Civile Ord. Sez. U Num. 23436 Anno 2022
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SCODITTI ENRICO
Data pubblicazione: 27/07/2022
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta da:
Pietro CURZIO Primo Presidente
Francesco TIRELLI Presidente di sezione
Giacomo TRAVAGLINO Presidente di sezione
Enrico MANZON Consigliere
Enrico SCODITTI Consigliere rel.
Alberto GIUSTI Consigliere est.
Guido MERCOLINO Consigliere
Antonella PAGETTA Consigliere
Antonio Pietro LAMORGESE Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al NRG 23567 del 2020 promosso da:
COMUNE DI CANEVA e SINDACO DEL COMUNE DI CANEVA nella qualità di Ufficiale di Governo, rappresentati e difesi dall’Avvocato Luca Mazzero, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
– ricorrenti –
contro
COMITATO DI SALVAGUARDIA DIETRO CASTELLO; ROS Emma, ZANCHETTA Evio, BESSEGA Giorgio, ZANCHETTA Ottavio, ZANCHETTA Emanuela, ZANARDO Michela, DA ROS Orsolina, ZANCHETTA Valerio, CHIARADIA Giulia, MARZOTTO Sergio, POLESE Andrea, POLESE Rizieri; tutti rappresentati e difesi dagli Avvocati Marcellino Marcellini e da Marco Rebecca, con domicilio eletto nello studio dell’Avvocato Mariano Cigliano in Roma, via degli Scipioni, n. 132;
– controricorrenti –
contro
CAO Massimiliano e CORDAZZO Sandro;
– intimati –
nei confronti di
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, rappresentata e difesa dagli Avvocati Mauro Cossina e Marina Pisani, con domicilio eletto presso l’Ufficio distaccato della Regione in Roma, piazza Colonna, n. 355;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nei confronti di
MINISTERO DELLA SALUTE;
– intimato –
nei confronti di
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A.;
– intimata –
e sul ricorso successivo promosso da:
MINISTERO DELLA SALUTE, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio presso l’Ufficio in Roma, via dei Portoghesi, n, 12;
– ricorrente –
contro
COMITATO DI SALVAGUARDIA DIETRO CASTELLO; ROS Emma, ZANCHETTA Evio, BESSEGA Giorgio, ZANCHETTA Ottavio, ZANCHETTA Emanuela, ZANARDO Michela, DA ROS Orsolina, ZANCHETTA Valerio, CHIARADIA Giulia, MARZOTTO Sergio, POLESE Andrea, POLESE Rizieri, tutti rappresentati e difesi dagli Avvocati Marcellino Marcellini e Marco Rebecca, con domicilio eletto nello studio dell’Avvocato Mariano Cigliano in Roma, via degli Scipioni, n. 132;
– controricorrenti –
contro
CAO Massimiliano e CORDAZZO Sandro;
– intimati –
e nei confronti di
COMUNE DI CANEVA e SINDACO DEL COMUNE DI CANEVA nella qualità di Ufficiale di Governo; REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA; UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A.;
– intimati –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Trieste n.296/2020 pubblicata il 30 giugno 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2022 dal Consigliere Enrico Scoditti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Pasquale Fimiani, che ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi, la cassazione della sentenza impugnata e la declaratoria della giurisdizione del giudice amministrativo;
affidata la stesura della motivazione al Consigliere Alberto Giusti.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Comitato di Salvaguardia Dietro Castello, Emma Ros ed altre persone fisiche residenti nel Comune di Caneva convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Trieste, la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, il Comune di Caneva, il Sindaco di Caneva quale Ufficiale di Governo ed il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale cagionato sia al Comitato (in relazione alle finalità statutarie di quest’ultimo) che alle persone fisiche in conseguenza delle persistenti immissioni di odori e polveri provenienti da un’azienda agricola posta nel territorio del predetto Comune, danno reso possibile dalla mancata adozione, da parte delle convenute autorità amministrative, dei provvedimenti, di loro spettanza, a tutela del territorio, della salute e dell’ambiente.
Si costituirono le parti convenute, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Venne chiamato in causa il terzo Unipol Sai Assicurazioni s.p.a.
Il Tribunale adito, con sentenza depositata in data 1 febbraio 2019, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo.
2. – Avverso detta sentenza proposero appello le originarie parti attrici.
Con sentenza pubblicata il 30 giugno 2020, la Corte d’appello di Trieste ha accolto il gravame, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario e rimesso le parti davanti al Tribunale di Trieste.
Ha osservato la Corte territoriale che è dedotta in giudizio la lesione di un diritto soggettivo, quello alla salute, costituzionalmente tutelato, al di fuori delle materie riservate dall’art. 133 cod. proc. amm. alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e che la lesione è stata cagionata dal rifiuto-inadempimento relativo a provvedimenti vanamente sollecitati dagli appellanti, non potendo inoltre il richiesto danno biologico essere ricondotto alla materia del danno ambientale, rilevante solo ai fini delle azioni collettive di natura risarcitoria contro il silenzio-inadempimento del Ministero dell’ambiente.
La Corte d’appello ha aggiunto che l’accertamento sia del mancato adempimento da parte delle amministrazioni convenute dei doveri imposti dalla legge a tutela del territorio, della salute e dell’ambiente, che del nesso di causalità fra tali omissioni e il danno da immissioni provocato dall’attività di allevamento esercitata dall’azienda, non può formare oggetto di un giudizio separato, giacchè concerne nel suo complesso l’imputabilità dell’evento dannoso alla condotta colpevole della P.A. e pertanto finisce per riguardare un elemento costitutivo del diritto al risarcimento del danno.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso, con un unico atto, il Comune di Caneva e il Sindaco, nella qualità di Ufficiale di Governo, sulla base di un motivo.
Ha depositato controricorso la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, aderendo al ricorso e proponendo anche ricorso incidentale sulla base di un motivo.
Il Comitato di Salvaguardia Dietro Castello e le persone fisiche originarie attrici hanno resistito, con controricorso, al ricorso principale del Comune e del Sindaco ed al ricorso incidentale della Regione.
Ha proposto ricorso per cassazione, articolato su un motivo di doglianza, anche il Ministero della salute; vi ha resistito, con controricorso, il Comitato di Salvaguardia Dietro Castello con le persone fisiche originarie attrici.
4. – I ricorsi sono stati inizialmente fissati in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Con ordinanza interlocutoria n. 40551 del 2021, depositata in data 17 dicembre 2021, è stato disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
5. – Alla decisione dei ricorsi, fissati per la trattazione in pubblica udienza il 5 aprile 2022, la Corte ha tuttavia proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020, in combinato disposto con il Decreto Legge n. 228 del 2021, art. 16, comma 1, (che ne ha prorogato l’applicazione alla data del 31 dicembre 2022), non avendo nessuna delle parti formulato istanza di discussione orale.
