Civile Ord. Sez. U Num. 4591 Anno 2023
Data pubblicazione: 14/02/2023
Ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 782/2022 R.G. proposto da
____________, titolare del Lido ____________ sito in Porto Cesareo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti ________________, ______________ ed ____________, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, ________________ n. ___, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE di PORTO CESAREO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. ________________, con domicilio digitale _________ giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4216/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 3 giugno 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023 dal Consigliere _______________;
FATTI DI CAUSA
1. Con determinazione dirigenziale del 27 luglio 2007, la Regione Puglia concedeva a ______________ l’utilizzo di un’area, situata in località “Palude Fede” del Comune di Porto Cesareo, per il periodo dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, destinata a parcheggio, spiaggia attrezzata e con realizzazione di un chiosco, sulla quale era avviata un’attività stagionale di stabilimento balneare.
Negli anni successivi ______________ – che, peraltro, prospettava di essere titolare della concessione in questione sin dal 1999 – chiedeva, ed otteneva, il rinnovo della concessione di anno in anno, fino, da ultimo, al 30 ottobre 2014.
Quest’ultima determinazione, limitativa del periodo attribuito per la valutata esigenza di procedere all’individuazione del concessionario con procedure comparative, era impugnata con ricorso innanzi al TAR Lecce, con cui veniva altresì chiesto il riconoscimento della proroga fino al 31 dicembre 2020 in forza dell’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, come modificato dall’art. 34 duodecies, d.l. n. 179/2012.
Il giudice amministrativo, peraltro, constatato che sulla citata disciplina era stato disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per valutarne la compatibilità con i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, sospendeva il giudizio fino a che non fosse intervenuta la suddetta pronuncia.
Pure la Regione Puglia disponeva, in via di autotutela, la proroga delle concessioni in essere fino alla decisione della Corte di giustizia e, quindi, avviate le procedure di alienazione dei terreni che includevano le aree situate nella “Palude fede”, con successive determinazioni, anno per anno, concedeva al sig. _________ di continuare ad utilizzare il bene in attesa della individuazione dell’acquirente e, poi, fino alla chiusura delle procedure di definizione della dividente demaniale, nel frattempo avviate.
2. Con istanza del 18 aprile 2019 ______________ chiedeva al Comune di Porto Cesareo il rilascio di un provvedimento di proroga della concessione per ulteriori 15 anni ai sensi dell’art. 1, commi 675-682 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che veniva denegato dall’amministrazione comunale per carenza dei presupposti oggettivi e formali, trattandosi di concessione non riconducibile a quella demaniale marittima e, inoltre, carente sul piano procedurale quanto alle modalità di scelta del concessionario.
L’impugnazione del diniego era respinta dal TAR della Puglia – sez. staccata di Lecce posto che, estinto il precedente giudizio avverso il provvedimento di rinnovo della concessione fino all’ottobre 2014 per mancata riassunzione, la proroga prevista dal d.l. n. 194/2009 non era mai stata applicata per l’efficace apposizione di un termine annuale ai rinnovi concessi, riconosciuti solo per motivi di opportunità, neppure potendosi qualificare l’assegnazione dell’area in termini di concessione demaniale marittima, da cui l’inapplicabilità di quanto stabilito dalla legge n. 145/2018.
La decisione era confermata dal Consiglio di Stato che, con la sentenza in epigrafe, riteneva sì, contrariamente al giudice di primo grado, che il provvedimento concessorio avesse ad oggetto un bene demaniale marittimo, ma escludeva a favore della parte la sussistenza dei requisiti oggettivi per il riconoscimento della proroga prevista dall’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145/2018.
3. Per quanto qui rileva, a tale conclusione il Consiglio di Stato perveniva in base al seguente ragionamento:
a) tutti i provvedimenti concessori avevano durata stagionale e definita: la concessione rilasciata il 27 luglio 2007 aveva durata limitata alla stagione estiva; le concessioni degli anni successivi, fino al 2016, pur con decorrenze differenti, erano per periodi “sostanzialmente annuali”; parimenti limitata era stata la proroga adottata in attesa della decisione della Corte di giustizia; pure per il 2017 e 2018 i provvedimenti, mirati ad acconsentire la continuazione del godimento dei beni alle pregresse condizioni avevano termine finale di durata al 31 dicembre; tutti i provvedimenti concessori, in ogni caso, avevano validità stagionale atteso, tra l’altro, il costantemente previsto obbligo di “rimozione delle strutture al termine della stagione estiva” e che “al termine di durata della concessione le aree dovevano essere riconsegnate libere da cose e persone”; la stessa parte era consapevole di tale fatto poiché la sua istanza era per “il rinnovo della concessione”;
b) il richiamo operato dall’art. 1, comma 683, l. n. 145/2018 al d.l. n. 194/2009 non comportava l’applicazione della proroga a tutte le concessioni in atto a quella data: se così fosse stato “sarebbe bastato indicare la data del 30 dicembre 2009 senza alcun richiamo al decreto legge n. 194 del 2009”; il riferimento andava pertanto inteso come diretto ad identificare quali fossero le concessioni demaniali marittime destinatarie della (nuova) proroga, da individuare in quelle che già avevano fruito della precedente ed erano vigenti alla data del 1° gennaio 2019.
