Civile Sent. Sez. U Num. 35463 Anno 2021
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: DI MARZIO MAURO
Data pubblicazione: 19/11/2021
SENTENZA
sul ricorso 5659-2021 proposto da:
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BERGAMO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI DELUCCA;
– ricorrente –
BUZZANCA MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 180, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO INVERNIZZI;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BERGAMO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI DELUCCA;
– controricorrente all’incidentale –
nonchè contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 21/01/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/10/2021 dal Consigliere MAURO DI MARZIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale FRANCESCO SALZANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Giovanni Delucca, Mario Sanino e Roberto Invernizzi.
FATTI DI CAUSA
1. – Il dottor Massimo Buzzanca sostenne le prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione forense nella sessione 2008-2009 presso la Corte d’appello di Brescia, conseguendo un giudizio di insufficienza in ciascuna di esse, giudizio che impugnò dinanzi al Tar Lombardia, sezione distaccata di Brescia, il quale, con ordinanza cautelare del 31 luglio 2009, ordinò una nuova correzione delle prove scritte da parte di altra Commissione, individuata nella prima Sottocommissione presso la Corte d’appello di Milano.
2. – Contro l’ordinanza cautelare insorse l’amministrazione, che ottenne dal Consiglio di Stato, in data 30 settembre 2009, la sospensiva, a mezzo di decreto presidenziale monocratico, dell’ordinanza cautelare del Tar.
3. – Nondimeno, il successivo 2 ottobre 2009 la Sottocommissione individuata dal Tar procedette alla nuova correzione delle prove scritte, formulando un giudizio di sufficienza. Poi, con sentenza 1 dicembre 2009, il Tar accolse il ricorso del Buzzanca, e, per l’effetto, ordinò procedersi allo svolgimento della prova orale, prova che fu sostenuta con successo l’11 dicembre dello stesso anno, sicché l’Ordine degli avvocati di Bergamo, il 15 dicembre, dispose su sua richiesta l’iscrizione dello stesso all’albo.
4. – Medio tempore, con ordinanza del 28 ottobre 2009, il Consiglio di Stato respinse l’istanza cautelare dell’amministrazione, constatando “che l’ordinanza cautelare del Tar è stata eseguita e che quindi non sussiste più interesse dell’amministrazione al proprio appello”, appello che, viceversa, fu infine accolto con sentenza del 4 maggio, che, riformando la precedente sentenza del Tar, respinse l’originario ricorso del Buzzanca; al riguardo l’Ordine forense bergamasco, convocato l’interessato in data 27 luglio 2010, ritenne di non dover prendere posizione per “non essere l’autorità amministrativa evocata e indicata nel dispositivo della sentenza” del Consiglio di Stato, laddove ordinava “che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa”.
5. – Trascorsi circa otto anni, a seguito di una segnalazione del 26 marzo 2018, che in ricorso si spiega essere stata inoltrata dal suocero del Buzzanca, lo stesso Ordine degli avvocati di Bergamo avviò un procedimento volto all’accertamento della sussistenza dei requisiti per la sua iscrizione all’albo ovvero per la cancellazione, in ragione della “mancanza di uno dei requisiti necessari per il mantenimento dell’iscrizione”, provvedimento conclusosi con Delib. 26 settembre 2018 di revoca dell’iscrizione del professionista.
6. – Sull’impugnazione da quest’ultimo proposta, il Consiglio nazionale forense ha deciso con sentenza del 21 gennaio 2021, numero 7, che ha accolto il ricorso e annullato “la Deliberazione del COA Bergamo 26 settembre 2018, n. 343 notificata il 03.10.2018 con la quale veniva disposta la cancellazione dall’albo degli avvocati di Bergamo del ricorrente Avv. Massimo Buzzanca”.
Ha in sintesi osservato il Cnf:
-) non poteva condividersi la tesi del ricorrente Buzzanca secondo cui il potere di revisione dell’albo dovesse essere esercitato entro il medesimo termine, quinquennale, in cui può essere esercitata l’azione disciplinare, dal momento che la procedura di cancellazione regolata dalla L. n. 247 del 2012, art. 17 non ha natura disciplinare;
-) neppure poteva condividersi la tesi secondo cui il Coa avesse operato in carenza assoluta di potere per aver annullato il provvedimento di correzione delle prove scritte, essendosi invece esso limitato a revocare il proprio precedente provvedimento di iscrizione, in ossequio ad un potere vincolato attribuito per legge allo stesso Consiglio;
-) non avevano fondamento le censure alla motivazione del provvedimento del Coa fondate sull’interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali relativi al giudizio sull’esito delle prove scritte;
-) il Consiglio di Stato, nella conclusiva sentenza d’appello, aveva chiarito che la propria ordinanza del 28 ottobre 2009, resa a seguito della intervenuta ricorrezione delle prove scritte, non legittimava lo svolgimento di quella orale, occorrendo attendere, per la valida prosecuzione della procedura di esame, la pronuncia di merito, neppure potendosi sostenere che la mancata conferma del decreto presidenziale di sospensiva avesse comportato la piena validità ed efficacia dell’ordinanza cautelare pronunciata dal Tar;
-) il Coa aveva correttamente tenuto in considerazione la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, con ulteriore precisazione che essa aveva in ogni caso travolto la statuizione del Tar concernente lo svolgimento delle prove orali;
-) era infondata la tesi del ricorrente, laddove invocava l’applicazione del D.L. n. 115 del 2005, art. 4, comma 2 bis, introdotto in sede di conversione dalla L. n. 168 del 2015, dal momento che il provvedimento in base al quale il ricorrente era stato ammesso a sostenere prima le prove scritte e poi quelle orali era stato riformato dal giudice d’appello;
-) erano infondate le censure di violazione del diritto di difesa e contraddittorio;
-) era viceversa fondato il motivo di ricorso volto a denunciare la violazione del principio dell’affidamento, ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 novies in ragione dell’amplissimo lasso di tempo intervenuto tra l’iscrizione e la cancellazione.