6. – Il Procuratore Generale ha presentato le conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
Il Pubblico Ministero ha osservato che il danno di cui è chiesto il risarcimento è cagionato dalla colposa omessa adozione, da parte delle convenute autorità amministrative, dei provvedimenti a tutela del territorio, della salute e dell’ambiente (ordinanze contingibili e urgenti ai sensi degli artt. 50 del testo unico delle leggi sugli enti locali, approvato con il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, e L. n. 833 del 1978, art. 32, comma 3; provvedimenti ai sensi dell’art. 217 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; provvedimenti in materia di insediamento di attività produttive in base alle funzioni attribuite dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998, art. 23), idonei ad impedire le immissioni pregiudizievoli per la salute e l’ambiente derivanti dall’attività di allevamento svolta dall’Azienda Agricola s.s. Castello in contrasto con lo strumento urbanistico ed in difetto di autorizzazioni amministrative e, quanto alla Regione, cagionato dalle omissioni nel controllo di tale attività.
Ad avviso dell’Ufficio della Procura Generale, la pretesa azionata ha ad oggetto un’attività delle amministrazioni convenute destinata ad estrinsecarsi in provvedimenti secondo legge. Il risarcimento del danno richiesto non è correlato al mancato svolgimento di un’attività di natura materiale.
Il Pubblico Ministero osserva che la pretesa a che un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non può essere configurata come un diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio.
Rispetto alla tutela della salute pubblica dall’inquinamento ambientale, l’amministrazione – sottolinea il rappresentante della Procura Generale – è dotata di poteri discrezionali. La posizione soggettiva vantata dal privato non può che rivestire natura di interesse legittimo pretensivo. L’inerzia è nella specie riconducibile all’esercizio di un pubblico potere.
7. – Sono state depositate memorie di parte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il Comune di Caneva e il Sindaco nella qualità di Ufficiale di Governo, con il motivo di censura, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 30, comma 6, e 133 cod. proc. amm., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 Osserva la parte ricorrente che sussiste la giurisdizione del giudice ammnistrativo perchè il danno lamentato sarebbe conseguente all’omesso esercizio del potere amministrativo, che, in quanto speculare all’esercizio del potere, ed involgente così una posizione di interesse legittimo, è attribuito alla giurisdizione amministrativa. Rientrerebbe nel campo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la cognizione relativa alla violazione di un diritto fondamentale, quale quello alla salute.
Si osserva nel ricorso che il Comune non è rimasto inerte di fronte alle richieste di intervento esplicate dal Comitato e da alcuni residenti e che l’Agenzia regionale per la protezione ambientale non ha mai fornito indicazioni circa la necessità di assumere provvedimenti per la tutela della salute pubblica. Nessuna autorità investita di poteri di vigilanza e di controllo avrebbe mai segnalato un pericolo grave e imminente per la popolazione.
I ricorrenti ricordano, a sostegno della censura, che, in presenza di una ipotesi di mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative, si è al cospetto di interesse legittimi pretensivi del privato, che ricadono, per loro intrinseca natura, nella giurisdizione amministrativa. Venendo in rilievo un asserito mancato esercizio di poteri in materia urbanistica e di poteri extra ordinem, la controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. amm..
La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, con il motivo di ricorso incidentale, denuncia anch’essa violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 30, comma 6, e 133 cod. proc. amm., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 Osserva la parte ricorrente in via incidentale che la posizione soggettiva vantata, riferita all’esercizio del potere amministrativo, ha natura di interesse legittimo e che, in ogni caso, il denunciato mancato esercizio del potere regionale rientra nella materia dell’uso del territorio, assegnata, dall’art. 133 cod. proc. amm., alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche ad altro titolo, essendo in questione il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo, i provvedimenti anche contingibili e urgenti in materia di igiene pubblica, i provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto di esercizio d’industrie insalubri o pericolose, gli atti e i provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all’ambiente.
Il ricorso del Ministero della salute denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 30, comma 6, e 133 cod. proc. amm., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, sul rilievo che la posizione soggettiva azionata, in quanto relativa al mancato esercizio del potere amministrativo, avrebbe natura di interesse legittimo. In ogni caso, l’invocata lesione del diritto alla salute si inserirebbe nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 133 cod. proc. amm. Secondo la difesa erariale, il rango costituzionale del diritto alla salute non varrebbe, di per sè solo, ad escluderne in radice la comprimibilità e l’affievolimento ad interesse legittimo, quanto meno nei casi in cui lo stesso vada contemperato con altri diritti di pari rango, quale quello (che viene in rilievo nel caso di specie) avente ad oggetto l’iniziativa economica privata. Nel presente giudizio verrebbero in questione posizioni di interesse legittimo relative al mancato esercizio del potere amministrativo. Comunque, gli attori avrebbero lamentato il silenzio e l’inadempimento dell’amministrazione in materie di giurisdizione esclusiva.
2. – Le censure articolate dalle Amministrazioni ricorrenti ruotano attorno ad un nucleo comune.
Si sostiene che la pretesa risarcitoria azionata dai privati, essendo basata sull’omesso compimento dell’attività provvedimentale necessaria ad evitare l’insorgenza del pregiudizio alla salute, avrebbe natura di interesse legittimo. L’interfaccia sostanziale dell’omesso esercizio del potere discrezionale attribuito per la preservazione dell’igiene e della sanità pubblica sarebbe rappresentata, ad avviso dei ricorrenti, da una situazione di interesse legittimo corrispondente al diritto costituzionale alla salute.
Il mancato esercizio del potere, lesivo della posizione di interesse legittimo, rientrerebbe, anche per i profili risarcitori, nella giurisdizione assegnata al giudice amministrativo.
Competerebbe al giudice amministrativo di sindacare se la scelta dell’amministrazione di non esercitare il potere appaia non conforme al canone della proporzionalità, ovvero abbia superato la soglia del contenuto minimo essenziale del diritto fondamentale alla salute.
La controversia – si sostiene – ricadrebbe, in ogni caso, nell’ambito della giurisdizione esclusiva.
3. – I motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, attesa la loro stretta connessione – sono infondati.
4. – Secondo il costante indirizzo di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. Un., 21 settembre 2021, n. 25480; Cass., Sez. Un., 30 marzo 2022, n. 10244), la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione della parte, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto sulla base della causa petendi, ossia sui fatti dedotti a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo della lite e sul rapporto giuridico di cui sono espressione.
5. – Occorre, pertanto, in primo luogo stabilire se il petitum sostanziale della domanda sia relativo ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo.
è su questa distinzione, infatti, che s’impernia il criterio fondamentale di riparto della giurisdizione, salvi i casi, stabiliti dalla legge, in cui è assegnata al giudice amministrativo una giurisdizione anche sui diritti soggettivi. In questi casi – di giurisdizione esclusiva – il cittadino può agire davanti al giudice amministrativo non solo per tutelare i suoi interessi legittimi o per ottenere il risarcimento dei danni cagionati a tali interessi, ma anche, più in generale, per tutelare i diritti soggettivi che egli vanti nei confronti dell’amministrazione.