Ne ha derivato che il ricorrente, in quanto titolare di concessioni di durata annuale (o stagionale) e non di “concessioni di lunga durata (con scadenza fino al 31 dicembre 2012, più volte prorogato fino al 31 dicembre 2018)”, non aveva fruito, né poteva fruire, della proroga fino al 31 dicembre 2020 prevista dal d.l. n. 194/2009, e, quindi, cessata la concessione alla data del 31 dicembre 2018, non poteva neppure fruire della (nuova) proroga prevista dalla l. n. 145/2018, entrata in vigore dal 1° gennaio 2019.
4. Avverso tale sentenza ____________ ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, cui il Comune di Porto Cesareo ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380.bis.1 cod. proc. civ., con cui ha chiesto il rinvio in attesa della decisione della Corte di giustizia sulla rimessione operata dal TAR Puglia sez. distaccata di Lecce, la cui ordinanza ha depositato con nota del 9 gennaio 2023, e, comunque, il rinvio per la trattazione della causa alla pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente vanno disattese le richieste di rinvio articolate con la memoria ex art. 380.bis.1 cod. proc. civ.
1.1. Quanto all’istanza in relazione alla pendenza della decisione della Corte di giustizia sull’ordinanza n. 743/2022 del TAR Puglia, la richiesta è inammissibilmente generica neppure essendo specificata la pertinenza della questione ivi sollevata rispetto al presente giudizio, né essendo stato riprodotto il relativo provvedimento, solo tardivamente depositato.
In ogni caso, ove la questione risulti riferibile alla compatibilità della disciplina nazionale alle direttive unionali (in ispecie, alla direttiva n. 2006/123, cd. direttiva Bolkestein), la problematica risulta non attuale, estranea e neppure pertinente al presente giudizio posto che lo stesso Consiglio di Stato ha esplicitamente escluso la ricorrenza delle condizioni per l’applicazione della disciplina nazionale, concludendo che «non v’è ragione di domandarsi nel presente giudizio se la disposizione sia coerente ai principi dell’Unione europea».
1.2. Va altresì escluso che sussistano i presupposti per il rinvio della trattazione alla pubblica udienza posto che la questione attiene a profili, in punto di giurisdizione, su cui è dato rinvenire un’ampia e consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 14437 del 2018), neppure vertendosi in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. S.U., n. 8093 del 2020).
2. L’unico motivo di ricorso denuncia eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione, avendo il Consiglio di Stato superato la sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, nonché per aver deciso la controversia in violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., prescindendo dalle deduzioni ed eccezioni delle parti senza attivare il contraddittorio processuale, realizzando così un diniego di giustizia.
2.1. Sotto il primo profilo sostiene la parte ricorrente che il Consiglio di Stato, nel limitare l’applicabilità dell’art. 1, comma 683, della legge n. 145/2018 alle sole “concessioni di lunga durata”, ha introdotto un requisito non previsto da alcuna norma.
Non condivisibile è poi l’assunto, fatto proprio dalla sentenza impugnata, per cui il riferimento al d.l. n. 194/2009 operato dall’art. 1, comma 683, della legge n. 145/2018, debba intendersi limitato alle concessioni di “lunga durata” di cui all’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 invece che a tutte le concessioni comunque in atto, posto che le prime sarebbero state di per sé operative alla data del 1° gennaio 2019 in forza della proroga al 31 dicembre 2020.
Rileva, in particolare, che l’intento del legislatore del 2018 era quello di protrarre il rapporto di tutte le concessioni vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194/2009 a prescindere dalla loro natura di breve o lunga durata e dalle modalità, in concreto, di proroga, mentre la diversa interpretazione del Consiglio di Stato oblitera la distinzione tra i commi 682 e 683 dell’art. 1 cit.
