Civile Sent. Sez. U Num. 20650 Anno 2023
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 17/07/2023
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29360/2022 R.G. proposto da:
NENNA MAURIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell’avvocato SINAGRA AUGUSTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MINISCI LORENZO
-ricorrente-
contro
CONSIGLIO ORDINE AVVOCATI di ROMA
-intimato-
avverso la SENTENZA del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE n. 240/2022 depositata il 03/12/2022.
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale FRANCESCO SALZANO.
Udita la relazione svolta nell’udienza del 23/05/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale FRANCESCO SALZANO, il quale ha chiesto di rigettare il ricorso;
udito l’Avvocato AUGUSTO SINAGRA.
FATTI DI CAUSA
1. L’avvocato Maurizio Nenna ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 240/2022 del Consiglio Nazionale Forense, pubblicata il 3 dicembre 2022.
L’intimato Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma non ha svolto attività difensive.
2. Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato Maurizio Nenna contro la decisione n. 102/2019, emessa in data 30 ottobre -19 dicembre 2019, dal Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense (CDD) del distretto della Corte d’appello di Roma, che gli ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi venti.
3. In data 7 marzo 2013 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Roma deliberò l’apertura del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente avvocato Maurizio Nenna con i seguenti capi di incolpazione:
“1) per avere, nel processo penale n. 35222/07 N.R., l’Avv. Maurizio Nenna, difensore di fiducia dell’imputato Ing. Pompei Eugenio, per il reato di bancarotta fraudolenta, rinunziato al mandato nel giugno 2008, in prossimità della data fissata per l’Udienza Preliminare, dopo aver incassato due acconti dal Sig. POMPEI (il primo in data 9 maggio 2008, seguito dall’altro in data 23 maggio 2008). In questo modo, l’Avv. NENNA, anziché formalizzare la propria rinunzia al mandato con congruo anticipo rispetto all’udienza, impediva all’imputato di organizzare ai meglio la propria difesa, attraverso la nomina di altro difensore, In violazione dell’art.47 del Codice Deontologico Forense (ora art. 32 NCDF). In Roma, nel giugno 2008 (prescrizione ripetutamente interrotta).
2) Per aver – con le condotte di tempo e di luogo descritte nei capi d’imputazione penale che seguono e parzialmente accertate con sentenza del Tribunale penale monocratico di Roma II sezione emessa il 28.5.2014 n.9747 con la quale, per i reati di cui ai capi d’imputazione “a”-“b”-“d”-“e”-, riportava condanna alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione (assolto ex art. 530/2° CPP per i capi “c”-“f”) – leso le prerogative e le funzioni dell’Ordine Forense nonché la dignità e decoro professionale in violazione dell’art. 38 /1° c. RDL n.1578/1933 (ora art. 3/2°c. L.247/12) nonché ulteriormente violato gli artt. 3-5/1° inciso e I^ c.-6-7-35-41-44 previgente CDF (ora rispettivamente artt. 4/1-2°c-9-10-11/2°c. -30/1° e 2° c.-31 NCDF). Con l’aggravante della particolare gravità delle condotte ex art. 2/II° c. previgente CDF (ora art.22/2°c. NCDF).
“ a) per i reati di cui agli artt. 81, 646, 61 n.7 e n.11 c.p. perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso con i reati di cui ai capi che seguono, al fine di procurare a sé un ingiusto profitto, si appropriava della somma di euro 21.500,00 della quale aveva il possesso in qualità di legale della Meta Corsi S.r.l. e che gli era stata fatta pervenire mediante bonifico bancario da Eugenio Pompei, Amministratore della Meta Corsi al fine di versarla alla Banca MPS Gestioni Crediti Banca Spa, quale importo per la transazione con la Banca per la procedura esecutiva relativa al procedimento civile n. R.G. 22223/02.
In Roma in data prossima al 5.5.2006.
b) Per il reato di cui agli artt. 81, 486, 61 n.11 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno di legge criminoso al fine di procurare a sé un vantaggio, più volte abusava di fogli firmati in bianco da Pompei Eugenio, amministratore della Meta Corsi S.r.l., firme rilasciate nell’ambito dell’attività professionale da lui svolta come legale di Pompei e della Meta Corsi ai fini di corrispondenza, in particolare:
– vi iscriveva una scrittura privata di riconoscimento di debito pari ad euro 123.616,00 al lordo dell’acconto di euro 21.500,00 versato, con imputazione della somma di euro 21.500,00 (di cui al capo A) versata da Pompei per accedere ad una transazione a pagamento di prestazioni professionali recante la data del 29 marzo 2007;
– vi iscriveva una scrittura privata di riconoscimento di debito, in cui sollevava l’Avv. NENNA da ogni responsabilità riconoscendo la correttezza del suo operato recante data del 5 giugno 2008;
– vi iscriveva una scrittura privata di riconoscimento di debito in cui sollevava l’Avv. NENNA da ogni responsabilità riconoscendo la correttezza del suo operato recante la data del 31 agosto 2008.
Tutti atti, in particolare quello con data riportata del 29 marzo 2007, erano successivamente utilizzati per ottenere l’emissione nei confronti del POMPEI Eugenio del decreto ingiuntivo n.12088/07 dei Tribunale di Roma.
In Roma, in data anteriore e prossima al 20 aprile 2007 in cui veniva richiesto il decreto ingiuntivo.
c) Per i reati p. e p. dagli artt. 81, 485, 61 n.11 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di procurare a sé un vantaggio, formava un atto falso avente ad oggetto la rinuncia alla procedura esecutiva instaurata dalla MPS Gestione Crediti Banca S.p.A. nei confronti di Eugenio POMPEI e recante firma dell’Avv. Massimo Luconi, facendone uso mediante invio, a mezzo posta, ad Eugenio Pompei.
In Roma, 6 novembre 2006.
d) Per i reati p. e p. dagli artt. 81 e 380 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, si rendeva infedele ai suoi doveri professionali, intervenendo personalmente (quale creditore) nella procedura esecutiva n.181/06 incardinata dinanzi al Tribunale di Roma, Sezione esecuzioni immobiliari nei confronti di Eugenio POMPEI, arrecando così danno a quest’ultimo in quanto da lui assistito innanzi alla medesima Autorità e nel medesimo procedimento.
