Civile Sent. Sez. U Num. 927 Anno 2022
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 13/01/2022
SENTENZA
sul ricorso 14228-2018 proposto da:
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI PALERMO, rappresentata e difesa daiVavvocato GIORGIO LI VIGNI;
– ricorrente –
contro
IMMOBILIARE STRASBURGO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BELLEGRA 6, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA SALVAGGIO, rappresentata e difeso dall’avvocato LUCIANO TERMINI;
– controricorrente –
nonché
sul ricorso proposto da:
IMMOBILIARE STRASBURGO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BELLEGRA 6, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA SALVAGGIO, rappresentata e difeso dall’avvocato LUCIANO TERMINI;
– ricorrente incidentale –
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI PALERMO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 75/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/10/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8- bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato.
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 9 ottobre 2014 e depositata il 20 ottobre 2014 all’atto della costituzione per l’iscrizione a ruolo della causa, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo propose opposizione al decreto ingiuntivo per l’importo di € 15.343,74, notificatole il 18 luglio 2014 su domanda della I.S. s.r.l. ed avente ad oggetto il pagamento di somme per indennità di occupazione e oneri accessori inerenti alla locazione dell’immobile sito in via Bernini 49/51 di Palermo. Dopo aver disposto il passaggio dal rito ordinario al rito speciale con ordinanza del 24 ottobre 2015, il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 7477/2015, dichiarò inammissibile l’opposizione perché tardiva rispetto al termine stabilito dall’art. 641, comma 1, c.p.c., avendo riguardo alla data del deposito in cancelleria dell’atto di citazione erroneamente adoperato dall’opponente, in quanto il decreto ingiuntivo intimato concerneva una controversia in materia di locazione, ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. Proposto gravame dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 75/2018 del 20 febbraio 2018, ha respinto l’appello. In particolare pronunciando sul secondo motivo dì impugnazione, la Corte d’appello ha ritenuto fondata la questione di diritto attinente alla violazione dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011, circa la salvezza degli effetti della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, ma ha osservato che l’appellante si era limitata a chiedere genericamente la riforma della sentenza di primo grado, senza prospettare alcuna questione di merito e senza chiedere nemmeno l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Pertanto, ha concluso la Corte di Palermo, nessuna utilità avrebbe potuto ricevere l’appellante dall’accoglimento del gravame in punto di effetti del mutamento del rito, mancando nell’atto di impugnazione la richiesta di rinnovazione dell’istruzione e di esame delle domande di merito.
L’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
La I.S. s.r.l. in liquidazione ha notificato controricorso, contenente altresì ricorso incidentale condizionato articolato in tre motivi.
Con ordinanza interlocutoria n. 13556/2021 del 18 maggio 2021, pronunciata all’esito dell’adunanza del 25 novembre 2020, la Terza Sezione civile, rilevata la sussistenza di questione di diritto non decisa in senso univoco da precedenti pronunce della Corte, quanto alla natura di impugnazione o di ordinario giudizio di cognizione del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo, questione incidente anche sulla operatività del mutamento del rito ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
E’ stata altresì acquisita la relazione predisposta dell’Ufficio del massimario.
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo del ricorso dell’Azienda Sanìtaria Provinciale di Palermo deduce l’error in procedendo in riferimento all’art.346 c.p.c. ed al d.lgs. n. 150/2011, avendo errato la Corte d’appello di Palermo a ritenere rinunciati e non riproposti, ex art. 346 c.p.c., i motivi e le domande formulate con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo. Le censure portate alla sentenza di primo grado dovevano, infatti, intendersi già idonee ad investire i giudici di appello della pronuncia sul merito della lite.
Il secondo motivo del ricorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo denuncia la violazione e falsa applicazione del principio di conservazione degli atti ex art. 159 c.p.c. e del principio di libertà delle forme ex art. 121 c.p.c. in relazione all’applicazione dell’art. 346 c.p.c. fatta dalla Corte d’appello di Palermo, sempre quanto alla ravvisata rinuncia ai motivi ed alle domande di merito spiegati nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, che dovevano, piuttosto, reputarsi implicitamente richiamati con l’appello avanzato.
