Civile Sent. Sez. U Num. 10244 Anno 2021
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: DORONZO ADRIANA
Data pubblicazione: 19/04/2021
SENTENZA
sul ricorso 13827-2019 proposto da:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMUNI ITALIANI – ANCI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CLARICH, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato HARALD BONURA,
– ricorrente –
contro
BRUNO DAVIDE, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 22, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GAUDIO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE CARRATELLI e NICOLA CARRATELLI;
– controricorrente –
ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMUNI ITALIANI REGIONE CALABRIA – ANCI CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CLARICH, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato HARALD BONURA;
– ricorrente successivo –
contro
AMBROGIO MARCO, in proprio e quale coordinatore dell’ANCI Giovani Calabria;
– intimato –
avverso la sentenza n. 6043/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 24/10/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2021 dal Consigliere ADRIANA DORONZO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale RITA SANLORENZO, il quale chiede che le Sezioni Unite respingano il ricorso.
Ragioni di fatto
1.- Davide Bruno ha proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, un ricorso volto ad ottenere l’annullamento della comunicazione del 6 settembre 2017 del Coordinatore regionale di ANCI Giovani Calabria, con cui era stata convocata l’assemblea regionale per le elezioni del nuovo coordinatore, nonché del verbale dell’assemblea congressuale del 18 settembre 2017, con cui era stato eletto coordinatore regionale Marco Ambrogio ed erano stati nominati i componenti del coordinamento regionale.
1.2.- Il Tar ha accolto la domanda, ritenendo viziati entrambi gli atti.
In ordine alla giurisdizione, di cui era stato eccepito il difetto, il Tar ha ritenuto la controversia attratta nella sua sfera di cognizione, sul presupposto che l’ANCI Giovani non è un’associazione a sé stante ma opera all’interno dell’ANCI Calabria e, quindi, dell’ANCI, e rientra nella nozione di «amministrazioni pubbliche» di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 3 marzo 2001, n. 165.
1.3.- Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 24/10/2018, ha rigettato l’appello proposto da Marco Ambrogio. Sulla giurisdizione, il percorso argomentativo seguito dal Giudice dell’appello è così articolato:
– la natura di ente pubblico dell’ANCI Giovani Calabria è sancita dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che annovera tra le «amministrazioni pubbliche » «i comuni… e i loro consorzi e associazioni», qualunque sia il procedimento di loro costituzione, pubblicistico o privatistico;
– questa norma non è contraddetta – ma, anzi, è implicitamente confermata – dalle disposizioni del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e specificamente dagli artt. 270 e ss., che attribuiscono all’associazione dei comuni la funzione, di manifesto rilievo pubblicistico, di eseguire programmi di cooperazione per lo sviluppo e interventi di solidarietà internazionale;
– lo statuto dell’ANCI pone l’associazione alla cura della rappresentanza istituzionale dei comuni, delle città metropolitane e degli enti di derivazione comunale nei rapporti con il Governo, Parlamento e le istituzioni o gli enti centrali di rilievo nazionale;
– pertanto l’ANCI è portatrice di una rappresentanza qualificata e qualificabile come istituzionale, intesa a far valere interessi pubblici dei comuni associati;
– la soggettività pubblica dell’ANCI è confermata anche dalla Corte costituzionale, con la sentenza 24 luglio 2015, n. 189, punto 2.3.1., in tema di attribuzione all’ANCI di alcuni tratti del procedimento amministrativo, senza alcuna lesione delle competenze regionali;
– sussistono pertanto gli elementi di carattere soggettivo e oggettivo per qualificare l’associazione come ente pubblico: dal punto di vista oggettivo, in ragione della cura degli interessi pubblici cui l’attività dell’ente è diretta; dal punto di vista soggettivo, in quanto la pubblica amministrazione è l’insieme delle strutture costituite per lo svolgimento di attività amministrative e, in questo caso, l’ANCI, in quanto rappresentante degli interessi dei comuni, realizza funzioni di cui è titolare il Comune stesso;
– anche gli indici elaborati dalla giurisprudenza per classificare un ente come pubblico depongono per la natura pubblica dell’ANCI, giacché, pur in assenza di controlli pubblici, sussistono elementi significativi come la partecipazione degli enti associati alle sue spese di gestione, l’iniziativa pubblica dei Comuni per la sua costituzione, la titolarità in capo ai comuni associati del potere di direzione, infine la constatazione che l’Associazione, in quanto rappresentante degli interessi dei comuni associati, è ad essi legata e subordinata;
– vi sono infine altri indici sintomatici della natura pubblica, come la partecipazione all’Anci di soli soggetti pubblici, la sua struttura organizzativa, che prevede la qualità di sindaco, consigliere comunale o assessore comunale per ricoprire l’incarico di presidente o rappresentante legale, la esclusiva finalità di interesse pubblico, l’assoggettamento dell’ANCI agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni ai sensi del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33;
– conseguentemente, anche le ANCI regionali e l’ANCI Giovani, quali articolazioni dell’ANCI, partecipano della medesima natura di ente pubblico.
2.- Contro la sentenza, hanno proposto separati ricorsi per cassazione l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e l’ANCI – Regione Calabria. Ai ricorsi ha resistito Davide Bruno, mentre Marco Ambrogio non ha svolto attività difensiva.
2.1. In prossimità della pubblica udienza, l’ANCI e l’ANCI Calabria hanno depositato un’unica memoria ex art. 378 cod.proc.civ.
Discussa la causa all’udienza del 22 settembre 2020, con ordinanza del 20 ottobre 2020, n. 22809 queste Sezioni Unite hanno ritenuto di acquisire una relazione dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, affinché, attraverso lo studio della dottrina e della giurisprudenza eventualmente espressasi sul punto, si approfondisse la natura giuridica dell’ANCI.
2.2. Fissata l’udienza in camera di consiglio, secondo la disciplina dettata dall’art. 23, comma 8 – bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, il Procuratore Generale ha formulato le sue conclusioni motivate. L’ANCI e l’ANCI Regione Calabria hanno depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c. Il Bruno non ha depositato memoria.
Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio.
RAGIONI DI DIRITTO
1. In via preliminare, deve rilevarsi che non vi è alcuna norma del codice di rito o di leggi speciali che imponga la trasmissione alle parti per via telematica delle relazioni redatte dall’Ufficio del Ruolo e del Massimario, che questa Corte, nel suo insindacabile apprezzamento, abbia ritenuto di acquisire.