– Per la cassazione della sentenza il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bergamo ha proposto ricorso affidato ad un solo articolato motivo.
Buzzanca Massimo ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato per cinque mezzi ai quali il Consiglio ha replicato con controricorso.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale.
Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. – Il ricorso principale denuncia violazione di legge per errata applicazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 17, della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 novies degli artt. 24 e 97 Cost., dell’art. 2909 c.c..
Premesso che il Buzzanca non avrebbe superato l’esame di abilitazione professionale, come accertato dalla citata sentenza del Consiglio di Stato, il Consiglio nazionale forense avrebbe errato nel fare applicazione dell’art. 21 novies richiamato in rubrica, dal momento che la procedura di cancellazione di un avvocato dall’albo è integralmente regolata dalla L. n. 247 del 2012, art. 17 il quale individua i requisiti per l’iscrizione, che è oggetto di un diritto dell’interessato, senza che il competente Consiglio dell’ordine degli avvocati disponga al riguardo di alcun margine di discrezionalità, fatta salva, sia pure entro ristretti limiti, la verifica della “condotta irreprensibile”. D’altronde, il Buzzanca neppure potrebbe vantare alcun legittimo affidamento alla stabilità dell’iscrizione all’albo, come dimostrato dalla vicenda processuale ed anche dalla circostanza che egli si era attivato per ottenere il riconoscimento del proprio titolo di studio in Spagna utilizzando non la propria abilitazione professionale, ma soltanto quella universitaria.
9. – Il Buzzanca ha così sintetizzato i suoi motivi:
i) violazione degli artt. 17 l. 247/2012 e 51 rdl 27.11.1933 n. 1578 e 3, 10, 24, 113 e 117 Cost. e art. 1 I prot. agg. Cedu in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. Violazione di norme di diritto. La sentenza erra nel non accogliere l’eccezione di prescrizione del potere di rimozione dell’iscrizione all’albo degli avvocati.
ii) violazione degli artt. 17 e 35 l. 247/2012 in relazione all’art. 21 septies I. 241/1990, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c. La sentenza erra perché travisa ed elude la censura del controricorrente che lamentava la nullità del provvedimento di rimozione dell’iscrizione assunto dal ricorrente a suo carico. iii) violazione degli artt. 17, 23 e 35 I. 247/2012 in relazione all’art. 21 septies I. 241/1990, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5) c.p.c. In stretta correlazione al secondo mezzo, la sentenza travisa e neglige il fatto decisivo costituito dal provvedimento di rimozione dell’iscrizione assunto dal ricorrente a suo carico.
iv) violazione degli artt. 17 e 35 I. 247/2012 in relazione, art. 21 quinquies e 21 septies I. 241/1990, degli artt. 112 e 276 c.p.c., 21 c. 9 I. 1034/1971 e 56 c.p.a., 345 c.p.c., nonché in relazione agli artt. 2909 c.c. 323 c.p.c.; falsa applicazione dell’art. 4 d.l. 115/2005; il tutto in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c. La sentenza assimila e decide unitariamente tre censure distinte per contenuti e presupposti. Essa ne confonde le causae petendi violando sia la corrispondenza tra chiesto e pronunciato sia le norme rispettivamente dimostrate violate da ciascuna delle tre censure a sé rettamente intesa.
v) violazione della L. n. 247 del 2012, artt. 17 e 35 in relazione, L. n. 241 del 1990, artt. 21 quinquies e 21 septies degli artt. 112 e 276 c.p.c., L. n. 1034
del 1971, art. 21, comma 9 e art. 56 c.p.a., art. 345 c.p.c., nonchè in relazione all’art. 2909 c.c. art. 323 c.p.c.; falsa applicazione del D.L. n. 115 del 2005, art. 4; il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La sentenza assimila e decide unitariamente tre censure distinte per contenuti e presupposti. Essa ne confonde le causae petendi violando sia la corrispondenza tra chiesto e pronunciato sia le norme rispettivamente dimostrate violate da ciascuna delle tre censure a sè rettamente intesa.
v) violazione degli artt. 17 e 23 I. 247/2012, 1 I. 241/1990, 97 Cost., violazione e mancata applicazione dell’art. 4 d.l. 115/2005 e degli artt. 112 c.p.c. e 2909 c.c.; il tutto in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c. La sentenza viola l’art. 4 d.l. 115/2015, norma che si applica e dirime il caso di specie; essa travisa inoltre la censura sulla quale pronuncia e viola così l’art. 112 c.p.c.; essa non coglie che «la sentenza del Consiglio di stato adottata non fa stato per il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bergamo e viola dunque anche questa norma».
