Civile Ord. Sez. U Num. 23241 Anno 2022
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO
Data pubblicazione: 26/07/2022
ORDINANZA
sul ricorso 23492-2020 proposto da:
D’APONTE MARCELLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO, che Io rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 25;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 470/2019 della CORTE DEI CONTI – II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 12/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/11/2021 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte rigetti il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12/12/2019 la Corte dei Conti-Seconda sezione giurisdizionale centrale d’appello-, in parziale accoglimento -per quanto ancora d’interesse in questa sede- dei gravami spiegati dai sigg. Rosa Russo Jervolino ed altri e in conseguente parziale riforma della pronunzia -su riuniti giudizi- Corte dei Conti-Sezione giurisdizionale per la Regione Campania 4/10/2017, di -per quanto ancora d’interesse in questa sede- condanna dei predetti al risarcimento di somma a titolo di danno contabile per avere, nella rispettiva qualità di Sindaco, amministratori e dirigenti del Comune di Napoli, concesso in locazione all’Associazione “Il Millennio” l’immobile di proprietà comunale sito in P.tta S. Eligio n. 2 ( che in precedenza alla medesima aveva consentito di occupare ) al canone agevolato pari al 10% del canone al valore di mercato, pur in assenza dei requisiti all’uopo richiesti.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello contabile il sig. Marcello D’Aponte, all’epoca assessore al patrimonio del Comune, propone ora ricorso per cassazione ex artt. 362 c.p.c. e 111 Cost., affidato a 3 motivi.
Resiste con controricorso la Procura Generale presso la Corte dei Conti.
Con conclusioni scritte del 20/10/2021 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 10 motivo il ricorrente denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 L. n. 20 del 1994, in riferimento all’art. 362 c.p.c.
Si duole che «il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete» là dove ha riconosciuto sussistere la giurisdizione del giudice contabile, a tale stregua sconfinando «nell’area di insindacabilità espressamente preservata dal richiamato art. 1, comma 1, della L. n. 20.1994>>, atteso che «si trattava … dell’individuazione di immobili che, per insindacabile scelta politica, venivano sottratti all’utilizzazione reddituale per essere destinati ad usi culturali e sociali, in ordine ai quali … nessuna pretesa di ricavo poteva essere avanzata>>.
Lamenta non essersi considerato che «nel caso dell’immobile in contestazione l’Ente comunale ha ritenuto -per l’appunto nell’ambito della sua amplissima discrezionalità nel perseguimento delle rilevanti funzioni sociali e culturali di cui è titolare istituzionalmente ogni Comune- di utilizzare direttamente il bene per l’assolvimento delle primarie funzioni di cui è istituzionalmente titolare, escludendo qualunque scopo reddituale dello stesso e procedendo, attraverso l’abbattimento dei costi di manutenzione e recupero posti a carico dell’associazione assegnataria, alla sua utilizzazione nell’esclusivo perseguimento dei diversi fini sociali e culturali».
Si duole non essersi considerato che «la decisione di assegnare l’immobile di proprietà comunale ad un canone ridotto rispetto a quello di mercato non ha costituito una scelta contraria alla legge, così come prospettato nella pronuncia gravata, ma ha costituito una puntuale applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 267/2000».
Lamenta che «la controversa assegnazione dell’immobile oggetto di contestazione» non si è rivelata nemmeno «scelta contraria “ai generali precetti di ragionevolezza, economicità ed efficacia” così come erroneamente prospettato nella sentenza … gravata», in quanto «nell’assegnazione contestata all’assessore D’Aponte … come emerge per tabulas dalla deliberazione di Giunta Comunale n. 582/2010 all’uopo adottata con la quale si è proceduto a disporre la concessione in locazione dell’immobile in questione … era stato previsto che gli interventi di ristrutturazione/manutenzione fossero a carico del conduttore», sicché essa «rispondeva, al contrario, ad una duplice esigenza: da un lato, quella di sottrarre il Comune di Napoli dagli obblighi di gestione e manutenzione dei cespiti rientranti nel proprio patrimonio immobiliare, obblighi, peraltro divenuti ormai insostenibili per le condizioni di cronica carenza di risorse da destinare a tale voce di bilancio; dall’altro lato, quella di conservare in buono stato i detti beni, consentendo al Comune stesso di svolgere una attenta e costante attività di monitoraggio su una molteplicità di strutture che, se lasciate in disuso, invece sarebbero con ogni probabilità finite per essere abbandonate e totalmente inutilizzate».
