Civile Sent. Sez. U Num. 2603 Anno 2021
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: MERCOLINO GUIDO
Data pubblicazione: 04/02/2021
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9121/2020 R.G. proposto da
PICCHIANTI ANTONELLA, ALBANI SILVIA, SECCHI TARUGI LUCIA, CRESTI GABRIELE e SICILIA SANDRO, rappresentati e difesi dagli Avv. Fabio Pisillo e Domenico Tana, con domicilio eletto in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso lo studio del Dott. Gian Marco Grez;
– ricorrenti –
e
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SIENA, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabio Pisillo, con domicilio eletto in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso lo studio del Dott. Gian Marco Grez;
– ricorrente –
contro
BARBANERA Avv. MASSIMILIANO, da sé medesimo rappresentato e difeso, con domicilio eletto in Roma, via Padre Massaruti, n. 166, pressolo studio dell’Avv. Annalisa Papa;
– controricorrente –
e
GOTI FEDERICA, MIRONE MARIARITA AGATA B.A., DEL GRANDE VALENTINA, PEZONE NICOLA, CARDINALI MONICA, MORETTI MARA e COMMISSIONE ELETTORALE DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SIENA;
– intimati –
avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 27/20, depositata il 14 febbraio 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 ottobre 2020 dal Consigliere Guido Mercolino;
uditi gli Avv. Fabio Pisillo e Massimiliano Barbanera;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Marcello MATERA, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del quarto motivo di ricorso, per quanto di ragione.
FATTI DI CAUSA
1. L’Avv. Massimiliano Barbanera, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Siena, propose due distinti reclami al Consiglio Nazionale Forense avverso le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2019/2022, impugnando la delibera del 27 giugno 2019, con cui era stata costituita la Commissione elettorale, il verbale di quest’ultima con cui non era stata ammessa la sua candidatura e la delibera del 10 luglio 2019, recante la proclamazione degli eletti.
A sostegno dell’impugnazione, denunciò la violazione dell’art. 9 della legge 12 luglio 2017, n. 113, osservando che la Commissione elettorale era costituita, oltre che dal presidente del Consiglio dell’Ordine e dal consigliere segretario, da soli tre componenti sorteggiati tra gli iscritti non componenti del Consiglio dell’Ordine che avevano manifestato la loro disponibilità a farne parte, e per il resto da componenti del Consiglio dell’Ordine designati senza sorteggio tra i consiglieri non ricandidati che avevano offerto la loro disponibilità. Sostenne inoltre che la composizione della Commissione si poneva in contrasto con il comma terzo dell’art. 9 cit., in quanto la maggioranza dei componenti faceva parte del Consiglio dell’Ordine, e contestò mancata ammissione della sua candidatura, in quanto motivata con l’avvenuto superamento del limite di due mandati consecutivi di consigliere dell’Ordine, per effetto dello svolgimento delle funzioni di consigliere e presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Montepulciano, soppresso ed accorpato a quello di Siena nell’ambito della revisione della geografia giudiziaria.
Riuniti i due reclami e disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti coloro che erano stati proclamati eletti, si costituirono il Consiglio dell’Ordine e gli Avv. Antonella Picchianti, Silvia Albani, Lucia Secchi Tarugi, Gabriele Cresti e Sandro Sicilia.
1.1. Con sentenza del 14 febbraio 2020, il CNF ha accolto il reclamo, annullando le elezioni.
A fondamento della decisione, il CNF ha escluso innanzitutto la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del Comitato per le Pari Opportunità, la cui elezione non aveva costituito oggetto d’impugnazione, nonché il proprio difetto di giurisdizione, osservando che l’art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 attribuisce inequivocabilmente al CNF l’intero contenzioso relativo al procedimento elettorale, prevedendo, in materia ordinamentale, una giurisdizione generalizzata e non frazionata.
Nel merito, ha ritenuto assorbente la censura riguardante l’ineleggibilità del reclamante, affermando che la fusione tra due Ordini forensi provoca la nascita di un diverso bacino elettorale, in conseguenza del maggior numero di aventi diritto all’elettorato attivo, del più ampio territorio di competenza e talvolta del maggior numero complessivo dei consiglieri da eleggere; ha aggiunto che, avuto riguardo all’eccezionalità delle disposizioni incidenti sul diritto all’elettorato, non suscettibili di applicazione estensiva o analogica, il limite del doppio mandato non è applicabile ad un soggetto che intenda candidarsi ad un Consiglio dell’Ordine diverso da quello di cui ha fatto parte in precedenza.