Il riparto ha fondamento costituzionale nella dicotomia diritti soggettivi – interessi legittimi (artt. 24, 103 e 113 Cost.), alla quale nell’unità funzionale e non organica della giurisdizione nazionale corrisponde un giudice al quale è naturalmente devoluta la cognizione: al giudice ordinario sui diritti soggettivi e al giudice amministrativo sugli interessi legittimi, fatte salve, appunto, le materie di giurisdizione esclusiva, in cui è concentrata presso quest’ultimo la tutela di entrambe le situazioni, poichè nelle “speciali materie” ex art. 103 Cost. queste si presentano inestricabilmente intrecciate.
6. – L’indagine in ordine al petitum sostanziale deve essere compiuta considerando che nella specie viene in rilievo il diritto alla salute nei rapporti con l’amministrazione pubblica.
La tutela della salute, sotto la specie della tutela dell’integrità psi-co-fisica e della salubrità dell’ambiente, è un interesse obiettivo dell’ordinamento. La Costituzione (art. 32) assicura ad essa una garanzia diretta: tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Nella Costituzione il diritto alla salute è tutelato innanzitutto come diritto alla propria integrità psico-fisica.
Si tratta di una situazione soggettiva che si declina e si compendia nella pretesa, anche a prescindere da qualunque intermediazione legislativa o amministrativa, a che i terzi non pongano in essere atti che possano pregiudicarla.
La protezione costituzionale del diritto all’ambiente salubre – ora riconosciuta esplicitamente, a seguito della Legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, recante “Modifiche agli artt. 9 e 41 Cost. in materia di tutela dell’ambiente” – si ricollega direttamente ed immediatamente alla protezione costituzionale del diritto alla salute come diritto alla propria integrità psico-fisica, della quale rappresenta il prolungamento e la naturale evoluzione, giacchè la salute di un organismo è legata al contesto in cui esso vive. Tra salute e ambiente c’è non solo interazione semantica, ma anche convergenza valoriale: la salute può subire danni dalla degradazione dell’ambiente e al contempo la conservazione dell’ambiente contribuisce alla tutela e alla promozione della salute.
L’insieme dei soggetti governanti – la Repubblica, come proclama l’incipit dell’art. 32 Cost. – è senz’altro tenuto ad attivarsi per far sì che quel bene, la cui tutela è di importanza primaria, non corra, nel suo nucleo essenziale, pericoli di compromissione.
7. – Il diretto esame della citazione (possibile in questa sede, essendo la Corte di cassazione, nelle questioni di giurisdizione, giudice anche del fatto processuale) conduce a rilevare che il petitum sostanziale si risolve nella denuncia di una ipotesi di mera inerzia della pubblica amministrazione nell’adozione di provvedimenti doverosi a tutela del diritto alla salute e all’ambiente salubre. Si tratta della lesione del diritto alla salute, primariamente addebitabile a una situazione di inquinamento ambientale derivante dalle immissioni di un’azienda privata, nella quale è posta come concausa la condotta omissiva delle autorità pubbliche convenute in giudizio. L’inerzia addebitata al Comune e al suo Sindaco, alla Regione e al Ministero rientra, nella tesi degli attori, nell’ordinario contributo causale di una condotta omissiva violativa del principio generale del neminem laedere. La mancata adozione del provvedimento e le omissioni nel controllo dell’attività di allevamento rilevano, non come illegittimità dell’esercizio negativo del potere, ma come mera inerzia delle amministrazioni convenute, ossia come un comportamento materiale negligente e imprudente nella doverosa tutela della salute.
Con l’atto di citazione introduttivo, infatti, gli attori hanno sostenuto che le amministrazioni convenute sono rimaste silenti di fronte alle reiterate segnalazioni e diffide, a partire dal maggio 2003, dei cittadini di Caneva che lamentavano immissioni intollerabili e tossiche provenienti dall’allevamento avicolo intensivo esercitato dalla società agricola Castello, spendendo il loro tempo – secondo quanto dedotto dagli attori – a rimbalzarsi le competenze e le responsabilità, ignorando le decisioni dell’autorità giudiziaria che avevano condannato in sede penale i gestori dell’azienda e l’evidenza delle emissioni nocive sull’ambiente e sulla salute dei residenti derivanti dal superamento, accertato dall’Agenzia regionale di protezione ambientale, dei limiti massimi di concentrazione di ammoniaca.
Difatti, nell’atto di citazione si prospettano, a sostegno della domanda, le seguenti circostanze:
(a) in più di una occasione il Tribunale di Pordenone ha riconosciuto la responsabilità penale degli amministratori della Azienda Agricola Castello per il reato di cui all’art. 674 c.p., per avere provocato, in casi non consentiti dalla legge, emissioni di polveri ed effluenti gassosi atti ad offendere o molestare le persone dimoranti nelle vicinanze;
(b) l’Agenzia regionale per la protezione ambientale, negli studi sulla qualità dell’aria nella zona circostante l’insediamento avicolo, ha concluso che la presenza e la modalità di diffusione dell’ammoniaca portano a ritenere che l’attività di allevamento di polli è la fonte delle molestie olfattive;
(c) secondo le misurazioni dell’ARPA, la concentrazione di ammoniaca è doppia rispetto al limite di tossicità;
(d) l’attività di allevamento intrapresa dall’azienda è priva della prescritta autorizzazione amministrativa;
(e) il Tribunale di Pordenone, con una sentenza del 2009, dopo aver accertato la situazione di persistente insalubrità dell’ambiente, ha rilevato che questa è stata favorita dalla “inerzia dei vari organi pubblici, pure ripetutamente interpellati” dal Comitato;
(f) “la P.A. ha perseverato nella sua inazione, abbandonando di fatto i cittadini, incapace di contrapporsi ad una realtà produttiva inquinante”;
(g) a causa di tale inerzia, un dirigente del Servizio regionale di tutela da inquinamento è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale di Trieste per il reato di rifiuto di atti di ufficio, di cui all’art. 328 c.p., per non aver adottato il provvedimento di inibitoria dell’attività della società agricola e per non aver esposto le ragioni del ritardo; il processo è stato definito con l’applicazione della pena su richiesta.
Con l’atto di citazione gli attori hanno denunciato l'”incredibile inerzia” (pag. 36) degli organi che avevano il potere-dovere di intervenire a tutela delle situazioni giuridiche delle quali è stata lamentata per oltre un decennio la lesione. Regione e Comune, in particolare, avrebbero “permesso all’allevamento avicolo di inquinare per un lungo periodo di tempo l’ambiente circostante con grave pregiudizio per la salute dei residenti, costringendoli a subire un costante deterioramento della qualità della vita, anche in termini di degrado delle condizioni di salute”.
In questo contesto, ritiene il Collegio che la causa petendi risieda, non nella illegittimità dell’omessa adozione dell’uno piuttosto che dell’altro provvedimento discrezionale, ma, secondo quanto è sostanzialmente dedotto con l’atto di citazione, nell’abbandono, da parte delle autorità pubbliche, di una posizione di garanzia, nel loro mancato attivarsi a protezione del diritto fondamentale all’ambiente salubre.