In Roma 31.7.2007.
e) Per i reati di cui all’art 368 c.p. perché con più atti di querela inviati per raccomandata presso la Procura di Roma, di cui il primo datato 16 luglio 2008, poi 2 agosto 2008, 8 settembre 2008, 16 settembre, 21 febbraio 2009, 2 marzo 2009, accusava ingiustamente, pur sapendolo innocente, il suo ex cliente (e controparte nel procedimento esecutivo in cui si era insinuato) POMPEI Eugenio di calunnia in relazione alle denunce che Pompei aveva presentato nei suoi confronti, tanto da far iniziate un procedimento penale nei confronti di POMPEI.
In Roma, alle date suindicate.
f) Per i reati p. e p. dagli artt. 110, 81 e 381 c.p. perché in concorso tra loro, nella procedura esecutiva n.181/06 incardinata dinanzi al Tribunale di Roma sezione esecuzioni Immobiliari nei confronti di Eugenio POMPEI, facevano in modo che l’Avv. NENNA prestasse contemporaneamente per il tramite dell’Avv. Stefania Giacchero, sua collaboratrice di studio, il suo patrocinio a favore di parte contraria nel medesimo procedimento. In particolare, l’Avv. NENNA prestava attività di patrocinatore di POMPEI nel giudizio civile di cognizione (opposizione a decreto ingiuntivo della banca MPS), seguendolo anche nella fase transattiva volta alla definizione extraprocessuale della causa, fino alla revoca del mandato in data 12 giugno 2008, in sede di procedura esecutiva promossa dalla Banca MPS, mentre la sua collaboratrice di studio praticante legale, Dott. Stefania Giacchero patrocinava l’interveniente Giulio Palumbo, nella medesima procedura esecutiva, redigendo in data 21 giugno 2007 atto di intervento.
In Roma nella data indicata dell’atto di rinuncia”.
Condanna parzialmente riformata dalla Corte di Appello sez. III^ penale in data 18.10.2016 n. 8464 per intervenuta prescrizione per il capo “a” (con conferma delle statuizioni civili e quindi della responsabilità penale), intervenuta depenalizzazione per il capo “b” (confermata declaratoria di falsità delle scritture), assolto per il capo “d”, confermata assoluzione per i capi “c”-“f”, confermata condanna per il capo “e”, con rimodulazione della pena in anni uno e mesi quattro di reclusione oltre ad una provvisionale provvisoriamente esecutiva in favore della parte offesa pari ad € 20 mila. Sentenza divenuta irrevocabile in data 19.9.2017 a seguito di declaratoria di inammissibilità da parte della Corte di Cessazione Sez. VI^ penale n. 49725”.
4. La sentenza impugnata espone che il procedimento disciplinare fu originato da un esposto presentato al COA di Roma in data 13 ottobre 2011 da Eugenio Pompei, il quale riferì di aver sporto denuncia penale nei confronti dell’avvocato Nenna, suo ex difensore di fiducia, accusandolo di una pluralità di condotte illecite, poi oggetto del procedimento penale n. 35507/08, definito con le sentenze richiamate.
Il COA di Roma emise atto di citazione a giudizio il 12 febbraio 2014 per l’udienza del 5 giugno 2014. Il procedimento fu quindi trasmesso all’istituito Consiglio Distrettuale di Disciplina di Roma. Seguì la richiesta di citazione a giudizio, approvata nella seduta del 17 maggio 2019. Alle udienze dibattimentali vennero acquisite le sentenze penali di primo, secondo e terzo grado di giudizio e si procedette all’esame dei testimoni. All’esito dell’udienza del 30 ottobre 2019, il CDD di Roma, rigettata l’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare, ritenne:
– non sussistente l’incolpazione di cui al capo 1);
– non sussistente l’incolpazione di cui al capo 2) limitatamente alla contestazione della violazione dell’art. 31 NCDF, con conseguente non luogo a provvedimento disciplinare in relazione a tali capi di incolpazione;
– sussistenti, in relazione al capo 2) di incolpazione, le violazioni deontologiche di cui agli artt. 4, 9, 10, 11 e 30, commi 1 e 2, del NCDF.
Il CDD inflisse così all’avvocato Nenna la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi venti, ritenendo sussistente la violazione dell’art. 30, commi 1 e 2, nonché la violazione degli artt. 4, 9, 10 e 11 del Codice Deontologico, con l’aggravante di cui all’art. 22, comma 2, lett. c), della legge n. 247 del 2012, per aver l’incolpato, con il suo comportamento, leso il prestigio e l’onore della classe forense, ponendo in essere condotte biasimevoli ed eticamente scorrette.
Le accuse, ad avviso del CDD, avrebbero trovato conferma negli esiti del giudizio penale, nel quale risultavano accertati o acquisiti: l’impossessamento, da parte dell’avvocato Nenna, di una somma di denaro affidatagli dal cliente per la definizione stragiudiziale di una procedura immobiliare; la prova documentale dei bonifici eseguiti dall’ingegnere Pompei nell’anno 2006 sul conto corrente del professionista e recanti la causale “pro quota precetto MPS-Metacorsi” e, dunque, per la conclusione transattiva con l’Istituto Bancario; la circostanza che tale transazione non avesse mai avuto luogo (avendo l’esponente scoperto anni dopo che il versamento non era stato eseguito), ad attestare l’illecita ritenzione delle somme da parte del professionista.
Per il CDD, la tesi sostenuta dall’avvocato Nenna, secondo cui il Pompei ebbe a corrispondere tali somme per pagare prestazioni professionali, non sarebbe stata verosimile, sia per la causale dei bonifici eseguiti dall’esponente, sia perché lo stesso aveva prodotto numerose ricevute di bonifici effettuati al proprio legale e muniti della casuale relativa al pagamento di fatture, quando a tal fine erano stati eseguiti.
Infine, il CDD affermò che l’intervenuta prescrizione in sede penale di alcuni dei reati contestati all’incolpato non aveva incidenza sul procedimento disciplinare e, anzi, il mancato proscioglimento nel merito per assenza di prova evidente di innocenza poteva rilevare come riconoscimento di responsabilità.