10. – Il Buzzanca ha altresì dedotto l’inammissibilità del ricorso principale sotto diversi profili:
-) nel controricorso si eccepisce:
i) violazione dell’articolo 36 della legge numero 247 del 2012, che regola la competenza giurisdizionale del Cnf, in relazione agli articoli 366, primo comma, numero 4, 360, primo comma, 161 e 112 c.p.c..; violazione degli articoli 11, 24, 111 e 117 Cost. e 6 Cedu; inammissibilità del ricorso: si sostiene che il ricorso «accatasta in disordine argomenti disomogenei, diversi e vari. Oltre … a confliggere in punti con gli assunti-base del provvedimento del Coa che esso vorrebbe difendere»;
ii) violazione degli articoli 24 e 36 della legge numero 247 del 2012, 1 della legge numero 241 del 1990, 2 e 97 Cost., 36 della legge numero 247 del 2012, in relazione all’articolo 100 c.p.c.; violazione degli articoli 2 e 24 Cost.; inammissibilità del ricorso: si sostiene che il Coa avrebbe disposto la cancellazione movendo dalla premessa della nullità dell’iscrizione del Buzzanca, ma avrebbe poi fatto propria la ricostruzione della vicenda accolta dal Cnf, che discorreva non di nullità, ma di annullabilità dell’iscrizione medesima;
iii) violazione degli articoli 2, 24, 97 e 113 Cost., 1 della legge numero 241 del 1990 e 24 della legge numero 247 del 2012; 1175 e 1375 c.c.; exceptio doli; inammissibilità del ricorso: si stigmatizza che il Coa non abbia partecipato al giudizio dinanzi al Cnf ed abbia poi impugnato la sua decisione sulla base di argomenti incompatibili con quelli posti a fondamento della iniziale cancellazione;
iv) violazione degli articoli 17, 24, della legge numero 247 del 2012, 2 e 97, secondo comma, Cost., 1 e 21 nonies della legge numero 241 del 1990, 100 c.p.c., 14 disp. prel.; violazione del principio di tutela dell’affidamento; infondatezza del ricorso; infondatezza e inammissibilità del ricorso: si nega qui l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 21 novies della legge sul procedimento amministrativo;
-) nella memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. si denuncia l’esistenza di “vizi della formazione dell’avversa volontà di proporre il “ricorso”” sotto due profili;
i) per la partecipazione in conflitto di interessi alla deliberazione del Coa dei consiglieri Pierantoni, che aveva poi rilasciato la procura alle liti per il ricorso per cassazione, dopo essere stato estensore della deliberazione di cancellazione, e Falchetti, che pure aveva partecipato, con voto favorevole, sia alla deliberazione di cancellazione che a quella di proposizione del ricorso per cassazione;
ii) per la violazione dell’articolo 28, undicesimo comma, della legge professionale forense, dal momento che dalla deliberazione di ricorrere per cassazione risultava che «”9 consiglieri si esprimono a favore (Pierantoni, Falchetti, Bucci, Calegari, Carsana, Curtò, Di Nardo, Maccario, Uggetti)” … “7 contrari (Foglieni, Giammaria, Gibilaro, Marchesi, Marinelli, Peli/lo, Zambelli)” (enfasi aggiunta) … con “2 astenuti” (Cortesi e Gozo) … Nove favorevoli al “RICORSO”, sette contrari e due astenuti. Id est, ai sensi e ai fini ex art. 28 c. 11, secondo periodo, I. 247/2012:
i. diciotto “presenti” alla deliberazione (9 + 7 + 2);
ii. dei quali “presenti” nove hanno votato per il ricorso … Pertanto, come censura il nostro sesto mezzo di “Controricorso” la “maggioranza assoluta dei voti dei presenti” atta a raggiungere il quorum deliberativo di legge … senza il quale non si ha “validità delle deliberazioni” Coa ex art. 28 cit. qui non è stata raggiunta».
11. – Le eccezioni di inammissibilità sono tutte infondate.
11.1. – Ed invero, è sufficiente sinteticamente osservare intanto che:
-) il motivo di ricorso principale è chiaro e comprensibile, come del resto si vedrà nell’esaminarne il contenuto;
-) è del tutto fisiologico che il Coa non abbia partecipato al giudizio dinanzi al Consiglio nazionale forense, non essendo d’altronde tenuto a farlo, così come è altrettanto fisiologico che abbia recepito la motivazione addotta dal Consiglio nazionale forense, deputato ad esaminare in sede giurisdizionale le impugnazioni avverso i suoi provvedimenti;
-) la questione dell’applicabilità dell’articolo 21 novies della legge sul procedimento amministrativo attiene al contenuto dell’impugnazione avverso il provvedimento di cancellazione e non dispiega alcun effetto sull’ammissibilità del ricorso per cassazione;
-) il fatto che i consiglieri Pierantoni e Falchetti avessero partecipato alla deliberazione di cancellazione non è indicativo, in capo ad essi, di alcun interesse personale, confliggente con quello istituzionale, ostativo alla partecipazione alla deliberazione di proporre ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio nazionale forense, ed anzi, entrambe le deliberazioni rispondono, come meglio si vedrà più avanti, al dovere incombente sul Coa di provvedere “alla tenuta degli albi, degli elenchi e dei registri”, ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. a) Legge professionale forense, senza che possa condividersi il richiamo fatto nella memoria illustrativa al non pertinente art. 51 c.p.c., n. 4, estraneo alla materia in discussione, giacché volto ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima regiudicanda nell’unico processo (p. es. Cass., Sez. Un., 8 ottobre 2001, n. 12345).
11.2. – Infondata è anche la tesi secondo cui la deliberazione di proposizione del ricorso per cassazione sarebbe stata adottata in difetto del quorum deliberativo previsto dalla legge. Ciò per due ragioni.
11.2.1. – In primo luogo, la deliberazione di ricorrere per cassazione è stata approvata dal Coa a maggioranza assoluta. L’articolo 28, undicesimo comma, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, stabilisce che: «Per la validità delle riunioni del consiglio è necessaria la partecipazione della maggioranza dei membri. Per la validità delle deliberazioni è richiesta la maggioranza assoluta di voti dei presenti».
Nel caso di specie, indiscussa la sussistenza del quorum costitutivo, sostiene il Buzzanca che, a fronte dei nove votanti a favore e sette contro la proposizione del ricorso per cassazione, con due astenuti, non si sarebbe raggiunta “la maggioranza assoluta di voti dei presenti”: il Buzzanca, in particolare, pone l’accento sul riferimento, nella norma, ai “presenti”, tra i quali andrebbero computati, dunque, anche gli astenuti, di guisa che la deliberazione di ricorrere per cassazione avrebbe avuto, nel caso di specie, nove voti su diciotto, occorrendone, per il raggiungimento della maggioranza assoluta, almeno dieci.