L’omissione provvedimentale della pubblica amministrazione è un fatto, una omissione colposa delle doverose cautele imposte dalla diligenza e dalla prudenza, l’allontanamento da una posizione di tutela rivolta alla preservazione del nucleo minimo della posizione fondamentale garantita dalla Costituzione, in violazione del neminem laedere.
Non è in discussione la legittimità dell’adozione o meno di questo o di quel provvedimento amministrativo, ma è dedotto un illecito comportamento materiale della P.A., nella concreta fattispecie principalmente consistente nella colpevole inerzia, nella non-attività, nella mancata adozione delle pur dovute misure rivolte ad eliminare o a ridurre nei limiti della soglia di tollerabilità le immissioni nocive.
8. – Ai fini della riconduzione della situazione fatta valere in giudizio nell’alveo del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, alcune considerazioni preliminari si impongono.
Esse attengono al tipo di azione proposta, all’evoluzione della figura dell’interesse legittimo e, in quest’ambito, al significato che, in tema di riparto, riveste la riconducibilità, a un diritto costituzionalmente tutelato, della situazione soggettiva fatta valere nei confronti dell’autorità amministrativa.
9. – Innanzitutto, per la devoluzione della controversia al plesso della giurisdizione ordinaria o a quello della giurisdizione speciale non rileva la prospettazione soggettiva compiuta dalla parte in termini di affermazione della titolarità di una posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo, dovendo il petitum sostanziale essere valutato sul piano oggettivo.
Esso, inoltre, va identificato non tanto nel tipo di azione proposta o di pronuncia richiesta, ma in funzione appunto della causa petendi.
In particolare, l’evoluzione in senso ampliativo della disciplina processuale dell’interesse legittimo – inizialmente, e per molti decenni, limitata alla sola azione demolitoria, ed arricchitasi alla fine del secolo scorso con l’ammissione dell’azione risarcitoria – induce a guardare, ai fini della individuazione della posizione rilevante per il riparto, non tanto alla pretesa risarcitoria in sè, quanto, piuttosto, alla posizione lesa, vale a dire alla posizione di cui si faccia questione in giudizio.
In altri termini, la giurisdizione non è devoluta al giudice ordinario per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino nei confronti della pubblica amministrazione abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, dal momento che il risarcimento è un rimedio (uno tra quelli previsti dall’ordinamento giuridico) a tutela di posizioni giuridiche soggettive riconosciute al singolo.
Anche il risarcimento del danno integra, su un piano generale, le modalità di tutela dell’interesse legittimo.
10. – La seconda puntualizzazione è che entrambe le figure, diritto soggettivo e interesse legittimo, appartengono alla categoria sistematica dell’interesse giuridicamente rilevante.
L’interesse legittimo non è più visto come un interesse occasionalmente protetto dall’ordinamento per finalità che esulano in tutto o in parte dall’interesse sostanziale cui il titolare aspira, ma si presenta come posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico. Esso si compendia nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell’interesse al bene.
L’interesse legittimo è una posizione idonea a supportare la tutela risarcitoria, come si è positivamente realizzato a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500, e richiede una tutela piena ed effettiva, come ogni altra situazione giuridica soggettiva.
Poichè l’interesse legittimo incorpora anche una pretesa risarcitoria, è evidente che esso ha per oggetto un bene della vita che il titolare mira ad acquisire o a conservare, sia pure tramite l’intermediazione del potere amministrativo, e che è suscettibile di essere leso da un provvedimento illegittimo.
Avendo una dimensione sostanziale, l’interesse legittimo rappresenta l’interesse in ordine ad un bene della vita meritevole di protezione toccato dall’esercizio del potere.
La protezione dell’interesse legittimo ha guadagnato in effettività. Il codice del processo amministrativo – espressamente finalizzato a garantire una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto Europeo – prefigura un sistema aperto di tutele e non di azioni tipiche.
Diritto soggettivo e interesse legittimo rimangono comunque nozioni distinte, sebbene la distinzione sia più sfumata rispetto al passato.
Rimane fermo il dato distintivo per il quale, in presenza di un potere discrezionale, la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è di interesse legittimo. Ciò perchè la conservazione o l’acquisizione del bene della vita in capo al soggetto privato, lungi dall’essere garantita in modo diretto dalla norma, è rimessa alla valutazione dell’amministrazione titolare del potere e l’atto emanato ha natura propriamente autoritativa.
L’interesse legittimo si distingue dal diritto soggettivo per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo.
La norma è attributiva del potere quando conferisce all’autorità amministrativa la potestà di scelta discrezionale in ordine alla disposizione degli interessi e alla fissazione del precetto giuridico.
Se invece il diritto sostanziale è stato fissato dalla legge con la preventiva definizione della gerarchia degli interessi, il rapporto giuridico che viene così instaurato attiene a diritti soggettivi e l’autorità amministrativa può all’occorrenza essere preposta alla vigilanza circa l’osservanza del precetto giuridico o a darvi attuazione.
La norma attributiva del potere offre, in definitiva, al titolare dell’interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l’esercizio del potere, anzichè finale, come accade per il diritto soggettivo.
Di fronte al potere discrezionale non vi è possibilità di ascrivere in modo immediato e diretto il vantaggio o bene della vita alla sfera giuridica del soggetto privato, ciò che caratterizza, al contrario, la struttura del diritto soggettivo.
Diversa è la situazione, invece, nel caso in cui il potere sia vincolato in tutti i suoi elementi dalla norma giuridica.
11. – La terza considerazione preliminare attiene alla rilevanza, sull’individuazione della natura della situazione soggettiva e sul riparto, dell’entrata in campo di una posizione di diretta fonte costituzionale.
Non v’è dubbio che nella Costituzione italiana, come nelle altre Costituzioni democratiche e pluraliste, il diritto fondamentale risulta proclamato nella forma del principio e, proprio perchè tale, cade in un bilanciamento (“tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri” – Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2013).
Così, quando si fronteggiano il diritto al lavoro, il sostegno all’occupazione e all’economia locale, da una parte, e il diritto alla salute, dall’altro, è proprio attraverso la tecnica del ragionevole bilanciamento che il legislatore persegue la conciliazione dei diversi diritti, con la compressione del diritto fondamentale in modo proporzionato e nella misura strettamente necessaria e con la garanzia del minimo inviolabile del diritto nella compressione che deriva dalla ponderazione con l’altra posizione soggettiva.
La giurisprudenza costituzionale offre all’interprete molti esempi al riguardo. Così, nella sentenza n. 182 del 2017, la Corte osserva che gli interventi legislativi succedutisi nel tempo “sono accomunati da una medesima ratio, quella di realizzare un ragionevole bilanciamento tra una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti: da un lato, l’interesse nazionale alla prosecuzione dell’attività di uno stabilimento avente natura strategica e al mantenimento dei livelli occupazionali; dall’altro, l’interesse a che l’attività produttiva prosegua nel rispetto dell’ambiente circostante e della salute degli individui”. La cornice costituzionale – sottolinea la Corte – “impone alle istituzioni di tenere in considerazione l’esigenza di garantire la continuità produttiva (…), scongiurando una crisi occupazionale, senza tuttavia sottovalutare la grave compromissione della salubrità dell’ambiente, e quindi della salute delle popolazioni presenti nelle zone limitrofe”.
