REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11994/2022 R.G. proposto da:
A.A., rappresentata e difesa dall’Avv. G.M., con domicilio eletto in Roma, via Panama, n. 86, presso lo studio dell’Avv. Selvaggia Amore;
– ricorrente –
contro CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE;
– intimato –
avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 42/22, depositata il 29 aprile 2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2023 dal Consigliere Dott. G.M.;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale F.S., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 29 aprile 2022, il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato le impugnazioni proposte dall’Avv. A.A. e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze avverso il provvedimento emesso il 21 febbraio 2000, con cui il Consiglio distrettuale di disciplina aveva irrogato alla professionista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di due mesi, per aver violato gli artt. 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, avendo prestato attività professionale a favore sia dell’attore che del terzo chiamato in causa da parte del convenuto, in tal modo determinandosi un conflitto d’interessi quanto meno potenziale.
Il procedimento traeva origine da un esposto presentato da B.B., il quale aveva riferito che, in un giudizio da lui promosso nei confronti della Carrozzeria Intercar Sas per il recupero di un credito alla stessa ceduto per la riparazione di un’autovettura danneggiata in un incidente stradale, l’Avv. A.A., alla quale egli aveva conferito mandato, si era costituita anche in difesa di C.C. e D.D., chiamati in causa dalla società convenuta, in quanto indicati dalla stessa come responsabili dell’appropriazione delle somme versate dall’Assicurazione in adempimento del credito ceduto.
Premesso che l’incolpata aveva ammesso di aver assunto nel medesimo giudizio la difesa sia dell’attore che dei terzi chiamati in causa dalla convenuta, il CNF ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico, alla luce del conflitto d’interesse non solo potenziale, ma reale configurabile tra le parti rappresentate.
Ha escluso la fondatezza delle censure sollevate in ordine all’accertamento dei fatti, rilevando che l’addebito era stato considerato provato sulla base dei documenti acquisiti, e ritenendo operante, al riguardo, il principio del libero convincimento del giudice.
Ha confermato inoltre l’applicabilità della L. n. 239 del 2003, art. 24 cit. e del p. 21, comma 2, sull’Avvocatura della Repubblica Slovacca, in relazione all’art. 3.2.2 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, anche nel caso in cui il conflitto d’interessi si manifesti successivamente all’assunzione dell’incarico, osservando che la prestazione di attività professionale in conflitto d’interessi costituisce un illecito di pericolo e sottolineando l’ampia prudenza cui deve ispirarsi la condotta dell’avvocato in sede di assunzione dell’incarico, a tutela non solo delle parti, ma anche della dignità dell’esercizio professionale e dello affidamento della collettività.
In ordine alla sanzione irrogata all’incolpata, il CNF ha escluso che la mancata indicazione dei criteri adottati per la scelta e la quantificazione della stessa comportasse la nullità della decisione, evidenziando l’assenza di uno specifico obbligo di motivazione e ritenendo operante un criterio di adeguatezza, in relazione all’offesa arrecata alla dignità e al decoro della classe professionale.
Ha osservato in proposito che il Consiglio di disciplina si era mantenuto nei limiti della sanzione edittale prevista per la violazione accertata, precisando inoltre che la determinazione della sanzione disciplinare non costituisce il frutto di un mero calcolo matematico, ma di una complessiva valutazione dei fatti.
2. Avverso la predetta sentenza la A.A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria.
Il Consiglio dell’Ordine non ha svolto attività difensiva.
Per la decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8, che ha prorogato fino alla data del 30 giugno 2023 l’applicazione delle disposizioni di cui al D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 221, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 e di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e comma 9-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 39, 88, 106, 112 e 269 c.p.c., dell’art. 54 c.p., degli artt. 1, 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56 e del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, artt. 59 e 63 nonchè l’apparenza della motivazione, osservando che, nel ritenere sussistente il conflitto d’interessi, la sentenza impugnata non ha considerato da un lato che lo B.B. ed il C.C. non avevano avanzato alcuna pretesa reciproca, dal momento che la somma versata dalla Compagnia di assicurazione era confluita nel conto corrente della Carrozzeria Intercar, unica destinataria della domanda di restituzione, e dall’altro che, in quanto riconducibile alla fattispecie della garanzia impropria, la chiamata in causa del terzo non comportava l’automatica estensione della domanda proposta nei confronti della convenuta.
