisdizione autonomamente impugnabile, ma si traduce in una questione di merito del cui esame il giudice speciale di secondo grado viene investito con la proposizione dell’appello; pertanto, l’interesse a ricorrere alle Sezioni Unite potrĂ sorgere esclusivamente rispetto alla sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un “vulnus” all’integritĂ della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, amministrativo e legislativo. (Cass S.U. n. 19084/2020; Cass. S.U. n. 23899/2020; Cass. S.U. n. 13436/2019), dovendosi peraltro evidenziare che il vizio de quo, ancorchĂ© non con un esplicito richiamo alla figura dell’eccesso di potere giurisdizionale, era stato giĂ denunciato con il primo motivo di appello che atteneva alla corretta qualificazione dei contratti preliminari.
Come giĂ in passato affermato (cfr. Cass. SU n. 23542/2015), la nozione di eccesso di potere giurisdizionale costituisce categoria, di fonte giurisprudenziale, utile al fine di risolvere questioni di giurisdizione (con riferimento all’impugnativa di pronunce del Consiglio di Stato cfr. ex plurimis Cass., S.U., 2 febbraio 2015, n. 1823; 23 dicembre 2014, n. 27341; 16 luglio 2014, n. 16239; 17 aprile 2014, n. 8993; aprile 2014, n. 8056; 16 gennaio 2014, n. 774; e con riferimento all’impugnativa di pronunce della Corte dei conti v., altresì ex plurimis, Cass., S.U., 29 ottobre 2014, n. 22951; 3 aprile 2014, n. 7847), che si colloca sul crinale della distinzione tra il settimo e l’ottavo comma dell’art. 111 della Costituzione.
Infatti, la generalitĂ del sindacato di legittimitĂ si coniuga con il regime differenziato delle pronunce di due giudici speciali di antica tradizione: l’ottavo comma dell’art. 111 Cost. prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Nel solco della distinzione tra il generale sindacato di legittimitĂ del settimo comma dell’art. 111 ed il sindacato limitato alle questioni di giurisdizione si inserisce la categoria dell’eccesso di potere giurisdizionale e piĂą in generale dei c.d. limiti esterni del potere giurisdizionale.
Tuttavia, la piĂą recente elaborazione di questa Corte, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 6/2018, ha ristretto l’ambito applicativo di tale figura, affermandosi che (cfr. Cass. S.U. n. 27770/2020) in materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, comma 8, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo“, senza che rilevi la gravitĂ o intensitĂ del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attivitĂ giurisdizionale.
In tal senso va dato seguito a quanto affermato da Cass. S.U. n. 8588/2022, che ha ribadito che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalitĂ amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonchĂ© di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sĂ©, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento. SicchĂ©, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimitĂ dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte, successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, cfr.: Cass., S.U., n. 7926/2019, Cass., S.U., n. 8311/2019, Cass., S.U., n. 29082/2019, Cass., S.U., n. 7839/2020, Cass., S.U., n. 19175/2020, Cass., S.U., n. 18259/2021).
E’ stato altresì ricordato come la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale
per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma ottavo, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass., S.U., n. 32773/2018; Cass., S.U., 10087/2020; Cass., S.U., n. 19175/2020).
E stato quindi ribadito che anche il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo non integra, di per sé, l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’art. 111, comma ottavo, Cost., atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità , sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione, né può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze, in quanto affidata a valutazioni contingenti e soggettive (Cass., S.U., n. 29085/2019; Cass., S.U., n. 6460/2020). Peraltro il principio più volte confermato da queste Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 30301/2017; Cass., S.U., n. 7839/2020; Cass., S.U., 21641/2021), circa l’insindacabilità da parte della Corte di cassazione, ex art.
111, ottavo comma, Cost., delle violazioni del diritto dell’Unione europea e del mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali (nella specie, il Consiglio di Stato) è stato ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione.
Trattasi di affermazioni che hanno poi ricevuto l’avallo da parte della stessa Corte di Giustizia U.E. con la sentenza 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad, emessa proprio sul rinvio pregiudiziale disposto dall’ordinanza n. 19598/2020 di questa Sezioni Unite, sentenza che ha ritenuto non contrastante con il diritto dell’Unione una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, precluda la possibilità di contestare, nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro, la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa (cfr. anche Cass., S.U., n. 1454/2022; Cass. S.U. n. 5121/2022; Cass. S.U. n. 11547/2022; Cass. S.U. n. 11549/2022).