Il terzo motivo del ricorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 177 e 342 c.p.c., tenuto conto della operatività del d.lgs. n. 150/2011 e del principio di conservazione degli atti ex art. 159 c.p.c. Si critica la parte della sentenza della Corte di Palermo che ha dichiarato inammissibile il primo motivo di appello dell’Azienda Sanitaria Provinciale, quanto alla ipotizzata contraddittorietà tra il mutamento di rito inizialmente disposto dal Tribunale, di per sé implicante il riconoscimento della ritualità dell’atto di citazione, e la successiva declaratoria di inammissibilità dell’opposizione adottata dal primo giudice. La Corte d’appello, dichiarando inammissibile il primo motivo di gravame, avrebbe trascurato la portata degli effetti del mutamento dei rito ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale della I.S. s.r.l. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, dell’art. 426 in relazione all’art. 447-bis c.p.c., dell’art. 156 c.p.c. e dell’art. 645 c.p.c. La Corte d’appello avrebbe errato nel reputare violato dal Tribunale l’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011, atteso che l’opposizione a decreto ingiuntivo non introduce un giudizio autonomo, né un grado autonomo, ma è soltanto una fase di un giudizio già pendente.
Il secondo motivo del ricorso incidentale della I.S. s.r.l. deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., per apparenza della motivazione concernente i presupposti di applicabilità dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
Il terzo motivo del ricorso incidentale della I.S. s.r.l. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, dell’art. 645 in relazione all’art. 447-bis c.p.c. e dell’art. 3, legge n. 742 del 1969, come modificata dalla legge n. 162 del 2014, avendo la Corte d’appello comunque trascurato che la sospensione dei termini processuali di cui al citato art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n.. 742, non si applica, tra le altre, alle controversie previste dall’art. 429 c.p.c., sicché il termine per l’opposizione al decreto ingiuntivo notificato il 18 luglio 2014 sarebbe comunque venuto a scadenza già il 27 agosto 2014.
3. Il ricorso incidentale, giacché proposto su questione pregiudiziale di rito dalla parte comunque rimasta totalmente vittoriosa sul merito (nella specie, avente ad oggetto la inammissibilità per tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo, inammissibilità negata dalla Corte di Palermo con decisione esplicita) ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, come del resto espressamente indicato dalla controricorrente. Esso andrà perciò esaminato solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero nell’ipotesi di fondatezza del ricorso principale (Cass. Sez. Unite, 25 marzo 2013, n. 7381; Cass. Sez. Unite, 6 marzo 2009, n. 5456).
4. I primi due motivi del ricorso principale, proposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati nei termini dì seguito precisati, mentre è inammissibile il terzo motivo del ricorso principale.
4.1. La Corte d’appello, pur considerando pregiudizialmente fondata la questione attinente alla violazione dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011 (circa la salvezza degli effetti dell’opposizione a decreto ingiuntivo erroneamente proposta con atto di citazione, anziché con ricorso, ai sensi degli artt. 447-bis, 414 e 415 c.p.c., giacché comunque notificata entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c.), ha ritenuto non di meno infondato in gravame perché con esso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo non aveva riproposto alcuna questione di merito e neppure chiesto l’accoglimento dell’opposizione.