Con il 2° motivo denunzia <<violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 362 c.p.c., 48, 107 d.lgs. n. 267/2000.
Con il 3° motivo denunzia <<violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 362 c.p.c., 48, 107 d.lgs. n. 267/2000.
Si duole non essersi tenuto conto della <<netta separazione tra le funzioni di direzione politica e le funzioni di gestione amministrativa, queste ultime di competenza dei dirigenti», non avendo invero partecipato alla relativa istruttoria amministrativa <<né fornito alcun apporto collaborativo non avendo competenza al riguardo».
Lamenta che, stante <<il quadro d’incertezza in ordine al quadro normativo applicabile che ha indotto l’Amministrazione ad ispirarsi alle disposizioni statali vigenti contenute nel d.p.r. 296/2005 relative agli immobili di proprietà statale», in ogni caso difetta a suo carico l’indefettibile <<requisito del dolo e/o della colpa grave».
Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.
Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione ( che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale ) o difetto relativo di giurisdizione ( riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici ), e, in coerenza con la relativa nozione posta da Corte Cost. n. 6 del 2018 ( che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento ), tale vizio non è configurabile in relazione a errores in procedendo e in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo ( cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 6/7/2019, n. 18079; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926 ).
Atteso che come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice amministrativo ( o contabile ) l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione legittimante il ricorso ex art. 111, 8° co., Cost., fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc ( v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380 ), sicché l’eccesso di potere giurisdizionale è configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, laddove la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comporta la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, il controllo sulla giurisdizione non essendo in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale ( v. Cass., Sez. Un., 16/10/2018, n. 25936; Cass., Sez. Un., 27/6/2018, n. 16974 ).
Orbene, siffatta ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale invero non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto (cfr. Cass., 11/9/2019, n. 22711), a fortiori allorquando abbia correttamente argomentato non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì anche dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale avuto riguardo al sistema normativo invocato, tale operazione ermeneutica potendo al più dare luogo ad un error in iudicando ( v. Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784 ), sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite ( cfr. Cass., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8720; Cass., Sez. Un., 9/4/2018, n. 8719; Cass., Sez. Un., 25/9/2017, n. 22251; Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628; Cass., Sez Un., 10/9/2013, n. 20698; Cass., Sez Un., 10/6/2013, n. 14503 ).
Il sindacato di queste Sezioni Unite sulle decisioni del giudice amministrativo ( o contabile ) è dunque circoscritto all’eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione, e non si estende anche alla verifica degli errores in procedendo, qual è in particolare il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunziato [ cfr. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 9687; Cass., Sez. Un., 4/10/2012, n. 16849; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 10/9/2019, n. 22569; Cass., Sez. Un., 20/3/2019, n. 7926, ove si fa riferimento anche a pronunzie di inammissibilità della domanda derivante dall’applicazione di norme processuali ritenute ostative al relativo esame ( Cass., Sez. Un., 27/6/2003, n. 10287 ) o dalla negazione dell’esistenza di condizioni dell’azione ( Cass., Sez. Un., 14/1/2015, n. 475 ) o dal mancato esame di questione procedurale ( Cass., Sez. Un., 17/11/2016, n. 23395 ).