Ma la lettura del dato normativo così sostenuta non merita condivisione, giacché il citato comma 11 rapporta il raggiungimento della maggioranza non alle presenze, ma al “voto dei presenti”, sicché, quale che sia il significato da attribuirsi nel contesto al vocabolo “presenti”, non v’è alcun dubbio che il computo debba tener conto non della semplice presenza, bensì del “voto”, sicché chi non vota, com’è per gli astenuti, non concorre alla determinazione del quorum deliberativo.
Al fine di chiarire i termini della questione, può trarsi argomento dall’ampiamente approfondita questione della lettura dell’art. 64 Cost., comma 3, secondo cui: “Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”. E’ cosa nota che, quantunque la norma discorra di “maggioranza dei presenti”, essa sia stata per decenni diversamente applicata nei due rami del Parlamento: in Senato, prima della riforma del Regolamento di cui subito si dirà, il voto di astensione concorreva alla formazione della maggioranza deliberativa; alla Camera l’astensione comportava, e comporta, che gli astenuti non concorrano alla formazione di detta maggioranza. Il Regolamento della Camera del 1971, difatti, art. 46, comma 3, computa gli astenuti come presenti al fine della determinazione del numero legale, ma non li considera tali nella determinazione della maggioranza deliberativa, escludendoli anzi dal numero dei votanti. In Senato, al contrario, fino alla XVII legislatura, l’art. 107, comma 1 del Regolamento stabiliva che “ogni deliberazione del Senato è presa a maggioranza dei Senatori che partecipano alla votazione”, considerando gli astenuti presenti sia nel computo del numero legale, sia nella deliberazione, in quanto partecipanti al voto. E la Corte costituzionale, nella sentenza n. 78 del 1984, ha ritenuto legittime entrambe le interpretazioni, ponendo l’accento sull’autonomia regolamentare di ciascuna Camera. Dopodiché, però, l’art. 107 del Regolamento del Senato è stato modificato, nel corso della XVII Legislatura, ed ha stabilito che: “Ogni deliberazione del Senato è presa a maggioranza dei Senatori presenti, salvi i casi per i quali sia richiesta una maggioranza speciale. Sono considerati presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario”. Insomma, è pur vero che l’astensione può in astratto atteggiarsi in modo diverso, quale astensione dal voto, o come astensione nel voto (in un caso il votante si astiene dal partecipare alle operazioni di voto, nell’altro vi partecipa dichiarando di astenersi): e tuttavia, nel funzionamento delle Camere, essa è ormai egualmente intesa come “non-voto”, tale da non incidere sul quorum deliberativo.
Ebbene, sembra a queste Sezioni Unite del tutto ovvio che detta lettura, affermatasi a fronte di una norma che contempla deliberazioni adottate “a maggioranza dei presenti”, non abbia alcuna alternativa, se riferita ad una norma che richiede invece, come il citato art. 28, comma 11, “la maggioranza assoluta di voti dei presenti”, mostrando in tal modo di esigere, laddove menziona i voti dei presenti e non semplicemente i presenti, che una manifestazione di voto, in un senso o nell’altro, favorevole o contraria, vi sia.
Ciò esime dall’osservare che il Consiglio nazionale forense (sentenza del 5 ottobre 2010, n. 76), nel soffermarsi sul tema, sia pure in riferimento al D.Lgs. Lgt. n. 382 del 1944, artt. 2 e 5 che però pure si riferiva ai voti, ha addirittura affermato che, ai fini del computo delle maggioranze ivi previste, “non devono essere considerate le schede bianche e le schede nulle, ma soltanto i voti validi e/o validamente espressi”: e ciò conferma che, a maggior ragione, il “non-voto” degli astenuti, secondo la stessa giurisprudenza del Cnf, non concorre alla formazione del quorum deliberativo applicabile ai Coa.
Sicché, come si premetteva, il risultato del voto nove-sette comportava il raggiungimento della maggioranza prevista dall’art. 28, comma 11 della Legge professionale forense.
11.2.2. – In secondo luogo, seppure la deliberazione di ricorrere per cassazione non fosse stata approvata dal Coa a maggioranza assoluta, ma si fosse concretizzata una situazione di parità, come sostenuto dal Buzzanca, rileverebbe la ratifica insita nella successiva deliberazione del Coa n. 17 del 27 aprile 2021, ritualmente depositata ai sensi dell’art. 372 c.p.c., volta alla notifica del controricorso del Coa al ricorso incidentale, deliberazione approvata, questa volta, con il voto favorevole di quattordici consiglieri su diciotto.
Si obbietta dal controricorrente, nella memoria illustrativa, pagina 11, che la ratifica sarebbe interdetta dall’applicazione del principio secondo cui la procura per il ricorso per cassazione è necessariamente speciale, dovendo riguardare il particolare giudizio davanti alla S.C., escludendosi, pertanto la possibilità di una sua sanatoria e ratifica.
Ma il principio non è pertinente, giacché non si verte, qui, in caso di originario difetto di procura, e successiva ratifica di essa, bensì di difetto di autorizzazione, dal momento che il potere di conferimento della procura alle liti spetta al presidente del Coa, che ne ha la rappresentanza ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 26, comma 2 su deliberazione del Coa medesimo, e che nel caso di specie il ricorso per cassazione è stato per l’appunto proposto dal Coa di Bergamo “in persona del Presidente pro tempore Avv. Francesca Pierantoni, in virtù di delibera consiliare in data 9.2.2021, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Delucca in virtù di procura speciale in calce al presente atto”, procura effettivamente collocata a pagina 32 del ricorso.
Ora, la giurisprudenza di questa S.C. è ferma nel ribadire che l’autorizzazione a stare in giudizio è condizione di mera efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell’ente e può, quindi, intervenire anche in corso di causa, sanando retroattivamente le irregolarità inficianti la precedente fase del procedimento stesso, entro limiti che qui non mette conto indagare (tra le tante Cass. 25 giugno 2014, n. 14459; Cass. 21 settembre 2015, n. 18571).