Le relazioni del Massimario sono contributi di studio sullo stato della legislazione, nonché sulla dottrina e sulla giurisprudenza in ordine a questioni controverse; esse provengono da un’articolazione interna all’ufficio di questa Suprema Corte, composta da magistrati, ed hanno il solo scopo di fornire al collegio decidente un panorama di informazioni più completo, in modo da facilitare una soluzione maggiormente meditata. La natura delle relazioni e, soprattutto, la loro finalità, meramente informativa, escludono che esse possano introdurre nuovi temi nel dibattito e determinare un diverso sviluppo della lite, sì da rendere necessaria una loro immediata divulgazione alle parti della lite ovvero un’interlocuzione sulle stesse, non apprezzandosi al riguardo esigenze difensive e di contraddittorio.
Conseguentemente, il mancato deposito, da parte del Bruno, della memoria illustrativa ex art. 378 cod.proc.civ. non può ritenersi correlato all’omessa comunicazione per via telematica della relazione dell’Ufficio del Massimario (peraltro, acquisibile previa richiesta di rilascio di una copia presso la cancelleria di questa Corte), in assenza di una norma che espressamente la preveda.
2. Sempre in via preliminare, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso dell’Associazione Nazionale Comuni italiani – ANCI, la quale non ha partecipato ai giudizi svoltisi dinanzi ai giudici amministrativi: tanto il giudizio dinanzi al Tar quanto quello dinanzi al Consiglio di stato si sono svolti tra il Bruno, l’ANCI Calabria e Marco Ambrogio; la stessa ANCI, nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza del 22/9/2020 (pag. 2), ha confermato di non aver formalmente preso parte al giudizio.
Ora, la legittimazione a proporre impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito (Cass.Sez. Un. 9/10/2008, n. 24883; cfr. Cass. 5/11/2018, n. 28096; Cass. 14/12/2016, n. 25779): si tratta di un principio generale del sistema impugnatorio ordinario in materia di ricorso per cassazione, che non subisce deroghe nel caso in cui il ricorso sia proposto contro le decisioni di giudici speciali per motivi attinenti alla giurisdizione. Conseguentemente, non potrà tenersi conto delle difese svolte nell’interesse esclusivo dall’ANCI anche nelle memorie ex art. 378 cod.proc.civ.
3.- Nel suo controricorso, il Bruno ha eccepito l’inammissibilità del ricorso di ANCI Calabria, sull’assunto che sarebbe venuto meno l’interesse di quest’ultima a una decisione sulla giurisdizione, in conseguenza del rinnovo della procedura elettorale e della nomina di un nuovo coordinatore di ANCI Giovani Calabria, avvenuta prima della notifica del ricorso per cassazione.
Dal canto suo, l’Ente ha sostenuto che il rinnovo delle elezioni, con la nomina di un nuovo coordinatore regionale, è stato disposto in esecuzione della sentenza impugnata, al solo scopo di dotare l’organismo di un rappresentante legale. Tuttavia, ha confermato il permanere del suo interesse ad una pronuncia che accerti la correttezza originaria del suo operato, anche ai fini della durata e della legittimità degli attuali organi.
3.1. Conformemente alle conclusioni rassegnate sul punto dal Pubblico Ministero, l’eccezione di inammissibilità deve ritenersi infondata.
A fronte di un incerto quadro normativo sulla natura dell’ente e di una contestazione, da parte del Bruno, quale consigliere comunale di Cosenza, della legittimità del procedimento elettorale adottato, non può dirsi venuto meno l’interesse concreto ed attuale dell’ANCI Calabria ad una sentenza che, attraverso la sua qualificazione come ente pubblico o privato, individui le regole che disciplinano il suo funzionamento e la composizione degli organi sociali, e, in definitiva, lo svolgimento della sua attività interna.
4. Con l’unico articolato motivo di ricorso l’ANCI Calabria denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale per violazione degli artt. 4,7 e 34, comma 2, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in relazione agli artt. 111, comma 8, Cost., 362, comma 1, cod.proc.civ.
4.1. La ricorrente assume che dal 15/11/2018 l’ANCI è un’associazione riconosciuta di diritto privato, iscritta nel registro delle persone giuridiche presso la prefettura di Roma; il suo statuto, ai sensi dell’art. 16 cod.civ., contiene lo scopo dell’ente, le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione, i diritti e gli obblighi degli associati, nonché le condizioni della loro ammissione. Il controllo esercitato sull’associazione è quello tipico delle associazioni di diritto privato.
4.2. La natura privatistica dell’ANCI è stata riconosciuta anche dal Ministero dell’interno con il parere del 15/10/2018, n. 0016135, in cui si è sottolineato che l’attività principale dell’associazione non è caratterizzata dall’esercizio di funzioni e servizi pubblici e che essa è nata come associazione non riconosciuta di diritto privato senza scopo di lucro, con la conseguenza devono ritenersi irrilevanti le disposizioni specifiche che la inseriscono nel novero delle pubbliche amministrazioni (art. 270 TUEL, elenco dell’Istat redatto ai sensi dell”art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 2 T.U. in materia di società a partecipazione pubblica, parere dell’Anac), dovendo prevalere l’originaria natura giuridica, che è privatistica.
4.3.- La ricorrente pone l’accento sull’art. 1.4 dello Statuto, che definisce gli scopi dell’ente, – riconducendoli alla promozione di iniziative e azioni volte alla costituzione di un sistema rappresentativo unitario delle Associazioni di rappresentanza e tutela degli interessi dei poteri locali -, la sua struttura e i suoi organi, che sono quelli tipici delle associazioni (assemblea, presidente, consiglio nazionale, comitato direttivo, presidenza, segretario generale, comitato di tesoreria e collegio dei revisori contabili), così come i criteri di elezione o nomina.
4.4. Sostiene che l’associazione, per finalità e struttura, è un ente che esprime un interesse politico unitario del sistema delle autonomie, che trascende e assorbe quello dei singoli associati. L’ANCI ha inoltre una presenza territoriale articolata attraverso distinte associazioni regionali, le quali sono dotate di autonomia statutaria, organizzativa e patrimoniale e assoggettate al controllo della struttura centrale.
4.5 La ricorrente, inoltre, sottolinea che il rapporto tra l’ente e i singoli associati è di tipo volontario, è garantito il diritto di recesso, l’adesione all’ANCI non ha carattere esclusivo, è richiesto il versamento di un contributo non obbligatorio. Aggiunge che l’ANCI ha un centinaio di dipendenti a tempo indeterminato, assunti per selezione diretta, ai quali si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato tra l’ANCI e le associazioni di categoria, integrato anche dalla contrattazione integrativa, stipulata con le rappresentanze sindacali aziendali. A tali rapporti si applica la disciplina privatistica.