2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione da un lato gli Avv. Picchianti, Albani, Secchi Tarugi, Cresti e Sicilia e dall’altro il Consiglio dell’Ordine, ciascuno per quattro motivi, illustrati anche con memoria. L’Avv. Barbanera ha resistito con controricorsi, anch’essi illustrati con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, si rileva che, unitamente alla memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., la difesa dei ricorrenti ha depositato copia di un’ordinanza emessa il 19 marzo 2020, con cui il CNF ha disposto la correzione di errori materiali contenuti nella sentenza impugnata, e consistenti, tra l’altro, nell’inclusione tra i componenti del Collegio giudicante dell’Avv. Antonio Baffa, che non aveva partecipato alla discussione del reclamo ed alla deliberazione della decisione. Preso atto di tale provvedimento, la difesa dei ricorrenti ha dichiarato di rinunciare al primo motivo d’impugnazione, con cui aveva dedotto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 cod. proc. civ., proprio in relazione alla partecipazione alla deliberazione del predetto Avvocato, la cui proclamazione quale componente del CNF era stata sospesa in via cautelare dal Tribunale di Roma con ordinanza del 17 dicembre 2019, per ineleggibilità ai sensi dell’art. 34 della legge n. 247 cit.
Tale rinuncia, a differenza di quella prevista dall’art. 390 cod. proc. civ., non richiede la sottoscrizione della parte né il rilascio di uno specifico mandato, non comportando la disposizione del diritto in contesa, ma costituendo espressione di una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione, rimessa alla discrezionalità del difensore (cfr. Cass., Sez. III, 27/08/2020, n. 17893; Cass., Sez. I, 3/11/2016, n. 22269; Cass., Sez. V, 15/05/2006, n. 11154); per effetto della stessa, deve ritenersi superfluo qualsiasi apprezzamento in ordine alla fondatezza della censura proposta con il predetto motivo, al cui esame i ricorrenti non hanno ormai alcun interesse, non risultando contestata l’effettiva sussistenza dell’errore materiale che ha costituito oggetto di correzione.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 28, comma dodicesimo, e 36, comma primo, della legge n. 247 del 2012, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il difetto di giurisdizione del CNF in ordine alla questione dell’ineleggibilità dell’Avv. Barbanera. Premesso infatti che la giurisdizione del CNF è limitata alle questioni riguardanti la regolarità e la legittimità delle operazioni elettorali e della delibera di proclamazione degli eletti, sostengono che, in tema di contenzioso elettorale amministrativo, quelle concernenti la titolarità del diritto di elettorato attivo o passivo sono devolute alla cognizione del Giudice ordinario, indipendentemente dalla natura dell’ente interessato, avendo ad oggetto diritti soggettivi pubblici che non possono essere degradati dalla Pubblica Amministrazione. Aggiungono che, in assenza di inequivoci riferimenti letterali, gli artt. 28, comma dodicesimo, e 36, comma primo cit. non possono essere interpretati nel senso dell’attribuzione al CNF delle giurisdizione in materia di elettorato passivo, trattandosi di norme di stretta interpretazione, e non sussistendo ragionevoli argomenti che consentano di disarticolare la competenza in ordine alle controversie riguardanti la formazione del CNF da quella relativa alle controversie riguardanti l’elezione dei Consigli dell’Ordine.