L’avvocato Nenna propose ricorso avanti al Consiglio nazionale forense in data 30 dicembre 2019, chiedendo la declaratoria di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dell’esercizio del potere disciplinare, ovvero di proscioglimento in ordine alle incolpazioni disciplinari sulla base di una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella operata in sede penale. Nel dettaglio, il ricorso dedusse: a) la superficialità della decisione in ordine ai fatti di causa, alle correlate questioni giuridiche, ed in particolare ai rapporti correnti tra l’incolpato e l’ingegnere Pompei: b) l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare in base al regime introdotto dall’art. 56 della l. n. 247 del 2012, essendo il 2 marzo 2009 la data ultima di consumazione dei contestati presunti illeciti e quindi decorso il termine massimo di sette anni e sei mesi dal fatto; o altrimenti la prescrizione comunque dell’azione disciplinare ai sensi dell’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933, in forza dell’operatività sopravvenuta dell’art. 54 della l. n. 247 del 2012 sulla reciproca autonomia tra procedimento disciplinare e penale, che esclude la sospensione necessaria del primo giudizio; c) l’insussistenza degli illeciti disciplinari contestati, essendosi il CDD appiattito sulle risultanze del procedimento penale. In particolare, il Consiglio Distrettuale, quanto al fatto dell’appropriazione indebita, non avrebbe apprezzato il riscontro documentale sulla causale della consegna nel 2006, prima dunque dell’accordo con la MPS, della somma di € 21.500,00, la quale non costituiva l’importo per la transazione con la Banca a definizione della procedura di esecuzione immobiliare, quanto il compenso elargito dal cliente per la difesa nell’azione esecutiva intentata dalla stessa MPS, da detrarre dal maggior credito di € 123.616,00 riconosciuto dall’ingegnere Pompei. Quanto poi all’abuso di fogli in bianco, il Consiglio Distrettuale non avrebbe dato il giusto rilievo alla testimonianza della signora Elena Di Marcantonio, la quale aveva dichiarato che l’ultimo dei tre fogli firmati dal Pompei conteneva una dichiarazione già predisposta e scritta, che richiamava gli altri due fogli. L’intervenuta depenalizzazione avrebbe inoltre sottratto ogni valore di giudicato alla sentenza penale; d) la erroneità dei riferimenti giurisprudenziali contenuti nella decisione impugnata ai fini del regime normativo della prescrizione applicabile; e) l’eccessività della sanzione disciplinare irrogata dal CDD di Roma, alla luce dei criteri dettati dall’art. 21 del Nuovo Codice deontologico forense.
La sentenza n. 240/2022 del Consiglio Nazionale Forense, pubblicata il 3 dicembre 2022, ha dapprima escluso l’applicabilità del regime della prescrizione introdotto dall’art. 56 della l. n. 247 del 2012 alle condotte esauritesi prima della entrata in vigore della nuova disciplina; ha quindi affermato che la condotta consistente nell’illecito trattenimento di somme di competenza del cliente costituisce illecito permanente, mentre l’abuso di fogli in bianco (qui consistito in plurime condotte poste in essere tra il 2007 e il 2008) e la calunnia (qui consistita in plurime condotte poste in essere tra il 2008 e il 2009) costituiscono illeciti istantanei; ha poi evidenziato che la condotta di appropriazione indebita/trattenimento somme di pertinenza del cliente non risultava ancora cessata, stante la mancata restituzione delle somme da parte dell’incolpato, e ciò quantomeno fino al momento della data di emissione della decisione disciplinare (30 ottobre 2019), sicché solo da tale data il termine prescrizionale poteva dirsi decorrente; quanto agli illeciti istantanei di abuso di foglio in bianco e calunnia, consumati tra il 2007 e il 2009, ha invece sostenuto l’applicabilità del regime di cui all’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933, decorrendo pertanto la prescrizione disciplinare soltanto dal momento della definizione irrevocabile del processo penale sugli stessi fatti (sentenza della Corte di cassazione del 19 settembre/20 ottobre 2017), prescrizione non verificatasi alla luce della citazione a giudizio del 17 maggio 2019 e del deposito della decisione del CDD del 19 dicembre 2019; ha negato l’operatività dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sul giusto processo in sede di processo disciplinare.
Quanto alla fondatezza delle accuse, la sentenza n. 240/2022 del Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato che il fatto della appropriazione indebita della somma di € 21.500,00, consegnata dal cliente per la transazione con la banca MPS nell’ambito del procedimento esecutivo pendente, era stato accertato da sentenza penale passata in giudicato, concretando l’illecito di cui all’art. 30 del codice deontologico forense; il fatto in esame risultava anche dai riscontri documentali compiuti dal CDD (bonifici del Pompei effettuati nel 2006 e causale degli stessi incompatibili con le tesi difensive dell’avvocato Nenna), a nulla valendo in senso contrario il credito per prestazioni professionali vantato dal legale verso il cliente.
Altrettanto in ordine all’abuso del riempimento di documenti in bianco, la sentenza n. 240/2022 ha ricordato che il fatto è stato accertato in sede penale ed ha esaminato, confutandole, le difese inerenti al disconoscimento delle scritture ed alla querela di falso, al decreto ingiuntivo non opposto dal Pompei giacché notificato dall’avvocato Nenna al domicilio eletto (presso la sede della società PBC Service s.r.l. in Roma Via Luigi Ronzoni n. 23, coincidente con l’ufficio del commercialista, padre dell’avvocato Nenna), alla dichiarazione di riconoscimento di debito a firma del Pompei e risultata falsamente compilata, al pagamento da parte dell’avvocato Nenna della provvisionale di € 20.000,00 stabilita in sede penale in favore del Pompei, somma diversa da quella di cui all’appropriazione indebita, alla rilevanza della testimonianza resa dalla signora Di Marcantonio. Circa la depenalizzazione dell’illecito relativo all’abuso di fogli in bianco, la sentenza del Consiglio Nazionale Forense ha rivendicato che la sentenza penale di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato non priva di rilievo deontologico il fatto. Così anche quanto alla sentenza penale pronunciata sul reato prescritto di appropriazione indebita, condotta la cui rilevanza disciplinare risultava valutata dal CDD tenendo conto dell’accertato illegittimo trattenimento della somma di € 21.500,00, avendo anche attenzione alla intervenuta condanna per calunnia relativamente a tale circostanza. Ed ancora, sono stati richiamati i principi sulla influenza del giudizio penale ai fini delle valutazioni di competenza del giudice disciplinare. La sentenza ha infine motivato circa la adeguatezza e proporzionalità della sanzione irrogata rispetto alle plurime violazioni deontologiche commesse.