4.6. Infine, invoca l’art. 4 della legge 20 marzo 1975, n. 70, a norma del quale «nessun nuovo ente può essere istituito o riconosciuto se non per legge», ed è pacifico che nel caso in esame l’ANCI non è stata istituita per legge, né ad essa è stata mai attribuita la qualifica di ente pubblico.
5. Da questa ricostruzione dissente il controricorrente, il quale sottolinea che le finalità perseguite dall’ANCI, e, soprattutto, le modalità attraverso cui avviene il funzionamento dei suoi organi, hanno valenza pubblicistica, tanto per disposizioni statutarie, quanto per chiare previsioni legislative (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 175/2016); il controllo sull’associazione è esercitato dai comuni associati attraverso l’assemblea, alla quale partecipano tutti gli enti in regola con il pagamento dei contributi associativi; all’assemblea è affidato il compito di «dettare le linee di indirizzo generali» dell’ANCI, e quindi proprio il controllo, come inteso dalla normativa comunitaria; l’associazione non ha entrate proprie ma agisce sulla base dei contributi versati dagli enti associati e, quindi, in definitiva, da erogazioni pubbliche. Inoltre, l’ANCI è governata da soggetti che ricoprono cariche elettive nei consigli comunali. Gli organi sociali dell’ANCI perseguono interessi pubblici e ricevono quindi l’investitura in un contesto di tipo pubblicistico, con la conseguenza che le controversie relative alla elezione dei rispettivi componenti devono ritenersi attratte nella giurisdizione amministrativa.
6. Così delineate le posizioni delle parti, appare evidente come la soluzione dell’odierna controversia supponga l’inquadramento dogmatico dell’ANCI.
6.1. Per Pubblica Amministrazione si intendono, dal punto di vista soggettivo, sia gli organi amministrativi dello Stato sia gli enti pubblici.
L’art. 28 della Costituzione costituisce il riferimento normativo per qualificare lo Stato – amministrazione come ente pubblico: mancano invece norme che definiscano l’«ente pubblico» in quanto tale o che offrano sicuri indici di riferimento per la collocazione della pluralità di organismi che operano nel settore della pubblica amministrazione sotto un unico paradigma.
A tal fine, la dottrina ha elaborato vari criteri. Quelli più comunemente proposti sono il fine dell’ente, il regime dei controlli, i rapporti con la finanza statale o regionale.
Ciascuno di essi, tuttavia, non è di per sé esaustivo e tutti mantengono un alto tasso di empiricità che li rende ambivalenti: quanto al fine, negli ordinamenti democratici moderni non si può più affermare che lo Stato sia l’unico depositario dei valori della comunità, ben potendo gli stessi essere perseguiti anche da soggetti privati; quanto ai controlli, è facile constatare che lo Stato controlla e sovvenziona numerose attività private che ritiene rivestano interesse per la collettività; quanto all’ultimo criterio, è anch’esso un indice insufficiente, numerosi essendo gli enti privati che ricevono finanziamenti dallo Stato e sono perciò obbligati a rendicontazione e finanche a bilanci preventivi.
Può comunque affermarsi, seguendo la dottrina tradizionale, che tali indici, congiuntamente riscontrabili, rivelano la natura pubblica dell’ente solo se ne dimostrano il dovere istituzionale di agire per la cura di un interesse collettivo.
6.2. La progressiva frantumazione della pubblica amministrazione, con l’ingresso di nuovi soggetti e l’ampliamento delle funzioni svolte dagli apparati amministrativi, si riflette nell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale: sotto il primo versante, sono significativi gli interventi del legislatore che sottopone, con espresse disposizioni, soggetti formalmente privati a regole pubblicistiche; sotto il secondo, viene in rilievo l’attività interpretativa dei giudici che, attraverso l’analisi di elementi sostanziali e funzionali, attribuisce natura pubblicistica a soggetti formalmente privati, al fine di assoggettarli in tutto o in parte ad un regime di diritto pubblico (cfr. Cass. Sez.Un., aprile 2020, n. 7645).
6.3. Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 11 luglio 2016, n. 3043; Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660) fa propria una nozione di pubblica amministrazione non più «statica» e «formale», bensì «dinamica» e «funzionale» (a «geometrie variabili»), nel senso che il concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato.
Ciò implica che il riconoscimento ad un determinato soggetto della natura pubblica a certi fini non ne comporta l’automatica e integrale sottoposizione alla disciplina prevista in generale per la pubblica amministrazione: «al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione “funzionale” e “cangiante” di ente pubblico. Si ammette senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica» (Cons. Stato, n. 3043/2016, cit.).
La considerazione di soggetti formalmente o anche sostanzialmente privati come “enti pubblici” varia, così, da disciplina a disciplina e sta ad indicare non una diversa natura giuridica ma, semplicemente, l’applicazione di alcune regole in luogo di altre: può apparire dunque inutile, o addirittura (come opinano alcuni studiosi) sbagliato qualificare tali soggetti come “enti pubblici”: «la realtà è che, a seconda dei fini e dei casi, si applicano ad essi discipline tipicamente pubblicistiche e discipline tipicamente privatistiche. Alle certezze delle letture dicotomiche si sostituisce pertanto la continua e sempre mutevole ricostruzione degli istituti».
7. Rimane, tuttavia, quale certo indice di riferimento la scelta del legislatore di dichiarare formalmente un ente come pubblico, perché tale dichiarazione vale, come è stato osservato in dottrina, quale «espressione riassuntiva» della normativa pubblica cui il legislatore vuole sottoporre l’ente.
E’ dunque di fondamentale rilievo l’art. 4 della legge 20 marzo 1975, n. 70, a norma del quale «Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge».
7.1. Questa Corte ha avuto modo di sottolineare come questa norma sancisca, con estrema chiarezza, il principio secondo cui l’esistenza di un ente pubblico dipende dall’espresso conferimento di tale qualifica da parte del legislatore, statale o regionale: in altri termini, perché un soggetto possa essere qualificato come pubblico, non si può prescindere da una base legislativa che sottoponga quel soggetto ad un regime pubblicistico (Cass. Sez.Un. 27 ottobre 1995, n. 11179; cfr. pure Cass. Sez.Un. 24 febbraio 1998, n. 1987, e Cass. Sez.Un. 9 marzo 2000, n. 2677, secondo cui l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 stabilisce una riserva di legge di carattere relativo).
7.2. E anche in altre decisioni, al fine di escludere la qualità di ente pubblico di un soggetto, si è attribuita importanza dirimente alla mancanza di una norma attributiva della personalità giuridica pubblica (Cass., Sez. Un., 17 aprile 1982, n. 2334), ovvero alla mancanza di un’espressa qualificazione legislativa in senso pubblicistico (Cass., Sez. Un., 17 maggio 1984, n. 3017).