2.1. Il motivo è infondato.
In tema di contenzioso elettorale riguardante i consigli degli ordini professionali, questa Corte ha più volte affermato in passato che l’art. 6 del d.lgs.lgt. 23 novembre 1944, n. 382, il quale consente a ciascun professionista iscritto all’albo di proporre reclamo alla commissione centrale (rinominata consiglio nazionale dal d.lgs.lgt. 21 giugno 1946, n. 6) contro i risultati dell’elezione, ha attribuito ai consigli nazionali di alcuni ordini professionali (ivi compreso quello degli avvocati), già qualificati come organi di giurisdizione speciale in relazione a situazioni conflittuali attinenti alle funzioni dello ordine, una nuova competenza giurisdizionale, avente ad oggetto le situazioni conflittuali concernenti la struttura stessa degli ordini (cfr. Cass., Sez. Un., 11/02/1998, n. 1444; 1/09/1999, n. 518; 4/12/1995, n. 12461); è stata ritenuta inoltre legittima un’interpretazione estensiva della medesima disposizione, in virtù della quale ai consigli nazionali dei predetti ordini devono ritenersi devolute anche le controversie relative alla fase di convocazione dell’assemblea degli iscritti per procedere alle votazioni, precisandosi che la materia elettorale relativa alle professioni non è stata ripartita tra più giudici e che il legislatore ha voluto salvaguardare, mediante l’istituzione della giurisdizione professionale, l’autonomia dei collegi nazionali degli ordini professionali, che risulterebbe menomata da un’interpretazione restrittiva (cfr. Cass., Sez. Un., 10/06/2003, n. 9296). Sulla base di tali considerazioni, è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che attribuiva al Giudice amministrativo la giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti lo svolgimento delle operazioni per le elezioni degli organi degli enti locali, osservandosi da un lato che, in quanto enti pubblici non economici a carattere associativo, i consigli degli ordini hanno una natura diversa dai predetti enti, e dall’altro che risponde a criteri di evidente razionalità concentrare presso un unico giudice l’intera gamma delle controversie elettorali (cfr. Cass., Sez. Un., 3/11/2009, n. 23209). Tali principi devono essere ribaditi anche in riferimento agli art. 28, comma dodicesimo, e 36, comma primo, della legge n. 247 del 2012, con cui, nell’ambito della riforma dell’ordinamento della professione forense, è stato disciplinato il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell’ordine, confermandosi, con formulazione testuale identica a quella dell’art. 6 cit., l’attribuzione della relativa giurisdizione al CNF, senza operare alcuna distinzione in relazione all’oggetto specifico della controversia. Alla luce di tali sviluppi normativi e giurisprudenziali, intesi a valorizzare l’autonomia degli ordini professionali, che si esprime anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale, non può condividersi la tesi sostenuta dai ricorrenti, che vorrebbe estendere (o meglio, adattare) alla materia in esame i principi elaborati in riferimento al contenzioso elettorale degli enti locali, sostenendo che la predetta giurisdizione (così come quella già attribuita al Giudice amministrativo dall’art. 6 del d.P.R. 6 dicembre 1971, n. 1034 e ribadita dall’art. 126 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) è limitata alle controversie aventi ad oggetto la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto concernenti l’osservanza di norme rivolte alla tutela di interessi generali della collettività, mentre quelle riguardanti l’eleggibilità dei candidati o, più in generale, l’elettorato attivo e passivo, restano attribuite alla giurisdizione ordinaria, in quanto coinvolgenti posizioni di diritto soggettivo. Tale criterio di ripartizione della giurisdizione, ritenuto operante per le controversie riguardanti l’elezione del CNF (con la sola differenza che la giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali spetta al Giudice amministrativo: cfr. Cass., Sez. Un., 6/02/2006, n. 2451), trova infatti giustificazione nella mancata previsione di un’autonoma disciplina, e non è quindi applicabile alle controversie relative alle elezioni dei consigli dell’ordine, le quali costituiscono oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all’ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell’autonomia di quest’ultimo. In quanto fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte nella vicenda processuale, la cui distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi mal si attaglia peraltro alla varietà delle competenze attribuite al CNF, comprendenti anche controversie che, come quelle attinenti all’iscrizione nell’albo professionale o quelle in materia disciplinare, hanno ad oggetto diritti soggettivi. Essa non comporta d’altronde alcuna menomazione della tutela giurisdizionale, dal momento che l’art. 36, comma sesto, della legge n. 247 del 2012 (così come, in passato, l’art. 56 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578) prevede espressamente l’impugnabilità delle decisioni adottate dal CNF dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in tal modo prefigurando un sistema di adeguata tutela dei diritti soggettivi degli interessati, manifestamente non contrastante con gli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 della Costituzione, anche alla luce del fatto che il Consiglio Nazionale costituisce un organo giurisdizionale speciale, istituito prima dell’entrata in vigore della Costituzione medesima (e quindi escluso dal divieto di cui all’art. 102, secondo comma, e legittimamente operante fino a quando non venga attuata la revisione contemplata dalla sesta disposizione transitoria: in quest’ultimo senso v., in particolare, Corte cost. sent. n. 284 del 1986) (cfr. in riferimento alla giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri ed Architetti, Cass., Sez. II, 4/09/2019, n. 22090).