4.2. Tale statuizione finale è errata.
Qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione pregiudiziale di rito, come nella specie dichiarando inammissibile per tardività l’opposizione a decreto ingiuntivo, i motivi di appello, che norma dell’art. 342 c.p.c. devono indicare la parte del provvedimento impugnato e le circostanze da cui deriva la violazione della legge e la loro rilevanza i fini della decisione appellata, non possono concernere anche il merito della domanda, il quale non ha, del resto, neppure formato oggetto della pronuncia. In siffatta evenienza, l’impugnazione della statuizione sulla questione pregiudiziale inerente alla inammissibilità dell’opposizione costituisce comunque manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, dovendo perciò il giudice di appello, che ritenga ammissibile l’opposizione, pronunciarsi nel merito delle questioni dedotte in primo grado, non rientrando tale ipotesi tra i casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33580; Cass. Sez. 5, 19 gennaio 2018, n. 1322; Cass. Sez. 5, 2 agosto 2017, n. 19216; Cass. Sez. 2, 4 novembre 2011, n. 22954; Cass. Sez. 5, 9 giugno 2010, n. 13855; Cass. Sez. 3, 17 marzo 2010, n. 6481; Cass. Sez. 5, 8 marzo 2005, n. 5031; Cass. Sez. Lav., 10 luglio 2004, n. 12092).
4.3. E’ invece inammissibile il terzo motivo del ricorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, correlato alla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di appello.
Può premettersi che i provvedimenti di carattere ordinatorio, comunque motivati, emessi nel corso del processo, quale anche l’ordinanza che disponga il passaggio dal rito ordinario al rito speciale ex art. 426 c.p.c., non possono mai pregiudicare la decisione della causa e possono essere, anche implicitamente, modificati o revocati: sicché, l’eventuale contrasto tra l’ordinanza che disponga il mutamento di rito e la successiva sentenza del medesimo giudice non può mai dar luogo a contraddittorietà di quest’ultima.
Ancor più a monte, di tale contraddittorietà della sentenza di primo grado non ha più alcun interesse a dolersi l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, in quanto la questione degli effetti del mutamento del rito sulla tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo è stata poi decisa dalla Corte d’appello proprio nel senso voluto dalla ricorrente principale.
5. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale impone l’esame del ricorso incidentale condizionato.
5.1. Secondo ordine logico, occorre iniziare dal terzo motivo del ricorso incidentale della I.S. s.r.I., ove si assume che la notificazione dell’opposizione a decreto ingiuntiva era stata comunque tardiva, stante l’inapplicabilità della sospensione dei termini ex art. 3, legge n. 742 del 1969.
Questa censura è inammissibile in quanto non supera lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.
La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che la sospensione del decorso dei termini processuali ai sensi dell’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, trova applicazione nelle controversie in materia di locazione di immobili urbani ex art. 447-bis c.p.c. (quale quella in esame), atteso che la deroga stabilita dall’art. 3 della stessa legge n. 742 del 1969 per le controversie previste dall’art. 429 (poi 409) c.p.c. concerne le controversie individuali di lavoro, individuate in base alla natura della causa, e non invece quelle che sono comunque disciplinate dal rito del lavoro (tra le tante, Cass. Sez. 6 – 3, 12 novembre 2015, n. 23193; Cass. Sez. 3, 22 dicembre 2011, n. 28291; Cass. Sez. 3, 27/05/2010, n. 12979; Cass. Sez. 3, 13 maggio 2010, n. 11607; Cass. Sez. 3, 30 aprile 2005, n. 9022; Cass. Sez. 3, 12 settembre 2000, n. 12028; Cass. Sez. 3, 28 marzo 2000, n. 3732).
5.2. Può ora passarsi all’esame del primo motivo del ricorso incidentale della Strasburgo s.r.l.
La sostanza di tale censura deduce che non poteva trovare applicazione in questo procedimento la disciplina sul mutamento del rito contenuta nell’art. 4, del d.lgs. n. 150/2011, con la conseguente salvezza degli effetti della domanda proposta secondo le norme del rito erroneamente seguito, anche ai fini dell’osservanza del termine di cui all’art.641 c.p.c. Ciò perché, a dire della ricorrente incidentale, con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo non “viene promossa” una controversia, non si introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma si apre soltanto una fase del giudizio già pendente.
