Civile Sent. Sez. U Num. 8946 Anno 2023
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 29/03/2023
SENTENZA
sul ricorso 20607-2022 proposto da:
D’AVENA RICCARDO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI TRE OROLOGI 10/E, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO RANIERI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO BARONE giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI VENEZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GARUTTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TITO BORTOLATO, giusta procura in calce alle deduzioni difensive;
– resistente –
nonché
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE ROMA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 104/2022 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE di ROMA, depositata il 25/06/2022;
Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MARIELLA DE MASELLIS, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Lette le memorie del ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
FATTI DI CAUSA
1. Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 104 del 25 giugno 2022, in accoglimento del ricorso del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Venezia, annullò la decisione del Consiglio Distrettale di Disciplina del Veneto ed applicò all’avv. Riccardo D’Avena la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi sei in quanto ritenuto responsabile della violazione degli articoli 9 (ex 5,6,10), 30 (ex 41.1), 31.1 (ex 44) del CDF (Codice disciplinare forense) per non aver provveduto alla restituzione della somma di € 250.000,00, ricevuta in varie occasioni dalla cliente Med Trading S.p.A., con la causale di deposito cauzionale a titolo fiduciario, all’amministratore nominato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo in data 16/5/2009, pur essendone stato richiesto in data 21/07/2009.
Il procedimento disciplinare, che traeva origine dall’esposto presentato in data 1 dicembre 2009 da alcune società che lamentavano di aver versato al professionista le somme indicate e la cui restituzione era stata negata, aveva visto l’avv. D’Avena sostenere che il diritto a trattenere le somme scaturiva dalla compensazione con propri controcrediti di natura professionale maturati nei confronti delle stesse società.
Il procedimento però perveniva dinanzi alla CDD del Veneto solo nel dicembre del 2019, in quanto il procedimento era stato instaurato dapprima dinanzi al COA ed al CDD di Trieste.
Nel corso del procedimento, l’avv. D’Avena produceva altresì una copia dell’accordo transattivo intervenuto nel giugno del 2016, e debitamente autorizzato dal GIP, con il quale la somma trattenuta era posta in compensazione con i crediti del professionista scaturenti da un provvedimento del Tribunale di Lucca.
All’esito del dibattimento, il CDD del Veneto dichiarava la prescrizione dell’azione disciplinare, in mancanza di atti interruttivi intervenuti successivamente alla data dell’8 settembre 2009, allorché il professionista aveva rifiutato la restituzione della somma adducendo la compensazione, data che si riteneva coincidesse con la cessazione della permanenza della condotta illecita.
Il CNF riteneva che effettivamente ricorressero gli elementi per individuare la responsabilità del professionista per l’illecito contestato, atteso che in base alle norme deontologiche lo stesso era tenuto alla restituzione dele somme ricevute a titolo di deposito fiduciario dalla cliente, non potendo addurre quale causa impeditiva la pretesa di compensare la somma ricevuta con propri crediti professionali, tuttavia dissentiva quanto alla sussistenza della prescrizione dell’illecito contestato.
Ribadita la natura di illecito permanente per la condotta del professionista che trattenga indebitamente somme messegli a disposizione in via fiduciaria dal cliente, il CNF ricordava che, secondo la giurisprudenza di legittimità, si è al cospetto di un illecito permanente, che non si esaurisce nella semplice percezione della somma, ma che si protrae nel tempo, in relazione al periodo in cui l’avvocato continui a trattenere la somma.
Il termine di prescrizione, con la conseguente cessazione della permanenza, però iniziava a decorrere solo a far data dal giugno del 2016, allorché a seguito di transazione, l’avv. D’Avena aveva potuto lecitamente vantare un titolo per trattenere le somme, essendo in precedenza illecito il suo rifiuto di restituzione.
Ne derivava altresì che trovava applicazione l’art. 56 della legge n. 247/2012, avuto riguardo alla data di cessazione della permanenza.
Inoltre, dal giugno del 2016 erano intervenuti plurimi atti interruttivi della prescrizione, fra cui la notificazione della decisione impugnata, che avevano elevato il termine di prescrizione sino a quello massimo di sette anni e sei mesi, venendo quindi a maturare la prescrizione solo nel dicembre del 2023.