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. 7 settembre 2012, n. 155, dell’art. 3, comma terzo, della legge n. 113 del 2017, dell’art. 11-quinquies del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 e dell’art. 36, comma sesto, della legge n. 247 del 2012, osservando che, nell’escludere l’applicabilità del divieto del terzo mandato consiliare consecutivo, in virtù dell’accorpamento dell’Ordine degli Avvocati di Montepulciano a quello di Siena, il CNF ha erroneamente applicato i principi in tema di successione degli enti pubblici. Premesso che l’art. 1 del d.lgs. n. 155 del 2012, nel procedere alla revisione della geografia giudiziaria, nulla ha disposto in ordine alla sorte degli ordini circondariali costituiti presso i tribunali da sopprimere, che devono quindi considerarsi estinti ex lege, affermano che l’ordine accorpante è succeduto a titolo universale all’ordine estinto, essendo subentrato nelle relative funzioni e nei relativi rapporti giuridici ed avendo assorbito il relativo apparato organizzativo, in mancanza della previsione di qualsiasi forma di liquidazione ed in considerazione della natura associativa dell’ente soppresso, la quale esclude l’estinzione della comunità di riferimento. Rilevato che la predetta successione è espressamente prevista in caso di fusione per incorporazione tra enti territoriali, affermano che, rispetto all’Ordine di Montepulciano, quello di Siena non può considerarsi un ente diverso, sicché il doppio mandato svolto nel Consiglio del primo deve considerarsi correttamente imputato al secondo, senza che possa invocarsi, in contrario, la tutela del diritto di elettorato passivo, in quanto il legislatore ha ritenuto, nella specie, di dover attribuire la prevalenza all’esigenza di favorire la rotazione nelle cariche pubbliche.
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3, comma terzo, della legge n. 113 del 2007, dell’art. 11-quinquies del d.l. n. 135 del 2018 e dell’art. 36, comma sesto, della legge n. 247 del 2012, sostenendo che, nell’escludere l’operatività del limite di due mandati consecutivi, il CNF non ha tenuto conto della ratio di tale disposizione, consistente nell’evitare fenomeni di sclerotizzazione nocivi per il corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza, nonché di valorizzare l’uguaglianza dei candidati, che potrebbe essere compromessa dal forte legame consolidatosi tra una parte dell’elettorato e coloro che abbiano ricoperto la carica per due o più mandati consecutivi.
5. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sia pure sotto profili diversi.
È opportuno premettere che, come concordemente riferito dalle parti, l’Avv. Barbanera, già iscritto nell’albo degli Avvocati di Montepulciano, a seguito della soppressione di quell’Ordine, verificatasi per effetto del d.lgs. n. 155 del 2012, che dispose la soppressione del Tribunale di Montepulciano e l’accorpamento del relativo circondario a quello del Tribunale di Siena, fu iscritto ex lege nell’albo degli Avvocati di quest’ultimo Tribunale, con decorrenza dal 10 gennaio 2015; è altresì incontestato che, in qualità d’iscritto nell’albo di Montepulciano, il professionista era stato eletto componente del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2011/2014, nell’ambito del quale aveva svolto le funzioni di Presidente, e che a seguito della trasmigrazione nell’albo di Siena è stato poi eletto componente del relativo Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2015/2018. È per tale ragione che la Commissione elettorale costituita ai fini dello svolgimento delle operazioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2019/2022 ha dichiarato inammissibile la sua candidatura, affermando che lo svolgimento delle funzioni di consigliere, senza soluzione di continuità, per un periodo di tempo complessivamente superiore a due mandati, si poneva in contrasto con il divieto posto dall’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017.