I diritti fondamentali sono – al pari di ogni diritto – soggetti al bilanciamento, e dunque alla possibilità che la tutela avvenga secondo gradazioni che dipendono dalla presenza e dalla rilevanza di altri interessi, da intendere – come è stato autorevolmente osservato in dottrina – anche in una prospettiva qualitativa, secondo la maggiore o minore afferenza rispetto alla dimensione essenziale della dignità della persona. Il valore della persona umana, infatti, è il valore primario, intorno al quale tutto ha da essere ordinato.
Ove detto bilanciamento sia già stato interamente effettuato dal legislatore, l’interesse fondamentale non può che avere la consistenza di un diritto soggettivo anche verso la pubblica amministrazione.
Ma può anche darsi che, per alcuni aspetti, la realizzazione dell’interesse fondamentale, ovvero il grado e le modalità di detta realizzazione, sia fatta dipendere da scelte che implichino (oltre quelle, eventualmente, già effettuate dal legislatore) valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione, in relazione alle quali la posizione del privato si profila come posizione di interesse legittimo.
Il diritto e la giustizia sono fatti per le persone e agli appartenenti alla comunità la Costituzione assegna diritti inviolabili e doveri inderogabili, legati dal collante della solidarietà. Il diritto fondamentale vive in una dimensione solidale e richiede spesso l’intervento del potere pubblico a fini di bilanciamento con altri principi parimenti fondamentali.
Tuttavia, vi è un carattere proprio dei diritti fondamentali in quanto diritti che godono di una copertura costituzionale: la presenza, in essi, di un contenuto minimo, di un contenuto di valore.
Nella misura in cui viene ad essere coinvolto il nucleo minimo essenziale di tali diritti, l’azione della P.A. difetta sin dall’origine di qualsiasi carattere di discrezionalità e si prospetta come un’azione vincolata, sicchè la posizione del privato si configura come di diritto soggettivo pieno, con tutte le conseguenze in punto di giurisdizione.
Quando viene in gioco tale nucleo essenziale, il diritto alla salute si presenta come diritto soggettivo assoluto e primario, insuscettibile di qualsivoglia compressione e limitazione da parte così del legislatore ordinario come pure (e a maggior ragione) della P.A.
La P.A. deve altresì ritenersi carente di discrezionalità in tutti quei casi in cui il bene salute, anche al di là della tutela del suo nucleo essenziale, risulta conformato dal legislatore ordinario senza lasciare in sede applicativa ulteriori margini di bilanciamento con l’interesse pubblico.
La prospettiva d’insieme è evidenziata nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice. La categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2014, n. 25011). Ferma l’incomprimibilità del nucleo minimo essenziale, del nocciolo duro del diritto inviolabile, a seconda delle modalità con le quali il legislatore prende in considerazione situazioni giuridiche fondamentali è ben possibile che lo stesso introduca forme di protezione che affidano al potere amministrativo la concreta determinazione e conformazione del livello di tutela del diritto fondamentale, che si realizza, in un quadro pluralistico, attraverso il bilanciamento, ragionevole e proporzionato, con altri valori costituzionali (Cass., Sez. Un., 15 febbraio 2022, n. 4873).
La sussistenza di poteri conferiti dalla legge alla pubblica amministrazione, anche quando il bene della vita coinvolto è proiezione di un diritto fondamentale, trova conferma sia nel riconoscimento, ad opera della Corte costituzionale, della idoneità del giudice amministrativo “ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” (sentenza n. 140 del 2007); sia nelle previsioni legislative contenute nel codice del processo amministrativo che escludono che la concessione o il diniego della misura cautelare possa essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (art. 55), o che, ad esempio, affidano alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati (art. 133, comma 1, lettera p).
è proprio la prospettiva della valutazione dei diritti fondamentali sistemica e non isolata o frazionata (Corte costituzionale, sentenza n. 264 del 2012) e della verifica in concreto del quadro normativo e delle modalità con le quali è preso in considerazione il diritto fondamentale in gioco, a risultare decisiva ai fini del riparto delle giurisdizioni, dovendosi ritenere che, ove il legislatore abbia delineato e predefinito in modo assoluto e cogente un determinato diritto fondamentale e le modalità della sua protezione, non prevedendo alcuna mediazione da parte del potere pubblico, la giurisdizione vada senza alcun dubbio attribuita al giudice ordinario.
12. – Poste tali premesse, al Collegio preme osservare che, in generale, la pretesa a che un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non può essere configurata come un diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio, nè quando essa investa la scelta dell’amministrazione se esercitare o meno quel potere, in una situazione data, nè quando sia volta a sindacare i tempi ed i modi in cui lo si è esercitato.
Può dunque solo qualificarsi come interesse legittimo quello del privato a ottenere un bene della vita quando esso viene a confronto con un potere attribuito dalla legge all’amministrazione non per la soddisfazione proprio di quell’interesse individuale, bensì di un interesse pubblico che lo ricomprende, per la realizzazione del quale l’amministrazione è dotata di discrezionalità nell’uso dei mezzi a sua disposizione (Cass., Sez. Un., 18 maggio 2015, n. 10095; Cass., Sez. Un., 2 luglio 2015, n. 13568; Cass., Sez. Un., 17 luglio 2019, n. 19231; Cass., Sez. Un., 12 novembre 2021, n. 33851; Cass., Sez. Un., 29 luglio 2021, n. 21768).
La tutela dell’interesse legittimo nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo si attua anche rispetto all’omissione di provvedimenti che invece, in base alla legge, avrebbero dovuto essere adottati dall’amministrazione.
Si tratta – come fa notare la dottrina – di una conclusione che si trae dallo stesso codice del processo amministrativo: l’art. 7, comma 4, comprende nella giurisdizione di legittimità le vertenze relative non solo ad atti e provvedimenti, ma anche ad omissioni.
13. – Occorre tuttavia subito precisare che, accanto a questo orientamento, si pone un consistente filone giurisprudenziale, sviluppatosi proprio in ambito di immissioni intollerabili per la salute umana, secondo cui l’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni, là dove le immissioni nocive provengano dal bene pubblico (o da impianto privato realizzato sulla base di provvedimento amministrativo), può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere (fra le tante, Cass., Sez. Un., 6 settembre 2013, n. 20571; Cass., Sez. Un., 20 ottobre 2014, n. 22116; Cass., Sez. Un., 12 luglio 2016, n. 14180; Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2018, n. 2338; Cass., Sez. Un., 1 aprile 2020, n. 7636; Cass., Sez. Un., 12 novembre 2020, n. 25578; Cass., Sez. Un., 21 ottobre 2021, n. 29298).