7.3. Si è precisato che, in difetto di questi requisiti, non è sufficiente ad attribuire la natura pubblicistica all’ente la presenza di taluni indici sintomatici, quali la natura pubblica degli enti che concorrono a formarlo (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1993, n. 11541; Cass., Sez. Un., 17 aprile 1982, n. 2334 cit.); il perseguimento delle finalità riguardanti i soggetti che lo hanno formato (Cass. n. 11541/1993 cit.), specie se la coincidenza degli scopi e delle attività dell’ente non è integrale con i fini e gli scopi della pubblica amministrazione (Cass., n. 2334/1982 cit.); la partecipazione ai suoi organi dei rappresentanti dei soggetti che l’hanno formato (Cass., n. 11541/1993, cit.). Infine, elemento decisivo per escludere la natura pubblicistica è il difetto dei poteri di imperio (Cass., n. 3017/1984 cit., ha negato natura di enti pubblici alle camere di commercio italiane all’estero che, pur perseguendo finalità di interesse generale nel campo dello sviluppo dei rapporti commerciali e beneficiando del contributo finanziario pubblico nelle proprie spese, costituiscono persone giuridiche private di tipo associativo, tenuto conto della mancanza di un’espressa qualificazione legislativa in senso pubblicistico – a differenza di quanto stabilito per le camere di commercio interne dal 21 settembre 1944 n. 315 -, nonché del fatto che esse non sono munite di poteri d’imperio, non sono costituite direttamente dallo stato, e operano secondo proprie autonome e libere scelte, restando soggette non a penetrante controllo, ma a mera vigilanza dello Stato, anche preventiva, in sede di riconoscimento, giustificata dai suddetti interessi generali e dal concorso finanziario dello stato medesimo).
7.4. Deve peraltro osservarsi che l’art. 4 legge n. 70/1975 non va letto in un’ottica meramente formalistica, giacché il riconoscimento della qualità pubblica di un ente può trarsi anche da disposizioni che, pur senza definire in modo esplicito un soggetto come ente pubblico, gli attribuiscano prerogative e poteri di natura pubblicistica.
8. È il caso degli «organismi di diritto pubblico», la cui nozione, di matrice europea, è stata elaborata per individuare le cd. «amministrazioni aggiudicatrici», ossia i soggetti tenuti al rispetto delle regole dell’evidenza pubblica, a prescindere dalla natura loro attribuita dai singoli ordinamenti nazionali (Cass. Sez.Un. 28 marzo 2019, n. 8673).
Essi, nonostante la veste formale privatistica perlopiù assunta, sono equiparati alla pubblica amministrazione in quanto sottoposti per legge ad una disciplina di tipo pubblicistico.
8.1. Tuttavia, è incontestato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza che questa sottoposizione non riguarda l’intera vita dell’ente, ma solo alcuni segmenti della sua attività, ossia quelli strettamente legati all’affidamento dei contratti, ferma restando la possibilità per l’ente di ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali cui è preposto (Cass. 30 settembre 2019, n. 24375; Cons. Stato, n. 3043/2016, cit.; v. anche Cons. Stato 4 aprile 2019, n. 2217).
8.2. È una forma di ibridazione in cui sfumano i confini tra il diritto pubblico e il diritto privato, ma che tuttavia non pone in discussione l’equiparazione dell’organismo di diritto pubblico alla pubblica amministrazione pur in assenza di una norma espressa; così come non è in discussione che la sottoposizione dell’organismo di diritto pubblico alla disciplina pubblicistica non vale per qualsiasi attività da esso svolta.
Si è, in sostanza, in presenza di un’equiparazione settoriale funzionale e dinamica, perché strettamente legata all’affidamento dei contratti, ferma restando la sottoposizione dell’ente, di regola, alle norme del diritto privato. Si accede così ad una nozione di ente pubblico anch’essa dinamica e funzionale.
8.3. In questa chiave deve essere letto e interpretato l’art. 2, comma 1, d.lgs. 2016, n. 175, a norma del quale «1. Ai fini del presente decreto si intendono per: a) «amministrazioni pubbliche»: le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale». Ai fini della disciplina del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, sono, dunque, amministrazioni pubbliche, per effetto del rinvio al d.lgs. n. 165 del 2001, recante le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, nonché gli ulteriori enti elencati.
8.4. Si tratta, tuttavia, di una qualificazione destinata a rilevare sul piano della disciplina di derivazione comunitaria in materia di aggiudicazione degli appalti ad evidenza pubblica, ossia ad individuare nel modo più lato possibile le amministrazioni aggiudicatrici al fine di garantire la massima concorrenza tra operatori economici e un controllo rigoroso della gestione delle “risorse pubbliche”, in una logica anche di trasparenza e di spesa più efficiente (Cass. Sez.Un. n.7645/2020, cit.; Cass. Sez.Un., 9 marzo 2012, n. 3692).
8.5. Sarebbe pertanto fuorviante ritenere che il mero riferimento alle «associazioni per qualsiasi fine istituite, tra le pubbliche amministrazioni», contenuto nell’art. 2 d.lgs. n. 175/2016, integri il requisito del riconoscimento normativo previsto dall’art. 4 legge n. 70/1975, sì da includere nella pubblica amministrazione tutte le associazioni o fondazioni istituite da enti pubblici: come si è già precisato, la nozione di organismo di diritto pubblico non è stata enucleata per operare identificazioni soggettive sostanziali, né allo scopo di risolvere problemi inerenti al riparto di giurisdizione, ma al solo e limitato fine di delimitare in senso adeguato il perimetro entro cui applicare la normativa in tema di procedure ad evidenza pubblica.
9. La permeabilità delle forme pubbliche e private si riscontra anche in altri settori dell’ordinamento e trova un chiaro riferimento normativo nell’art. 1, legge 7 agosto 1990, n. 41, a norma del quale «La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente» (comma 1 bis) e, specularmente, «I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge» (comma 1 ter).
9.1. Vi è dunque, da parte del legislatore, un riconoscimento esplicito che anche soggetti privati possono curare interessi pubblici, e ciò conformemente alla nostra Costituzione per la quale non esiste nell’ordinamento un insuperabile divieto ad affidare a soggetti privati Io svolgimento di funzioni amministrative (Corte Cost. sentenza n. 234/2010).
9.2. Questo affidamento di compiti a soggetti privati non è altro che una forma di attuazione del principio di sussidiarietà (art. 118, comma 4, Cost.), in forza del quale attività essenziali di natura pubblicistica vengono adempiute da organismi, diversi dalla pubblica amministrazione ma più vicini ai cittadini, e quindi, meglio in grado di soddisfarne i bisogni, in una prospettiva di cooperazione con lo Stato.