Precisato inoltre che, nelle more del procedimento disciplinare, il C.C. è stato assolto dall’imputazione di appropriazione indebita, aggiunge che al momento del conferimento dell’incarico da parte dello B.B. il conflitto d’interessi non era prevedibile, essendo stato causato dalla condotta processuale della Carrozzeria Intercar, la quale aveva promosso nei confronti del terzo un distinto giudizio avente identici petitum e causa petendi, in tal modo determinando una litispendenza, a fronte della quale essa ricorrente non aveva ritenuto corretto rimettere il mandato, non potendosi l’attore permettere un altro difensore e non risultando la linea difensiva dello stesso incompatibile con quella del terzo.
Sostiene inoltre che, avendo entrambe le parti manifestato la volontà di confermare il mandato conferito, la prosecuzione dell’incarico difensivo doveva ritenersi conforme ai p. 18 e 22 della L. n. 239 del 2003 sull’Avvocatura della Repubblica Slovacca ed agli artt. 3.2.2, 3.2.3 e 3.2.4 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, che impongono all’avvocato il dovere di seguire le disposizioni del cliente.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 39, 88, 106, 112, 269 e 295 c.p.c., degli artt. 1, 9 e 24 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 del R.D. n. 37 del 1934, artt. 59 e 63 nonchè l’apparenza della motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare le circostanze imprevedibili che giustificavano la condotta addebitatale, nonchè d’individuare la condotta che in concreto sarebbe risultata doverosa.
Premesso che la conferma dei mandati ricevuti imponeva la prosecuzione di entrambi gl’incarichi difensivi, avendo le parti manifestato la volontà di non provvedere alla nomina di un difensore diverso, sostiene che, ai fini della configurabilità del conflitto d’interesse, non assumevano alcun rilievo le conseguenze della sua condotta, ed in particolare l’intervenuta sospensione del giudizio, la quale era stata determinata da un’errata applicazione degli artt. 39 e 295 c.p.c. da parte del Giudice di pace e dalla condotta processuale della Carrozzeria Intercar, che aveva preteso due volte il pagamento della stessa somma, e non avrebbe potuto essere evitata mediante la rinuncia al mandato e la nomina di un altro difensore.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2, 3 e 111 Cost., degli artt. 39, 88, 106, 112, 269 e 295 c.p.c., degli artt. 1, 2 e 22 del Codice Deontologico Forense, in relazione al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 e del R.D. n. 37 del 1934, artt. 59 e 63 nonchè l’eccesso di potere per disparità di trattamento, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di sanzionare la condotta tenuta dal difensore della Carrozzeria Intercar, configurabile come abuso del processo, e per aver applicato una sanzione interdittiva sproporzionata e contraria al principio di giustizia sostanziale, nonchè idonea ad incidere sulla capacità di essa ricorrente di provvedere al mantenimento dei figli minori.
4. Sulla base dei predetti motivi, la ricorrente propone anche istanza di sospensione dell’esecutorietà della sentenza impugnata, ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, comma 7, ribadendo l’insussistenza del conflitto d’interessi, in considerazione della posizione assunta dai suoi rappresentati e della conferma del mandato da parte degli stessi, ed insistendo sull’omessa valutazione di circostanze idonee ad escludere l’illiceità o la punibilità del suo comportamento, anche in relazione alla condotta processuale tenuta dalla controparte.
Prospetta inoltre, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, l’eventualità di una vanificazione degli effetti della decisione, in virtù della durata della sanzione irrogata, destinata ad essere interamente espiata nelle more del giudizio d’impugnazione, e dell’incidenza della stessa sull’adempimento dei suoi obblighi familiari e sugl’interessi dei soggetti da lei rappresentati.
5. La coincidenza delle ragioni dedotte a sostegno della predetta istanza con le censure mosse alla sentenza impugnata consente peraltro di procedere direttamente all’esame di queste ultime, la cui infondatezza comporta, oltre al rigetto del ricorso, anche la reiezione della domanda di sospensione.
Com’è noto, le decisioni del CNF in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi a queste Sezioni Unite, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, (riprodotto, in parte qua, nella L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonchè ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione: pertanto, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono costituire oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, a meno che non si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito (cfr. SS.UU, 31/07/2018, n. 20344; 2/15/2016, n. 24647).
