Civile Sent. Sez. U Num. 20344 Anno 2018
Presidente: SCHIRO’ STEFANO
Relatore: ARMANO ULIANA
Data pubblicazione: 31/07/2018
SENTENZA
sul ricorso 8941-2017 proposto da:
BORRI LUCA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CAMINITI;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE, PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 398/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 31/12/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2018 dal Consigliere ULIANA ARMANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatti di causa
L’avvocato Luca Borri ha proposto ricorso avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n.398 del 31-12-2016 con la quale, in accoglimento parziale del ricorso avverso la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze del 17-12-2014 , era stata sostituita la sanzione irrogata della cancellazione , con la sanzione meno afflittiva della sospensione dall’esercizio della professione forense per anni tre.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze non ha presentato difese.
La proposta istanza di sospensione è stata rigettata.
Ragioni della decisione
1. La vicenda trae origine da un esposto presentato in data 20 gennaio 2010 al COA di Firenze da Frida Magrini , Lorenzo e Guglielmo Nerbi , clienti dell’avvocato Borri, che avevano denunziato il comportamento disciplinarmente rilevante tenuto dall’avvocato Borri per aver egli assistito, mediante interposizione di altro collega, la signora Rossella Berviglieri, sua compagna al tempo in cui essi denunzianti le avevano concesso in locazione un immobile di loro proprietà, parte attrice in un giudizio intentato contro i predetti Magnini e Nerbi, che a quel tempo erano assistiti dallo stesso avvocato Borri in altri procedimenti.
Il capo d’incolpazione del COA di Firenze recitava: violazione degli artt. 12 e 38 della legge professionale forense per essere venuto meno ai doveri di probità, dignità e decoro ed ,in particolare, per aver assistito, con l’interposizione dell’avvocato Giacomo Puccini del foro di Firenze, la signora Rossella Berviglieri in un procedimento giudiziario in materia locativa con un ricorso dallo stesso predisposto e depositato in data 28 settembre 2005 contro i signori Magrini e Nerbi, indicandosi anche quale testimone, pur essendo a tale data il loro legale di fiducia in alcuni procedimenti giudiziari per i quali rinunciava al mandato con raccomandata del 21 ottobre 2009, solo a seguito di contestazione con fax del 17 settembre 2009.
Il COA di Firenze, accertati i fatti contestati, ha irrogato la sanzione disciplinare della cancellazione.
Il CNF, adito su impugnazione del Borri, ha affermato che nel giudizio disciplinare la censura di irregolare composizione del COA, ove la relativa eccezione non sia stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo COA, non può essere dedotta come motivo di impugnazione dinanzi al CNF, né tantomeno per la prima volta dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; che l’avvocato Borri era a conoscenza fin dal 22 /29 gennaio 2014 che il COA di Firenze era stato integrato con i tre nuovi avvocati, atteso che le deliberazioni di surroga erano state pubblicate, comunicate agli scritti con apposita circolare e che l’avvocato Borri non aveva proposto alcuna impugnazione amministrativa avverso le deliberazioni di surroga; che il CNF non aveva il potere di disapplicare l’atto amministrativo, come aveva chiesto l’avvocato Borri; che la giurisprudenza ha ritenuto di immediata applicazione il sistema di sostituzione dei componenti del Consiglio deliberato dalla nuova legge professionale.
Il C.N.F ha ritenuto però, che in presenza del nuovo Codice Deontologico Professionale Forense che non prevede la sanzione della cancellazione dall’albo, è applicabile al presente procedimento ancora in corso la sanzione più mite, quando si è in presenza di norme contenute nel nuovo codice deontologico che presentano corrispondenza con le norme del codice precedente; ha concluso che, dal raffronto tra i due codici ,la fattispecie oggetto della contestazione disciplinare è riconducibile nel precedente codice deontologico all’articolo 51, assunzione di incarichi contro ex clienti, e nel nuovo all’articolo 68, assunzioni di incarichi contro una parte già assistita; che l’articolo 68 del nuovo codice deontologico prevede, in ipotesi di assunzione di incarico contro ex clienti, una articolata tipizzazione delle violazioni e delle sanzioni che vanno dalla sospensione da due a sei mesi e, nei casi più gravi, dalla sospensione fino a tre anni; che fra le varie ipotesi di durata ha ritenuto essere corrispondente alla gravità dei fatti quella della sospensione per tre anni.