9.3. La categoria, di matrice dottrinale, in cui vengono inquadrati tali organismi, è quella degli «enti privati che curano interessi generali», anch’essi sottoposti ad una disciplina giuridica mista, tra pubblico e privato; in linea generale, essi si costituiscono nelle forme delle fondazioni di tipo associativo, delle associazioni e delle organizzazioni civiche.
L’elemento che caratterizza questi enti è l’atto costitutivo, frutto dell’autonoma iniziativa dei privati; la loro natura è solidaristica, non lucrativa, anche se in alcuni casi non è escluso l’elemento remunerativo.
9.4. La loro natura giuridica è indubbiamente privata e sono espressione di formazioni sociali costituzionalmente protette ai sensi dell’art. 2 Cost.; l’elemento di congiunzione tra l’iniziativa privata e le pubbliche amministrazioni è dato dalla iscrizione nei registri pubblici e dalle varie forme di accreditamento, in cui vengono definite le finalità di realizzazione di interessi generali.
9.5. Tra gli enti di diritto privato che perseguono finalità pubbliche rientrano le Onlus, ossia le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, disciplinate dal d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, la cui caratteristica comune è l’esclusivo perseguimento di finalità di utilità sociale (art. 10, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 460/1997) e il divieto di distribuzione di utili.
Esse costituiscono un esempio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost.
10. L’ANCI è un’ associazione riconosciuta di diritto privato, iscritta al registro delle persone giuridiche presso la Prefettura di Roma dal 15 novembre 2018. Lo statuto, approvato in pari data, la qualifica come «associazione senza scopo di lucro» (art. 1).
10.1. Scopo dell’ANCI, definito dall’art. 1.4 dello statuto, è quello di tutelare e rappresentare gli interessi generali dei comuni, delle unioni dei comuni, dei comuni montani e delle altre forme associative, delle città metropolitane e di tutti gli enti di derivazione comunale.
Essa valorizza le specificità del sistema dei comuni, promuovendo politiche di sostegno di livello nazionale e regionale, ispirandosi a valori di autonomia, indipendenza e rappresentatività; è titolare, in quanto associazione maggiormente rappresentativa, della rappresentanza istituzionale dei comuni, di ogni forma associativa, delle città metropolitane e degli enti di derivazione comunale nei rapporti con il governo, il parlamento e tutte le istituzioni centrali o di rilievo nazionale; tutela e rappresenta gli interessi degli associati anche nei rapporti con le altre istituzioni e amministrazioni, organizzazioni economiche, politiche, sindacali nazionali, comunitarie ed internazionali; tiene stabili rapporti politici e istituzionali con la conferenza dei presidenti delle regioni, con l’UPI, e con le altre organizzazioni che si occupano di questioni d’interesse nel sistema delle autonomie; promuove quesiti, predispone istruttorie relative a provvedimenti all’esame del sistema delle conferenze, elabora proposte di legge, promuove attività di formazione per l’aggiornamento professionale degli associati anche in collaborazione con altre istituzioni pubbliche; cura la raccolta e l’analisi della diffusione dei dati relativi agli associati, svolge attività di sostegno ai soci, promuove e diffonde, a tutti i livelli, la coscienza dei valori della sussidiarietà, dell’autonomia, del federalismo.
10.2. Sono soci dell’ANCI i comuni e le città metropolitane che vi abbiano spontaneamente aderito, pagando la quota associativa; possono essere altresì soci le associazioni e/o unioni di comuni, nonché altri enti di derivazione comunale che ne facciano richiesta.
L’adesione all’Associazione è a tempo indeterminato salva la possibilità di recedere, che è disciplinata espressamente nello statuto. La qualità di socio si perde per mancato versamento dei contributi associativi (art.2 statuto).
10.3. Gli organi dell’ente sono indicati nell’art.6.1.
Tra essi, l’assemblea è l’organo di indirizzo generale al quale partecipano tutti i soci in regola con il pagamento del contributo; elegge il presidente dell’ANCI e i membri del consiglio nazionale di propria competenza; delibera le modifiche dello statuto; delibera in materia di scioglimento dell’ANCI (art. 8 statuto).
II presidente è eletto dalla assemblea congressuale, la quale si riunisce ogni cinque anni, in speciale composizione, ha la rappresentanza dell’Associazione, la guida, ne propone indirizzi obiettivi e programmi.
Il consiglio nazionale delibera gli indirizzi e le linee programmatiche dell’Associazione, approva il bilancio preventivo e consuntivo, approva i regolamenti, delibera in materia di quote associative, nomina i revisori contabili.
Tra gli altri organi vi sono il Comitato direttivo, l’ufficio di presidenza, il segretario generale, il comitato di tesoreria, il collegio dei revisori contabili. I rispettivi compiti e le regole sulla loro composizione sono descritti nello statuto.
10.4. I contributi associativi devono essere versati dagli associati annualmente (art. 32). L art. 33 stabilisce che il finanziamento dell’Associazione è costituito dai contributi associativi, nonché da contributi volontari e straordinari e da proventi derivanti da attività di strutture, enti, società ed organismi partecipati. Non è ammessa la distribuzione di utili sotto alcuna forma.
Il rapporto tra l’ente ed i propri associati è di tipo volontario ed è garantito il diritto di recesso (art. 2 st.).
11. La Corte costituzionale (sentenza Corte Cost. 24/7/2015, n. 189), chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 9, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, con riferimento al principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, di cui agli artt. 5 e 118 Cost., nella parte in cui assegna all’ANCI uno specifico ruolo nel procedimento di erogazione del contributo statale, asseritamente lesivo delle attribuzioni regionali, ha ritenuto la questione infondata.
11.1. Nel rigettare l’eccezione, la Corte ha esplicitato che i compiti assegnati all’ANCI dalla norma tacciata di incostituzionalità rispondono allo scopo di assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi perseguiti nello stanziare i fondi, attribuendo all’Ente, in quanto «associazione esponenziale» (richiamando, per tale definizione, la precedente sentenza n. 337 del 2001) dei Comuni, da un lato, compiti propositivi ed istruttori in ordine alla determinazione dei criteri di assegnazione dei finanziamenti; dall’altro, funzioni di mero supporto ed assistenza in favore dei piccoli Comuni destinatari del finanziamento, al fine di agevolarne la presentazione delle domande.