La causa è stata decisa in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni nella legge 24 febbraio 2023, n. 14), con richiesta di discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso dell’avvocato Maurizio Nenna avverso la sentenza n. 240/2022 del Consiglio Nazionale Forense si struttura in 57 pagine. A pagina 2 premette che “[l]’impugnata decisione del Consiglio Nazionale Forense merita integrale riforma perché viziata da violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi aspetti. Introduttivamente ci si riporta integralmente a quanto esposto nel ricorso al Consiglio Nazionale Forense”. Seguono paragrafi numerati da 1 a 26, suddivisi in sottoparagrafi.
2. In punto di esposizione sommaria dei fatti di causa, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella formulazione operante ratione temporis, il ricorso non contiene, invero, una compiuta premessa narrativa distinta ed autonoma, illustrativa delle vicende della lite. Sono tuttavia ritraibili nell’intero contesto dell’atto gli elementi sostanziali e processuali necessari a rendere intellegibili il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia dei giudici di merito, ovvero il thema decidendum del giudizio di legittimità.
3. Non sono state predisposte distinte rubriche introduttive, che indichino i singoli motivi per i quali si chiede la cassazione e le ragioni di censura sussunte in una delle tassative categorie logiche contemplate dall’art. 36, comma 6, della legge n. 247 del 2012, il quale ammette il ricorso avverso le decisioni del CNF alle sezioni unite della Corte di cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Il ricorso per cassazione si sostanzia, piuttosto, in una diffusa critica della decisione impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro combinati, lamentando l’ingiustizia della sentenza n. 240/2022 del Consiglio Nazionale Forense e sollecitando un complessivo riesame delle fattispecie sostanziali di merito.
4. In ogni modo, le censure possono così ricostruirsi.
4.1. E’ dapprima criticata la decisione sulla assunta inoperatività nel caso in esame della disciplina della prescrizione dell’azione disciplinare delineata dall’art. 56 della legge n. 247 del 2012, assumendosi che “l’idea della irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative applicata alla fattispecie è totalmente destituita di ogni fondamento, risolvendosi in realtà in una grave violazione di precetti costituzionali che da un canto garantiscono il cosiddetto giusto processo e d’altro canto limitano l’azione legislativa e la correlativa attività interpretativa e applicativa di norme internazionali convenzionali, ove contrastanti con gli obblighi internazionali assunti dallo Stato e come interpretati e applicati dalla correlativa giurisprudenza dell’organismo internazionale preposto (la Corte di Strasburgo), che ne determina la natura, i contenuti e gli effetti”.
4.2. Il ricorrente critica poi “la tesi secondo la quale, pur fuori dall’ambito disciplinare, lo ius superveniens, ancorché più favorevole all’incolpato, non sarebbe applicabile per le condotte antecedenti l’entrata in vigore della nuova disciplina legislativa: idea questa violativa di un consolidato e riconosciuto principio generale di diritto e di diritto penale in particolare”. Segue la “cronologia di tutti i fatti accaduti come ricavabile documentalmente dagli atti del fascicolo disciplinare”, con correzione di alcune date indicate nella sentenza impugnata. All’esito si ribadisce che “il regime dell’azione disciplinare è ora regolato dalla detta legge n. 247 del 2012 e a tale nuovo regime normativo deve farsi riferimento per quanto ora interessa”, con le conseguenti ricadute sul procedimento disciplinare de quo, essendo stato superato il termine massimo dei sette anni e mezzo. Vengono quindi ricordati i precedenti della Corte EDU sulla soggezione degli organi di disciplina degli ordini professionali al principio del “giusto processo” ex art. 6 della Convenzione; analoghe considerazioni sono poi svolte nelle pagine 30 e seguenti di ricorso. Altrimenti, per il ricorrente, pure facendo ancora applicazione dell’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933, occorrerebbe considerare che, sempre in forza della sopravvenuta legge di riforma del 2012, la concomitante pendenza del procedimento penale non poteva comportare la sospensione del procedimento disciplinare, “con l’effetto che il termine prescrizionale previgente dei cinque anni decorre indipendentemente dalla concomitante pendenza di un procedimento penale”. Si pone in evidenza che “il giudicato si era formato solo per il supposto reato di calunnia, non per gli altri reati ascritti all’Avv. Maurizio Nenna (dichiarati prescritti o depenalizzati)”. Sulla prescrizione il ricorso torna nelle pagine 36 e seguenti, §§ 20-23, aperti dal titolo “Ancora sulla prescrizione”.
4.3. Nel paragrafo n. 8 (pagina 19 di ricorso) hanno inizio le critiche sulla indebita ritenzione della somma di € 21.500,00, unica condotta per cui potrebbe assumersi, ad ogni effetto, il protrarsi del comportamento violativo. Il ricorso lamenta che la sentenza del Consiglio Nazionale Forense si sarebbe sul punto “appiattita” sulle valutazioni del giudice penale, che però non costituiscono giudicato, essendo su questo fatto di reato intervenuta la prescrizione, priva di valore di accertamento delle condotte. Segue un elenco delle allegazioni difensive non adeguatamente considerate dal Consiglio Nazionale Forense sulle modalità, i tempi e la causale della dazione di tale somma dal Pompei all’avvocato Nenna; analoghe considerazioni vengono poi svolte nelle pagine 27 e seguenti di ricorso. Sono contrastate le argomentazioni della sentenza impugnata sulla decorrenza della prescrizione a fini disciplinari in ipotesi di mancata restituzione delle somme del cliente oggetto di indebita appropriazione da parte dell’avvocato (“l’esercizio del potere disciplinare non avrebbe mai fine e potrebbe essere ripetuto [anche dopo la intervenuta sanzione]; e ogni quanto tempo?!…“).