Com’è noto, tale disposizione stabilisce che i consiglieri dell’Ordine non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, facendo comunque salvo quanto previsto dal comma successivo, secondo cui, ai fini dell’osservanza del predetto divieto, non si tiene conto dei mandati di durata inferiore ai due anni; il quarto periodo del comma terzo precisa inoltre che la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato. La norma era stata interpretata da queste Sezioni Unite nel senso che l’espressione «due mandati consecutivi», da essa utilizzata, doveva intendersi riferita anche ai mandati espletati anche soltanto parzialmente prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che, a far data dall’entrata in vigore della legge n. 113 del 2017, e fin dalla sua prima applicazione in forza dell’art. 17, comma terzo, della stessa, non erano eleggibili gli avvocati che avessero già espletato due mandati consecutivi (esclusi quelli di durata inferiore al biennio, ai sensi del comma quarto del medesimo art. 3) di componente del consiglio dell’ordine, anche se solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di cui alle leggi n. 247 del 2012 e 113 del 2017 (cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781). Tale interpretazione ha poi trovato conferma nell’art. 11-quinquies, comma primo, del d.l. n. 135 del 2018, convertito con modificazioni dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, con cui il legislatore ha fornito l’interpretazione autentica della disposizione in esame, stabilendo che, fermo restando quanto disposto dal terzo periodo e dal comma quarto dell’art. 3, ai fini del rispetto del divieto si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 247 del 2012. In seguito, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del plesso normativo in questione, escludendo da un lato il contrasto dell’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 con gli artt. 3, 48 e 51 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., sotto il profilo dell’illegittima ed irragionevole compressione dell’ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall’altro il contrasto dell’art. 11-quinquies del dl. n. 135 del 2018 con gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica (cfr. Corte cost., sent. n. 173 del 2019).
Per effetto di tali disposizioni, lo svolgimento di due mandati consecutivi di componente del consiglio dell’ordine degli avvocati, anche per una parte soltanto di ciascun quadriennio (ma per un periodo non inferiore ad un biennio) comporta pertanto l’ineleggibilità alla medesima carica per un ulteriore quadriennio, ancorché il duplice mandato sia stato in parte espletato in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 113 del 2017: ne consegue, in riferimento alla fattispecie in esame, che, ove dovesse conferirsi rilievo, ai fini dell’operatività del divieto in esame, sia al mandato espletato presso il Consiglio dell’Ordine di Montepulciano nel quadriennio 2011/2014 che a quello espletato presso il Consiglio dell’Ordine di Siena nel quadriennio 2015/2018, dovrebbe escludersi la facoltà dell’Avv. Barabnera di partecipare alla competizione elettorale per la medesima carica relativamente al quadriennio 2019/2022, avendo egli già svolto due mandati consecutivi, e non essendo trascorso un quadriennio dalla cessazione dell’ultimo. Ad opposte conclusioni dovrebbe invece pervenirsi qualora, conformemente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, si ritenesse che, in quanto espletato presso un Consiglio dell’Ordine diverso da quello per il quale il professionista ha da ultimo concorso, il mandato di componente del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano non possa essere computato ai fini dell’ineleggibilità alla carica di componente del Consiglio dell’Ordine di Siena, nonostante l’assorbimento da parte di quest’ultimo degli avvocati già iscritti nello albo del primo.
Orbene, non può condividersi la tesi sostenuta dai ricorrenti, secondo cui la soppressione del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano e l’accorpamento della relativa circoscrizione territoriale a quella del Consiglio dell’Ordine di Siena, avendo comportato il trasferimento in favore di quest’ultimo delle funzioni e dell’organizzazione del primo, con la conseguente successione a titolo universale nei relativi rapporti giuridici, escluderebbero la possibilità di distinguere tra i due enti, anche ai fini dell’imputabilità del mandato elettivo espletato presso ciascuno di essi. In quanto concernente l’individuazione delle condizioni per l’accesso alla carica di componente del consiglio dell’ordine, e quindi la disciplina dell’elettorato passivo, che prescinde dal rapporto giuridico instauratosi tra il candidato e l’ente a seguito della precedente assunzione della carica di consigliere, avendo piuttosto riguardo al fatto storico costituito dal pregresso esercizio delle medesime funzioni, quale elemento potenzialmente idoneo a condizionare la regolarità sostanziale della nuova competizione elettorale, il divieto posto dall’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 non ha alcuna attinenza con la problematica relativa all’individuazione della sorte spettante ai rapporti giuridici dell’ente, in caso di soppressione dello stesso e di trasferimento delle relative funzioni ad altro ente pubblico. Non può ritenersi dunque pertinente il richiamo dei ricorrenti al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di soppressione degli enti pubblici, secondo cui la successione nei rapporti giuridici degli stessi si attua in modo diverso a seconda che la legge o l’atto amministrativo che hanno disposto la soppressione abbiano previsto il permanere delle finalità dell’ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al passaggio sia pure parziale delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche già facenti capo al primo ente, ovvero abbiano disposto la soppressione «previa liquidazione», nel senso che nel primo caso la successione si attua in universum ius, con la conseguenza che tutti i rapporti giuridici che facevano capo all’ente soppresso passano all’ente subentrante, mentre nel secondo caso, difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell’ente soppresso, la successione ha luogo a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l’ente liquidatore non si sostituisce nella titolarità della sfera giuridica originaria dell’ente estinto (cfr. Cass., Sez. lav., 27/04/2016, n. 8377; Cass., Sez. III, 18/01/2002, n. 535; Cass., Sez. I, 13/10/1983, n. 5971). Indipendentemente dalla difficoltà di inquadrare il mandato elettivo (nella specie venuto peraltro a scadenza prima ancora della soppressione del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano o contestualmente ad essa) tra le situazioni giuridiche soggettive trasmissibili, sia dal lato attivo che da quello passivo, risulta decisiva, in contrario, la considerazione che la questione relativa all’ammissibilità di un terzo mandato consecutivo si sarebbe posta ugualmente, anche nel caso in cui il legislatore avesse disciplinato espressamente la sorte dei rapporti giuridici già facenti capo ai consigli degli ordini soppressi, disponendone la liquidazione, anziché il trasferimento in favore dei consigli degli ordini subentrati nelle relative funzioni.