11.2. Ha quindi concluso che, come già affermato con riguardo ad altre disposizioni di contenuto analogo, che attribuiscono all’Anci compiti di amministrazione attiva, anche la norma impugnata si limita a consentire la partecipazione dell’Associazione dei Comuni alla fase istruttoria: la previsione della «partecipazione nella fase istruttoria di tutte le soggettività pubbliche interessate alla successiva decisione è ben lungi dal ledere alcuna competenza regionale» (Corte Cost. sentenza n. 337 del 2001; nello stesso senso anche sentenza n. 232 del 2009)».
12. E’ fuori di ogni dubbio che, in questo quadro, manca un’ espressa disposizione normativa che qualifichi l’ANCI come ente pubblico ai sensi dell’art. 4 legge n. 70/1975.
Non può attribuirsi rilievo in tal senso all’art. 2, comma 1, d.lgs. 2016, n. 175, il quale, come si è già visto (sub § 8.5), ha una valenza definitoria limitata alla individuazione delle amministrazioni aggiudicatrici, ai fini dell’applicazione della disciplina sugli appalti pubblici.
12.1. Nella stessa direzione si muove anche il parere redatto dall’ANAC con la deliberazione n. 21 del 18 gennaio 2017. Il sillogismo che si coglie nel ragionamento dell’Autorità anticorruzione, – per cui, se un comune, singolarmente considerato, rientra nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici, anche l’associazione di comuni, nella sua individualità, è un’amministrazione aggiudicatrice-, non può valere, mutatis mutandis, ad attribuire all’ANCI la natura di ente pubblico territoriale come mero riflesso della natura dei comuni stessi, proprio in ragione di quanto si è su esposto circa la variabilità e dinamicità della nozione di ente pubblico, in funzione dell’oggetto o del settore di intervento: semplificando, l’equazione, a fini classificatori, tra ente associativo e singolo ente se può valere per il settore degli affidamenti dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006, ora sostituito dal d.lgs. n. 50/2016, questione che esula dall’oggetto del presente giudizio), non può valere a traslare automaticamente, ai fini che qui rilevano, ossia la nomina degli organi sociali, la natura pubblica dal singolo ente territoriale all’associazione di cui esso fa parte.
12.3. È questo un principio già affermato dalle Sezioni unite, le quali con la sentenza 23 novembre 1993, n. 11541 e con riguardo ad un ordine professionale territoriale, ha escluso la natura di ente pubblico, riconoscendo invece quella di associazione non riconosciuta di diritto privato ed ha affermato il seguente principio: «La natura pubblica degli enti che concorrono a formare un nuovo ente non è sufficiente ad attribuire natura pubblicistica a quest’ultimo, sebbene esso risulti costituito per perseguire anche finalità riguardanti i soggetti che lo compongono; ne’ può ritenersi indicativa della natura pubblica di un’associazione la partecipazione ai suoi organi di rappresentanti dei soggetti pubblici che l’hanno formata» [cfr., nello stesso senso, Cass. 26 luglio 2007,n. 16600, in cui, nel ribadire che la natura pubblica del Comune non è sufficiente ad attribuire natura pubblica ad un ente dal primo costituito, così come non rileva, per escludere la natura privata, la sua finalità non di lucro, compatibile anche con le persone giuridiche di diritto privato (Cass. Sez.Un., 23 novembre 1985, n. 5812; Cass. Sez.Un. 9 marzo 1990, n. 1920), ha invece ritenuto rilevante l’attribuzione di poteri e prerogative analoghi a quelli dello Stato e degli enti territoriali e, dall’altro, l’assoggettamento ad un sistema di controlli inversamente proporzionale all’autonomia dell’ente].
13. Altrettanto va detto con riguardo alla classificazione contenuta nell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di norma che non riveste portata generale, in quanto volta a definire essenzialmente l’ambito applicativo della disciplina del lavoro pubblico.
14. Anche il riferimento alle associazioni contenuto nelle norme del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 276 (d’ora in poi solo TUEL) non appare conferente.
Le associazioni cui si riferisce l’art. 270 (il cui testo così recita: «I contributi, stabiliti con delibera dagli organi statutari competenti dell’Anci, dell’Upi, dell’Aiccre, dell’Uncem, della Cispel, delle altre associazioni degli enti locali e delle loro aziende con carattere nazionale che devono essere corrisposti dagli enti associati possono essere riscossi con ruoli formati ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, ed affidati ai concessionari del servizio nazionale di riscossione… omissis») sono quelle indicate nella parte I, titolo II, capo V del TUEL (artt. 30 e ss.), distinte in convenzioni, consorzi e unioni dei comuni.
14.1. In particolare l’art. 30, sotto la rubrica «Convenzioni», così dispone:
«1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni.
2. Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.
3. Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera lo Stato e la Regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra enti locali, previa statuizione di un disciplinare-tipo.
4. Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.».
14.2. Si tratta di associazioni che, al fine di ridurre l’eccessiva frammentazione territoriale, si costituiscono tra due o più comuni, generalmente confinanti, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, come ad esempio il trasporto pubblico o la realizzazione di un’opera di interesse comune. A questo scopo, gli enti locali stipulano tra loro delle vere e proprie convenzioni secondo le modalità stabilite dagli artt. 30 e seguenti del TUEL (v. pure d.l. 31 maggio 2010, n. 78/2010, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, che prevede l’obbligo per alcuni comuni con popolazione sotto una certa soglia di associarsi per lo svolgimento di funzioni fondamentali), mantenendo ciascun Comune la titolarità giuridica delle sue funzioni, delle risorse e del personale e caratterizzandosi la convenzione per la mancanza di organi amministrativi appositamente previsti.
14.3. È evidente la differenza strutturale e, soprattutto, funzionale che corre tra questo tipo di associazioni e l’ANCI: mentre le prime sono ascrivibili alla stessa categoria degli enti locali o degli enti di governo territoriale, di cui hanno la medesima natura e le medesime funzioni pubbliche, VANCI ha una struttura di diritto privato, richiama nel suo statuto, in quanto applicabili, le norme del codice civile (articolo 43), non è assoggettata al regime di controllo pubblico, bensì solo al controllo degli organi interni. I suoi scopi sono quelli sopra descritti, del tutto distinti dalle funzioni fondamentali degli enti territoriali, come delineate dagli artt. 118 e 119 Cost.; non può ad essi sostituirsi nello svolgimento dei compiti loro propri; non è dotata dei poteri di imperio di cui questi godono.
14.4. L’alterità soggettiva tra le associazioni regolate dal TUEL e VANCI emerge evidente anche dall’art. 271 TUEL, nella parte in cui attribuisce agli enti locali, alle loro aziende e alle «associazione dei comuni», presso i quali hanno sede sezioni regionali e provinciali dell’ANCI (oltre che di altri organismi), la facoltà di mettere a disposizione gratuita, per tali sedi, locali di loro proprietà ed assumere le relative spese, e consente altresì il distacco temporaneo di personale dagli enti locali e le associazioni dei comuni agli organismi nazionali e regionali dell’Anci (oltre che di altre organizzazioni).