3. Una volta richiamati tali principi, con specifico riferimento alla denuncia di eccesso di potere giurisdizionale e di violazione dei limiti al potere interno del GA, occorre rilevare che, come peraltro riconosce la stessa ricorrente (cfr. ricorso pag. 15, sub 7) il giudice ammnistrativo, chiamato a valutare la ricorrenza della causa di decadenza e risoluzione della convenzione accessoria, e quindi a verificare la permanenza del rapporto concessorio, era altresì chiamato a valutare se la stipulazione dei contratti con le cooperative SERA Prima e SERA Seconda si configurasse come una violazione del Disciplinare allegato alla Convenzione, e precisamente se con gli stessi si fosse addivenuti alla sostanziale cessione del diritto di superficie oggetto della concessione. E’ evidente quindi che, ai fini dell’esercizio della propria giurisdizione, pacificamente sussistente in merito alla sorte della concessione, il Giudice Amministrativo fosse chiamato altresì a valutare i contratti de quibus, in quanto individuati dal Comune come idonei a determinare una violazione degli impegni assunti dalla concessionaria, violazione in grado di determinare la caducazione della stessa concessione. Rileva a tal fine l’esercizio del potere di accertamento incidentale di cui all’art. 8 cpa, norma in relazione alla quale è stato affermato il principio secondo cui la violazione dei relativi limiti non configura un eccesso di potere giurisdizionale, ma solo un “error in procedendo“, commesso dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione (Cass. S.U. n. 7292/2016; Cass. S.U. n. 31753/2019, quanto
all’accertamento della proprietĂ , nel caso in cui il privato destinatario di un provvedimento comunale di diffida alla messa in sicurezza di un muro costituente pericolo per la pubblica incolumitĂ , ne contesti la titolaritĂ , in quanto la contestazione concerne il concreto esercizio del potere pubblico dell’ente locale e che oggetto della lite è la domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo in materia di ordine, sicurezza, incolumitĂ , igiene o edilitĂ pubblica; Cass. S.U. n. 28331/2019).
Anche nella vicenda in esame l’accertamento che il GA ha dovuto compiere sulla natura e sulla causa in concreto dei contratti, formalmente definiti quali preliminari, è evidentemente strumentale alla decisione sulla controversia sicuramente devoluta alla propria giurisdizione. Infatti se l’oggetto della cognizione incidentale viene conosciuto dal giudice amministrativo sempre e soltanto in funzione della esplicazione della giurisdizione sull’oggetto conosciuto invece in via principale, il bene della vita su cui il giudice amministrativo decide e, quindi, sul quale si esercitata la sua giurisdizione, il suo ius dicere, e riguardo al quale assume rilevanza la figura dell’eccesso di potere giurisdizionale, è per definizione sempre e soltanto quello riguardo al quale la sua giurisdizione sussiste in via diretta e cui la cognizione incidentale è soltanto funzionale e perciò autorizzata in via incidentale.
Peraltro, sempre che la decisione sulla causa in via principale rientri nell’esercizio della giurisdizione che è propria in via diretta del giudice amministrativo, nel senso che la situazione dedotta in giudizio ed oggetto della giurisdizione esercitata inerisce ad essa ed è in essa ricompresa, anche l’eventuale svolgimento della cognizione incidentale in funzione dell’esercizio di tale giurisdizione esistente al di lĂ di quello che contraddistinguerebbe il modo di essere di una cognizione in via incidentale, integra sempre e soltanto un error in procedendo commesso dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione. E ciò, perchĂ© la giurisdizione risulterebbe esercitata sempre e soltanto sull’oggetto principale, quello relativo all’oggetto della domanda proposta. Trattasi di conclusione che trova anche il conforto della lettera della legge, atteso che il comma 1 dell’art. 8 del cpa dispone che «Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale». Il riferimento al “senza efficacia di giudicato” è significativo proprio, conforme al concetto di cognizione incidentale (in tal senso si veda anche l’art. 34 c.p.c.), della sua estraneitĂ all’oggetto della domanda e, quindi, della decisione.