Ciò detto, e considerato che all’autorizzazione sopravvenuta è equivalente la ratifica dell’operato del rappresentante dell’ente che abbia agito in difetto di autorizzazione (v. art. 1399 c.c.), è agevole rammentare che la ratifica ben può essere tacita (p. es. Cass. 15 novembre 2016, n. 23274), ossia desunta da fatti concludenti tali da implicare la volontà di “salvare” tale operato: ed in questo caso non ha bisogno di essere sottolineato che la deliberazione del Coa di notificare il controricorso presuppone implicitamente, ma necessariamente, la volontà di ratificare la proposizione dell’originario ricorso, per l’ovvia ragione che la notifica del controricorso in tanto ha un senso, in quanto si sia in presenza dell’introduzione di un giudizio di cassazione ammissibile, tanto più che il controricorso al ricorso incidentale non fa che ribadire la tesi della conformità a diritto della cancellazione del Buzzanca.
12. – Il ricorso principale va accolto.
12.1. – Ha osservato il CNF: “Per l’ordinamento giuridico il riconoscimento del fatto difforme da legge… quale fonte di conseguenze giuridiche favorevoli costituisce un’eccezione ed è ammissibile solo negli stretti limiti in cui è espressamente previsto. Tra questi ultimi casi può dirsi la previsione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 21 novies… In questo caso… non è che l’ordinamento riconosca l’atto illegittimo tout court; è che il trascorrere del tempo determina l’insorgenza di altri valori, primo dei quali l’affidamento e la stabilità delle situazioni giuridiche, che sono ritenuti prevalenti rispetto al ristabilimento della legalità violata… Non può… sfuggire che il caso in esame si caratterizza per il decorso d’un termine ben superiore ai diciotto mesi previsti, essendo stato l’interessato iscritto in data 2009… Non v’è dubbio che l’art. 21-novies, nella sua generalità fa riferimento ai provvedimenti autorizzativi: termine usato a giudizio di questo Consiglio Nazionale in senso ampio… La legge ha voluto che il limite dei diciotto mesi sia suscettibile di superamento, per il caso di falsa rappresentazione, solo in presenza di condotta costituente reato. Caso che qui non ricorre, e che andrebbe giudizialmente accertato sia con riferimento agli elementi oggettivi, sia con riferimento agli elementi soggettivi della condotta… Orbene, la Legge generale della professione forense n. 247 del 2012 detta all’art. 17 una speciale normativa recante la disciplina per la tenuta degli albi da parte dei COA… La norma… stabilisce che cancellazione debba disporsi quando viene meno uno dei requisiti. Cosicché si tratta anzitutto di stabilire se nel concetto del venir meno possa ricondursi anche l’ipotesi di una condizione originariamente supposta esistente… ma di poi… divenuta ab origine assente… Potrebbe sostenersi che all’espressione del venir meno non è estraneo un campo semantico che comprenda anche l’ipotesi della scoperta d’una realtà insospettata da parte di chi vigila sulla tenuta dell’albo… Ma così ragionando un punto… non può dirsi superato. Se infatti appare coerente con la disciplina dettata per gli albi professionali che chi non possegga il requisito… debba essere cancellato, non è detto questo significhi anche che alla cancellazione possa pervenirsi sine die… in deroga al divieto di cui all’art. 21-novies L. 241 cit…. Ciò detto… dato l’intreccio delle situazioni, tutte di elevato valore giuridico e sociale non v’è dubbio che l’affidamento, soprattutto per il lungo decorso del tempo e l’incidenza sulla vita personale e professionale del ricorrente… è elemento che prevale rispetto ad una compressione della tutela individuale operata dal COA… ispirata all’interesse superiore connesso al ruolo della categoria. Nel caso di specie, il provvedimento di autotutela adottato dal COA di Bergamo non è conforme al citato paradigma normativo dell’art. 21-novies”.
12.2. – La motivazione che precede, nella parte in cui fa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 novies non può essere condivisa perché errata in diritto.
10.2.1. – La norma, per quanto rileva, nel testo applicabile quoad tempus, è così formulata: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo art. 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo… I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1…”.
12.2.2. – Orbene, è agevole osservare che il procedimento di iscrizione e cancellazione dell’avvocato obbedisce a regole sue proprie, integralmente fissate dalla organica Legge professionale forense, art. 17, nell’ambito del titolo secondo della legge, complessivamente dedicato alla disciplina degli albi, elenchi e registri, tanto per gli aspetti sostanziali concernenti l’individuazione dei requisiti richiesti ai professionisti, quanto per quelli procedurali attinenti alla formazione degli albi, elenchi e registri, il tutto sottoposto alla competenza giurisdizionale del CNF, ex art. 36: di guisa che, rispetto alla esaustiva previsione della Legge professionale, non residua alcuno spazio di operatività del limite temporale apposto al congegno di c.d. “autotutela decisoria” previsto dalla invocata disposizione contenuta nella legge sul procedimento amministrativo.
12.2.3. – Ciò è facilmente comprensibile.
Per un verso occorre invero constatare che il rilievo pubblicistico della professione forense non può tollerare che una così delicata attività, tendenzialmente indispensabile, al di fuori di marginali eccezioni, a veicolare l’esercizio del diritto costituzionale di azione, possa essere affidata, in ragione del mero decorso del tempo, a soggetti privi, ab origine o per vicende sopravvenute, dei requisiti individuati dall’ordinamento come necessari, il che trova conferma sia nell’obbligo, operante in ogni tempo, degli iscritti ad albi, elenchi e registri di comunicare con la massima sollecitudine al consiglio dell’ordine di appartenenza ogni variazione dei dati di iscrizione (art. 17, comma 8), sia nella previsione del potere-dovere dei consigli dell’ordine di revisione periodica di albi, elenchi e registri (art. 21); ciò che rende manifesto come i requisiti previsti dall’art. 17 debbano sussistere, e non possano per alcuna ragione mancare, dal giorno in cui l’avvocato inizia ad esercitare la professione fino al giorno in cui cessa di farlo.