Cfr. altresì, con riferimento all’error in procedendo costituito dall’applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale nell’ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell’Unione europea, direttamente applicabili, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia, Cass., Sez. Un., 29/12/2017, n. 31226; nonché, in relazione alla violazione dell’obbligo di rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni relative all’interpretazione delle norme dell’U.E., Cass., Sez. Un., 28/7/2021, n. 21641; Cass., Sez. Un., 30/10/2020, n. 24107; Cass., Sez. Un., 15/11/2018, n. 29391 ], né degli errores in iudicando, salvo i casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento tali da ridondare in denegata giustizia ( cfr. Cass., Sez. Un., 14/11/2018, n. 29285 ).
Atteso che queste Sezioni Unite, facendo specifico richiamo anche a recenti pronunzie della Corte Costituzionale, hanno già avuto modo di porre in rilievo che la nozione di atto politico risulta attualmente intesa in senso decisamente restrittivo, con limitazione entro rigorosi margini delle aree sottratte al sindacato giurisdizionale (v. Cass., Sez. Un., 14/5/2014, n. 10416, ove si fa richiamo a Corte Cost. n. 81 del 2012 e a Corte Cost. n. 339 del 2007; Cass., Sez. Un., 28/6/2013, n. 16305), l’area della immunità giurisdizionale risultando pertanto esclusa allorquando l’atto sia vincolato ad un fine desumibile dal sistema normativo, anche se si tratti di atto emesso nell’esercizio di ampia discrezionalità [ cfr. Cass., Sez. Un., 19/10/2011, n. 21581; Cass., Sez. Un., 14/5/2014, n. 10416, ove si è in particolare esclusa la natura politica di atti posti in essere nell’ambito della procedura culminata nell’adozione di una delibera della Giunta regionale, ravvisandosi non trattarsi di attività esplicativa di funzioni legislative con conseguente esclusione della sussistenza di spazi di insindacabilità risalenti ad atti ( “politici” ) totalmente discrezionali; Cass., Sez. Un., 19/5/2016, n. 10319 e Cass., Sez. Un., 12/3/2007, n. 5593, con specifico riferimento alla tematica della “cartolarizzazione” degli immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici disciplinata dal D.L. n. 351 del 2001, conv. in L. n. 410 del 2001 ) L sotto altro profilo si è da queste Sezioni Unite posto in rilievo che le decisioni del giudice amministrativo possono dirsi viziate per eccesso di potere giurisdizionale, e quindi sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, soltanto laddove eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito ( riservato alla P.A. ) detto giudice compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, risultando così esercitata una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2013, n. 24468).
Si è al riguardo sottolineato che nei giudizi di responsabilità amministrativa, poiché in via generale l’amministrazione deve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri, la Corte dei Conti può d’altro canto valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, e la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra obiettivi conseguiti e costi sostenuti (cfr. Cass., Sez. Un., 23/11/2012, n. 20728; Cass., Sez. Un., 23/1/2012, n. 831).
Si è in proposito ulteriormente osservato che la discrezionalità riconosciuta agli amministratori pubblici nell’individuazione della soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l’interesse pubblico perseguito ( causa e limite intrinseco e funzionale dell’attività della P.A. ) è legittimamente esercitata in quanto risultino osservati i criteri giuridici informatori dell’agere della P.A. dettati dalla Costituzione ( art. 97 ), codificati all’art. 1, comma 1, L. n. 20 del 1994 ( «L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità>> ), come modificato dall’art. 3 L. n. 546 del 1993 («ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali>>), ribaditi dall’art. 1 d.lgs. n. 29 del 1993 e dall’art. 1, comma 1, L. n. 286 del 1999 [ «Le pubbliche amministrazioni devono: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati ( controllo di gestione )>> ).
Pertanto, le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di efficacia ( idoneità dell’azione amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale ) e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti, assumendo rilevanza sul piano della legittimità, e non della mera opportunità, dell’azione amministrativa.
A tale stregua, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l’amministratore abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici, sicché la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della <<riserva di amministrazione>> ( da intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico ) nel controllare anche la giuridicità sostanziale ( e cioè l’osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell’agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale ) dell’esercizio del potere discrezionale.