E’ stato precisato che, nell’ambito del predetto controllo, la violazione delle regole poste dal Codice Deontologico Forense non è deducibile ex se, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma solo in quanto si colleghi agl’indicati vizi di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, ossia ad una delle ragioni per le quali l’art. 36, comma 6 L. n. 247 cit. consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione: ai fini della valutazione demandata al CNF, il predetto Codice non riveste infatti un autonomo carattere normativo, configurandosi piuttosto come un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa (cfr., SS.UU,17/05/2021, n. 13168; 25/06/2013, n. 15873).
5.1. Nella specie, la regola di comportamento di cui è stata contestata l’inosservanza è costituita dall’art. 24 del Codice Deontologico, ai sensi del quale “l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale”.
La finalità di tale disposizione, come specificato dal comma 2, consiste essenzialmente nel salvaguardare l’indipendenza dell’avvocato, garantendone la libertà da pressioni o condizionamenti di qualsiasi genere, anche correlati ad interessi riguardanti la propria sfera personale. In quest’ottica, il comma 3 precisa che “il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico”.
L’accento in tal modo posto sulla possibile interferenza tra l’accettazione di un nuovo incarico professionale e l’adempimento di un altro mandato precedentemente ricevuto, nonchè, in linea più generale, tra l’attività svolta dall’avvocato e gl’interessi dell’assistito, ha indotto queste Sezioni Unite ad affermare che, nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto d’interessi non può essere riferita restrittivamente alla sola ipotesi in cui l’avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza del consenso di quest’ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi rispetto al proprio assistito (cfr. SS.UU,12/03/2021, n. 7030).
La giurisprudenza più recente è pervenuta inoltre ad una rimeditazione del principio, enunciato da pronunce più risalenti, che escludeva la configurabilità di una violazione dei canoni di correttezza, lealtà e deontologia professionale in caso di assunzione, da parte dell’avvocato, del patrocinio di soggetti portatori d’interessi solo potenzialmente contrastanti, ritenendo necessaria, al predetto fine, l’esistenza in concreto di un conflitto tra le parti (cfr., SS.UU,15/10/2002, n. 14619; 20/01/1993, n. 645): in contrario, è stato infatti valorizzato il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, richiamandosi l’orientamento che, in tema di mandato ad litem, ritiene inammissibile la costituzione in giudizio di più parti a mezzo del medesimo procuratore, ogni qualvolta tra le stesse sia configurabile un conflitto d’interessi anche solo virtuale, ravvisando nel contemporaneo svolgimento di attività difensiva in favore di soggetti portatori d’istanze contrastanti una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, costituzionalmente tutelati (cfr. SS.UU,12/03/2021, n. 7030; Cass., Sez. I, 23/ 03/2018, n. 7363; Cass., Sez. III, 14/07/2015, n. 14634 ; 25/06/2013, n. 15884).
Tale ampliamento della nozione di conflitto d’interessi trova d’altronde conforto nella disciplina dettata dall’art. 3 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, il quale dispone, in modo più specifico rispetto all’art. 24 del Codice italiano, che “l’avvocato non può fornire consulenza, rappresentare o difendere più di un cliente per la medesima controversia” non solo “qualora vi sia un conflitto”, ma anche nel caso in cui sussista “il serio rischio di un conflitto tra gli interessi di tali clienti”, aggiungendo che “l’avvocato non può accettare un incarico da un nuovo cliente” non solo, come previsto dall’art. 24 del Codice Deontologico Forense, “nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente” o “la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente”, ma anche “qualora vi sia il rischio di violazione del segreto sulle informazioni comunicate da un precedente cliente o se la conoscenza degli affari del precedente cliente da parte dell’avvocato fornirebbe al nuovo cliente un ingiusto vantaggio”.
Ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di astensione a carico dell’avvocato, non è dunque necessario che tra gl’interessi delle parti da lui patrocinate sia configurabile un conflitto immediato ed attuale, risultando invece sufficiente un contrasto anche meramente virtuale, ricollegabile all’incompatibilità delle rispettive posizioni sostanziali o processuali, la quale impone al legale di compiere una scelta tra gli incarichi da assumere, in modo tale da salvaguardare la propria indipendenza nell’adempimento del mandato e da evitare la divulgazione o comunque l’indebito sfruttamento di informazioni di cui sia venuto a conoscenza a cagione del proprio ufficio.