Per altro verso si deve aggiungere che il menzionato limite temporale all’annullamento in autotutela dell’amministrazione, inizialmente frutto di elaborazione pretoria da parte del giudice amministrativo (sedimentata peraltro in tutt’altri campi, quali essenzialmente quello dei titoli edificatori e dei provvedimenti di riconoscimento di benefici economici), poi confluita nel precetto dell’art. 21 novies, comma 1, intanto si giustifica, in quanto risponde ad un’esigenza di tutela dell’affidamento, i.e. dell’interesse alla conservazione di una situazione di vantaggio conseguita in buona fede in forza di un atto amministrativo, una volta che detta situazione si sia consolidata per effetto del decorso di un significativo lasso temporale, buona fede che è impossibile configurare a fronte del particolare atteggiarsi dell’autorizzazione ricognitiva, che abilita all’iscrizione all’albo degli avvocati, fondata sul riscontro di requisiti strettamente vincolati di accesso alla professione forense (al di fuori della “condotta irreprensibile”, che qui non viene in questione), sicché non è assennatamente pensabile che l’interessato possa supporre incolpevolmente di possedere un requisito, tra quelli elencati dall’art. 17, comma 1 (cittadinanza; superamento dell’esame; ubicazione del domicilio professionale; godimento dei diritti civili; insussistenza delle incompatibilità tassativamente indicate dall’art. 18; soggezione a pene detentive, misure cautelari o interdittive; assenza di condanne per determinati reati), che invece non possiede.
12.2.4. – In tal senso queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di osservare che “la ratio perseguita dal legislatore, è costituita dal corretto esercizio della professione forense, cui non si può validamente opporre un termine ultimo di esercizio per effetto di un “legittimo affidamento” del ricorrente. Egli, infatti, non solo deve possedere, in qualsiasi momento in cui risulti iscritto all’Albo, tutti i requisiti necessari, ma ha altresì l’obbligo di attestare annualmente con certificazione la regolarità dell’iscrizione medesima. Inoltre, i provvedimenti di iscrizione agli albi professionali da parte degli Ordini professionali, debbono essere ricondotti nella categoria delle autorizzazioni ricognitive, nell’ambito di quei procedimenti che si innestano sulla richiesta del soggetto che aspira a un bene e che, nei casi come quello di specie (iscrizione all’Albo degli Avvocati), si concludono con atti denominati ammissioni. Dalla natura del soggetto giuridico che provvede all’iscrizione all’Albo degli Avvocati e dalla natura delle autorizzazioni ricognitive o delle ammissioni, nonchè dalla natura della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare l’aspirante all’iscrizione, discende l’impossibilità di apporre un termine volto a consolidare una situazione giuridica illegittimamente sorta (Cass., Sez. Un., 24 dicembre 2019, n. 34439). Analoghe considerazioni, in ordine al simmetrico procedimento di iscrizione all’albo, sono state svolte con riguardo all’esclusione dell’applicabilità dell’istituto del silenzio assenso come regolato per il procedimento amministrativo dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 20 laddove la legge professionale disegna sul punto un sistema speciale e del tutto incompatibile con la disciplina generale (Cass., Sez. Un., 21 giugno 2019, n. 16740). E nello stesso senso può richiamarsi, con riguardo al tema in generale della materia dell’iscrizione agli albi, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha stabilito che “il riscontrato difetto dei requisiti legittimanti, anche a distanza di tempo, impone l’annullamento in autotutela dell’atto che abbia riconosciuto l’esistenza del requisito, per un mero errore di fatto, senza che sia possibile configurare un legittimo affidamento del privato, il quale sia consapevole o comunque non poteva ignorare secondo l’ordinaria diligenza, come nel caso di specie, che il titolo conseguito difettava di uno dei requisiti abilitanti per legge” (Cons. St. 12 giugno 2020, n. 3762).
12.2.5. – Ciò esime dall’osservare, dal momento che la rilevata inapplicabilità alla materia dell’art. 21 novies risulta assorbente, che il ricorso coglie nel segno anche laddove censura la violazione della norma per difetto di integrazione in concreto del requisito legale del legittimo affidamento del Buzzanca in ordine al superamento dell’esame di abilitazione alla professione forense, affidamento che, anche a tralasciare le considerazioni di ordine generale già svolte poc’anzi, è senz’altro da escludere, per l’ovvia considerazione che un affidamento, legittimo, ossia incolpevole, in ordine alla spettanza di una posizione di vantaggio è intrinsecamente incompatibile con la pendenza di un giudizio vertente sull’accertamento se tale posizione di vantaggio sussista o meno, sicché il Buzzanca non poteva coltivare incolpevolmente la convinzione di aver superato l’esame, visto che, dopo il cautelare del Tar che aveva disposto la ricorrezione dei suoi elaborati, era sopravvenuta l’impugnativa dell’amministrazione, conclusasi con sentenza del Consiglio di Stato del 4 maggio 2010, n. 2557, che ha accolto l’appello del Ministero della Giustizia, oltre che delle Commissioni per gli esami di avvocato, Sessione 2008/2009, presso le Corti di appello di Brescia, Cagliari e Milano.
12.2.6. – Senza dire, infine, che il CNF ha errato in diritto anche nel reputare inapplicabile al caso in discorso l’art. 21 novies, il comma 2 bis dal momento che l’esigenza della condanna penale è richiesta per gli atti amministrativi conseguiti sulla base di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, non per gli atti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti (cfr. Cons. St. 27 giugno 2018, n. 3940, nonchè Cons. St., A.P. n. 8/2017, per cui “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo”).
13. – Il ricorso incidentale è in parte infondato e in parte inammissibile.
13.1.- Il primo mezzo è infondato.