Nelle pagine 47 e seguenti, §§ 25-26, si torna “conclusivamente alla questione della pretesa appropriazione indebita della somma di 21.500 euro da parte dell’Avv. Maurizio Nenna, con la conseguenza della pretesa permanenza del supposto illecito disciplinare, impeditiva della declaratoria di intervenuta prescrizione del potere disciplinare”, e ciò al fine di ancor più precisare la vicenda civile/esecutiva intercorsa tra l’Avv. Maurizio Nenna e il Signor Eugenio Pompei”. Il ricorrente pone in risalto che è sua intenzione “segnalare come la decisione ora impugnata sia affetta da macroscopico eccesso di potere per erroneità o inesistenza dei suoi presupposti; come anche sia affetta insanabilmente da una diffusa e grave assenza di motivazione sol che si consideri il fatto che, come già detto, per la famosa somma di 21.500 euro l’Avv. Maurizio Nenna aveva rilasciato al Pompei la relativa fattura e la somma imputata a compensi professionali”.
4.4. C’è poi la questione della intervenuta depenalizzazione della fattispecie dell’uso abusivo di foglio firmato in bianco, il cui accertamento spetta pertanto non più al giudice penale, ma al giudice civile, “e nella vicenda che vede protagonista l’Avvocato Maurizio Nenna in sede esecutiva civile contro il Pompei, il giudice non ha mai dichiarato l’uso abusivo di foglio firmato in bianco dal Pompei da parte dell’Avv. Maurizio Nenna” (pagina 27 di ricorso). Detta questione è ripresa nelle pagine 33 e seguenti del ricorso (“[s]ul preteso uso abusivo di foglio firmato in bianco, ci si riporta a quanto prima osservato e ci si riporta alle memorie difensive presentate al Consiglio Distrettuale di Disciplina oltre che al Consiglio Nazionale Forense con il ricorso”); è contestata la conclusione raggiunta dal CNF sulla mancata opposizione al decreto ingiuntivo intimato al Pompei. Il paragrafo 16 del ricorso chiede a questa Corte di rivalutare le deposizioni della teste Elena Di Marcantonio in sede penale e in sede disciplinare: “a nulla rileva l’eccezione che la stessa dichiarando il vero senza alcun condizionamento, riferì che non vedeva il Pompei dal 2006, ben potendo essere – in assenza di qualsiasi contraddittorietà – che fosse stata proprio lei a sottoporre alla firma del Signor Eugenio Pompei e in sua presenza, in data 5 giugno 2008 il preteso foglio ‘firmato in bianco’ e che ‘in bianco’ non era. Che la teste non avesse visto la mano del Pompei vergare il foglio (magari trovandosi arretrata e alle di lui spalle) non significa negare la veridicità di quanto testimoniato; salvo a voler pensare che il Signor Eugenio Pompei non stava firmando nulla ma si stava producendo con un inchino in un gesto reverenziale nei confronti dell’Avvocato Maurizio Nenna…”. a pagina 34, § 17, si aggiunge: “…con la depenalizzazione, il giudice penale non aveva più alcuna competenza e potere di ‘accertare la falsità dei documenti’ ”.
4.5. A pagina 42 e seguenti, § 24, si introduce il profilo dal titolo “La valutazione dei fatti e la determinazione della sanzione”. Ribadendo le lacune valutative imputate alla sentenza impugnata già oggetto delle pagine che precedono, il ricorso osserva che “nel caso presente il Consiglio Nazionale Forense non ha tenuto presenti tali principi e criteri conducenti alla determinazione in concreto della sanzione eventualmente da irrogare, concludendo con la conferma della irrogazione di una sanzione obiettivamente spropositata e sproporzionata che non ha tenuto conto alcuno di quelle circostanze, oggettive e soggettive, e né del generale ‘contesto’ di svolgimento dei fatti (costituenti poi oggetto di incolpazione) di cui all’art. 21 del Codice deontologico”.
4.6. Il ricorso si chiude con una istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, adducendo ragioni di salute e familiari.
5. Il Collegio può dare risposta alle critiche sin qui riassunte nei limiti in cui appaia quanto meno soddisfatta l’esigenza di una chiara esposizione delle relative ragioni e le censure consentano di individuare il vizio dedotto e la norma o il principio di diritto che si assume violato, in maniera da sussumere le stesse in una delle categorie logiche contemplate dall’art. 36, comma 6, della legge n. 247 del 2012.
5.1. In ordine al regime della prescrizione, la sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare tale orientamento.
5.1.1. In tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall’art. 56 della legge n. 247 del 2012, il quale prevede un termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e sei mesi, non trova applicazione con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore; per le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense non rileva, dunque, lo “jus superveniens” attinente alla disciplina della prescrizione, seppure più favorevole all’incolpato. Il momento di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane così quello della commissione del fatto o della cessazione della sua permanenza, e non quello della incolpazione (Cass. Sez. Unite, sentenze n. 9543 e n. 8558 del 2023; n. 37550, n. 35461 e n. 20383 del 2021; n. 23746 del 2020; n. 9558 del 2018; n. 14905 del 2015).
5.1.2. La questione può porsi in relazione all’art. 7 (e non all’art. 6, più volte invocato dal ricorrente) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, interpretato alla luce della sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo del 17 settembre 2009 (ric. n. 10249/03, Scoppola contro Italia), secondo cui «l’art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell’accusato al trattamento più lieve».
5.1.3. La giurisprudenza della Corte EDU ha sovente affermato che il principio di retroattività della lex mitior riguarda esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, e non anche le norme sopravvenute che modificano, in senso favorevole al reo, la disciplina della prescrizione, con la riduzione del tempo occorrente perché si produca l’effetto estintivo del reato, considerando le disposizioni in materia di prescrizione come norme processuali, che pongono una semplice condizione preliminare affinché la causa sia esaminata (ad esempio, Previti c. Italia, dec., n. 1845/08, 12 febbraio 2013, § 80; Borcea c. Romania dec., n. 55959/14, 22 settembre 2015, § 64).