2. Con il primo articolato motivo di ricorso si censura violazione degli artt. 15, comma 3, del decreto legislativo 382/ 1944 e art. 65 comma 1 e 2 della legge numero 247/ 2012, applicabile ratione temporis al procedimento disciplinare de quo, secondo i quali, fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti attuativi previsti dalla nuova legge professionale, in caso di dimissioni di uno o più consiglieri, il reintegro dei componenti doveva avvenire attraverso le elezioni suppletive previste dalla previgente disciplina; violazione degli arti 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 numero 2248 allegato E per aver erroneamente ritenuto che il C.N.F nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale fosse privo del potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, nella specie le delibere consiliari del COA di Firenze, con cui erano stati illegittimamente nominati i nuovi consiglieri; violazione dell’art. 43 comma 2 del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 applicabile ratione temporis e conseguente illegittimità della sentenza del CNF nella parte in cui aveva ritenuto erroneamente sanato per acquiescenza o comunque non tempestivamente denunciato il vizio di costituzione dell’organo deliberante per il mancato raggiungimento del cosiddetto quorum costitutivo; vizio di eccesso di potere ex articolo 56 comma 3 del R.D.L 27/11/1933 n. 1578 per manifesta contraddittorietà del provvedimento impugnato con i precedenti atti emessi dalla stessa autorità nell’esercizio del potere di coordinamento e indirizzo dei consigli dell’ordine circondariale ed in particolare con la nota a firma dell’avvocato professor Guido Alpa con cui tutti gli ordini territoriali erano stati invitati ad sostituire consiglieri dimissionari con la regola delle elezioni suppletive.
3. I profili del motivo di ricorso relativi alla irregolare composizione dell’organo deliberante sono inammissibili per novità della censura . Infatti , come affermato dal CNF, l’avvocato Borri non ha proposto davanti al COA di Firenze alcuna censura relativa alla irregolare composizione dell’organo deliberante ed alla erronea sostituzione dei componenti consiliari dimissionari con i primi dei non eletti, senza l’espletamento di nuove elezioni, come previsto dalla previgente disciplina.
Di conseguenza ha dichiarato la inammissibilità del motivo.
Il ricorrente censura la sentenza del CNF per aver erroneamente individuato il vizio denunciato come quello di irregolare composizione dell’organo ,mentre in realtà egli aveva denunziato il vizio di ben più grave della mancanza del numero legale richiesto dalla legge per la valida costituzione del collegio ,che determina la nullità radicale di insanabile della eventuale delibera a cui avevano partecipato i tre componenti irregolarmente sostituiti, senza i quali non si sarebbe raggiunto il numero legale per la validità della delibera.
Il ricorrente, tuttavia, non censura la ratio decidendi della inammissibilità delle censure perché non proposte davanti al COA , nè Corte di Cassazione – copia non ufficiale indica in ricorso, come era suo onere , con quale atto processuale tale censura sarebbe stata proposta davanti al COA.
Non può trovare ingresso in questa sede l’eccezione di nullità della deliberazione del COA, nei sensi e nei termini prospettati con il motivo in esame, poiché i vizi della decisione del COA non possono essere denunciati per la prima volta con il ricorso per cassazione avverso la decisione del CNF . Sez. U, 14/06/2000 , n. 435 .
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la censura di irregolare composizione del Consiglio dell’ordine per mancata rituale convocazione di tutti i membri dello stesso, ove la relativa eccezione non sia già stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo Consiglio dell’ordine, non può essere dedotta, come motivo di impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale forense, ne’, tanto meno, per la prima volta, dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. Un., 9-5- 2011 n.10071, 4 maggio 2004, n.8431; 6 luglio 2005, n. 14214 e 28 ottobre 2005, n. 20997).