Il terzo comma dell’articolo 17 della legge professionale forense stabilisce, con riguardo all’iscrizione all’albo, che: “L’accertamento dei requisiti è compiuto dal consiglio dell’ordine, osservate le norme dei procedimenti disciplinari, in quanto applicabili”.
Il rinvio, effettuato nei limiti della compatibilità, attiene evidentemente ai soli aspetti procedurali dell’accertamento dei requisiti per l’iscrizione, sicché non ha nulla a che vedere con la cancellazione, ed in ogni caso detto rinvio non riguarda certo l’art. 56 che regola la prescrizione dell’azione disciplinare: da un lato un simile rinvio non avrebbe senso con riguardo all’iscrizione, dal momento che essa ha da essere compiuta entro 30 giorni, ai sensi dello stesso art. 17, comma 7; dall’altro lato un simile rinvio, se riferito alla cancellazione, non avrebbe senso, dal momento che, come si è visto poc’anzi, il potere dovere del Consiglio dell’ordine di provvedere alla cancellazione, ove ne sussistono i presupposti, permane fintanto che permane l’iscrizione del professionista mancante dei requisiti.
13.2. – Il secondo mezzo è in parte infondato in parte inammissibile.
Si sostiene che nessuno, neppure il giudice amministrativo, avrebbe “dichiarato nulla la ricorrezione de qua”. La sentenza del Cnf avrebbe eluso il problema
laddove avrebbe discorso di revoca, revoca di cui il Coa non avrebbe invece parlato affatto, ed avrebbe erroneamente invocato la decisione del Consiglio di Stato, che a propria volta non avrebbe dichiarato la nullità della ricorrezione, tanto più che un provvedimento di ricorrezione non potrebbe essere dichiarato nullo perché eseguito sulla base di un ordine cautelare sul quale aveva inciso un decreto monocratico in appello. Si prosegue assumendo che in tal modo il Cnf avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato, appunto perché avrebbe eluso la censura del Buzzanca.
A ciò è sufficiente replicare anzitutto che non vi è nessuna ricorrezione che il Buzzanca possa invocare, essendo stata essa travolta, con il provvedimento cautelare che l’aveva disposta, in conseguenza della statuizione definitiva del Consiglio di Stato, che ha così provveduto: “Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado”, ossia il ricorso a cui lo stesso Buzzanca aveva sollecitato la ricorrezione. Senza che occorresse, evidentemente né dichiarare nullo, né revocare il cautelare, che secondo la regola generale è semplicemente assorbito dalla sentenza definitiva, cosa che, del resto, il Consiglio di Stato ha esattamente sottolineato, richiamando “l’intrinseca provvisorietà che connota i provvedimenti cautelari, i quali sono destinati a esaurire i propri effetti con la decisione di merito”.
Ciò detto, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato non solo che il Buzzanca, sulla base del cautelare ottenuto, non avrebbe potuto accedere alle prove orali (“l’accoglimento dell’istanza cautelare proposta dal ricorrente non avrebbe mai potuto costituire la base per una valida prosecuzione della procedura di esame, dovendo in ogni caso attendersi le decisioni di merito”), ma altresì che “neanche le sole prove scritte possano dirsi legittimamente superate”. All’evidenza non residua il benché minimo spazio, dinanzi a tale decisione, per sostenere che il Buzzanca abbia validamente superato la prova d’esame nel suo complesso.
In ciò il motivo è infondato.
Dopo di che, occorre aggiungere che la censura di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non coglie nel segno.
Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).
Nel caso in esame il Cnf ha provveduto su tutta la domanda, respingendo tutti i motivi di impugnazione spiegati dal Buzzanca e sintetizzati in precedenza in espositiva, mentre è appena il caso di aggiungere che l’omesso esame di un argomento difensivo spiegato da una delle parti si colloca non già dal versante dell’osservanza dell’art. 112 c.p.c., bensì da quello del rispetto dell’obbligo motivazionale: riguardo al quale trova applicazione il ribadito principio secondo cui al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass. 20 novembre 2009, n. 24542).
In ciò il motivo è inammissibile.
13.3. – Il terzo mezzo di ricorso incidentale, spiegato “in stretta correlazione” al precedente, è inammissibile.
Si dice che la sentenza del Consiglio nazionale sarebbe “viziata perché il suo capo di pronuncia omette di esaminare il “fatto decisivo” costituito dal contenuto della deliberazione del Coa con la sua tesi della nullità, che ne è avallata sulla scorta di considerazioni Cnf estranei ai suoi contenuti reali”.
Ma il fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 è, come noto, un fatto storico, con cui non può evidentemente essere confusa la lettura asseritamente errata che sarebbe stata data di detta deliberazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
13.4. – Il quarto motivo è anch’esso in parte infondato ed in parte inammissibile.
Vi si denuncia violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato per il fatto che il Cnf avrebbe simultaneamente esaminato tre censure distinte, e si sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe neppure esaminato la tesi prospettata dal Buzzanca: nel che però, alla stregua dei principi poc’anzi richiamati, non può essere ravvisata una violazione dell’art. 112 c.p.c..
In ciò il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente incidentale si sofferma poi sulla tesi secondo cui la ri-correzione, ed il successivo completamento della procedura di esame, sarebbe stato legittimamente portato a compimento sulla base del provvedimento cautelare più volte ricordato. Ma si è già visto che il cautelare, come pure ovviamente la sentenza di primo grado del Tar, è stato travolto dalla sentenza definitiva del
Consiglio di Stato, come del resto il Cnf ha correttamente osservato, il che assorbe ogni altra questione concernente il rilascio dell’iniziale provvedimento cautelare del Tar.
In ciò il ricorso è infondato.
13.5. – Il quinto mezzo è inammissibile.