14.5. Alterità desumibile anche dall’art. 272 TUEL, nella parte in cui dispone che l’Anci e l’Upi possono essere individuate quali soggetti idonei a realizzare programmi del Ministero degli Affari Esteri relativi alla cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo (di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni): si tratta di attività volta a promuovere e coordinare le relazioni internazionali e la cooperazione allo sviluppo nello spirito di solidarietà tra i governi locali, del tutto rispondente alle finalità dell’ente come descritte dal suo statuto (1. 6), in una prospettiva di collaborazione non dissimile da quella riscontrabile con gli enti privati che curano interessi pubblici.
15. Neppure è decisivo il dato della inclusione dell’ANCI nell’elenco stilato annualmente dall’Istat, al fine di individuare i soggetti da inserire nel conto economico consolidato ai sensi dell’art. 1, comma 3, legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica) e successive modificazioni.
15.1. Tale elenco è stato istituito – come ha ricordato la Corte costituzionale (sentenza n. 7 del 2017, cit.) – in attuazione di precisi obblighi comunitari, sulla base di norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico nazionale ed europeo, ai sensi del regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996,
modificato dal regolamento UE 549/2013 relativo al «Sistema Europeo dei Conti Nazionali e Regionali nell’Unione Europea» (SEC 2010).
I criteri utilizzati per la classificazione sono di natura statisticoeconomica e sono dettati dalla necessità di armonizzare i sistemi della finanza pubblica a livello europeo ai fini della verifica da parte della Commissione degli eventuali deficit eccessivi. Essi poggiano su fattori economico-fattuali per loro natura mutevoli nel tempo, tanto che l’Istituto di statistica è tenuto ad aggiornare annualmente il proprio elenco (considerando n. 1 del regolamento UE n. 549/2013).
15.2. Nell’elenco redatto dall’Istat, l’ANCI è inserita tra gli «enti a struttura associativa».
Nella nota esplicativa dell’Istat, si chiarisce che, secondo il Sistema Europeo dei Conti (SEC 2010), le unità istituzionali vengono classificate «sulla base di criteri di natura prevalentemente economica, indipendentemente dalla forma giuridica assunta».
Come per la delibera dell’ANAC, anche qui la classificazione dell’ente come pubblica amministrazione è dettata da specifiche esigenze di settore (nella specie, di contabilità pubblica, interna ed europea), che non escludono la possibilità che i vari organismi appartengano a tipologie diverse, anche di tipo privatistico (si pensi, ad esempio, alle fondazioni lirico-sinfoniche, pacificamente qualificabili come enti privati e anch’esse inserite nell’elenco Istat: ma v. con riferimento alla Fondazione Teatro alla Scala di Milano, Corte conti, sezioni riunite, n. 1/2020, che ha escluso la Fondazione dall’elenco delle amministrazioni locali redatto dall’Istat per il 2020).
15.4. L’inserimento, dunque, altro non è che il riflesso della natura pubblica dei fondi di cui dispone l’ente e della correlata necessità che esso sia assoggettato alle regole di redazione del bilancio nonché ai controlli contabili tipici delle pubbliche amministrazioni, in attuazione del primo comma dell’art. 97 Cost., ai sensi del quale le «pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (legge cost. 20 aprile 2012, n. 1).
15.5. A sua volta, la legge ordinaria prevede che sono «pubbliche amministrazioni», ai sensi dell’art. 97 Cost., «gli enti individuati con le procedure e gli atti previsti, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, dalla normativa in materia di contabilità e finanza pubblica, articolati nei sotto-settori delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sociale» (art. 2, comma 1, I. 24 dicembre 2012, n. 243).
In forza di questo rinvio, il compito di individuare le «pubbliche amministrazioni» è attribuito al soggetto a cui la normativa finanziaria affida il censimento degli enti pubblici secondo i criteri europei, ossia all’Istat. Ne deriva che le pubbliche amministrazioni interessate dai vincoli finanziari previsti dall’art. 97, comma 1, e dall’art. 81, comma 6, Cost. sono quelle incluse nell’elenco redatto annualmente dall’Istat, che comprende anche soggetti da qualificare sul piano dogmatico come privati e che rilevano come pubblici solo al fine della loro soggezione ai suddetti vincoli, nell’ambito di una nozione eminentemente finanziaria di pubblica amministrazione.
15.6. L’elenco redatto dall’Istat non ha dunque un valore per così dire costitutivo della natura del soggetto inserito, trattandosi di un atto meramente ricognitivo di natura amministrativa, soggetto a variazioni annuali sulla base di criteri di inserimento mutevoli nel tempo, con l’unico scopo di «individuare l’ambito applicativo delle disposizioni in materia di finanza pubblica,.., indicando la platea dei destinatari delle norme di ciascun anno» (Corte conti, sez. riun., 27 novembre 2013, n.7).
16. Infine, non possono assurgere a valore classificatorio le disposizioni del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (e successive modificazioni), avente ad oggetto il «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», nel cui ambito di applicazione rientrano anche (ex art. 2-bis, comma 2, lett. c, introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97), le «associazioni, (al)le fondazioni e (a)gli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica(…)» sia pure in presenza di alcuni requisiti di legge (bilancio superiore ad una certa soglia, finanziamenti da parte di pubbliche amministrazioni, composizione e nomina degli organi di amministrazione).
17. Esclusa pertanto l’esistenza di un’espressa previsione normativa che qualifichi l’ANCI come «ente pubblico», anche l’indagine sugli indici rivelatori della natura pubblicistica dell’ente conduce a risultati negativi.
In particolare, quanto al fine, esso è solo in parte coincidente con quello degli enti territoriali associati, essendo stata l’Anci, costituita non già per perseguire finalità pubbliche di carattere generale tipiche dei comuni, localizzabili nei rispettivi territori, bensì per rappresentare nel rapporto con le istituzioni centrali (al pari di altre associazioni che compongono il quadro della rappresentanza delle autonomie territoriali, come l’Associazione dei Comuni montani – Uncem, l’Associazione dei piccoli Comuni-Anpci, l’Anci Legautonomie) gli interessi di categoria dei comuni, agendo come organo di pressione, di consulenza, di impulso nei confronti degli organi decisori.
17.1. Come è stato osservato in dottrina, «sebbene promani da enti rappresentativi di comunità politiche locali, l’interesse rappresentato da parte delle loro associazioni di categoria si configura come particolare al momento del contatto con la decisione pubblica statale».