L’ineleggibilità prevista dall’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 non trova infatti giustificazione nel rapporto costituitosi tra il candidato ed il consiglio dell’ordine in conseguenza della pregressa assunzione della carica di consigliere, bensì nel legame instauratosi tra lo stesso e il corpo elettorale o una parte di esso per effetto dello svolgimento delle relative funzioni, la cui intensificazione, nel caso in cui il medesimo soggetto sia rieletto più volte alla stessa carica, può incidere non solo sulla posizione di uguaglianza dei candidati, alterando la regolarità della competizione elettorale, ma anche sulla correttezza e l’imparzialità nell’esercizio delle predette funzioni. Nell’affermare l’applicabilità della norma in esame anche all’ipotesi in cui il doppio mandato consecutivo sia stato espletato in tutto in parte prima della sua entrata in vigore, queste Sezioni Unite hanno chiarito che la finalità dalla stessa perseguita, al pari di quella di analoghe disposizioni vigenti per l’elezione degli organi rappresentativi di altri ordini professionali, consiste nell’assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice, in modo tale da garantire la par condicio tra i candidati, suscettibile di alterazione per effetto di rendite di posizione, nonché di evitare fenomeni di sclerotizzazione nelle relative compagini, potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degli interessi degli iscritti e di vigilanza sul rispetto da parte degli stessi delle norme che disciplinano l’esercizio della professione, nonché sull’osservanza delle regole deontologiche (cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781). In termini non diversi si è espressa la Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017, ha affermato che la finalità dallo stesso perseguita consiste essenzialmente nella valorizzazione delle condizioni di eguaglianza che l’art. 51 Cost. pone alla base dell’accesso alle cariche elettive, «uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più) mandati consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell’elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità». È stato inoltre osservato che il divieto del terzo mandato consecutivo per un verso favorisce il fisiologico ricambio all’interno dell’organo elettivo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l’ampliamento e la maggiore fluidità dell’elettorato passivo), e per altro verso blocca l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza, in linea con il principio del buon andamento dell’amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, riferito agli ordini forensi, e a tutela altresì di valori di autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, in ragione della sua diretta inerenza all’amministrazione della giustizia e al diritto di difesa (cfr. Corte cost., sent. n. 173 del 2019).