5.2. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’assunzione da parte della ricorrente dell’incarico di assistere, nel giudizio promosso dallo B.B. nei confronti della Carrozzeria Intercar, sia l’attore che i terzi chiamati in causa dalla convenuta comportasse un conflitto d’interessi (definito peraltro non meramente potenziale, ma reale), e quindi l’obbligo di astenersi dalla contemporanea prestazione di attività professionale in favore di entrambe le parti, a pena di violazione dello art. 24 del Codice Deontologico Forense.
E’ pur vero, infatti, che, in quanto fondata non già sull’individuazione del C.C. e della D.D. come responsabili dell’inadempimento del contratto di prestazione d’opera avente ad oggetto la riparazione dell’autovettura di proprietà dell’attore, ma sull’appropriazione delle somme dovute dall’assicuratore a titolo d’indennizzo per il sinistro in cui il veicolo era rimasto coinvolto, e quindi su un rapporto sostanziale distinto ed autonomo rispetto a quello posto a fondamento della domanda principale, la citazione in giudizio dei terzi era configurabile come chiamata in garanzia impropria, la quale, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, non determina l’automatica estensione al terzo della domanda proposta dall’attore, a tal fine occorrendo un’apposita richiesta (cfr., Cass., Sez. VI, 1/06/2021, n. 15232; Cass., Sez. III, 15/01/2020, n. 516; 5/03/2013, n. 5400).
La necessità di tale iniziativa non consente tuttavia di escludere la configurabilità di un conflitto d’interessi tra l’attore ed i terzi chiamati, quanto meno dal momento della citazione in giudizio di questi ultimi, avendo gli stessi interesse non solo a resistere alla domanda proposta nei loro confronti dalla Carrozzeria Intercar, ma, ancor prima, a sostenere le ragioni della convenuta nei confronti dello B.B., al fine di evitare che l’accoglimento della domanda principale potesse comportare l’imposizione a loro carico dell’obbligo di rivalerla dell’importo che essa fosse stata eventualmente condannata a restituire all’attore.
Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza che, nel procedimento penale avviato nei confronti del C.C. a seguito della querela presentata dalla Carrozzeria Intercar, sia rimasta esclusa la responsabilità dell’imputato per il reato di appropriazione indebita contestatogli: anche a voler prescindere dalla mancata precisazione delle ragioni che l’hanno determinato, il successivo proscioglimento del terzo non può considerarsi idoneo ad escludere la configurabilità del conflitto d’interessi, la cui sussistenza, pur dovendo essere accertata in concreto, va valutata con riguardo non già alla fondatezza delle pretese reciprocamente avanzate dalle parti, ma al contrasto che la formulazione delle stesse oggettivamente determina sul piano delle rispettive posizioni processuali, ed alla conseguente incompatibilità della contemporanea prestazione di assistenza in favore di entrambe.
5.3. Quanto poi alla prevedibilità del conflitto d’interessi, la stessa, lungi dall’essere esclusa, trova ulteriore conferma nella circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che, anteriormente alla chiamata del C.C. e della D.D. nel giudizio promosso dallo B.B., la Carrozzeria Intercar aveva provveduto ad agire autonomamente nei confronti del terzo, per ottenere la restituzione dell’importo di cui lo stesso si era, a suo dire, indebitamente appropriato:
– per un verso, infatti, la diversità del titolo e dell’oggetto della domanda separatamente proposta dalla Carrozzeria Intercar, rispetto a quelli della pretesa successivamente avanzata dallo B.B., non poteva considerarsi sufficiente ad escludere l’incompatibilità delle ragioni da quest’ultimo fatte valere rispetto a quelle dedotte dal C.C. e dalla D.D., e quindi delle posizioni processuali assunte dalla ricorrente nei due giudizi, la cui contemporanea pendenza avrebbe dovuto indurre l’Avv. A.A. ad astenersi dal patrocinio di una delle parti da lei difese;
– per altro verso, l’identità dei petita e delle causae petendi delle domande proposte dalla Carrozzeria Intercar nei due giudizi consente di escludere che, al momento dell’accettazione del mandato conferitole dallo B.B., la ricorrente non fosse in grado di rendersi conto dell’interferenza dello stesso con quello conferitole dal C.C. e dalla D.D., e quindi della necessità di declinare almeno uno degli incarichi ricevuti.