Trattasi di principi che sono stati anche di recente riaffermati da questa Corte (Cass. S.U. n. 18638/2022), che ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si denunciava lo “sconfinamento del potere giurisdizionale”, in un’ipotesi in cui il Giudice Amministrativo aveva annullato un provvedimento
di trasferimento dell’autorizzazione della sede farmaceutica, compiendo un accertamento e fornendo una qualificazione giuridica dell’accettazione dell’ereditĂ posta in essere dal ricorrente.
La soluzione è stata argomentata alla luce della lettura restrittiva della nozione di eccesso di potere giurisdizionale, quale scaturente a seguito del menzionato intervento della Consulta, nonchĂ© della necessitĂ di dover ricondurre la violazione dei limiti della cognizione incidentale stabiliti all’______________. alla deduzione di un semplice error in procedendo, commesso dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione).
Tornando alla vicenda in esame, deve perciò escludersi che la valutazione circa la portata effettuale dei preliminari abbia ecceduto dai limiti della cognizione del GA sulla materia del contendere devoluta alla propria giurisdizione (legittimità del provvedimento di decadenza e risoluzione della convenzione accessoria quale effetto della violazione del disciplinare allegato alla convenzione), e che per l’effetto il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti con la controricorrente, e si liquidano come da dispositivo.
Nulla a disporre quanto alle spese per le parti rimaste intimate.
6. PoichĂ© il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilitĂ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre
Allegati:
SS.UU, 14 dicembre 2022, n. 36636, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota dell’ Avv. Maurizio Fusco
Eccesso di potere del giudice speciale e sindacato delle Sezioni Unite: l’impugnativa del provvedimento di decadenza dalla convenzione ex art. 35 della L. 865/1971
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione deve essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici).
In coerenza con la relativa nozione posta dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento), tale vizio non è configurabile in relazione ad errores in iudicando e in procedendo, i quali non investono la sussistenza dei suindicati limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
2. Il caso “Legge casa”
Con ricorso dinanzi al TAR per il Lazio, una società ha impugnato la delibera del Comune di decadenza, con conseguente risoluzione, della convenzione relativa alla concessione del diritto di superficie (L. 865/1971) per la realizzazione di alloggi abitativi da locare, con riacquisizione da parte dell’Ente pubblico delle aree e degli immobili ivi realizzati.
L'Amministrazione, con riferimento alla citata convenzione, ha rilevato la violazione dell’art. 1 del disciplinare, che prevedeva il divieto di cessione a terzi del diritto di superficie, salvo autorizzazione.
Prima della dichiarazione di fine lavori erano stati stipulati contratti preliminari di vendita con societĂ cooperative che, a loro volta, avevano sottoscritto contratti di prenotazione di alloggi e promesse di locazione.
Era stata, inoltre, divulgata pubblicità ingannevole ed erano state fatte pagare ingenti somme ai privati, avendo altresì il costruttore incamerato il contributo regionale, destinato invece al fruitore finale dell’alloggio.
Si è evidenziato, poi, che era stato consentito il godimento degli alloggi, seppur privi della necessaria agibilità , ai sottoscrittori delle promesse di locazione e che era stata fatta dichiarazione non veritiera circa l’impegno a reperire i conduttori senza alcuna intermediazione.
Così come, infine, pure dal prezzo massimo di cessione non era stato decurtato il contributo regionale, con conseguente frustrazione delle finalità sociali di interesse pubblico del programma.
Con la medesima deliberazione è stata, quindi, disposta la decadenza e la conseguente risoluzione della convenzione, la riacquisizione delle aree e degli immobili ivi realizzati, per accessione ex art. 934 c.c., con i fabbricati ancora da completare.
Sia il TAR che il Consiglio di Stato, nel confermare la bontà del provvedimento amministrativo, hanno respinto le doglianze sollevate, con condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese del giudizio.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite precisano che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, c. 8, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
L’eccesso di potere giurisdizionale nei confronti del legislatore, invece, è configurabile solo ove il giudice amministrativo (o contabile) applichi, non già la norma esistente, bensì una norma da esso stesso creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
La mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comporta, viceversa, la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, giacché il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale.
Anche il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo, precisa la Cassazione, non integra, di per sé, l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’art. 111, c. 8, Cost., atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità , sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di Cassazione.