Se questa è la ratio della norma in esame, allora deve condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’operatività del divieto, non ha fatto alcun cenno al subingresso del Consiglio dell’Ordine di Siena nelle funzioni già spettanti a quello di Montepulciano ed al trasferimento della struttura organizzativa di quest’ultimo, ma ha tenuto conto esclusivamente del rapporto tra i corpi elettorali dei due Consigli, unificatisi a seguito della soppressione del Tribunale di Montepulciano e dell’accorpamento del suo circondario a quello del Tribunale di Siena. Il problema da risolvere non consisteva infatti nello stabilire se, per effetto della successione nei rapporti giuridici già facenti capo al Consiglio dell’Ordine di Montepulciano, il mandato di consigliere presso lo stesso espletato fosse imputabile al Consiglio dell’Ordine di Siena, in qualità di avente causa, ma se, a seguito dell’unificazione dei due corpi elettorali, il legame precedentemente instaurato con quello di Montepulciano per effetto dello svolgimento delle funzioni di consigliere presso il relativo Consiglio potesse influenzare l’esito delle elezioni per il rinnovo del Consiglio ad esso subentrato, favorendo un candidato a danno degli altri. Non meritano consenso, tuttavia, le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale, richiamando l’orientamento del CNF e la giurisprudenza amministrativa in tema di rieleggibilità dei sindaci in caso di fusione tra comuni, si è soffermata esclusivamente sul dato formale costituito dalla nascita di un nuovo bacino elettorale, diverso da quello di entrambi i preesistenti Consigli, evidenziando il maggior numero degli aventi diritto all’elettorato attivo e la maggiore ampiezza del territorio di competenza, nonché il maggior numero di componenti da eleggere, ed ha pertanto escluso l’applicabilità del divieto al professionista che, come nel caso in esame, intenda candidarsi per un consiglio dell’ordine diverso da quello di cui abbia fatto precedentemente parte. La mera circostanza che l’accorpamento di un consiglio dell’ordine all’altro determini un allargamento del territorio di competenza di quest’ultimo ed un ampliamento del relativo corpo elettorale non risulta di per sé sufficiente a recidere il legame eventualmente instauratosi tra il candidato che sia stato precedentemente componente del consiglio soppresso ed i relativi elettori, che entrano pur sempre a far parte del nuovo bacino elettorale, quantitativamente diverso da quelli di entrambi i consigli, ma risultante dalla sommatoria degli stessi. Non può dunque escludersi la possibilità di un’alterazione nella posizione di uguaglianza dei partecipanti alla competizione elettorale, né quella di un condizionamento nel futuro esercizio delle funzioni di consigliere, la cui portata non può essere certamente sminuita, come vorrebbe il controricorrente, in virtù del mero rapporto proporzionale (nella specie, uno a cinque) tra il numero degl’iscritti negli albi dei due Consigli, trattandosi di un dato meramente casuale, la cui considerazione risulta incompatibile con le esigenze di certezza cui deve rispondere l’applicazione delle norme che disciplinano il diritto di elettorato. L’incidenza del predetto legame e le conseguenze che ne possono scaturire sotto entrambi i predetti profili appaiono tanto più evidenti se si considera che, ove si escluda l’applicabilità del divieto in questione, gli avvocati già iscritti nell’albo del consiglio soppresso potrebbero essere eletti per due volte nel consiglio dell’ordine di nuova iscrizione, anche nel caso in cui avessero già espletato due mandati presso quello di provenienza, in tal modo venendo ad esercitare le relative funzioni per quattro mandati consecutivi, e ciò in palese contrasto con le esigenze di ampliamento della partecipazione alla funzione di governo e di ricambio nella compagine dei consigli che la norma mira a soddisfare. Tali inconvenienti risulterebbero poi ulteriormente accresciuti laddove, in coerenza con l’affermata novità del bacino elettorale, ed anche al fine di assicurare la parità di trattamento con gli altri candidati, dovesse ritenersi che, a seguito della fusione, il limite del doppio mandato consecutivo non possa trovare applicazione neppure agli avvocati già iscritti nell’albo del consiglio subentrato nelle funzioni di quello soppresso, in tal modo determinandosi proprio quella cristallizzazione della rappresentanza che il legislatore ha inteso evitare.