Non merita consenso l’obiezione sollevata in proposito dalla ricorrente, secondo cui il conflitto sarebbe stato cagionato dall’iniziativa imprevedibilmente assunta dal difensore della Carrozzeria Intercar, il quale, chiamando in causa il C.C. e la D.D., nel giudizio promosso dallo B.B., avrebbe determinato la rilevata situazione d’incompatibilità, alla quale non avrebbe potuto ovviarsi mediante la rinuncia agl’incarichi, avendo i clienti manifestato la volontà di continuare ad avvalersi del patrocinio di essa ricorrente e non potendo ella lasciarli privi di difesa.
Anche a voler ritenere, in contrasto con quanto osservato in precedenza, che l’incompatibilità tra il patrocinio dello B.B. e quello del C.C. e della D.D. sia emersa soltanto in epoca successiva al conferimento dei due incarichi, per effetto della chiamata in causa effettuata dalla Carrozzeria Intercar, dovrebbe ugualmente escludersi la possibilità di considerare giustificata la prosecuzione dell’attività difensiva in favore di entrambe le parti: la natura incondizionata dell’obbligo di astensione previsto dall’art. 24 del Codice Deontologico Forense, avente la finalità di salvaguardare la dignità della professione di avvocato e l’indipendenza nello svolgimento degl’incarichi ricevuti, in funzione di tutela del corretto esercizio del diritto costituzionale di difesa, impone infatti di ritenere, pur in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso, che il professionista non possa considerarsi dispensato dalla sua osservanza in virtù della mera conoscenza della situazione d’incompatibilità da parte del cliente o del consenso dallo stesso prestato alla prosecuzione dell’incarico.
In tal senso depone anche la disciplina dettata dall’art. 3.2.2 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, il quale stabilisce che “l’avvocato non può occuparsi degli affari di due o di tutti i clienti coinvolti qualora intervenga tra loro un conflitto di interessi”: tale disposizione, solo apparentemente ripetitiva di quella prevista dal n. 1 del medesimo articolo, si riferisce in realtà proprio all’ipotesi in cui la situazione d’incompatibilità insorga in epoca successiva al conferimento dell’incarico, e vieta all’avvocato di continuare a svolgere la propria attività in favore di tutti i soggetti coinvolti nel conflitto, senza attribuire alcun rilievo all’eventuale conferma del mandato da parte degli interessati.
Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza che nè il Codice Deontologico Forense nè quello degli Avvocati Europei indichino specificamente gli strumenti per porre rimedio al conflitto d’interessi, risultando evidente che le modalità di adempimento dell’obbligo di astensione possono essere le più varie (rifiuto del nuovo incarico, rinuncia a quello precedentemente accettato, dismissione di entrambi gli incarichi), in relazione alla situazione in concreto determinatasi, senza che dalle stesse derivi una lesione del diritto di difesa, avuto riguardo alle valide ragioni che giustificano il diniego o l’interruzione della prestazione professionale ed alla possibilità per il cliente di avvalersi dell’assistenza o della difesa di un altro avvocato.
5.4. Inconferenti risultano invece le considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine agli effetti dell’iniziativa processuale assunta dalla Carrozzeria Intercar mediante la chiamata in causa del C.C. e della D.D., ed in particolare alla sospensione del giudizio promosso dallo B.B., disposta dal giudice a seguito della rilevazione della pendenza dell’altro giudizio separatamente promosso dalla convenuta nei confronti dei terzi chiamati in causa: a tale conseguenza il CNF non ha infatti attribuito alcun rilievo, ai fini della configurabilità dell’illecito disciplinare, essendosi limitato a darne atto, nello ambito della ricostruzione dei fatti posta a fondamento della propria decisione, senza tenerne conto ai fini dell’accertamento della sussistenza della violazione e della determinazione della relativa sanzione.
5.5. Inammissibili risultano infine le censure riguardanti l’omessa valutazione della condotta tenuta dal difensore della Carrozzeria Intercar, ritenuta qualificabile come abuso del processo, e la sproporzione asseritamente riscontrabile tra la gravità della violazione accertata e la sanzione interdittiva irrogata.
In sede d’impugnazione delle decisioni del CNF, non possono infatti trovare ingresso doglianze concernenti il tipo e l’entità della sanzione inflitta allo incolpato per la violazione accertata, la cui determinazione è rimessa in via esclusiva alla discrezionalità dell’organo disciplinare, competente a valutare la natura e la gravità dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, nonchè ad individuare la sanzione appropriata alla stessa, mediante un giudizio di adeguatezza non sindacabile da questa Corte, se non nei limiti di un controllo di ragionevolezza (cfr., SS.UU, 24/01/2020, n. 1609; 17/03/2017, n. 6967; 26/05/2011, n. 11564).