La decisione del CDD doveva quindi essere annullata ed occorreva determinare la sanzione applicabile, sanzione che, avuto riguardo alla condotta illecita contestata, al grado dell’elemento psicologico, all’assenza di precedenti disciplinari, ed a tutti gli altri elementi da prendere in esame, il CNF individuava nella sospensione per mesi sei.
2. Avverso la sentenza era proposto ricorso per cassazione dall’avvocato sulla base di un motivo, illustrato da memorie.
3. Il ricorrente formulava istanza di sospensione dell’esecutività della decisione del Consiglio Nazionale Forense ai sensi dell’art. 36 comma VI della legge n. 247/2012.
4. L’intimato Consiglio dell’ordine territoriale ha depositato atto di deduzioni difensive.
5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e erronea applicazione dell’art. 51 del RD n. 1578/1933 nonché dell’art. 56 della legge n. 247/2012.
Assume il ricorrente che non intende formulare contestazioni quanto alla ricostruzione in fatto delle vicende disciplinari, come operata dal CNF, ma che piuttosto, pacifica la natura permanente dell’illecito contestato, consistente nella mancata restituzione di somme in precedenza ricevute dal professionista a titolo di deposito fiduciario, si palesa erronea l’individuazione del momento in cui sarebbe cessata la permanenza.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il momento in cui cessa la permanenza dell’illecito coincide con quello dell’indebita appropriazione delle somme, e cioè con il momento in cui il professionista nega il dritto del cliente alla restituzione della somma, affermando invece il proprio diritto a trattenerla.
La soluzione sostenuta nella sentenza impugnata è in contrasto con tale principio e denota l’illogicità della decisione del CNF che ha, invece, fatto riferimento ad una soluzione nella quale la condotta del professionista assumeva rilievo anche penale, concretandosi nella commissione del reato di cui all’art. 646 c.p.
Né poteva avere carattere distintivo il fatto che il ricorrente aveva opposto il diritto di compensare la somma con propri crediti professionali, poiché in ogni caso il rifiuto di restituzione, ancorché per tale causale, aveva interrotto la permanenza dell’illecito.
Il dies a quo della prescrizione deve quindi individuarsi nella data dell’8 settembre 2009, allorché venne rifiutata la restituzione della somma, ed in relazione a tale data l’illecito risulta prescritto, in assenza di successivi validi atti interruttivi nel quinquennio.
2. Non è in discussione nella vicenda in esame la qualificazione come illecito permanente di quello oggetto di contestazione al ricorrente, ma si dibatte unicamente in merito all’individuazione del momento in cui sarebbe venuta meno la permanenza, con la conseguente individuazione del dies a quo della prescrizione.
Il CNF ha fatto riferimento al momento in cui la somma sarebbe stata oggetto di lecita compensazione da parte del ricorrente, per effetto dell’accordo transattivo del giugno del 2016, con il quale è stata debitamente autorizzata da parte del GIP la compensazione invocata dall’avv. D’Avena, in precedenza però in maniera illegittima, come appunto specificato nella sentenza impugnata (cfr. sul punto anche quanto argomentato in punto di pretesa di compensazione del professionista delle somme ricevute a titolo fiduciario dal cliente, da Cass. S.U. n. 11168/2022), ritenendo conseguentemente applicabile la disciplina in tema di prescrizione dettata dall’art. 56 della legge n. 247/2012. Pertanto, tenendo conto degli atti interruttivi posti successivamente in essere, ha concluso nel senso che la prescrizione massima di sette anni sei mesi è maturata solo nel dicembre del 2023.
Un diverso esito è invece invocato dal ricorrente che invoca la tesi secondo cui la consumazione dell’illecito, con la cessazione della permanenza si realizza anche quando il professionista neghi la restituzione delle somme percette, sostenendo il diritto a trattenerle ovvero negandone la stessa ricezione.
Tale momento andrebbe quindi fatto risalire all’8 settembre del 2009, e precisamente nel momento in cui l’avv. D’Avena, richiesto della restituzione delle somme, si oppose alla stessa sostenendo che aveva diritto a porle in compensazione con i suoi crediti professionali.
Da tale precisazione, il ricorrente, richiamando il principio per cui, in tema di illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall’art. 56 della l. n. 247 del 2012 (che prevede un termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e sei mesi), non può essere invocato con riguardo agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, attesa la loro natura amministrativa, ritiene che debba farsi applicazione del previgente termine di prescrizione quinquennale. Poiché, il momento di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, rimane quello della commissione del fatto e non quello della incolpazione (Cass. S.U. n. 20383/2021; Cass. S.U. n. 23746/2020), nella fattispecie il termine di prescrizione è quello quinquennale dettato dall’art. 51 del RD n. 1578 del 1933, che però non è stato interessato da atti interruttivi, con la conseguenza che l’illecito contestato risulta prescritto.