14. – Sarebbe riduttivo ritenere che questo secondo orientamento si riferisca esclusivamente all’area del comportamento materiale concernente l’utilizzo del bene pubblico, di cui siano denunciate le modalità concrete di esplicazione in pregiudizio della salute.
Questa Corte del riparto (Cass., Sez. Un., 12 ottobre 2020, n. 21993) ha infatti affermato che, in tema di immissioni acustiche provenienti da fondo privato (nella specie, si trattava di discoteche), appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della P.A. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento del danno.
In quel caso gli attori avevano dedotto, con l’atto di citazione, di aver patito, in quanto residenti in una zona afflitta da grave inquinamento acustico per la concentrazione di numerose discoteche, una lesione del loro diritto alla salute e alla serenità della vita familiare all’interno delle proprie abitazioni a causa dell’inerzia del Comune e dell’Autorità portuale, convenuti in giudizio, nell’adottare adeguate misure “volte ad evitare o rimuovere le cause delle immissioni acustiche nelle proprietà degli istanti”.
Di qui, pertanto, le richieste, tra loro coordinate, di accertamento della intollerabilità delle immissioni acustiche provenienti dalla zona commerciale e dalle aree pubbliche e di condanna delle convenute amministrazioni a provvedere con tutte le misure adeguate ad eliminare o a ridurre nei limiti della soglia di tollerabilità le immissioni nocive, oltre alla condanna delle medesime pubbliche amministrazioni al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti dagli attori.
L’azione giudiziale – ha incisivamente osservato la Corte nell’occasione – è orientata a far conseguire agli attori la tutela, piena, del diritto fondamentale alla salute che si assume leso da immissioni acustiche intollerabili, di cui si chiede la cessazione tramite idonee cautele da adottarsi dagli enti pubblici competenti a gestire le aree cittadine da cui le immissioni stesse promanano.
Pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che la controversia spetta al giudice ordinario, in ragione del principio secondo cui l’inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere.
15. – Il precedente appena indicato conduce le Sezioni Unite alla individuazione della regola di riparto nella presente causa.
16. – Se la controversia è introdotta dal privato al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente all’omesso esercizio di un potere discrezionale, ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm., essa è devoluta al giudice amministrativo, poichè rispetto all’esercizio di questo potere la posizione soggettiva vantata dal privato assume la natura, non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo pretensivo.
Appartiene invece alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda risarcitoria, proposta dal privato nei confronti della P.A., per i danni derivati da comportamenti colposi che non si siano tradotti in scelte o in atti autoritativi dell’amministrazione medesima (Cass., Sez. Un., 19 aprile 2022, n. 12443).
17. – In una controversia come l’attuale – nella quale, secondo il petitum sostanziale, è domandato in via diretta il risarcimento del danno alla salute degli attori asseritamente provocato, in fattispecie di dedotto superamento dei limiti di emissioni inquinanti provenienti da un’azienda privata, dalla condotta omissiva delle amministrazioni convenute in giudizio – la posizione fatta valere è di diritto soggettivo, non di interesse legittimo.
18. – Nel sistema costituzionale, ogni soggetto ha dei diritti che può far valere anche nei confronti delle autorità pubbliche.
La Costituzione appresta una barriera di protezione dei diritti fondamentali, che non possono essere disconosciuti o violati nè da altri privati nè dalle pubbliche autorità, e nemmeno dal legislatore.
Il bilanciamento tra diritti inviolabili realizzato dal legislatore, con la sintesi tra diritti fondamentali e doveri inderogabili di solidarietà, non sempre prende la forma della norma attributiva del potere discrezionale, nella quale ciò che è essenzialmente contemplato non è la posizione soggettiva ma il potere.
I diritti fondamentali hanno una struttura variegata, che oscilla dalla pienezza del diritto soggettivo alla diversa forma dell’interesse legittimo, ma la qualificazione come interesse legittimo costituisce un’eccezione rispetto alla regola che vuole i diritti fondamentali assumere la consistenza del diritto soggettivo.
I diritti fondamentali possono essere oggetto di un giudizio di bilanciamento, ma non possono essere erosi nel loro nucleo essenziale.
La Costituzione – si è visto – assicura all’integrità psico-fisica e alla salubrità ambientale una garanzia diretta.
Non c’è discrezionalità nell’incidere sul nucleo essenziale ed irriducibile del diritto fondamentale, perchè rispetto ad esso c’è un vincolo di tutela garantito dalla Costituzione.
La mera inerzia della P.A. non può mettere in crisi il principio di supremazia della persona e il nucleo essenziale e irriducibile di quel diritto. E questo nucleo – non essere costretti a subire danni alla salute derivanti dalla degradazione dell’ambiente conseguente, stando alla doglianza contenuta nell’atto di citazione, alle prolungate emissioni inquinanti di un’azienda privata, assuntivamente accertate dagli organi tecnici della P.A., oltre che dal giudice penale – è diritto soggettivo.
Di fronte al comportamento materiale di pura inerzia delle autorità pubbliche, rientrante nell’ordinario contributo causale violativo del neminem laedere, la posizione giuridica del privato non assume i contorni dell’interesse legittimo. La P.A. è senz’altro tenuta ad attivarsi per far sì che quel bene, la cui tutela è di importanza primaria, non corra, nel suo nucleo essenziale, pericoli di compromissione.
La concreta disciplina di un diritto fondamentale può essere opera anche dell’autorità amministrativa se una norma di legge attribuisce a quest’ultima il relativo potere: fermo il nucleo minimo essenziale di tale diritto, direttamente tutelato dalla Costituzione, il grado e le modalità di realizzazione può essere fatto dipendere da un bilanciamento di quell’interesse fondamentale con l’interesse pubblico.
Un conto, tuttavia, è sostenere che il legislatore possa attribuire all’autorità amministrativa il potere di determinare e conformare in concreto la disciplina di un diritto fondamentale per la migliore realizzazione dell’interesse pubblico. Altra cosa è trarre da questa affermazione il corollario che la totale inerzia della P.A. nella tutela di un diritto fondamentale costituisca espressione ed esercizio di quel medesimo potere, anche quando il diritto si trovi esposto ad un grave rischio di compromissione a causa della intollerabilità delle emissioni inquinanti di un’azienda privata.
In siffatti casi, alla P.A. è riconosciuta una discrezionalità attiva, attinente cioè alla scelta delle misure più idonee, non anche la discrezionalità nel non agire, perchè quest’ultima è incompatibile con la natura inviolabile del diritto fondamentale, soprattutto quando sia a rischio il nucleo essenziale del diritto medesimo.
Del resto, proprio l’afferenza del diritto alla salute alla dimensione dei principi costituzionali lo rende possibile oggetto di un’interpretazione orientata e pregnante, consentendo la specifica proiezione del principio nella dimensione delle regole per realizzare una maggiore garanzia dell’interesse inviolabile.
19. – Questa Corte, a Sezioni Unite, ha ritenuto, in più di un’occasione, che il diritto fondamentale alla salute, proclamato dall’art. 32 Cost., opera non solo nei rapporti tra privati, ma limita anche l’esercizio dei pubblici poteri, nel senso che esso è sovrastante all’amministrazione.