5.1.4. La Corte costituzionale, tuttavia, considera che la prescrizione, nel nostro ordinamento giuridico, costituisce un istituto di natura sostanziale «che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena», sicché «rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza» (sentenze n. 278 del 2020, n. 115 del 2018, n. 265 del 2017, n. 324 del 2008, n. 393 del 2006 e ordinanza n. 24 del 2017). Il rispetto del principio di legalità implica la non retroattività della norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso. Simmetricamente la norma che invece riduca la durata del tempo di prescrizione costituisce disposizione penale più favorevole ai sensi dell’art. 2 cod. pen., applicabile in melius anche ai fatti già commessi in precedenza (quindi retroattivamente) nei limiti di operatività della lex mitior. Il principio di retroattività della norma penale più favorevole rinviene il proprio fondamento non già nell’art. 25 Cost., ma nel principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), essendo quindi «suscettibile di limitazioni e deroghe» che, tuttavia, «devono giustificarsi in relazione alla necessità di preservare interessi contrapposti di analogo rilievo» e possono trovare fondamento e limite anche nel condizionamento ad attività processuali (sentenze n. 278 del 2020 e n. 238 del 2020). Il rispetto del principio di legalità coinvolge anche la disciplina della decorrenza, della sospensione e dell’interruzione della prescrizione stessa, perché essa, nelle sue varie articolazioni, concorre a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione (sentenza n. 278 del 2020).
5.1.5. La sentenza della Corte EDU [GC], Gestur Jónsson e Ragnar Halldór Hall c. Islanda, ric. nn. 68273/14 e 68271/14, 22 dicembre 2020, ha comunque ribadito, proprio in tema di sanzioni disciplinari irrogate ad avvocati (sia pure applicate da autorità giurisdizionali per violazioni di obblighi di lealtà e probità nel comportamento processuale), che gli illeciti ed i procedimenti disciplinari non rientrano nell’ambito sostanzialmente «penale» né ai sensi dell’articolo 6, né ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione, il che condurrebbe ad escludere in radice l’applicabilità delle evocate tutele penalistiche (nella specie, per quanto rileva nel giudizio in esame, quella della retroattività della lex mitior in tema di prescrizione dell’azione disciplinare), non potendo il giudice nazionale discostarsi da tale interpretazione. Nonostante l’incidenza di alcune sanzioni disciplinari, aventi anche contenuto inibitorio, come la sospensione o la cancellazione dall’albo e la radiazione, la giurisprudenza della Corte EDU evidenzia le divergenze rispetto alle figure di reato, divergenze rinvenibili nella limitata estensione soggettiva ed oggettiva dell’ambito applicativo, giacché tali sanzioni sono rivolte ai soli membri di una categoria professionale, nella specie in possesso dello status di avvocato, e consistono nella violazione di regole di condotta finalizzate a preservare il decoro e la dignità della professione forense (Corte EDU, Erdoğan c. Turchia, ric. n. 32985/12, 5 dicembre 2017; Biagioli c. San Marino, ric. n. 64735/14, 13 settembre 2016; Müller-Hartburg c. Austria, ric. n. 47195/06, 19 febbraio 2013; Goriany c. Austria, ric. n. 31356/04, 10 maggio 2010).
A tale conclusione si perviene pur nella consapevolezza della complessità delle forme di esercizio del potere sanzionatorio disciplinare, nonché delle considerazioni svolte nella sentenza n. 197 del 2018 della Corte costituzionale, circa l’inerenza delle sanzioni disciplinari “in senso lato al diritto sanzionatorio-punitivo”, sebbene conservando “una propria specificità, anche dal punto di vista del loro statuto costituzionale”, la quale comporta l’inapplicabilità, o una più flessibile applicabilità, delle garanzie che circondano la pena in senso stretto.
Si è, infatti, in presenza, nel caso in esame, di sanzioni irrogate da organi di disciplina dell’ordine forense per violazioni di obblighi deontologici dettati a tutela dell’onore e del prestigio della professione, in rapporto alle quali, nella verifica dei cosiddetti “criteri Engel”, l’interpretazione qualificata della Corte EDU (da ultimo riaffermata nella citata sentenza pagina 27 di ricorso e Ragnar Halldór Hall contro Islanda) solitamente evidenzia, appunto, sotto il profilo sostanziale, la loro ristretta riferibilità soggettiva e la finalizzazione a preservare gli interessi particolari della categoria (oltre che in via indiretta interessi generali e di rilevanza pubblica), e, sotto il profilo dell’afflittività delle misure inibitorie, la connessione del loro oggetto con il diritto soggettivo di matrice civilistica ad esercitare la professione. Inoltre, la verifica è qui compiuta per un caso in cui è questione della pretesa retroattività della lex mitior in punto di prescrizione dell’azione disciplinare, disciplina che la giurisprudenza convenzionale colloca nell’alveo delle norme processuali.
5.1.6. Come ritenuto nella sentenza del Consiglio Nazionale Forense, alle condotte istantanee commesse ed esauritesi prima dell’entrata in vigore dall’art. 56 della legge n. 247 del 2012 (l’abuso di fogli firmati in bianco, condotte poste in essere tra il 2007 e il 2008, e la calunnia, condotte poste in essere tra il 2008 e il 2009), costituenti illeciti disciplinari per fatti di reato, trovava perciò applicazione il regime della prescrizione quinquennale dettato dall’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933, con il conseguente effetto interruttivo permanente del termine fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo penale (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 11367 del 2016). Si verteva, infatti, nel caso previsto dall’art. 44 del r.d.l. n. 1578 del 1933, in cui il procedimento disciplinare ha avuto luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali era stata iniziata l’azione penale, sicché l’azione disciplinare rimaneva collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non fosse di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, aveva come oggetto lo stesso fatto per il quale era stata formulata una imputazione, aveva natura obbligatoria e non poteva essere iniziata prima che se ne fosse verificato il presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorreva soltanto dal momento in cui il diritto di punire poteva essere esercitato, ovvero da un fatto esterno alla condotta (Cass. Sez. Unite, sentenze n. 1609 del 2020; n. 10071 del 2011).
Non rileva, ai fini della decorrenza e del calcolo della prescrizione in fattispecie soggetta agli artt. 44 e 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933, neppure il sopravvenuto art. 54 della legge n. 247 del 2012, il quale reca la nuova disciplina del rapporto tra procedimento disciplinare e processo penale per i medesimi fatti, stabilendo l’autonomia del loro svolgimento e delle relative valutazioni, salva l’ipotesi che agli effetti della decisione del primo sia indispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale, stabilendo in tale evenienza la durata massima biennale della sospensione del giudizio e del termine di prescrizione.