2.2. Sotto il secondo profilo lamenta che la sentenza abbia risolto la controversia – relativa ad una attività vincolata e, quindi, con estensione della cognizione all’intero rapporto ed ai relativi presupposti costitutivi, la cui allegazione è onere delle parti – in relazione alla natura non di lunga durata della concessione, derivandone la non applicabilità dell’estensione temporale prevista dal comma 683 cit., senza preventivamente attivare il contraddittorio con le parti in violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm..
3. Il controricorrente contesta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso. Il Consiglio di Stato si è limitato ad interpretare le norme su cui era incardinato il giudizio ed oggetto delle deduzioni di entrambe le parti ed ha statuito sulla base dei fatti allegati e provati dalle parti, senza nessun rilievo officioso e/o a sorpresa.
4. Il motivo è inammissibile per entrambi i profili dedotti.
5. Quanto al primo profilo, va osservato che in tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile o amministrativo, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete (così Cass. S.U., n. 36593 del 2021, Cass. S.U., n. 22711 del 2019, Cass. S.U., n. 32175 del 2018).
Questa ipotesi non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se l’abbia desunta non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, potendo tale operazione ermeneutica, tutt’al più, dar luogo ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (così ancora Cass. S.U., n. 22711 del 2019, Cass. S.U., n. 22784 del 2012).
5.1. Invero, il percorso argomentativo perseguito dal Consiglio di Stato si articola sul complesso delle norme con cui sono state introdotte le diverse proroghe delle concessioni e si fonda su elementi logici, sistematici e letterali.
5.2. In primo luogo, la circostanza che l’art. 1, comma 683, richiami il d.l. n. 194 del 2009 senza ulteriori precisazioni («le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194,»; a sua volta il comma 682 dispone «Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge») non può, per ciò solo, escludere che la rilevanza del richiamo sia intesa dal giudice in riferimento al carattere e alla natura delle concessioni come regolate dalla normativa richiamata anziché alla mera data di entrata in vigore della stessa.
Coerente e logica, dunque, è l’opzione esegetica del Consiglio di Stato per cui l’indicazione del dettato normativo non poteva equivalere alla sola indicazione della data «perché se ciò avesse voluto fare, sarebbe bastato indicare la data del 30 dicembre 2009 senza alcun richiamo al decreto legge n. 194 del 2009», e ciò, tanto più, che proprio il decreto legge n. 194/2009, come pure esplicitato dal giudice amministrativo, all’art. 1, comma 18, si riferiva alla proroga – fino al 2020 – del termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della disciplina (e rilasciate a seguito di una procedura amministrativa attivata prima del 31 dicembre 2009) in scadenza entro il 31 dicembre 2018.
E, del resto, quanto alla natura (“di lunga durata”) delle suddette concessioni, l’art. 01, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993 n. 400, convertito con modifiche dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo ratione temporis vigente nel 2009, prevedeva «Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. …».
In tal senso, neppure può ritenersi opaco il riferimento al 2012 per la scadenza delle concessioni in essere e soggette a proroga, contenuto nella sentenza impugnata, posto che proprio il suddetto comma era stato abrogato dall’art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217, in vigore dal 17 gennaio 2012.
5.3. La ricostruzione compiuta dal Consiglio di Stato, inoltre, si àncora ad una evidente prospettiva sistematica, mirata a non ampliare l’ambito dei provvedimenti concessori destinati ad essere beneficiari di proroga: solo quelli in essere e solo quelli già oggetto di proroga sono destinatari delle ulteriori misure di estensione temporale.
Una tale impostazione, e, quindi, la riconducibilità della statuizione del Consiglio di Stato ad una attività esegetica – nell’alveo delle interpretazioni possibili –, trova anche riscontro nell’interpretazione operata dalla Corte costituzionale dell’art. 1, comma 18, legge n. 194/2009 con la sentenza n. 213 del 18 luglio 2011.
Nel valutare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali in tema di proroga automatica di concessioni demaniali, la Corte ha precisato che detta disposizione ha «carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav. La finalità del legislatore è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni».
Il logico corollario, pertanto, era nel senso che la proroga ivi prevista si riferiva solo alle concessioni nuove e in corso e non a quelle scadute. In coerente sviluppo, dunque, è la prospettiva del Consiglio di Stato con riguardo alla portata del successivo intervento del 2018.