Si deve a Cass., Sez. Un., 9 marzo 1979, n. 1463, e a Cass., Sez. Un., 6 ottobre 1979, n. 5172, concernenti la localizzazione di una centrale nucleare e l’impianto per il disinquinamento del Golfo di Napoli, l’elaborazione del diritto alla salute come non degradabile ad interesse legittimo in quanto diritto fondamentale ed inviolabile. Secondo quest’ultima pronuncia, in particolare, la domanda con la quale il privato chieda la sospensione di un’opera intrapresa dalla pubblica amministrazione, assumendo che questa, per effetto di esalazioni e rumori, pregiudica la salubrità dell’ambiente in cui abita o lavora, recando così nocumento al proprio benessere biologico e psichico, si ricollega ad una posizione soggettiva inquadrabile nell’ambito del diritto alla salute, che la Costituzione riconosce e tutela in via primaria, assoluta, non condizionata ad eventuali interessi di ordine collettivo o generale, e, quindi, anche nei confronti dell’amministrazione medesima.
Tale orientamento ha ricevuto una precisazione in Cass., Sez. Un., 1 agosto 2006, n. 17461, nel senso che in relazione al bene-salute è individuabile un nucleo essenziale, in ordine al quale si sostanzia un diritto soggettivo assoluto e primario, volto a garantire le condizioni di integrità psico-fisica delle persone bisognose di cura allorquando ricorrano condizioni di indispensabilità, di gravità e di urgenza non altrimenti sopperibili, a fronte delle quali è configurabile soltanto un potere accertativo della P.A. in punto di apprezzamento della sola ricorrenza di dette condizioni. In assenza, però, di queste ultime e allorquando non vengano denunziati pregiudizi alla salute anche in termini di aggravamenti o di non adeguata guarigione – la domanda diretta ad ottenere le dovute prestazioni con modalità di più comoda ed agevole praticabilità per il paziente di quelle apprestate dalla P.A., ha come presupposto una situazione soggettiva di interesse legittimo, stante la discrezionalità riconosciuta all’autorità amministrativa di soddisfare tempestivamente le esigenze del richiedente scegliendo tra le possibili opzioni praticabili la soluzione reputata più adeguata alla finalità di piena efficienza del servizio sanitario.
Cass., Sez. Un., 8 novembre 2006, n. 23735, a sua volta, ha ribadito che la P.A. è priva di qualunque potere, ancorchè agisca per motivi di interesse pubblico, di affievolire o di pregiudicare indirettamente il diritto alla salute, il quale, garantito come fondamentale dall’art. 32 Cost., appartiene a quella categoria di diritti che non tollerano interferenze esterne che ne mettano in discussione l’integrità.
Più di recente, Cass., Sez. Un., 15 febbraio 2022, n. 4873, cit., ricostruendo il quadro giurisprudenziale anche alla luce della evoluzione del sistema normativo di riferimento e scolpendo l’approdo di questo percorso, ha attribuito al giudice ordinario le controversie relative al mancato rispetto delle misure emergenziali previste dal legislatore per il contenimento della pandemia da Covid-19, da parte dei gestori dei centri di accoglienza straordinari per richiedenti asilo: ciò sul rilievo che nessun potere pubblico può incidere sul diritto soggettivo alla salute degli ospiti (nella specie, sul diritto al distanziamento sociale), fino al punto di degradarlo ad interesse legittimo. A fronte di una predeterminazione, da parte del legislatore, delle modalità concrete di esercizio del servizio straordinario di accoglienza, volte a tutelare la salute dei richiedenti asilo, infatti, il potere amministrativo nella gestione del servizio di accoglienza è circoscritto e vincolato.
20. – Nella presente vicenda il petitum sostanziale non riguarda la lesione di un interesse legittimo a fronte del mancato esercizio del potere amministrativo discrezionale. Ciò che viene in rilievo è, secondo quanto sostenuto dagli attori, l’inerzia, il mancato intervento di sostegno delle pubbliche amministrazioni, servente alla garanzia del nucleo irriducibile del diritto fondamentale alla salute e all’ambiente salubre della persona umana nel prisma della solidarietà costituzionale.
Non si dubita che abbia natura di interesse legittimo la posizione soggettiva del soggetto passivo dell’ordinanza contingibile e urgente e che veda ristretta la propria sfera giuridica (cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2005, n. 20994, relativa al caso dell’ordinanza sindacale di riduzione delle emissioni degli impianti produttivi entro i limiti normativi fissati).
Ma nella presente controversia la P.A. non esercita alcun potere discrezionale sui cittadini che vivono nell’area interessata dalle immissioni inquinanti e lesive della salubrità dell’ambiente, trattandosi di soggetti che essa è tenuta a tutelare ove risulti superato il limite della tollerabilità ambientale, con la conseguenza che la posizione di questi ultimi nei confronti della P.A. assume la consistenza di diritto soggettivo: diritto che deve essere tutelato, in caso di violazione, innanzi al giudice ordinario, ciò tanto più quando, come nel caso di specie, l’azione proposta trovi il suo fondamento in un preteso comportamento illecito della P.A.
L’inerzia della P.A. a fronte di immissioni nocive provenienti da un’azienda di avicoltura con superamento dei valori limite radica la giurisdizione del giudice ordinario in ragione della dedotta lesione del diritto alla salute e all’ambiente salubre, giacchè la mancata adozione delle misure adeguate ad eliminare o a ridurre nei limiti della soglia di tollerabilità le immissioni inquinanti si risolve in una violazione del principio generale del neminem laedere.
21. – La controversia non ricade, peraltro, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. amm., non versandosi in tema di atti o provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, o di provvedimenti, anche contingibili e urgenti, emanati dal Sindaco in materia di igiene pubblica o, ancora, di provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto di esercizio di industrie insalubri o pericolose.
22. – Si è al di fuori dall’ambito della giurisdizione esclusiva non perchè la posizione fatta valere in giudizio corrisponde ad un diritto costituzionalmente protetto. La giurisdizione esclusiva, infatti, non incontra – come si è visto – il limite del carattere perfetto o costituzionalmente tutelato del diritto fatto valere in giudizio.
Lo impedisce un’altra ragione: la mancanza del “nodo gordiano” fra interessi e diritti. Nella presente vicenda, infatti, la condotta di mera inerzia addebitata alle amministrazioni convenute rileva come puro fatto.
La portata della regola, per cui la tutela dei diritti fondamentali spetta al giudice amministrativo in ambiti presidiati dalla giurisdizione esclusiva, può estendersi anche ai comportamenti materiali della P.A., solo qualora siano consequenziali ad atti amministrativi o comunque espressivi di un potere autoritativo, fino a che questi comportamenti non degradino a comportamenti di mero fatto.
Tale impostazione è coerente sia con la natura tendenzialmente generale della giurisdizione del giudice ordinario, sia con i principi espressi dalla Corte costituzionale.