5.1.7. Anche la decisione che la sentenza impugnata ha adottato sul punto della decorrenza della prescrizione per la condotta permanente di indebita ritenzione delle somme del cliente è in linea con la giurisprudenza di queste Sezioni Unite. L’illecito disciplinare commesso dall’avvocato che trattiene, a compensazione di propri asseriti crediti professionali non certi né liquidi, una somma di denaro consegnatagli dal suo cliente per adempiere ad una transazione stipulata con un terzo, ha natura permanente e la sua consumazione si protrae, in mancanza di restituzione, fino alla decisione disciplinare di primo grado, dalla quale inizia a decorrere il termine prescrizionale massimo di cui all’art. 56, comma 3, della l. n. 247 del 2012 (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 23239 del 2022; si veda anche sentenza n. 8946 del 2023).
La condotta viene sussunta nell’illecito disciplinare di cui all’art. 30 NCDF, ovvero all’art. 41 codice previgente, secondo cui l’avvocato deve gestire con diligenza il denaro ricevuto dalla parte assistita, o nell’interesse della stessa, nell’adempimento dell’incarico professionale, e non deve trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto della parte assistita, senza il consenso di quest’ultima. Avendo riguardo agli obblighi civilistici derivanti dal mandato, nonché a quelli deontologici di lealtà, correttezza e probità, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che disponga di una somma di denaro ricevuta dall’assistito destinandola a sé, a nulla rilevando l’eventuale pretesa creditoria dell’avvocato ai fini della sua remunerazione. Si tratta di illecito, a ben vedere, eventualmente permanente, perdurandone la commissione finché non viene rimossa la situazione antigiuridica in atto, consistente nella indebita ritenzione del denaro in violazione del mandato conferito dal cliente, e potendosi pertanto intendere cessata tale condotta, anche per la decorrenza della prescrizione, al momento della pronuncia disciplinare di primo grado.
6. Va esente da censure di legittimità rilevanti agli effetti dell’art. 36, comma 6, della legge n. 247 del 2012 altresì la motivazione addotta dalla sentenza impugnata sulla fondatezza delle accuse.
Come visto, il Consiglio Nazionale Forense ha valutato il fatto della appropriazione indebita della somma di € 21.500,00, consegnata dal cliente per la transazione con la banca MPS nell’ambito del procedimento esecutivo pendente, alla luce di quanto emergente dalla sentenza penale passata in giudicato (benché dichiarativa della prescrizione del reato di appropriazione indebita, e tuttavia recante condanna per la connessa condotta di calunnia), fatto sussunto nell’illecito di cui all’art. 30 del codice deontologico forense (art. 41 codice previgente). Tale fatto è stato corroborato dai riscontri documentali compiuti dal CDD (ovvero dai bonifici effettuati dal Pompei nel 2006 e dalla causale degli stessi, apprezzati come incompatibili con la tesi difensive dell’avvocato Nenna), privando di valenza scriminante il credito per prestazioni professionali vantato dal legale verso il cliente.
Quanto al passaggio in cui la sentenza impugnata ha affermato, circa la rilevanza disciplinare della condotta di appropriazione indebita perpetrata dell’avvocato Nenna, che occorreva avere “attenzione alla intervenuta condanna per calunnia relativamente a tale circostanza”, esso non svilisce l’autonomia dei distinti comportamenti di rilevanza disciplinare e delle diverse incolpazioni simultaneamente contestate, avendo riguardo, piuttosto, alla emergente connessione teleologica tra le vicende.
Ciò vale pure per la condotta di abusivo riempimento di documenti in bianco. La decisione impugnata ha evidenziato che anche tale fatto emergeva dalla sentenza penale, benché di assoluzione perché il fatto non costituiva più reato a seguito di depenalizzazione, non privando la stessa di rilievo deontologico la condotta, ed ha confutato le difese inerenti al disconoscimento delle scritture ed alla querela di falso, al decreto ingiuntivo non opposto dal Pompei (giacché notificato dall’avvocato Nenna al domicilio eletto presso la sede della società PBC Service s.r.l.), alla dichiarazione di riconoscimento di debito a firma del Pompei risultata falsamente compilata, al pagamento da parte dell’avvocato Nenna della provvisionale di € 20.000,00 stabilita in sede penale in favore del Pompei ed alla rilevanza della testimonianza resa dalla signora Di Marcantonio.
La sentenza del Consiglio Nazionale Forense si è così posta in linea con l’art. 54, comma 1, della legge n. 247 del 2012, operando in sede disciplinare congrue valutazioni autonome a fini deontologici in ordine alla sussistenza delle condotte materiali esaminate nel processo penale avente per oggetto i medesimi fatti, e ivi definite con declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di appropriazione indebita e di proscioglimento dal delitto di falsità in foglio firmato in bianco perché non costituente più reato (arg. da Cass. Sez. Unite, sentenza n. 12902 del 2021).
In particolare, l’intervenuta abrogazione del delitto di cui all’art. 486 c.p., per effetto del d. lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, e la contestuale previsione di sanzione pecuniaria civile per l’ipotesi di abuso di foglio firmato in bianco, alle condizioni dettate da tale disciplina, sopravvenienze normative che abbiano determinato, come nella specie, il proscioglimento dell’imputato nel giudizio penale perché il fatto non è previsto come reato, non negano al giudice disciplinare la possibilità di attribuire rilievo deontologico al medesimo fatto storico assurto ad elemento costitutivo della condotta, previa autonoma rivalutazione della vicenda.