Tale giudizio non può ritenersi inficiato, nella specie, dalla mancata considerazione della condotta della controparte, la cui eventuale configurabilità come abuso del processo non è deducibile nè come causa di giustificazione, per la sua idoneità a determinare una situazione di necessità in presenza della quale la ricorrente non avrebbe potuto non tenere il comportamento addebitatole, nè come termine di paragone ai fini dell’individuazione della sanzione applicabile, implicando in entrambi i casi un accertamento di fatto e una valutazione delle risultanze processuali che non possono costituire oggetto di controllo in sede di legittimità (cfr., SS.UU, 19/10/2011, n. 21584; 04/02/2009, n. 2637).
6. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2023
Allegati:
SS.UU, 27 aprile 2023, n. 11193, in tema di illecito disciplinare
Nota del Dott. Vito D’Alessio
Motivi di impugnazione delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare
1. I principi di diritto
Le decisioni del CNF in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 56, c. 3, del R.D.L. 1578/1933 (riprodotto, in parte qua , nell’art. 36, c. 6, della L. 247/2012, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione.
L’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono costituire oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, a meno che non si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito.
Nell’ambito del predetto controllo, la violazione delle regole poste dal Codice Deontologico Forense non è deducibile ex se , ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c., ma solo in quanto si colleghi agli indicati vizi di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge: ai fini della valutazione demandata al CNF, il predetto Codice non riveste infatti un autonomo carattere normativo, configurandosi piuttosto come un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e l’inviolabilità della difesa.
2. La fattispecie
Il Consiglio distrettuale di disciplina dell’Ordine degli Avvocati competente ha irrogato nei confronti di una professionista la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di due mesi, per aver violato gli artt. 9-24 del Codice Deontologico Forense, avendo prestato attività professionale in favore sia dell’attore che del terzo chiamato in causa da parte del convenuto.
Il CNF ha rigettato l’impugnazione proposta, confermando la decisione.
La professionista ha proposto ricorso per cassazione:
- contestando la sussistenza di un conflitto d’interessi reale, in quanto la posizione processuale del terzo non era incompatibile con quella dell’attore, trattandosi di distinte e autonome situazioni giuridiche, la cui trattazione congiunta discendeva dalla domanda proposta dal convenuto nei confronti di detto terzo;
- affermando che le parti/clienti erano al corrente di tale situazione e ciononostante non avevano revocato il mandato;
- lamentando l’apparenza della motivazione, per aver omesso di esaminare le circostanze imprevedibili che giustificavano la condotta addebitata, nonché di individuare quella che sarebbe stato doveroso tenere;
- eccependo la natura sproporzionata della sanzione interdittiva comminata, contraria al principio di giustizia sostanziale e idonea ad incidere sulla sua capacità di adempiere agli obblighi (di mantenimento dei figli minori) connessi all’esercizio della sua responsabilità genitoriale.
3. Conseguenze operative
Non potendo trovare ingresso doglianze concernenti il tipo e l’entità della sanzione inflitta ed essendo preclusi accertamenti di fatto e valutazioni delle risultanze processuali, il Supremo Consesso non può che limitarsi a ribadire gli elementi costitutivi dell’illecito disciplinare di cui all’art. 24 del Codice Deontologico Forense.
Il conflitto d’interessi vietato dalla norma, precisa la Cassazione, non può essere riferito restrittivamente alla sola ipotesi in cui l’avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza del consenso di quest’ultimo, ma comprende tutti i casi in cui l’avvocato eserciti contemporaneamente più attività difensive in favore di soggetti portatori di istanze contrastanti (quindi, anche se vi è consenso o mera conoscenza del conflitto da parte di questi ultimi), sì da imporgli il compimento di una scelta tra i più mandati.
Non soltanto il rischio attuale, diretto e immediato, ma anche il rischio meramente potenziale di un conflitto tra gli interessi degli assistiti è idoneo a violare il principio del contraddittorio e il diritto di difesa dei clienti.
Ciò in quanto l’obiettivo è salvaguardare l’indipendenza dell’avvocato e garantirne la libertà da pressioni o condizionamenti di qualsiasi genere, anche correlati ad interessi riguardanti la propria sfera personale (cfr., SS.UU, n. 7030/2021).