Va altresì disattesa l’argomentazione del ricorrente, secondo cui la questione della mancanza del quorum costitutivo non poteva essere sollevata davanti al Consiglio dell’ordine, in quanto nelle adunanze del 10.9.2014 e dell’8.10.2014 detto quorum era stato comunque raggiunto e nell’adunanza del 3.12.2014, nella quale è stato deliberato il provvedimento impugnato, l’incolpato non era stata ritualmente citato né altrimenti posto in condizione di parteciparvi.
Infatti, premesso che la questione della irregolare costituzione del contraddittorio nell’adunanza del 3.12.2014 risulta genericamente dedotta e non può essere esaminata in quanto proposta per la prima volta in questa sede di legittimità, non risultando essere stata sollevata nel giudizio di appello, osserva il collegio che nelle adunanze del 10.9.2014 e dell’8.10.2014, indipendentemente dalla problematica dell’esistenza del quorum costitutivo, si poneva già la questione della asserita, irregolare partecipazione di componenti non legittimati al collegio e alla discussione che ha preceduto il relativi deliberati , questione che il ricorrente avrebbe potuto e dovuto sollevare in quella sede, come eccezione, sin dalla prima adunanza,
4. La conferma della statuizione di inammissibilità per novità della censura assorbe i rimanenti profili di censura sollevati con il primo motivo.
5. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 111 Cost sotto il profilo della cosiddetta motivazione apparente o non ricostruibile logicamente, mancando il cosiddetto minimo costituzionale in relazione alla statuizione con cui il CNF, pur ritenendo applicabile l’articolo 68 della del nuovo codice deontologico forense quale legge più mite rispetto alla previgente disciplina, si è limitato ad una semplice enunciazione, senza motivare in quale delle cinque violazioni deontologiche previste dalla nuova legge rientrasse la fattispecie oggetto di causa, con assoluta impossibilità di comprensione e di individuazione della violazione contestata al ricorrente e della entità della sanzione applicata.
6. Il motivo è infondato.
Secondo giurisprudenza consolidata (per tutte e fra le più recenti: Cass. Sez. Un., 20 settembre 2016, n. 18395; Cass. Sez. Un., 22 luglio 2016, n. 15203), “le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 56 del r.d.l. n. 1578 del 1933, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito (Cass., S.U., n. 2637 del 2009); e non è quindi consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale.
Il C.N.F ,sul rilievo che il nuovo Codice deontologico professionale non prevede la sanzione della cancellazione dall’albo , ha ritenuto l’applicabilità della sanzione più mite, secondo il principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n.30993 del 2017, alla luce della quale in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014, si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’articolo 65, comma 5, della I. N. 247 del 2012, recepito il che, criterio i’ favor rei” il luogo dell’quello del “tempus regit actum” ,con la conseguenza che la sanzione della cancellazione dall’albo, in quanto non più prevista, è inapplicabile e, in luogo di essa, deve essere comminata la sospensione dall’albo nella durata prevista dal nuovo codice deontologico, anche ove in concreto superiore rispetto a quella dettata dal precedente, poiché, nel caso di successione di leggi, non si può procedere ad una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, più vantaggiosa».
In particolare il C.N.F, dopo aver rilevato che nel nuovo Codice deontologico sono contenute norme che presentano elementi di conformità con norme del precedente codice, ha ritenuto che, sulla base della raffronto tra i due suddetti codici ,la fattispecie oggetto della contestazione disciplinare era riconducibile, nel precedente codice deontologico, all’articolo 51 (assunzione di incarichi contro ex clienti), e nel nuovo codice rientra nell’articolo 68 (assunzioni di incarichi contro una parte già assistita), precisando ulteriormente che l’articolo 68 del nuovo codice prevede, in ipotesi di assunzione di incarico contro ex clienti, una articolata tipizzazione delle violazioni e delle sanzioni ,che si concretizzano nei casi più lievi (commi 1 e 4) nella sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi e, nei casi più gravi, (commi 2,3 e 5) nella analoga sospensione da uno a tre anni, per poi concludere che nel caso di specie , fra le varie ipotesi di durata della sospensione, ha ritenuto costituire sanzione più adeguata alla gravità dei fatti accertati e specificamente indicati in motivazione (pag. 12 della sentenza) la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di tre anni.