Non travalica dunque il limite esterno della giurisdizione contabile né quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronunzia con la quale come nella specie la Corte dei Conti ravvisi la non adeguatezza o l’esorbitanza dell’atto o dell’attività rispetto al fine pubblico da perseguire ( cfr., con riferimento alla diversa ipotesi dell’illegittimità del ricorso ad incarichi esterni in assenza dei presupposti previsti dalla legge, nonché con riferimento a consulenze, pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da perseguire, Cass., Sez. Un., 5/3/2009, n. 5288; Cass., Sez. Un., 9/5/2011, n. 10069; Cass., Sez. Un., 13/6/2011, n. 12902; Cass., Sez. Un., 23/1/2012, n. 831; Cass., Sez. Un., 13/2/2012, n. 1979; Cass., Sez. Un., n. 20728 del 2012; Cass., Sez. Un., n. 4283 del 2013; ancora, con riferimento all’attività amministrativa di potenziamento del servizio 118, Cass., Sez. Un., 14/5/2014, n. 10416 ).
L’insindacabilità “nel merito” delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comporta infatti che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l’attività e l’organizzazione amministrativa ( v. Cass., Sez. Un., 28/6/2018, n. 17121 ), e nel valutare la eventuale antieconomicità e dannosità della scelta operata il giudice contabile esplica i poteri della sua giurisdizione ( cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 17/12/2021, n. 40549 ).
Orbene, dei suindicati principi il giudice contabile d’appello ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione, e non ricorrono nella specie le suindicate ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile.
La Corte dei Conti-Seconda sezione giurisdizionale centrale d’appello- ha in particolare accertato che nella sua qualità di assessore al demanio l’odierno ricorrente ha «contribuito a concedere in uso immobili comunali, pur in assenza di inderogabili requisiti di legittimazione condizionanti l’assegnazione, dietro corrispettivi incongrui ( canone ultraridotto )», atteso che con «deliberazione G.M. n. 582 dell’8 aprile 2010 … gli amministratori decisero di affidare in locazione l’immobile» di proprietà comunale sito in P.tta S. Eligio n. 2 all’associazione “Il Millennio” al canone agevolato pari al 10°/0 del canone al valore di mercato, pur in assenza dei requisiti all’uopo richiesti.
Non venendo nella specie in rilievo l’ “atto politico” inteso nel significato più sopra delineato, ha al riguardo precisato che <<il riconoscimento del canone agevolato, con riduzione non superiore al 50% di quello determinato in conformità alle indicazioni di cui alla legge 537/1997 sarebbe stato possibile solo in favore delle associazioni senza scopo di lucro iscritte nel registro comunale delle associazioni e delle organizzazioni di volontariato, previa pubblicazione di apposito bando», non essendo «invece contemplata la possibilità di concedere gli immobili comunali a titolo di comodato gratuito né con riduzioni del canone di consistenza maggiore del 50%».
Ha ulteriormente sottolineato che «soltanto gli immobili di proprietà dello Stato di cui all’art. 1» d.p.r. n. 296/2005 «possono essere oggetto di concessione ovvero di locazione in favore dei soggetti di cui agli articoli 10 e 111, rispettivamente a titolo gratuito ovvero a canone agevolato, per finalità di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale ( art. 9 )», laddove «gli stessi immobili possono essere oggetto di concessione o locazione in favore di province e comuni, purché utilizzati come sede di istituzione scolastica, ai sensi della legge 11 gennaio 1996, n. 23 ( art. 10 )», ovvero «utilizzati in concessone o in locazione a canone agevolato “per finalità di interesse pubblico connesse all’effettiva rilevanza degli scopi sociali perseguiti in funzione e nel rispetto delle esigenze primarie della collettività” in favore di “organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all’articolo 10, commi 1, 8 e 9, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 e le associazioni d promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dall’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383” (art. 11, comma 1, lett. e) ovvero di “istituzioni, …fondazioni e … associazioni non aventi scopo di lucro, anche combattentistiche e d’arma, le quali “perseguono in ambito nazionale fini di rilevante interesse nel campo della cultura, dell’ambiente, della sicurezza pubblica, della salute e della ricerca …” ( art. 11, comma 1, lett. g)».
Nel ritenere «tale quadro normativo … riferibile, ictu °cuti, ai beni dello Stato gestiti dall’Agenzia del demanio … anche perché gli enti locali figurano tra i soggetti concessionari o conduttori», ha invero escluso che questi ultimi «potessero considerarsi enti concedenti», sottolineando come in ogni caso la stessa Agenzia del demanio sia <<chiamata a verificare che l’associazione senza scopo di lucro, richiedente l’assegnazione in locazione a canone agevolato … rientri nel novero delle associazioni di cui al d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 o delle associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale di cui alla L. 7 dicembre 2000, n. 383 oppure operanti in campo nazionale».
E’ quindi pervenuta a concludere che <<la scelta di concedere in locazione l’immobile sito in P.tta S. Eligio n. 2 deve ritenersi … illegittima, in quanto non rispondente a nessuno dei canoni indicati nei citati regolamenti comunali ( n. 60 del 20.03.1995 e n. 323 del 12.10.1995 ), da considerarsi fonte normativa prevalete ed esaustiva», altresì sottolineando che l'<<associazione non è mai risultata iscritta nei registri comunali e non ha mai presentato alcuna relazione, a consuntivo, delle attività solte; in ogni caso la decurtazione del canone non avrebbe potuto spingersi al di sopra della soglia del 50% di quello di mercato».
Nel porre in rilievo che <<nella nota del 2 marzo 2010 indirizzata all’Assessore al demanio (D’Aponte) era denunciata la nutrita morosità della associazione, fin dal 2001, rispetto al pagamento dei canoni, ma era, altresì, evidenziata la assenza dei requisiti in capo alla stessa per accedere alla decurtazione del canone, non potendo, tra l’altro, considerare l’associazione quale ente senza scopo di lucro, atteso che svolgeva “attività e pubblicità politica” e si stava occupando, in quel momento, dei corsi di formazione per i test di acceso al concorso, allora bandito, per 170 agenti di polizia municipale» ( atteso che <<sia dal portale SIATEL della agenzia delle entrate, sia dal codice fiscale dell’Associazione “Il Millennio” si evince che trattasi di un c.r.a.l. avente natura giuridica di associazione non riconosciuta, con sede legale a Napoli, in un indirizzo al quale risultavano allocati, oltre al Centro per l’Impiego, e ai servizi tecnici municipali, anche la sezione territoriale di un’Unità Operativa della Polizia Municipale: lo stesso Presidente dell’associazione era, all’epoca dei fatti, un dipendente comunale» ), ha ulteriormente sottolineato come nella specie «non si comprende davvero … quale vantaggio abbia tratto il Comune di Napoli da una gestione così palesemente “antieconomica” del bene oggetto di affidamento: di certo non quello di natura patrimoniale, atteso il sostanziale azzeramento dell’onere posto a carico del conduttore, ma neanche quello di natura “sociale” che gli odierni appellanti continuano a sostenere, quale scriminante dell’illecito ad essi contestato. Un reale beneficio non può neppure annettersi alla pattuita retroattività, che ha consentito di recuperare i canoni sin dal settembre 2010, pur essendo stato il contratto stipulato il 21.01.2011>>.
Ha pertanto considerato la «mancata riscossione delle entrate patrimoniali ( di natura privatistica )>> come «incompatibile con il principio di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, sulla cui base le varie forme di gestione dei beni patrimoniali devono tendere all’incremento del valore economico delle dotazioni stesse, onde trarne una maggiore redditività finale, e al potenziamento delle entrate di natura non tributaria, in assenza di una reale verifica sulle finalità sociali perseguite dall’ente locatario> >.
Il giudice contabile ha a tale stregua dunque accertatà che (anche) la condotta dall’odierno ricorrente nel caso mantenuta ha contribuito a realizzare assetti non consentiti dalle previsioni regolamentari di riferimento, in grado di riverberarsi negativamente sul patrimonio del Comune in ragione della riduzione, oltre la soglia consentita, dei benefici economici ricavabili dalla locazione di immobili di sua proprietà.
Emerge a tale stregua evidente come il lamentato eccesso di potere giurisdizionale nei confronti nella specie invero non sussista.
Non sussiste nei confronti del legislatore, essendosi il giudice contabile limitato ad interpretare la legge, nel che consiste -come detto- il proprium della funzione giurisdizionale, le doglianze mosse dell’odierno ricorrente ( in ordine alla mancata considerazione da parte del giudice contabile della «netta separazione tra le funzioni di direzione politica e le funzioni di gestione amministrativa, queste ultime di competenza dei dirigenti», e alla dedotta sua mancata partecipazione nella specie all’istruttoria amministrativa prodromica all’adozione del provvedimento di concessione in locazione de quo, e al mancato «apporto collaborativo non avendo competenza al riguardo» ) invero concernendo se del caso la mancata o inesatta applicazione di norme di diritto, nonché eventuali errores in iudicando, e pertanto la violazione di limiti meramente interni alla giurisdizione del giudice contabile, irrilevanti nella presente sede.
Non sussiste nei confronti della P.A., atteso che l’asseritamente erronea considerazione della «scelta politica» di sottrarre (anche) l’immobile de quo all'<<utilizzazione reddituale» nonché la dedotta mancata considerazione della natura discrezionale della scelta di perseguire le rilevanti funzioni sociali e culturali di cui è istituzionalmente titolare, con esclusione di qualunque scopo reddituale, come pure l’assunta non contrarietà «ai generali precetti di ragionevolezza, economicità ed efficacia» della medesima, si infrangono invero nel principio enunziato dalle Sezioni Unite di questa Corte in base al quale l’insindacabilità “nel merito” delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comportano -come detto- la relative sottrazione al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l’attività e l’organizzazione amministrativa, né alla valutazione se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non potendo prescindere -come detto- dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti.
A tale stregua, il ricorso è inammissibile ( anche ) ex art. 360 bis c.p.c.
Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, stante la qualità di parte in senso meramente formale del Procuratore della Corte dei Conti.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 23/11/2021
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 26 luglio 2022, n. 23241, in tema di eccesso di potere giurisdizionale
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Attività ermeneutica del giudice speciale, produzione normativa e sindacato delle Sezioni Unite
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici), e, in coerenza con la relativa nozione posta da Corte Cost. n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento), tale vizio non è configurabile in relazione a errores in procedendo e in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice
amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (cfr., da ultimo, SS.UU., 06 luglio 2019, n. 18079; 20 marzo 2019, n. 7926).
2. Il motivo di ricorso
L’ordinanza delle Sezioni Unite, invero generata da una controversia inerente alla giurisdizione, merita di essere segnalata in relazione al primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha lamentato che il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, là dove ha riconosciuto sussistere la giurisdizione del giudice contabile.
3. Riflessioni conclusive
Il Supremo Collegio ricorda che, in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice amministrativo (o contabile), l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, legittimante il ricorso ex art. 111, c. 8, Cost., fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma
creata ad hoc (cfr., SS.UU, 31 maggio 2016, n. 11380).
L’eccesso di potere giurisdizionale è, dunque, configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente, bensì una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, laddove la mancata o inesatta applicazione di norme di legge non comporta la creazione di una norma inesistente, con conseguente invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, non essendo il controllo sulla giurisdizione in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale (cfr., SS.UU, 16 ottobre 2018, n. 25936; 27 giugno 2018, n. 16974).
Detta ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale, precisa l’ordinanza, non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile al caso concreto, soprattutto allorquando abbia correttamente argomentato non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni, bensì anche dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale, avuto riguardo al sistema normativo invocato.
Siffatta operazione ermeneutica può, al più, dare luogo ad un error in iudicando, come tale sottratto al sindacato delle Sezioni Unite.