23. – La sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale lega indissolubilmente la giurisdizione amministrativa, anche esclusiva, all’interesse legittimo e questo, a sua volta, all’esercizio di un potere realmente esistente e riconoscibile per tale in base al procedimento svolto e alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, non quando l’operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale e, comunque, ogniqualvolta l’esercizio del potere non sia riconoscibile come tale.
Esclusa qualsiasi possibilità di fondare un criterio di riparto sulla materia o sulla presenza di un’amministrazione nella controversia, il criterio di fondo, alla luce della citata sentenza n. 204 del 2004, è costituito dal trovarsi, la situazione soggettiva del privato, di fronte all’esercizio di un potere pubblico in senso stretto, nell’ambito di un rapporto caratterizzato dalla compresenza di due situazioni soggettive entrambe attive, il potere dell’amministrazione procedente e l’interesse giuridicamente protetto a fronte dell’esercizio di un potere pubblico, che si contrappongono l’un l’altra.
Con la sentenza n. 35 del 2010 e con le ordinanze n. 371 del 2010 e n. 54 del 2011 – dopo avere sottolineato come l’art. 103 Cost. imponga che la giurisdizione esclusiva verta su particolari materie in relazione alle quali l’amministrazione pubblica agisce come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi – la Corte costituzionale ha evidenziato che l’espressione “comportamenti” deve essere intesa nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa.
L’ordinanza n. 167 del 2011, a sua volta, ha sottolineato che quando viene in rilievo una questione afferente al risarcimento del danno conseguente a comportamenti meramente materiali posti in essere dalla pubblica amministrazione, questi ultimi non sono ricompresi nell’ambito di applicazione della norma sulla giurisdizione esclusiva, e rientrano, invece, nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
La sentenza n. 178 del 2022, infine, ha escluso la riconducibilità alla giurisdizione esclusiva della domanda di risarcimento del danno conseguente a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, non ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 133 cod. proc. amm., in fattispecie nella quale l’attore nel processo principale si era limitato a prospettare, secondo lo schema della responsabilità civile ai sensi dell’art. 2051 c.c., la relazione causale tra le cose in custodia della pubblica amministrazione e l’evento lesivo, da cui sarebbe derivato il danno ingiusto, senza che in alcun modo fosse stato dato conto di azioni od omissioni della pubblica amministrazione, in relazione alle quali detto comportamento potesse essere ricondotto, ancorchè in via mediata, al novero dei poteri della stessa amministrazione.
24. – Nella medesima direzione è orientata la giurisprudenza di queste Sezioni Unite.
Cass., Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6454, ha chiarito che la giurisdizione esclusiva non è configurabile quando non siano implicati poteri amministrativi, in mancanza dei quali non sono predicabili neppure interessi legittimi.
A sua volta, Cass., Sez. Un., 7 dicembre 2016, n. 25052, ha escluso che la mera partecipazione del soggetto pubblico al giudizio sia sufficiente perchè si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo e, dall’altro lato, ha evidenziato che non è sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perchè questa possa essere devoluta al giudice speciale. La giurisdizione del giudice amministrativo resta, in ogni caso, delimitata dal collegamento con l’esercizio in concreto del potere amministrativo secondo le forme tipiche previste dall’ordinamento, sicchè l’amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca lesione di diritti incomprimibili, come la salute o l’integrità personale, o quante volte l’azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perchè a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto.
25. – Manca nella specie qualsiasi manifestazione di autorità della P.A. che evidenzi la coesistenza con il diritto anche di un interesse legittimo correlato al primo. Con la domanda giudiziale non vengono contestati i poteri autoritativi della P.A., perchè il danno lamentato è provocato, in base alla causa petendi, da una mera inattività, da un comportamento puramente materiale, là dove la Costituzione impone, a garanzia del nucleo irriducibile del diritto fondamentale della persona umana, un obbligo positivo a carico dei soggetti pubblici.
26. – La domanda azionata non riguarda neppure un’ipotesi di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza della inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
27. – I ricorsi sono rigettati.
è dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
28. – La complessità delle questioni trattate induce a compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
29. – Poichè il ricorso principale del Comune e del Sindaco e quello incidentale della Regione sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in via principale e della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
Tale attestazione non opera con riguardo al Ministero della salute, trattandosi di Amministrazione dello Stato, come tale istituzionalmente esonerata dal versamento del contributo stesso mediante il meccanismo della prenotazione a debito.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 17 dicembre 2021, n. 40551, per SS.UU, 27 luglio 2022, n. 23436, in tema di inerzia della p.a. e riparto di giurisdizione
SS.UU, 27 luglio 2022, n. 23436, in tema di inerzia della p.a. e riparto di giurisdizione
Nota dell'Avv. Valentina Petruzziello
L'inerzia della p.a. a fronte di immissioni nocive radica la giurisdizione in capo al giudice ordinario
1. Il principio di diritto
La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione della parte, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto sulla base della causa petendi, ossia sui fatti dedotti a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo della lite e sul rapporto giuridico di cui sono espressione.
2. La questione di massima di particolare importanza
Le Sezioni Unite chiariscono i confini tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento alla richiesta risarcitoria avanzata per i danni subiti dall’omesso esercizio del potere amministrativo in materia di immissioni.
Nello specifico, alcuni cittadini hanno convenuto, dinanzi al giudice civile, il Comune, il Sindaco, la Regione ed il Ministero della Salute, chiedendo la loro condanna al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato dalle persistenti immissioni di odori e polveri provenienti da un’azienda agricola posta nel territorio comunale rese, inoltre, possibili dalla mancata adozione, da parte delle convenute autorità amministrative, dei provvedimenti a tutela del territorio, della salute e dell’ambiente.
Con un precedente arresto (cfr., SS.UU, 12 ottobre 2020, n. 21993), in tema di immissioni acustiche provenienti da fondo privato, la Suprema Corte ha ricondotto alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della p.a. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all’eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento del danno.
E ciò, in ragione del principio secondo cui l’inosservanza da parte della p.a. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario, non solo per conseguire il risarcimento dei danni, ma anche per ottenere la condanna ad un facere, investendo una simile domanda un’attività soggetta al principio del neminem laedere.
3. Riflessioni conclusive
Il precedente appena indicato conduce le Sezioni Unite ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario in ragione del petitum sostanziale.
La posizione fatta valere con la domanda di risarcimento del danno alla salute degli attori, asseritamente provocato dalla condotta omissiva delle amministrazioni convenute, deve essere qualificata in termini di diritto soggettivo, non di interesse legittimo.
Nel caso di specie, la p.a. non esercita alcun potere discrezionale sui cittadini che vivono nell’area interessata dalle immissioni inquinanti e lesive della salubrità dell’ambiente, trattandosi di soggetti che essa è tenuta a tutelare ove risulti superato il limite della tollerabilità ambientale.
Ciò che viene in rilievo è, dunque, l'inerzia, il mancato intervento di sostegno della p.a., in violazione del principio generale del neminem laedere.