In particolare, in ordine alla gravità del comportamento dell’incolpato, il CNF ha condiviso gli elementi individuati COA come sintomo di gravità, vale a dire la violazione del giuramento di adempiere con lealtà ai doveri professionali, il coinvolgimento dell’avvocato Giacomo Puccini nell’azione giudiziaria promossa dalla signora Berviglieri su suggerimento dell’avvocato Borri, la consegna del ricorso ex art 447 bis c.p.c. alla cliente perché ne curasse il deposito in cancelleria, l’indicazione in detto ricorso quale teste dello stesso avvocato Borri, la violazione del dovere di fiducia verso i propri clienti o ex clienti contro i quali ha promosso in « modo subdolo» azione giudiziaria, assumendo con la interposizione di un collega la difesa della signora Berviglieri, la compromissione dell’immagine della classe forense in quanto i fatti erano venuti a conoscenza di più avvocati.
7. Da tale motivazione si evince, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l’esatta individuazione della norma deontologica violata, articolo 68 commi 2 e 3, e dei motivi che hanno indotto il CNF ad applicare la sanzione massima. In sostanza la censura , più che concretare una ipotesi di violazione di legge, attinge l’accertamento della gravità del fatto e la valutazione dell’ adeguatezza della sanzione irrogata, accertamento rimesso all’Ordine professionale, mentre il controllo di legittimità sull’applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio Nazionale Forense nel giudizio di adeguatezza della sanzione irrogata, essendo positiva la valutazione di ragionevolezza in ordine all’individuazione del precetto ,alla gravità del fatto ed alla adeguatezza all’accertata gravità della sanzione della sospensione per tre anni. (Sez. U, Ordinanza n. 6967 del 17/03/2017).
Il ricorso conclusivamente deve essere rigettato. Nulla spese stante l’assenza dell’intimato.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Roma 30-1-2018
Il Consigliere estens.
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 31 luglio 2018, n. 20344, in tema di illecito disciplinare
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
La compensazione legale non esclude l’illecito disciplinare di cui all’art. 31 del Codice deontologico forense
1. I principi di diritto
In base all'art. 31 del Codice deontologico forense, l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme, riscosse per conto di questa, che possono essere oggetto di lecita compensazione solo in presenza di preventivo ed inequivoco consenso prestato dal cliente.
La condotta sanzionata non si esaurisce nella semplice percezione della somma, ma ricomprende il comportamento, protrattosi nel tempo, consistente nell’avere l’avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente consegnato al cliente.
2. I precedenti
Le Sezioni Unite si sono espresse sul punto anche in altre occasioni.
Così, secondo SS.UU, 21 febbraio 2019, n. 5200, l’avvocato che si appropri dell’importo dell’assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell’esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza; similmente, in base a un diverso arresto - quello di SS.UU, 30 giugno 2016, n. 13379 -, l’avvocato che prometta al proprio assistito la consegna delle somme riscosse per suo conto senza provvedervi immediatamente contravviene all’art. 44, ultimo comma, del Codice deontologico forense vigente ratione temporis (ora art. 31), ponendo in essere una condotta connotata dalla ridetta continuità della violazione deontologica.
3. Riflessioni conclusive
L’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, indipendentemente dal rilievo che tali comportamenti assumano sul piano civile o penale.
La deontologia forense è retta da precetti speciali suoi propri, che definiscono la correttezza e la lealtà dell'operato dell'avvocato: precetti consistenti nell’imposizione di condotte, positive o astensive, che le norme dell’ordinamento giuridico generale possono in concreto non richiedere, siccome non preordinate all’obiettivo di assicurare l’etica dei comportamenti del professionista; ciò vale, in particolare, per le norme civili sulla compensazione: istituto, questo, che assolve a funzioni sue proprie, tra cui, primariamente, quella di assecondare una elementare esigenza di economicità del sistema.
In tal senso, la disciplina deontologica e quella codicistica sulla compensazione riflettono una diversa vocazione: sicché, pure astraendo dalla precisa estensione applicativa delle regole sulla compensazione, deve negarsi che queste possano far venir meno l’illecito disciplinare consistente nel trattenimento della somma che l’avvocato ha ricevuto in nome e per conto del cliente.