5.3. L’ordinanza interlocutoria n. 13556/2021 resa il 18 maggio 2021 dalla Terza Sezione civile ricorda come le sentenze di queste Sezioni Unite 8 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985, e 18 luglio 2001, n. 9769, sia pure in tema di competenza per l’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., abbiano sostenuto l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione. Viene peraltro evocata altresì la sentenza delle Sezioni Unite 8 marzo 1996, n. 1835, sempre in tema di competenza dell’ufficio giudiziario, al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, ove si affermava che tale “innegabile profilo impugnatorio non fa assurgere l’opposizione ad ingiunzione al rango di un processo di impugnazione in senso proprio, per cui l’opposizione non potrà considerarsi un giudizio d’appello”.
L’ordinanza interlocutoria n. 13556/2021 avverte, così, che !a questione, controversa anche in dottrina, inerente alla qualificazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice fase (eventuale) del giudizio ordinario già pendente, da rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo, è comunque rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 4 del d. Igs. n. 150/2011, il quale si riferisce espressamente alla controversia che “viene promossa” in forme diverse da quelle previste dal medesimo presente decreto. Si richiama, infine, quanto affermato nell’ordinanza della Sesta Sezione di questa Corte n. 7071/2019, resa il 12 marzo 2019, secondo cui nell’opposizione a decreto ingiuntivo in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., non può trovare applicazione l’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale non attiene ai procedimenti di natura impugnatoria, come l’opposizione a decreto ingiuntivo.
5.4. Queste Sezioni Unite, in pronunce anche più recenti di quelle menzionate nell’ordinanza interlocutoria, hanno avuto occasione di soffermarsi sulla natura del giudizio di opposizione al decreto di ingiunzione, costantemente negando che esso dia vita ad un procedimento di impugnazione.
5.4.1. La sentenza 30 luglio 2008, n. 20604, a proposito delle conseguenze della mancata notifica del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro e del decreto di fissazione dell’udienza, pur ritenendo applicabile per identità di ratio il principio dettato per l’appello, ha comunque rimarcato che il procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo deve “considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione”.
La sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, relativa ai termini di costituzione dell’opponente, ha affermato che il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo “ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice della opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione”.
La sentenza 10 luglio 2015, n. 14475, concernente la produzione in appello dei documenti già allegati con la domanda d’ingiunzione, ha spiegato che la (eventuale) fase di opposizione a decreto ingiuntivo “completa il giudizio di primo grado”, trattandosi di “giudizio di primo grado bifasico”, sicché “le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio”.
La sentenza 18 settembre 2020, n. 19596, in tema di esperimento del procedimento di mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, ha ribadito che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo “è stato ormai da tempo definito da questa Corte, con l’avallo di autorevole dottrina, come suddiviso in due fasi, la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena” e che “[l]’ opposizione a decreto ingiuntivo non è l’impugnazione del decreto”.
Sebbene nel dibattito scientifico l’interpretazione propensa alla natura (anche) impugnatoria del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo non manchi tuttora di autorevole sostegno, confutazioni della stessa si trovano altresì nelle motivazioni di altre recenti sentenze di queste Sezioni Unite: la sentenza 27 dicembre 2010, n. 26128; la sentenza 23 luglio 2019, n. ,19889; la sentenza 14 aprile 2021, n. 9839.
5.4.2. Deve dirsi quindi stabilizzato nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite quanto già affermava la sentenza 7 luglio 1993, n. 7448: “l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. non è un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”, non quale “giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.
5.5. L’applicabilità dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 e della relativa disciplina di mutamento dei rito nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, quale giudizio di primo grado strutturato in due fasi, risulta poi più volte affermata, o comunque data per scontata, in alcune pronunce di questa Corte, essenzialmente con riguardo al contenzioso in materia di liquidazione dei compensi di avvocato.
La sentenza di queste Sezioni Unite 23 febbraio 2018, n. 4885, ha chiarito che, a seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 (il quale fa, invero, esplicito riferimento all’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c.), la controversia di cui all’art. 28 della legge n. 794 del 1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta anche con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c., e la relativa opposizione, da proporre con ricorso ai sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c., è disciplinata dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs. n. 150 (oltre che dagli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.).
