Civile Sent. Sez. U Num. 21351 Anno 2023
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA
Data pubblicazione: 19/07/2023
SENTENZA
sul ricorso 27821-2022 proposto da:
CASSANO avv. GABRIELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI GIUSEPPE PICCINNI;
– ricorrente –
contro
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LECCE, PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 171/2022 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 11/10/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/05/2023 dal Consigliere GIACOMO MARIA STALLA;
lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale FRANCESCO SALZANO;
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
§ 1.1 L’avvocatessa Gabriella Cassano del foro di Lecce propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata (deliberata il 18.11.2021), con la quale il Consiglio Nazionale Forense, su conformi conclusioni del Procuratore Generale, ha confermato la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Lecce-Brindisi- Taranto applicativa nei suoi confronti della sanzione disciplinare della censura per il seguente capo di incolpazione: “violazione dell’articolo 68 comma primo Codice Deontologico, per aver assunto la difesa dell’avvocato Vito Quarta, citato in giudizio per responsabilità professionale nel procedimento n. 2137 del 2014 (registro delle richieste del patrocinio a spese dello Stato) dal signor Cosimo Visconti, il quale era stato da lei difeso in precedenza in vari giudizi (nn. 73, 517, 604 del 2013 del registro delle richieste del patrocinio a spese dello Stato). In Lecce il 20 giugno 2014”.
Nella sentenza qui impugnata il Consiglio Nazionale Forense ha, in particolare, osservato che:
- contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, doveva farsi qui correttamente applicazione dell’articolo 68, comma primo, del vigente Codice Deontologico Forense, e non degli articoli 37 e 51 del Codice Deontologico previgente posto che, come affermato da costante giurisprudenza anche di legittimità, le disposizioni del nuovo Codice Deontologico dovevano applicarsi anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’articolo 65, comma quinto, della l. n. 247 del 2012 recepito il criterio del favor rei in luogo di quello del tempus regit actum e, nel caso di specie, la sanzione più tenue era appunto quella consentita dal codice deontologico sopravvenuto;
- in ordine al merito della responsabilità disciplinare, l’illecito doveva ritenersi qui integrato per il fatto che, com’era pacifico, l’avvocatessa Cassano avesse assunto la difesa del collega avv. Quarta – convenuto in un giudizio di responsabilità professionale dal sig. Cosimo Visconti, già cliente dell’avvocatessa Cassano perchè da lei difeso in vari procedimenti civili – senza che dalla cessazione di tale pregressa difesa fosse già decorso un biennio;
- a nulla rilevava che, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, la tutela dell’avvocato Quarta da parte di quest’ultima avesse avuto natura meramente formale, finalizzata alla sola chiamata in giudizio della compagnia assicuratrice nel consenso dello stesso Visconti, dal momento che la ratio dell’art.68 Codice Deontologico vigente (così dell’art.51 Codice Deontologico previgente) andava ricercata, non nella distinzione tra difesa formale e difesa sostanziale, bensì: “nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso, né opportuno, che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, difenda il proprio avversario senza un adeguato intervallo temporale, e prescinde anche dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico”, così come dal consenso (non scriminante) dello stesso ex-cliente;
- in ordine alla sanzione, congrua doveva ritenersi la censura, attesa “la gravità della violazione che lede l’immagine ed il decoro della attività professionale”.
§ 1.2 Il Procuratore Generale ha chiesto che, nell’assorbente accoglimento del quarto motivo di ricorso, la Corte rilevi l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare ex art.56 legge 247/12, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.
§ 1.3 Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Proprio per questa evenienza (trattazione del procedimento in camera di consiglio non partecipata), non può trovare accoglimento l’istanza di rinvio per impedimento fatta pervenire il 15 maggio u.s. dall’avv.Piccinni, difensore della ricorrente, in quanto impegnato in data odierna dinanzi ad altro giudice.
§ 2.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge, per avere il Consiglio Nazionale erroneamente applicato alla fattispecie il sopravvenuto Codice Deontologico Forense, nonostante che quest’ultimo (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 16 dicembre successivo) non fosse ancora vigente al momento tanto dell’illecito (20 giugno 2014), quanto della contestazione (21 novembre 2014). Ciò comportava che fossero qui applicabili i criteri interpretativi già adottati dallo stesso Consiglio Nazionale Forense sulla base del previgente Codice Deontologico (approvato il 17 aprile 1997 con successive modifiche) volti ad applicare, ad un caso come quello dedotto, la più mite sanzione dell’avvertimento (sent. CNF 16/2016).
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione per omesso esame delle prove a discarico (secondo motivo) e motivazione meramente apparente (terzo motivo). Per non avere il Consiglio Nazionale Forense esaminato gli atti processuali allegati a difesa, e fotoriprodotti nel ricorso di legittimità (tra cui le dichiarazioni testimoniali dell’avvocato Quarta e la dichiarazione sottoscritta dal Visconti), dai quali emergeva con chiarezza che si era trattato di una difesa meramente formale al solo fine di consentire all’avvocato Quarta, convenuto in un giudizio di responsabilità dal Visconti per aver omesso di produrre documenti rilevanti in un procedimento monitorio, di citare in giudizio la compagnia di assicurazione e ciò, in sostanza, con il consenso ed anche nell’interesse dello stesso Visconti. Ciò deponeva per l’esclusione dell’illecito o, quantomeno, per l’applicazione della più tenue sanzione dell’avvertimento.
Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce l’intervenuta prescrizione dell’illecito disciplinare per decorso di sette anni e mezzo dal compimento del fatto; il regime della prescrizione in concreto applicabile, nel caso di illecito di esclusiva rilevanza disciplinare, dovrebbe infatti individuarsi in quello della data di commissione del fatto e non di incolpazione, con la conseguenza che la prescrizione si sarebbe qui compiuta il 20 dicembre 2021 (sette anni e mezzo dalla data di commissione del fatto, 20 giugno 2014).
§ 2.2 E’ fondato, con assorbimento delle altre doglianze, quest’ultimo motivo.
In ragione della data di commissione del fatto contestato (criterio temporale determinativo sia del regime legale della prescrizione, sia del dies a quo di decorrenza: Cass.SSUU n. 20383/21 ed altre) si rende qui applicabile l’art. 56 Legge n. 247/12, secondo cui: “(Prescrizione dell’azione disciplinare).
1. L’azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto.
2. Nel caso di condanna penale per reato non colposo, la prescrizione per la riapertura del giudizio disciplinare, ai sensi dell’articolo 55, è di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna.
3. Il termine della prescrizione è interrotto con la comunicazione all’iscritto della notizia dell’illecito. Il termine è interrotto anche dalla notifica della decisione del consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF su ricorso. Da ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni. Se gli atti interruttivi sono più di uno, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi, ma in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere prolungato di oltre un quarto. Non si computa il tempo delle eventuali sospensioni.”
Si è in proposito osservato (da ultimo, Cass.SSUU n. 10085/23) che “il regime attuale della prescrizione, stabilito dall’articolo 56 della legge professionale, configura una fattispecie riconducibile ad un modello di matrice penalistica, volto a promuovere il sollecito esercizio dell’azione disciplinare e la definizione del procedimento disciplinare in tempi certi, laddove, al contrario, quella del regime precedente si rifaceva al modello civilistico. Si tratta di prescrizione non di un diritto ma dell’azione disciplinare, in relazione alla quale la nuova legge, se da un lato ha elevato la durata della prescrizione, portandola a sei anni, ed ha tipizzato alcuni eventi interruttivi, prevedendo che da quelle date il termine di prescrizione riprenda a decorrere, seppur per una durata più breve, di cinque anni, ha poi previsto un termine finale complessivo e inderogabile, entro il quale il procedimento disciplinare deve concludersi a pena di prescrizione, di sette anni e mezzo dalla consumazione dell’illecito.”
Orbene, nella concretezza del caso, concernente una contestazione di esclusiva rilevanza deontologico-disciplinare, il termine massimo di prescrizione così individuato si è ormai largamente consumato (fatto del 20.6.2014) non essendosi il giudizio disciplinare esaurito, nel termine suddetto, con sentenza definitiva.
§ 3. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio per avvenuta prescrizione dell’azione disciplinare; il che assorbe anche l’istanza di sospensione cautelare dell’esecutività sanzionatoria della sentenza impugnata, pure proposta dalla ricorrente.
L’esito del giudizio, caratterizzato dal sopravvenire della causa estintiva alla deliberazione della sentenza impugnata, depone per la compensazione delle spese di lite e, al contempo, per l’insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, ex art. 13 comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte
– accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
– cassa senza rinvio la sentenza impugnata essendo l’azione disciplinare prescritta ex art. 56 legge 247/12;
– compensa le spese di lite.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili,
Allegati:
SS.UU, 19 luglio 2023, n. 21351, in tema di illecito disciplinare
Nota dell'Avv.ta Angela De Girolamo
Sulla “nuova” prescrizione dell’azione disciplinare ex art. 56 del Codice Deontologico Forense
1. Il principio di diritto
Il regime attuale della prescrizione, stabilito dall’art. 56 della legge professionale forense, configura una fattispecie riconducibile ad un modello di matrice penalistica, volta a promuovere il sollecito esercizio dell’azione disciplinare e la definizione del procedimento disciplinare in tempi certi, laddove, al contrario, quella del regime precedente si rifaceva al modello civilistico.
Si tratta della prescrizione non del diritto, ma dell’azione disciplinare, in relazione alla quale la nuova legge ha elevato la durata della prescrizione, portandola a sei anni, prevedendo un termine finale inderogabile entro il quale il provvedimento disciplinare deve concludersi.
2. La fattispecie
Il giudizio disciplinare nei confronti dell’avvocato ricorrente ha tratto origine da un esposto presentato al COA, dal quale emergeva che il professionista aveva violato l’art. 68, c. 1 del Codice Deontologico Forense, a mente del quale l’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita allorquando sia trascorso almeno un biennio dalla cessione del rapporto.
Il CNF ha accertato la sussistenza degli addebiti mossi dal COA ed ha confermato la decisione da quest’ultimo adottata nei confronti del professionista, ovverosia la sanzione della censura.
Avverso tale provvedimento l’avvocato ha proposto ricorso per cassazione.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite confermano la sussistenza dell’illecito disciplinare contestato, avendo il professionista assunto la difesa del collega convenuto in un giudizio di responsabilità professionale da un suo storico cliente (difeso in vari procedimenti civili) e senza che dalla cessazione di tale pregressa difesa fosse decorso un biennio.
Per la Cassazione, l’istituto della prescrizione dell’illecito disciplinare, regolato dall’art. 56 della L. 247/12, configura una fattispecie riconducibile ad un modello di matrice penalistica, al fine di promuovere il sollecito esercizio dell’azione disciplinare e la definizione del procedimento disciplinare in tempi celeri (cfr., SS.UU, n. 10085/2023).
Il legislatore, infatti, con il nuovo articolo ha elevato la durata della prescrizione (portandola a sei anni), tipizzando alcuni eventi interruttivi ed inserendo un termine finale entro il quale deve concludersi il procedimento disciplinare (sette anni e mezzo dalla consumazione dell’illecito).