17.2. Ciò non contrasta con la definizione che dell’ANCI ha dato la Corte costituzionale, qualificandola «ente esponenziale», giacché in tale definizione rientrano anche tutti quegli organismi che, nel rapporto con le istituzioni centrali, si fanno portatori di interessi cosiddetti diffusi e che, in virtù di questa funzione, assumono una posizione qualificata e particolare, senza tuttavia che ciò possa incidere sulla loro natura privata o pubblica e, correlativamente, sulle modalità operative secondo gli schemi del diritto privato eventualmente prescelti.
17.3. Quanto al controllo, esso è esercitato dagli organi interni, secondo le norme statutarie, dovendosi escludere forme di controllo e eterodirezione da parte di soggetti estranei alla compagine sociale.
Al riguardo sembra opportuno ricordare che, in conformità al diritto eurounitario, i poteri pubblicistici, dai quali inferire l’esistenza di un controllo da parte della Pubblica amministrazione su un ente non lucrativo, devono essere tali da consentire alla P.A. di «definire o fissare gli obiettivi dell’ente, le sue attività e i loro aspetti operativi, nonché gli indirizzi strategici e gli orientamenti che l’ente intende perseguire nell’esercizio di tali attività» (v. Corte di Giustizia, sent. 11 settembre 2019, C-612/17, punto 73, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione del regolamento UE n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione europea, presentata nell’ambito della controversia fra la Federazione Italiana Golf, da un lato, e l’Istituto Nazionale di Statistica e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dall’altro, relativamente all’inserimento della FIG, per l’anno 2017, nell’elenco delle amministrazioni locali incluse nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni).
18. In conclusione, e riassumendo, sebbene VANCI veda attribuiti a sé anche compiti di natura tendenzialmente amministrativa, svolti su mandato e dietro finanziamento statale e il cui esercizio è regolato da norme di natura pubblicistica (cfr. Corte Cost., n. 189/2015; art. 272 d.lgs. n. 267/2000), l’assenza di un’espressa previsione normativa che la qualifichi come «ente pubblico» ai sensi dell’art. 4 della legge numero 70/1975, la forma giuridica prescelta e la sua funzione lato sensu sindacale, ossia di rappresentanza degli interessi dei comuni associati e di raccordo con il sistema centrale, inducono ad escludere che essa possa essere annoverata tra le pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 1, comma 2 del d.lgs.165/2001.
18.1. Essa è un soggetto di diritto privato: lo statuto è inequivoco in tal senso, come si desume dal nomen iuris utilizzato, dal rinvio per la sua regolamentazione alle norme del codice civile, dalla sua struttura, dall’atto costitutivo inter vivos posto in essere dai comuni promotori; dalla libertà nella adesione e nella recedibilità degli associati. I suoi scopi sono stati individuati in quelli tipici delle associazioni di rappresentanza (come sindacati, o associazioni di categoria) che, attraverso la partecipazione in ogni sede nella quale si discutono questioni di interesse delle istituzioni locali rappresentate, coincidono con la tutela degli interessi degli associati.
18.2. Come è stato già affermato in vicende analoghe da questa Corte, «Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche posizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato» (così Cass, Sez.Un. 27 marzo 2017, n. 7759; Cass. Sez.Un. 8 luglio 2019, n. 18270; v. pure Cass. 27 dicembre 2019, n. 34473).
18.3. Ne consegue che, trattandosi di un soggetto di diritto privato e discutendosi della legittimità di atti non riconducibili all’esercizio di alcun pubblico potere, in mancanza di specifiche disposizioni normative contrarie, la procedura di convocazione dell’assemblea e di nomina del coordinatore regionale deve dichiararsi sottoposta alla giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto nei termini di legge.
19. In questi termini, il ricorso deve essere accolto.
La assoluta novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.
In ragione della pronuncia di inammissibilità del ricorso di ANCI Nazionale, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della su indicata ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso di ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani; accoglie il ricorso di ANCI-Calabria e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale rimette le parti nei termini di legge. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite del 23 febbraio 2021
Il Consigliere estensore
Dott. Adriana Doronzo
Il Presidente
Dott. Camilla Di Iasi
Allegati:
SS.UU, 19 aprile 2021, n. 10244, in tema di enti pubblici e privati
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
La natura giuridica dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani): è un soggetto di diritto privato
1. Il principio di diritto
L’assenza di un’espressa previsione normativa che qualifichi l’ANCI come ente pubblico ai sensi dell’art. 4 della L. 70/1975, la forma giuridica prescelta e la sua funzione latu sensu sindacale, ossia di rappresentanza degli interessi dei comuni associati e di raccordo con il sistema centrale, inducono ad escludere che tale Associazione possa essere annoverata tra le pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 1, c. 2 del D.lgs. 165/2001.
2. I (non dirimenti) criteri dottrinali ed il (dirimente) riferimento normativo
Posto che l'art. 28 della Costituzione costituisce il riferimento normativo per qualificare lo Stato - amministrazione come ente pubblico, ma mancano invece norme che definiscano l'«ente pubblico» in quanto tale o che offrano sicuri indici di riferimento per la collocazione della pluralità di organismi che operano nel settore della pubblica amministrazione sotto un unico paradigma, la dottrina ha elaborato, al fine, vari criteri, fra i quali, quelli più comunemente proposti sono: il fine dell’ente; il regime dei controlli; i rapporti con la finanza pubblica, statale o regionale che sia.
Ciascuno di essi, però, non è di per sé esaustivo e tutti mantengono un alto tasso di empiricità che li rende ambivalenti.
Al fine di escludere la qualità di ente pubblico di un soggetto, è, dunque, di fondamentale rilievo, ad avviso delle Sezioni Unite, (unicamente) l’art. 4 della L. 70/1975, a norma del quale “Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”.
Tale disposizione sancisce, con estrema chiarezza, il principio secondo cui l’esistenza di un ente pubblico dipende dall’espresso conferimento di tale qualifica da parte del legislatore statale o regionale: in altri termini, perché un soggetto possa essere qualificato come pubblico, non si può prescindere da una base legislativa che lo sottoponga ad un regime pubblicistico.
Viene, così, espresso il principio di diritto di cui sopra, in quanto “è fuori di ogni dubbio che … manca un'espressa disposizione normativa che qualifichi l'ANCI come ente pubblico ai sensi dell'art. 4 legge n. 70/1975”.
3. Conseguenze operative
Laddove si discuta della legittimità di atti dell’ANCI, soggetto di diritto privato e, pertanto, non riconducibili all'esercizio di alcun pubblico potere, ed in mancanza di specifiche disposizioni normative contrarie, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, e non al giudice amministrativo.