Degli effetti del mutamento del rito ex art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, ordinato nell’ambito di procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo erroneamente introdotto, si occupano, in particolare, Cass. Sez. 6 – 2, 5 giugno 2020, n. 10648; Cass. Sez. 2, 9 gennaio 2020, n. 186; Cass. Sez. 2, 26 settembre 2019, n. 24069; Cass. Sez. 6 – 2, 18 maggio 2019, n. 13472; Cass. Sez. 2, 14 maggio 2019, n. 12796; Cass. Cass. Sez. 2, 5 ottobre 2018, n. 24515.
Va rimarcato, inoltre, che la Relazione Illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2011 chiariva che la regola posta dal quinto comma dell’art. 4 è diretta proprio “al fine di escludere in modo univoco l’efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento [del rito]”, il che è stato inteso in dottrina come esplicitazione, appunto, della volontà legislativa di abbandonare quella sorta di «conversione del rito con effetti retroattivi» implicita nella valutazione di intempestività dell’atto di opposizione proposto secondo un modello formale erroneo.
5.6. Non di meno, la questione dell’inapplicabilità nel caso in esame della disciplina sul mutamento del rito contenuta nell’art. 4, del d.lgs. n. 150/2011, che viene sollevata dal primo motivo del ricorso incidentale condizionato della I.S. s.r.I., può ritenersi fondata per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte ma comunque individuabile da questa Corte sulla base dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nei ricorsi principale ed incidentale e nella stessa sentenza impugnata (ex multis, Cass. Sez. 3, 28 luglio 2017, n. 18775; Cass. Sez. 3, 22 marzo 2007, n. 6935).
5.6.1. Questo giudizio concerne una opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione, come tale soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., norma che richiama altresì l’art. 426 c.p.c. per il passaggio dal rito ordinario ex art.163 e ss. c.p.c. a quello speciale.
5.6.2. Secondo una diffusa elaborazione dottrinale, la disciplina del mutamento del rito dettata dall’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 opera unicamente, come prevede il primo comma della norma, «[q]uando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto» (comma 1); altresì il terzo comma si riferisce alle modalità procedurali per il caso in cui «la controversia rientra tra quelle per le quali il presente decreto prevede l’applicazione del rito del lavoro», ed il quarto comma dispone che «la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del presente decreto».
Il decreto legislativo 10 settembre 2011, n. 150, attua, del resto, la delega contenuta nell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ai fini della “riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale”. Oggetto della delega di cui al citato art. 54 della legge n. 69 del 2009 erano, dunque, “i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale”, da ricondurre ad uno dei modelli processuali “semplificati” previsti dal libro secondo, titolo IV, capo I, dal libro quarto, titolo I, capo III-bis, o dal libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile.
L’art. 4 cit. rileva, pertanto, per i mutamenti di rito in favore di alcuno dei tre modelli elaborati dal decreto legislativo n. 150/2011 ed in funzione della trattazione dei procedimenti speciali regolati dalle disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione. Detta disciplina non opera, invece, nelle ipotesi di mutamento dal rito ordinario al rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa, restando tali fattispecie tuttora regolate dagli artt.426 e 427 c.p.c. Ciò è dato intendere anche dall’art. 2 del d.igs. n. 150 del 2011, che, per le controversie assoggettate al rito del lavoro dal Capo II del decreto legislativo, stabilisce espressamente l’inapplicabilità, fra gli altri, degli articoli 426, 427 e 439 del codice di procedura civile.