5.4. Non si ravvisa pertanto lo sconfinamento lamentato: il giudice non ha affatto travalicato i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma ha esercitato, nel definire i presupposti e i limiti di applicabilità della proroga delle concessioni demaniali marittime nella controversia promossa dal sig. ___________, l’attività ermeneutica che gli compete come suo proprium, applicando la norma esistente e non una norma da lui creata.
Né rileva che tale attività interpretativa possa aver dato luogo – nella prospettazione della parte ricorrente – ad un provvedimento abnorme o anomalo, ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento. Infatti, in questi ultimi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione e il presunto errore di interpretazione rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa a prescindere dalla sua gravità, visto che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale (v. da ultimo Cass. S.U., n. 29900/2022, Cass. S.U., n. 36899/2021, Cass. S.U., n. 27770/2020).
6. La doglianza è inammissibile anche con riguardo al secondo profilo, con cui vien denunciato, in realtà, un error in procedendo, dunque fuori dal perimetro del giudizio di legittimità per motivi attinenti alla giurisdizione, che resta fermo, come su rilevato, alla verifica dell’eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
6.1. Il ricorrente cita la sentenza di questa Corte n. 4297/2013, secondo la quale la «violazione o falsa applicazione di norme processuali, può tradursi in eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con ricorso per cassazione, soltanto nei casi in cui l’error in procedendo abbia comportato un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia».
Occorre tuttavia osservare che, in tempi più recenti e dopo il dialogo sul punto con la Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), la posizione delle Sezioni Unite in merito ai ben circoscritti limiti della verifica consentita alla Corte di cassazione in punto di giurisdizione sui provvedimenti dei giudici speciali è bene espressa da Cass. n. 8311 del 2019, e successive conformi, secondo la quale «L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.»
7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese, regolate per soccombenza, sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, in favore del Comune di Porto Cesareo, in complessivi € 4.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre Iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Deciso in Roma, innanzi alle Sezioni Unite, il 10 gennaio 2023
Allegati:
SS.UU, 14 febbraio 2023, n. 4591, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota del Dott. Vito D’Alessio
Eccesso di potere giurisdizionale e ricorso per cassazione
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale –, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.
Ne consegue, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale resa dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive, neanche nei casi di sentenze “abnormi”, “anomali” ovvero di “radicale stravolgimento” delle norme di riferimento), tale vizio non è configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere stesso.
2. Le motivazioni
Con il primo motivo è stato lamentato l’eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti della giurisdizione amministrativa, avendo il Consiglio di Stato (in tesi) superato la sfera di discrezionalità riservatagli dal legislatore.
Le Sezioni Unite si rifanno, sul punto, alla consolidata giurisprudenza (cfr., SS.UU, n. 32175/2018; n. 22711/2019; n. 36593/2021) secondo la quale l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
Ciò non accade allorquando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se l’abbia desunta non dal dato letterale, ma dalla ratio che il coordinamento sistematico delle norme disvela.
Con il secondo motivo è stato denunciato un error in procedendo; è stato richiamato in tal senso un precedente (cfr., SS.UU, n. 4297/2013), secondo il quale l’eccesso di potere giurisdizionale sussiste anche nei casi in cui l’error in procedendo abbia comportato un “radicale stravolgimento” delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia.
Le Sezioni Unite danno conto del revirement effettuato a seguito di dialogo con il giudice delle leggi (cfr., Corte Cost., n. 6/2018), evidenziando come l’error in procedendo non investe né la sussistenza né i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali; il vizio lamentato in ricorso rimane quindi all’interno del perimetro della giurisdizione del giudice speciale e non è censurabile in Cassazione (cfr., SS.UU, n. 8311/2019 e successive conformi).
3. Riflessioni conclusive
La verifica consentita ex art. 111, c. 8 Cost. in punto di giurisdizione dei giudici speciali ha limiti ben circoscritti.
Il ricorrente deve fornire la prova che l’attività del giudice abbia comportato la creazione di una norma non esistente nell’ordinamento giuridico (e non già la mera applicazione di una disposizione già in essere).
Nei casi in cui l’attività interpretativa dia luogo ad un provvedimento “abnorme” o “anomalo”, ovvero comporti uno “stravolgimento” delle norme di riferimento, può ravvisarsi, al più, un mero errore non denunciabile in Cassazione, che rimane pertanto confinato nell’alveo dei limiti interni della giurisdizione del giudice speciale,
In concreto, l’eccesso di potere è difficilmente dimostrabile, posto che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale.