Civile Sent. Sez. U Num. 18135 Anno 2015
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: BERNABAI RENATO
Data pubblicazione: 16/09/2015
SENTENZA
sul ricorso 29067-2008 proposto da:
RECCHI LIDIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio degli avvocati MARIO TONUCCI e RICCARDO TROIANO, che la rappresentano e difendono congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
RUSSO NUNZIA, elettivamente domicilata in ROMA, VIA DI VAL TELLINA 87, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA MASSI, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
RECCHI LIDIA, rappresentata e difesa come sopra;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 4406/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2015 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;
udito l’Avvocato Piergiorgio della Porta Rodiani per delega dell’Avvocato Mario Tonucci e l’Avvocato Francesca Massi;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per il rigetto del 2 ° e del 3 ° motivo del ricorso incidentale e la rimessione alla sezione semplice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 18 gennaio 1997 la sig.ra Nunzia Russo conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la sig.ra Lidia Recchi e, premesso di aver stipulato con quest’ultima un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto il proprio immobile sito in Roma, località Casal Brunori, via Carmelo Maestrini n. 142, comprensivo delle pertinenze della cantina e del posto auto, edificato su area concessa in diritto di superficie dal Comune di Roma, da lei acquistato dall’impresa di costruzione Nuova Organizzazione Tecnologica s.r.l. nell’ambito di programmi di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata, e di aver inutilmente sollecitato la promissaria acquirente alla stipulazione dell’atto pubblico, chiedeva la risoluzione del contratto con ritenzione della caparra versata.
Costituitasi ritualmente, la sig.ra Recchi eccepiva che l’appartamento, pur essendo alienabile in virtù dell’autorizzazione concessa dalla regione Lazio, era soggetto a vincolo di determinazione del prezzo: che non era libero, bensì legato agli specifici parametri richiamati nella convenzione tra il Comune di Roma e l’impresa costruttrice N.or.tecno.
Chiedeva, a sua volta, in via riconvenzionale, la costituzione in forma specifica del contratto, ex art. 2932 cod. civile, previa riduzione del prezzo d’acquisto; o in subordine, la risoluzione per inadempimento della promittente venditrice, con restituzione della caparra e risarcimento del danno; o ancora in via gradata, l’annullamento del contratto preliminare per errore su qualità essenziali del bene.
Con sentenza 21 marzo 2001 il Tribunale di Roma dichiarava risolto il contratto per inadempimento della promissaria acquirente, rigettando la domanda riconvenzionale, con diritto da parte della signora Russo di trattenere, a titolo di penale, la somma di lire 2 milioni e condanna dell’attrice alla restituzione dell’ulteriore somma di lire 100 milioni ricevuta in acconto.
In riforma della decisione, la Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva in data 11 novembre 2004, accertava l’inadempimento della promittente venditrice a stipulare il contratto, al prezzo da determinare nel prosieguo del giudizio, secondo i parametri indicati nella convenzione tra il Comune di Roma e la società costruttrice.
Motivava
– che appariva contraria alla ratio della normativa ed alla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez.1, 2 settembre 1995 n.9266) che l’autorizzazione a vendere l’immobile, per ragioni discrezionali attinenti il singolo acquirente, potesse comportare l’eliminazione, dopo poco tempo dall’acquisto, di tutti i vincoli legali volti ad assicurare a soggetti in condizioni economiche meno agiate l’acquisizione a titolo di proprietà piena o, come nella specie, di proprietà superficiaria, di alloggi costruiti con il contributo dello Stato: in tal modo, consentendo che le agevolazioni concesse si trasformassero in uno strumento di speculazione;
– che pertanto il venir meno del vincolo di inalienabilità non aveva come effetto l’assoggettamento dell’immobile alle sole leggi di mercato: che nella specie avrebbero fatto levitare il prezzo di acquisto di lire 97 milioni nel 1993 – di cui lire 27 milioni in contanti e lire 70 milioni per accollo di mutuo – al ben maggiore prezzo di lire 315 milioni preteso dalla signora Russo.
– che era quindi nello spirito della legge di evitare ogni sorta di speculazione commerciale, non solo in occasione della prima vendita, ma anche di quelle successive: come confermato dalla stessa autorizzazione all’alienazione da parte della regione Lazio, ove era espressamente stabilito che restavano ferme le disposizioni di legge sul mutuo agevolato a favore del subentrante, e quindi il perdurante potere di verifica delle condizioni soggettive per la fruibilità del contributo pubblico, incompatibile con la tesi della immissione del bene sul libero mercato;
– che era dunque fondata la domanda di costituzione in forma specifica del contratto, previa inserzione automatica del prezzo legale in luogo di quello pattuito con clausola invalida, ai sensi dell’art. 1339 cod. civile.
All’esito del prosieguo istruttorio, dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza 25 ottobre 2007, trasferiva alla sig.ra Lidia Recchi la proprietà superficiaria dell’immobile, subordinatamente al versamento dell’importo di euro 43.101,61 e all’accollo di mutuo acceso presso la sezione del credito fondiario della Cariplo per l’importo originario di lire 91 milioni; con compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza, non notificata, la sig.ra Recchi proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi e notificato il 4 dicembre 2008.
Deduceva
1) la violazione degli articoli 112, 113,115, 116 cod. proc. civile, 1339 1362 cod. civile, e 35, ottavo comma, legge 22 ottobre 1971, n. 865 ( Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata ) nel condizionare l’effetto traslativo al pagamento di euro 43.101,61 unitamente all’accollo del mutuo: in tal modo, maggiorando il prezzo di compravendita liberamente pattuito;
2) la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. e la carenza di motivazione nella compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La sig.ra Nunzia Russo resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
Deduceva
1) la violazione degli articoli 112, 113, 115, 116 cod. proc. civile, 1453-1455 cod. civ. e 35 legge 865/1971, nonché la carenza di motivazione nel ritenere che il venir meno del divieto di alienazione per effetto del decorso del termine minimo previsto dalla legge dal primo acquisto non provocasse anche la caducazione degli altri vincoli relativi alla determinazione del prezzo;
2) la violazione delle medesime norme e la carenza di motivazione per non aver considerato che i limiti di cui all’art. 35 della legge 865/1971 restavano comunque ininfluenti sul rapporto di diritto privato instaurato tra le parti in causa;
3) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel ritenere nullo un prezzo superiore a quello legale e sostituibile con quest’ultimo;
4) la violazione degli articoli 112, 113, 115, 116 cod. proc. civ. e 1385 e 1386 cod. civ. nella condanna alla restituzione della caparra di lire 2 milioni, nonostante la Recchi non avesse mai espresso la volontà di voler recedere dal contratto.
La seconda sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ravvisando una questione di massima di particolare importanza – se il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile costruito in regime di edilizia agevolata sia limitato al solo termine di vigenza del vincolo di inalienabilità e valga unicamente per il concessionario, e non anche per i successivi sub acquirenti – rimetteva la causa al primo presidente, che la assegnava alle sezioni unite.
All’udienza del 26 maggio 2015 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Appare prioritaria, in ordine logico, la trattazione del ricorso incidentale della sig.ra Russo, volto a sostenere la libera commerciabilità a prezzo di mercato dell’alloggio popolare, una volta autorizzatane la vendita dalla Regione.
In particolare, con il primo e secondo motivo, da trattare congiuntamente per affinità di contenuto, si deduce, in sostanza, la connessione tra il divieto di alienazione e la caducazione degli altri vincoli relativi alla determinazione del prezzo (simul stabunt, simul cadent) nei rapporti privati tra successivi contraenti.
Le censure sono infondate.
Il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo è stato oggetto, nel tempo, di un’interpretazione ondivaga, che ha risentito della successione anche ad intervalli di tempo molto brevi, di emendamenti della disciplina legale.
Un primo indirizzo ha valorizzato soprattutto l’autonomia negoziale delle parti, quale principio informatore generale in materia; pervenendo alla conclusione che sia i divieti di alienazione, che i criteri normativi di determinazione del prezzo (o del canone di locazione) fossero applicabili, soggettivamente, solo al primo avente causa; e cioè, al costruttore, titolare della concessione rilasciata a contributo ridotto e parte della convenzione-tipo stipulata con il Comune: senza alcun riflesso sui successivi subacquirenti (Cass., Sez. 2, 4 aprile 2011 n. 7630; Cass., sez. 2, 2 ottobre 2000 n. 13006).
Si contrappone ad esso l’opposta tesi secondo cui la disciplina vincolistica promana da norme imperative, anche se per il medio di convenzioni tra il Comune e il concessionario (a contenuto, peraltro, predeterminato dalla legge ed inderogabile): con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione sarebbero affetti da nullità ex art. 1418 cod. civ. e sostituiti mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (artt.1339 e 1419, secondo comma, cod. civ.).
A questa seconda opzione ermeneutica, fatta propria dalla corte territoriale nella sentenza impugnata, sembra inclinare anche il collegio remittente della presente questione di massima di particolare importanza, richiamando principi ispiratori della legislazione in subiecta materia enunciati in un non più recente precedente di legittimità (Cass., sez. 1, 2 settembre 1995 n. 9266).
La ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa è resa particolarmente laboriosa per effetto della ricordata stratificazione, ripetuta e ravvicinata nel tempo, di interventi legislativi che ne hanno modificato profondamente l’impianto originario. Come rivelato, del resto, dalle stesse oscillazioni giurisprudenziali sul tema.
Ciò premesso, è però possibile delineare alcuni punti fermi per la soluzione della controversia: primo fra tutti la distinzione delle convenzioni per la cessione del diritto di superficie – quale quella pertinente alla controversia in esame – rispetto alle convenzioni per la cessione del diritto di proprietà piena. Tale diversità riguarda il regime di inalienabilità che, nel primo caso, non è previsto dall’art.35, ottavo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità) quale contenuto necessario delle convenzioni: a differenza del successivo comma 15, che lo contemplava, in origine, per la cessione del diritto di proprietà.
Per contro, il vincolo alla determinazione del prezzo discende, in tutti i casi, direttamente dalla legge.
Un’ulteriore distinzione deve ravvisarsi tra le convenzioni ex art. 35 legge n. 865/1971 e quelle ex artt. 7 e 8 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), non pertinenti, nella specie). Solo per le seconde il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non è obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzionetipo approvata dalla regione, ai sensi dell’art.7 della legge 10/1977: e questo, perché destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione è soltanto il costruttore titolare della concessione (Cass., sez.2, 2 ottobre 2000 numero 13.006). Per gli immobili di edilizia convenzionata ex legge 10/1977 appare chiara, infatti, l’individuazione, in chi abbia ottenuto la concessione edilizia a contributo ridotto, del destinatario degli obblighi assunti di contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indicati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di sua validità.
Ma soprattutto appare dirimente, ai fini della contraria conclusione nella fattispecie concreta oggetto di scrutinio, la disposizione contenuta nel decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia 13 maggio 2011 n.70): che ha aggiunto al comma 49 dell’art.31 (Norme particolari per gli enti locali) della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) il comma 49-bis, del seguente testuale tenore: I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unita’ abitative e loro pertinenze nonche’ del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprieta’, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unita’ in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo. La percentuale di cui al presente comma e’ stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281).
Come si vede, la possibilità di rimuovere i vincoli relative alla determinazione del prezzo massimo di cessione (nonché del canone massimo di locazione) contenuto in una convenzione P.E.E.P. è subordinata a tre presupposti: 1) decorso di almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento; 2) richiesta del singolo proprietario; 3) determinazione della percentuale del corrispettivo, calcolata secondo parametri legali da parte del Comune.
Dal testo normativo sopra riportato emerge, dunque, con chiarezza che il vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita.
Non senza aggiungere, in chiusura di analisi, che la soluzione adottata appare altresì conforme, sotto il profilo teleologico, ad una politica del diritto volta a garantire il diritto alla casa, facilitando l’acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico), ai ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato.
Non risulta ex actis – né del resto viene allegato dalla ricorrente incidentale – che la procedura sopra descritta sia stata seguita: onde, deve ritenersi tuttora sussistente il vincolo del prezzo al momento della vendita stipulata tra la sig.ra Russo e la sig. Recchi.
Con il terzo motivo si censura l’eterointegrazione del contratto nella sua clausola determinativa del prezzo (artt. 1339, 1419 cod. civ.).
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte statuito che ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, che delega al Consiglio Comunale la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia convenzionata, gli atti amministrativi relativi, così come le convenzioni, in quanto promananti in forza della predetta delega legislativa, traggono da quest’ultima, direttamente, il carattere di imperatività e pertanto debbono ritenersi compresi nella previsione dell’art. 1339 cod. civile; cui si ricollega quella dell’art. 1419, comma 2, cod. civ. posto che la conseguenza tipica della difformità di una clausola negoziale da una norma imperativa è la sanzione della nullità della clausola stessa: senza riflessi invalidanti, peraltro, sull’intero contratto in ipotesi di sostituzione di diritto. (Cassazione civile, sez. 2, 10 febbraio 2010 n. 3018; Cass., sez.2, 21 dicembre 1994 n. 11032; Cass. n. 5369 del 12.04.20002).
L’applicabilità dell’art. 1339 cod. civ. appare in linea generale giustificata, perché, quando detta norma allude alle “clausole” imposte dalla legge non si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui, essa stessa, la clausola da interpolare nel testo negoziale (come sarebbe stato se il Codice avesse richiesto che la clausola sia prevista “direttamente” o “espressamente” dalla legge), ma allude anche all’ipotesi in cui la legge preveda che l’individuazione della clausola sia fatta da altra fonte da essa autorizzata (nella specie, da una convenzione).
Sul punto, la venditrice Russo deduce anche l’illegittima inserzione automatica del corrispettivo vincolato, ex art. 1339 cod. civile, sotto il profilo che non sarebbe mai stata richiesta dalla promissaria acquirente, limitatasi ad invocare la riduzione del prezzo. L’argomentazione, peraltro, non ha pregio, risolvendosi in mera questione nominalistica, dal momento che l’inserzione automatica del prezzo vincolato approda, appunto, nella riduzione di quello pattuito: onde sussistono i presupposti per l’esecuzione in forma specifica del contratto ex art. 2932 cod. civile, sulla base del regolamento negoziale, così integrato in applicazione di norme imperative.
Neppure appare convincente la tesi della necessaria contestualità, in una stessa disposizione di legge, della sanzione di nullità parziale della clausola illegittima e della sostituzione di diritto, stante il chiaro disposto dell’art. 1339, (rubricato come “Inserzione automatica di clausole”), di contenuto generale ed astratto, suscettibile di applicazione diretta.
Non era quindi sbocco ineluttabile dell’accertata violazione del vincolo del prezzo la nullità dell’intero contratto, ai sensi dell’art.1419, primo comma, cod. civile, come preteso dalla venditrice.
L’ulteriore eccezione riguardante il difetto dei presupposti per la costituzione in forma specifica del contratto, in carenza di offerta della prestazione, appare nuova alla luce del testo della sentenza impugnata, che non ne fa menzione. Né la ricorrente incidentale allega, in contrario, i necessari riferimenti puntuali a propri atti difensivi dei pregressi gradi di merito, in ossequio al principio di autosufficienza.
Resta assorbito il quarto motivo relativo alla restituzione della caparra, da computare in conto prezzo.
Passando ora alla disamina del ricorso principale, si osserva come il primo motivo, con cui si lamenta che la corte territoriale abbia condizionato l’effetto traslativo al pagamento di euro 43.101,61 unitamente all’accollo del mutuo – in tal modo, maggiorando il prezzo – si palesi fondato.
In effetti, la determinazione del prezzo di vendita secondo i parametri legali, nella somma stimata dal CTU formalmente recepita in sentenza, non consente la maggiorazione derivante dall’accollo del mutuo fondiario, a pena di violazione proprio di quella disciplina imperativa che la corte territoriale ha inteso applicare. L’affermazione, espressa in motivazione, che la sentenza ex art.2932 cod. civ. deve comunque rispettare le pattuizioni contenute nel preliminare ( a parte quella sul corrispettivo, qui sostituito secondo parametri legali), appare in contrasto con l’accolto del mutuo fondiario – quale voce di prezzo aggiuntiva – che doveva coerentemente ritenersi già incluso nel corrispettivo pattuito.
Resta assorbito il secondo motivo relativo al regolamento delle spese di giudizio.
Il ricorso principale dev’essere dunque accolto, nei sensi di cui sopra, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e rigetta il ricorso incidentale;
– cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità.
Allegati:
SS.UU, 16 settembre 2015, n. 18135, in tema di edilizia residenziale pubblica
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Il vincolo del prezzo massimo di cessione ha natura di onere reale
1. Il principio di diritto
Il vincolo alla determinazione del prezzo massimo di cessione, che discende dalla legge, in assenza di convenzione di rimozione stipulata con il Comune, segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita.
2. Il contrasto
Un primo indirizzo (Cass., 4 aprile 2011, n. 7630; Cass., 2 ottobre 2000, n. 13006), nel valorizzare l’autonomia delle parti, è pervenuto alla conclusione che sia i divieti di alienazione, che i criteri normativi di determinazione del prezzo (o del canone di locazione) fossero applicabili solo al primo avente causa, cioè al costruttore titolare della concessione.
Secondo un’altra impostazione (Cass., 2 settembre 1995, n. 9266), alla quale le Sezioni Unite mostrano di aderire (dopo aver premesso che la ricostruzione ermeneutica della disciplina è particolarmente laboriosa a causa della stratificazione normativa) la disciplina vincolistica promana da norme imperative, anche se per il medio delle convenzioni tra Comune e il concessionario, con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione sarebbero affetti da nullità e sostituiti con il corrispettivo imposto dalla legge. Principio questo applicabile a tutte le compravendite.
3. Conseguenza operative
Di grande rilievo i riflessi operativi del principio di diritto enunciato: la parte acquirente è legittimata ad esperire, nei confronti del venditore, l’azione di nullità parziale del corrispettivo versato in sede di compravendita, con contestuale richiesta di inserzione automatica di quello imposto dalla legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1339 c.c. e 1419 comma 2 c.c.