L’invocazione di un rinnovato esame dei fatti storici oggetto delle allegazioni difensive del ricorrente e tutti, peraltro, considerati nella sentenza del Consiglio Nazionale Forense, come le richieste di procedere ad un accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, allo scopo di pervenire ad un opposta delibazione inferenziale delle risultanze probatorie ed ad una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti dai quali è originata la condanna disciplinare, eccedono i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione, come risultanti dall’interpretazione costante dell’art. 360, comma 1, n. 5, e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, ovvero per difetto del “minimo costituzionale” di motivazione, con la conseguenza che l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua rilevanza ai fini della concreta individuazione della condotte costituenti illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (si vedano, tra le tante, Cass. Sez. Unite, sentenze n. 34206, n. 28468, n. 26991, n. 22729, n. 11675, n. 7501 e n. 7073 del 2022 del 2022; n. 42090, n. 37550, n. 35462, n. 27889, n. 21965, n. 21964, n. 21963 e n. 21962 del 2021 n. 34476 del 2019; n. 20344 del 2018; n. 24647 del 2016). Né le censure allegano l’omesso esame di fatti storici, oggetto di discussione tra le parti e aventi carattere decisivo in relazione all’esito del giudizio, sollecitando, piuttosto, un diverso esame, più favorevole al ricorrente, di fatti tutti comunque presi in considerazione dal Consiglio Nazionale Forense.
Così anche la rilettura della cronologia delle vicende che opera il ricorrente, collegando l’e-mail del 10 maggio 2006 inviata dal Pompei, il riferimento ivi contenuto al “bonifico promesso”, la fattura emessa dall’avvocato Nenna il 5 luglio 2006 e la missiva del 18 luglio 2006, (oltre a rivelare carenza di specifica illustrazione del contenuto rilevante dei documenti richiamati e dell’indicazione del “come” e del “quando” tali documenti siano stati oggetto di allegazione nelle pregresse fasi del processo) si sostanzia nel prospettare una spiegazione dei fatti di causa e delle risultanze istruttorie alla stregua di una logica alternativa, che, sia pure supportata dalla possibilità o dalla probabilità di corrispondenza alla realtà fattuale, non delinea il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
7. Quanto appena detto impedisce di accogliere pure le censure sulla “determinazione in concreto della sanzione eventualmente da irrogare”, la quale sarebbe “obiettivamente spropositata e sproporzionata” alla luce dell’art. 21 del Codice deontologico.
La norma disciplinare allegata afferma, piuttosto, che “[s]petta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa”, valutando “il comportamento complessivo dell’incolpato” ed irrogando un’unica sanzione anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del medesimo procedimento. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione. Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari.
Il Consiglio Nazionale Forense, nel giustificare la sanzione della sospensione di venti mesi dall’esercizio della professione, ha rimarcato che la stessa fosse correlata alla “violazione degli artt. 4, 9, 10, 11 e 30, commi 1 e 2, del vigente CDF, i cui precetti erano contenuti negli artt. 3, 5, 6, 7, 35 e 41 del previgente CDF”. Ai fini della determinazione nell’ambito delle rispettive cornici edittali, sono state considerate “le plurime condotte deontologicamente rilevanti poste in essere unitamente alla condanna per calunnia ed il generale comportamento tenuto dall’incolpato”.
La determinazione dell’entità della sanzione disciplinare adeguata e proporzionata costituisce tipico apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità giacché altresì sorretta da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 1609 del 2020).
8. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, ciò assorbendo anche la richiesta di sospensione dell’esecuzione ex art. 36, comma 7, della legge n. 247 del 2012.
Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma non ha svolto attività difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite
Allegati:
SS.UU, 17 luglio 2023, n. 20650, in tema di illecito disciplinare
Nota della Dott.ssa Angela De Girolamo
Sul regime più favorevole della prescrizione dell’illecito disciplinare dell’Avvocato
1. Il principio di diritto
Il regime più favorevole della prescrizione degli illeciti disciplinari degli avvocati, introdotto dall’art. 56 della L. 247 del 2012, non trova applicazione con riguardo ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della citata norma.
Tale conclusione è compatibile sia con la giurisprudenza costituzionale, la quale ha chiarito che le garanzie riguardanti la pena in senso stretto possono essere ritenute inapplicabili alle sanzioni disciplinari, sia con la giurisprudenza della Cedu, secondo cui il principio di retroattività della “lex mitior” concerne esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, non anche le norme sopravvenute che modifichino la disciplina della prescrizione.
2. La fattispecie
Il giudizio disciplinare nei confronti dell’avvocato ricorrente ha tratto origine da un esposto presentato al COA di Roma, dal quale si evince che il professionista avrebbe commesso una serie di fattispecie di reato, tra cui appropriazione indebita, falsità in foglio firmato in bianco, falsità in scrittura privata, patrocinio o consulenza infedele e calunnia.
Il CNF, nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale, ex art. 36 della L. 247/2012, ha accertato la sussistenza degli addebiti mossi dal COA e ha confermato la decisione da quest’ultimo adottata nei confronti del professionista, ossia la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per venti mesi.
Avverso tale provvedimento l’avvocato ha proposto ricorso per Cassazione dinanzi alle SS.UU.
3. Riflessioni conclusive
Per la Cassazione, il regime più favorevole della prescrizione in punto di illeciti disciplinari degli esercenti la professione forense, introdotto dall’art. 56 della L. 247/2012, non trova applicazione in ordine ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della citata norma (2 febbraio 2013).
Per le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense non rileva lo ius superveniens e, quindi, il momento di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione applicabile rimane quella della commissione del fatto ovvero della cessazione della sua permanenza, non già quello della incolpazione (cfr., SS.UU, n. 9543/2023 e 27 marzo 2023, n. 8558, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota del Dott. Vito D’Alessio).
La soluzione adottata è conforme alla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale il principio di retroattività della legge più favorevole concerne esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena e non anche le norme sopravvenute che modificano in senso favorevole la disciplina della prescrizione.
La Corte Edu considera l’istituto della prescrizione alla stregua di una norma processuale, assoggettata al principio del tempus regit actum (sfuggendo, così, alla disciplina di cui all’art. 2 c.p.).
Il Supremo Collegio afferma, infine, che non è nel suo potere mitigare ovvero aggravare una sanzione disciplinare irrogata dal CNF, dal momento che la determinazione della sanzione disciplinare adeguata, nonché proporzionale, attiene al merito ed è, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Le decisioni del CNF, come espressamente previsto dall’art. 36 della L. 247/2012, sono impugnabili, entro trenta giorni dalla notificazione, per Cassazione innanzi alle Sezioni Unite, solo per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge ovvero per difetto del “minimo costituzionale” di motivazione.