Il Collegio ritiene che il motivo sia fondato.
La condotta del legale che omette di restituire al cliente la somma versatagli in deposito fiduciario configura un illecito permanente, in relazione al quale il momento in cui cessa la permanenza coincide con il momento in cui il professionista, in costanza della prosecuzione del rapporto professionale, sollecitato alla restituzione, nega il diritto del cliente sulla somma e afferma il proprio diritto di trattenerla.
Pertanto, è da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’illecito, in applicazione analogica dell’art. 158 c.p. (Cass. S.U. n. 14233 del 08/07/2020; conf. Cass. S.U. n. 1822/2015; Cass. S.U. n. 5200/2019).
Tale principio va peraltro coordinato con quanto sempre di recente affermato da queste Sezioni Unite secondo cui l’illecito disciplinare commesso dall’avvocato che si appropria in maniera truffaldina di una somma di denaro destinata a un suo cliente ha natura permanente e la sua consumazione si protrae, in mancanza di restituzione, fino alla decisione disciplinare di primo grado, dalla quale inizia a decorrere il termine prescrizionale massimo di cui all’art. 56, comma 3, della l. n. 247 del 2012 (Cass. S.U. n. 23239 del 26/07/2022, che in motivazione ha appunto richiamato i precedenti in tema di interruzione della permanenza per effetto del rifiuto di restituzione opposto dal difensore al cliente), essendo quest’ultima affermazione volta a porre un limite finale alla condotta illecita, sebbene il protrarsi del rapporto professionale renderebbe sempre attuale l’obbligo del professionista di mettere a disposizione le somme di spettanza del cliente.
L’individuazione come momento finale della data di decisione disciplinare di primo grado mira, quindi, a porre un limite alla stessa permanenza, espressamente qualificato come alternativo, ma per le ipotesi in cui la detenzione della somma avvenga senza che vi sia stata un’esplicita affermazione del difensore di avere il diritto di trattenerla, nonostante le richieste del cliente, e ciò in quanto a diversamente opinare “…ne deriverebbe una – irragionevole, non prevista dalla legge – imprescrittibilità dell’illecito stesso”.
Va, quindi, ribadito che la condotta appropriativa posta in essere dall’avvocato non si esaurisce nell’incasso delle somme di spettanza del cliente o nel trattenimento delle stesse, ma si protrae fino a quando le somme non siano messe a disposizione del cliente e non intervenga l’informazione da parte del professionista circa la ricorrenza delle situazioni che legittimano la restituzione (cfr. Cass. S.U. n. 5200/2019).
La permanenza dell’illecito si verifica, inoltre, nella diversa ipotesi in cui l’avvocato, ritenendo sussistente il suo diritto a trattenere le somme, ometta di opporre formalmente al cliente il suo rifiuto alla restituzione, inerendo la restituzione stessa ai doveri scaturenti dal perdurante mandato professionale.
Ne deriva che, ove vi sia stata la richiesta di restituzione ed il professionista si sia opposto, non è possibile protrarre la permanenza dell’illecito sino alla data in cui le somme siano effettivamente restituite, posto che già in quel momento si è resa evidente e conclamata la violazione disciplinare.
Va, quindi, data continuità a Cass. S.U. n. 1822/2015, che, in relazione ad una vicenda per molti versi analoga a quella in esame, ha affermato che la prescrizione dell’azione disciplinare per illecito permanente dell’avvocato decorre solo dalla cessazione della permanenza, sicché, in caso di omissione del rendiconto di un deposito fiduciario, non rileva il momento della revoca del mandato, che fa sorgere l’obbligo di rendiconto, ma il momento in cui il professionista nega il diritto del cliente sulla somma depositata, affermando il proprio diritto di trattenerla, e ciò in considerazione del fatto che, come riferito in ricorso, il ricorrente aveva negato la restituzione delle somme ai custodi giudiziari della società ex cliente, opponendo il diritto alla compensazione con un proprio credito professionale (e per l’impossibilità di invocare tale istituto come giustificazione dell’omessa restituzione, si veda Cass. S.U. n. 11168/2022), reiterando analoga difesa anche nel giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo che l’amministratore giudiziario aveva ottenuto per la somma oggetto di causa (condotta questa che denota come ormai fosse irrimediabilmente venuto meno il rapporto fiduciario e fosse stata resa più che evidente la volontà di negare il diritto alla restituzione vantato dalla ex cliente).