Il Buzzanca invoca l’applicazione del D.L. n. 115 del 2005, art. 4, comma 2 bis, introdotto in sede di conversione dalla L. n. 168 del 2015. Ma al riguardo egli non fa che ripetere, senza apportare critiche che non siano state già scrutinate, argomenti già esaminati dal Cnf, ed ancor prima dal Consiglio di Stato, la cui motivazione è condivisa da queste Sezioni Unite: non v’è dubbio, in breve, che gli effetti di “stabilizzazione” della norma possano conseguire anche ad una ordinanza cautelare, ma nel caso in esame non vi era alcuna ordinanza cautelare che il giorno 2 ottobre 2009 legittimasse la ricorrezione, dal momento che essa era stata sospesa il precedente 30 settembre. Come ha osservato il consiglio di Stato: “Ben diversa è la situazione, invece, laddove il provvedimento cautelare favorevole conseguito dal ricorrente sia oggetto di modifica o riforma all’interno della stessa fase cautelare di primo grado, e tale modifica o riforma intervenga prima che si sia esaurita la procedura d’esame: in questo caso appare evidente che, anche alla luce delle previsioni normative circa i tempi dell’appello avverso le ordinanze cautelari e la possibilità di misure provvisorie, nessun serio affidamento può consolidarsi in capo all’interessato o a terzi, sicché a ben vedere difettano proprio i presupposti ai quali la giurisprudenza costituzionale ha ancorato la legittimità della previsione de qua. In questi casi, deve ritenersi che il sopravvenire di una statuizione di annullamento o riforma dell’ordinanza cautelare favorevole al candidato ricorrente, che si inserisce durante l’iter di svolgimento delle prove di esame, non possa non produrre il proprio ordinario effetto di far venir meno la base stessa della legittimità dell’ulteriore attività amministrativa, rendendo impossibile l’operatività del meccanismo di “stabilizzazione” di cui al citato art. 4, comma 2″.
14. – Il ricorso principale è accolto e l’incidentale respinto, la sentenza impugnata è cassata in relazione al ricorso accolto, e, non occorrendo ulteriori accertamenti, è respinto il ricorso del Buzzanca avverso “la deliberazione del COA Bergamo n. 343 del 26.09.2018 notificata il 03.10.2018 con la quale veniva disposta la cancellazione dall’albo degli avvocati di Bergamo del ricorrente Avv. Massimo Buzzanca”.
15. – Le spese possono essere compensate in considerazione della parziale novità delle questioni trattate. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente incidentale Buzzanca.
PER QUESTI MOTIVI
accoglie il motivo unico del ricorso principale e rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del Buzzanca avverso la deliberazione del Coa Bergamo n. 343 del 26 settembre 2018 notificata il 3 ottobre 2018, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità, e dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili, il 19 ottobre 2021.
Allegati:
SS.UU, 19 novembre 2021, n. 35463, in tema di iscrizione all’albo
Nota dell'Avv. Gisella Rosa Conforti
L’avvocato deve possedere i requisiti necessari all’esercizio della professione durante tutto il periodo in cui risulta iscritto all’albo
1. Il principio di diritto
L’avvocato, non solo deve possedere, in qualsiasi momento in cui risulti iscritto all'Albo, tutti i requisiti necessari, ma ha altresì l'obbligo di attestare annualmente con certificazione la regolarità dell'iscrizione medesima.
I provvedimenti di iscrizione agli Albi da parte degli Ordini professionali debbono essere ricondotti nella categoria delle autorizzazioni ricognitive, nell'ambito di quei procedimenti che si innestano sulla richiesta del soggetto che aspira a un bene e che si concludono con atti denominati “ammissioni”.
Dalla natura del soggetto giuridico che provvede all'iscrizione all'Albo degli Avvocati, delle autorizzazioni e della situazione giuridica soggettiva di cui è titolare l'aspirante all'iscrizione, discende l'impossibilità di apporre un termine volto a consolidare una situazione giuridica illegittimamente sorta.
2. Le ragioni della decisione
Il professionista ricorrente, prima escluso, poi ammesso alle prove orali, otteneva l’iscrizione all’Albo, ma, a distanza di anni, l’Ordine di appartenenza adottava un provvedimento di cancellazione per “mancanza di uno dei requisiti necessari per il mantenimento dell'iscrizione”.
Sull’impugnazione proposta dal professionista, il CNF annullava la delibera del COA, di revoca dell’iscrizione, per violazione del principio dell'affidamento, ai sensi dell'art. 21 novies della L. 241/1990, in ragione dell'amplissimo lasso di tempo intervenuto tra l'iscrizione e la cancellazione.
Le Sezioni Unite evidenziano come il rilievo pubblicistico della professione forense non possa tollerare che una così delicata attività, tendenzialmente indispensabile, al di fuori di marginali eccezioni, a veicolare l'esercizio del diritto costituzionale di azione, sia affidata, in ragione del mero decorso del tempo, a soggetti privi dei requisiti necessari, che devonno sussistere, e non possono per alcuna ragione mancare, dal giorno in cui l'avvocato inizia ad esercitare la professione fino al giorno in cui cessa di farlo.
Non è “assennatamente pensabile” che l'avvocato possa supporre incolpevolmente di possedere un requisito, tra quelli elencati dalla legge (cittadinanza; superamento dell'esame; ubicazione del domicilio professionale; godimento dei diritti civili; insussistenza delle incompatibilità tassativamente indicate dalla normativa speciale; soggezione a pene detentive, misure cautelari o interdittive; assenza di condanne per determinati reati), che invece non possiede.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite si allineano ad un orientamento del Consiglio di Stato, assai pertinente, secondo cui “il riscontrato difetto dei requisiti legittimanti, anche a distanza di tempo, impone l'annullamento in autotutela dell'atto che abbia riconosciuto l'esistenza del requisito, per un mero errore di fatto, senza che sia possibile configurare un legittimo affidamento del privato, il quale sia consapevole o comunque non poteva ignorare secondo l'ordinaria diligenza, come nel caso di specie, che il titolo conseguito difettasse di uno dei requisiti abilitanti per legge” (cfr., 12 giugno 2020, n. 3762).