L’unica interpretazione dell’art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 coerente con le finalità perseguite dal legislatore risulta pertanto quella secondo cui il divieto dalla stessa previsto opera anche in caso di soppressione di un consiglio dell’ordine e di trasmigrazione dei relativi iscritti nell’albo di un altro consiglio, precludendo quindi al professionista che abbia già svolto le funzioni di componente presso il consiglio dell’ordine di provenienza per il periodo previsto dalla legge la candidatura alle elezioni per il rinnovo del consiglio dell’ordine di nuova iscrizione. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la disciplina dettata dal d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 in tema di rieleggibilità alla carica di sindaco, il cui richiamo è stato ritenuto inappropriato sia dalla giurisprudenza di legittimità che da quella costituzionale, in ragione delle profonde differenze riscontrabili tra gli enti territoriali ed i consigli degli ordini professionali, aventi natura di enti pubblici a carattere associativo (cfr. per tutte, Cass., Sez. Un. 19/12/2018, n. 32781, cit., Corte cost., sent. n. 173 del 2019, cit.); in relazione all’ineleggibilità prevista dall’art. 51 del predetto decreto, d’altronde, questa Corte, nel precisare che il divieto opera soltanto qualora la carica di sindaco sia stata precedentemente ricoperta nei confronti della medesima popolazione e del medesimo territorio comunale, si è limitata a prendere in esame l’ipotesi in cui la candidatura venga presentata in un Comune del tutto diverso da quello in cui l’interessato abbia svolto le funzioni di sindaco per due mandati consecutivi, senza fare alcun cenno al caso della fusione tra Comuni (cfr. Cass., Sez. I, 29/03/2013, n. 7949), in ordine alla quale non si rinvengono precedenti neppure nella giurisprudenza amministrativa. Non può infine condividersi l’affermazione secondo cui l’applicazione del divieto in esame all’ipotesi di soppressione del consiglio dell’ordine si porrebbe in contrasto con il carattere eccezionale delle norme che prevedono cause d’ineleggibilità, non suscettibili d’interpretazione estensiva o analogica, in quanto aventi portata limitativa del diritto di elettorato passivo: nella specie, infatti, come in altri analoghi casi, non si tratta di estendere in via interpretativa l’ambito applicativo della causa d’ineleggibilità ad un caso apparentemente non riconducibile alla norma che la prevede o addirittura estraneo alla portata semantica della stessa, benché caratterizzato da un’identità di ratio, ma solo di verificarne la compatibilità con le caratteristiche specifiche della fattispecie esaminata, mediante il ricorso agli ordinari criteri ermeneutici, tra i quali la ricerca dell’intenzione del legislatore si pone, in caso di equivocità del testo da interpretare, come strumento sussidiario, utilizzabile in via integrativa ove la ricostruzione del senso letterale delle parole non consenta di sciogliere ogni ambiguità, e destinato ad assumere un rilievo prevalente soltanto in via eccezionale, quando l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione appaia incompatibile con il sistema normativo (cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781; Cass., Sez. I, 21/05/2018, n. 12461; Cass., Sez. III, 21/05/2004, n. 9700).
6. Il terzo motivo di ricorso va pertanto rigettato, mentre il quarto va accolto, e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa al CNF, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dato atto della rinuncia al primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo motivo, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 6/10/2020
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 04 febbraio 2021, n. 2603, in tema di elezioni del COA
SS.UU, 12 maggio 2021, n. 12601, in tema di elezioni del COA
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
E’ ineleggibile l’avvocato che abbia svolto due mandati consecutivi in differenti Consigli dell’Ordine, ove l’uno sia stato incorporato nell’altro
1. Il principio di diritto
Il divieto di svolgimento di due mandati consecutivi di componente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati, previsto dall'art. 3, c. 3, secondo periodo, della L. 113/2017, opera anche in caso di soppressione di un Consiglio dell'Ordine e di trasmigrazione dei relativi iscritti nell'albo di un altro Consiglio, precludendo quindi al professionista che abbia già svolto le funzioni di componente presso il Consiglio dell'ordine di provenienza, per il periodo previsto dalla legge, la candidatura alle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell'Ordine di nuova iscrizione.
2. La questione affrontata
Ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per l'operatività del suddetto divieto, il problema da risolvere è riassunto nel seguente interrogativo: nel caso di subingresso di un Consiglio dell'Ordine nelle funzioni già spettanti ad altro Consiglio e di trasferimento della struttura organizzativa di quest'ultimo, occorre tener conto esclusivamente del rapporto tra i corpi elettorali dei due Consigli unificatisi, oppure è necessario stabilire se il legame precedentemente instaurato dal candidato con il corpo elettorale del Consiglio dell’Ordine soppresso può influenzare l'esito delle elezioni per il rinnovo del Consiglio incorporante?
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite, con il principio espresso, in continuità con SS.UU. 32781/2018 e Corte Cost. 173/2019, chiariscono come l'ineleggibilità prevista dalla disposizione in esame non trovi giustificazione nel rapporto costituitosi tra il candidato ed il Consiglio dell'Ordine in conseguenza della pregressa assunzione della carica di consigliere, bensì nel legame instauratosi tra il medesimo e il corpo elettorale, o una parte di esso, per effetto dello svolgimento delle relative funzioni.
La rielezione, più volte, alla stessa carica, può incidere non solo sulla posizione di uguaglianza dei candidati, alterando la regolarità della competizione elettorale, ma anche sulla correttezza e l'imparzialità nell'esercizio delle funzioni di consigliere.
Si veda anche SS.UU, 12 maggio 2021, n. 12601.