Ne consegue altresì che si palesa erronea la conclusione della decisione gravata che ha individuato come termine di cessazione della permanenza solo la conclusione della transazione del 2016, dovendosi invece, per quanto detto, far riferimento alla più risalente data di rifiuto della restituzione dell’8 settembre 2009.
Ne discende poi che, avuto riguardo a tale ultima data, l’illecito risulta essersi prescritto, in assenza di atti interruttivi nel quinquennio successivo.
In accoglimento del motivo, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata senza rinvio, dovendosi dichiarare prescritto l’illecito disciplinare contestato.
3. La decisione del ricorso determina poi l’assorbimento della richiesta del ricorrente di disporre la sospensione dell’esecutività della decisione gravata.
4. In ragione della non univocità degli orientamenti in punto di decorrenza della prescrizione per gli illeciti disciplinari permanenti, solo recentemente oggetto di maggiori chiarimenti, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata senza rinvio, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione l’illecito disciplinare contestato; compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21 febbraio
Allegati:
SS.UU, 29 marzo 2023, n. 8946, in tema di illecito disciplinare
Nota dell'Avv. Andrea Castaldo
Il termine di prescrizione dell’illecito disciplinare permanente dell’avvocato
1. Il principio di diritto
La condotta del legale che omette di restituire al cliente la somma versatagli in deposito fiduciario configura un illecito permanente, in relazione al quale il momento in cui cessa la permanenza coincide con il momento in cui il professionista, in costanza della prosecuzione del rapporto professionale, sollecitato alla restituzione, nega il diritto del cliente sulla somma e afferma il proprio diritto di trattenerla.
E’ da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’illecito, in applicazione analogica dell’art. 158 c.p..
2. La fattispecie
Le Sezioni Unite cassano la sentenza del Consiglio Nazionale Forense, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione l’illecito disciplinare contestato all’avvocato previsto dagli artt. 9, 30 e 31.1 del Codice Deontologico Forense.
La Cassazione si concentra sull’individuazione del momento conclusivo della permanenza dell’illecito disciplinare commesso dall’avvocato, che a più riprese si è rifiutato di restituire somme di denaro a lui consegnate, adducendo la sussistenza di un diritto di ritenzione per propri crediti.
Non si discute della qualificazione come illecito del fatto contestato al ricorrente, bensì si dibatte unicamente in merito all’individuazione del momento in cui sarebbe venuta meno la permanenza, considerando il periodo in cui l’avvocato ha continuato a trattenere le somme.
Il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale è richiamato, precisa la Cassazione, dall’art. 158 c.p., per cui “il termine della prescrizione decorre […] per il reato permanente dal giorno in cui è cessata la permanenza”.
Tale condotta illecita non si esaurisce nell’incasso delle somme di spettanza del cliente o nel trattenimento delle stesse, ma si protrae fino a quando le somme non sono messe a disposizione e/o non interviene qualche informazione da parte del professionista in merito a fatti o eventi che legittimano la restituzione.
3. Riflessioni conclusive
Per le Sezioni Unite, la individuazione del termine di prescrizione deve tenere conto del momento della commissione del fatto e non di quello della incolpazione; ne consegue che la permanenza coincide necessariamente con il momento in cui il professionista nega il diritto del cliente sulla somma e afferma il proprio diritto di trattenerla.
Tale decisione si pone in continuità con (almeno) due precedenti - SS.UU, 06 aprile 2022, n. 11168 e 16 luglio 2021, n. 20383, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con note rispettivamente a cura dell’Avv. Alfonso Ciambrone e dell’Avv.ta Gisella Rosa Conforti -, che affermano come, in caso di illecito punibile solo in sede disciplinare, il momento di riferimento, ai fini dell’individuazione del regime di prescrizione dell’azione disciplinare, è dato dalla commissione del fatto, e non dalla incolpazione.
Sempre in ipotesi di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, precisa la Cassazione, le norme del codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’art. 65, c. 5, della L. 247/2012, recepito il criterio del “favor rei” in luogo di quello del “tempus regit actum”.