5.6.3. Ad identiche conclusioni sistematiche è giunta Cass. Sez. 3, 25 maggio 2018, n. 13072 (proprio in ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni locatizi proposta con citazione e non secondo il rito di cui all’art. 447- bis c.p.c.), nei senso, cioè, che l’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 disciplina esclusivamente il mutamento del rito in caso di controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel medesimo decreto, e non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt.426 e 427 c.p.c., che rimangono le norme generali di coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio (nello stesso senso, Cass. Sez. 6 – 3, 25 settembre 2019, n. 23909; Cass. Sez. 1, 11 giugno 2019, n. 15722).
5.6.4. In relazione all’opposizione a decreto ingiuntivo per crediti relativi ad un rapporto di locazione di immobili urbani – e perciò disciplinata dall’art. 447-bis c.p.c. -, che sia proposta con atto di citazione notificato alla controparte, anziché con ricorso depositato nella cancelleria, emerge piuttosto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la necessità di procedere alla conversione dell’atto introduttivo secondo il criterio di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., potendosi, cioè, ritenere tempestiva l’opposizione, nonostante l’errore sulla forma dell’atto, qualora sia avvenuta entro il termine stabilito dall’art. 641 c.p.c. l’iscrizione a ruolo mediante deposito in cancelleria della citazione, non essendo invece sufficiente che, entro tale data, la stessa sia stata notificata alla controparte (in materia di controversie di opposizione a decreti ingiuntivi per crediti derivanti da locazione, fra le più recenti: Cass. Sez. 6 – 3, 19 settembre 2017, n. 21671; Cass, Sez. 6 – 3, 29 dicembre 2016, n. 27343; Cass. Sez. 3, 2 aprile 2009, n. 8014; 15er l’applicazione, in generale, del principio di conversione nelle ipotesi di introduzione del processo – sia che si tratti di impugnazione che di opposizione a decreto ingiuntivo – secondo un modello formale errato: Cass. Sez. Unite, 10 febbraio 2014, n. 2907; Cass. Sez. Unite, 8 ottobre 2013, n. 22848; Cass. Sez. Unite, 23 settembre 2013, n. 21675; Cass. Sez. Unite, 14 marzo 1991, n. 2714).
Secondo tale orientamento, l’errore sulla forma dell’atto introduttivo, come citazione o come ricorso, ai fini del prodursi degli effetti sostanziali e processuali della domanda (inteso quale errore sul singolo atto, isolatamente considerato, e non già quale “errore sul rito”), se non comporta ex se una nullità comminata dalla legge, va comunque valutato alla luce dei requisiti indispensabili che l’atto deve avere per raggiungere il suo scopo (art. 156, secondo comma, c.p.c.). Essendo in gioco la valutazione della tempestività di un atto introduttivo di un processo al fine di impedire una decadenza, non rileva la manifestazione di volontà sostanziale ad esso sotteso, quanto la sua idoneità ad instaurare un valido rapporto processuale diretto ad ottenere l’intervento del giudice ai fini di una pronuncia nel merito (arg. anche dall’art. 2966 c.c.). La pendenza del giudizio, quale momento idoneo ad impedire una decadenza, anche in nome delle esigenze di instaurazione del contraddittorio con la controparte, finisce così per correlarsi al compimento dell’atto che rappresenta ex ante il corretto esercizio del diritto di azione nella sua tipica forma legalmente precostituita, oppure al verificarsi del medesimo effetto altrimenti prodotto ex post dall’atto difforme dal modello legale, allorché la fattispecie possa dirsi successivamente integrata dagli elementi necessari alla sua funzione tipica.
5.6.5. Questo indirizzo interpretativo sul funzionamento della conversione nelle ipotesi di introduzione del processo secondo un modello formale errato, in quanto, come visto, ribadito da ancora recenti interventi di queste Sezioni Unite, merita di essere confermato anche per l’esigenza di assicurare un sufficiente grado di stabilità di applicazione (Cass., Sez. Unite 31 luglio 2012, n. 13620; Cass., Sez. Unite 6 novembre 2014, n. 23675).
5.6.6. Neppure può trascurarsi che proprio la vicenda processuale del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di locazione, irritualmente introdotto con citazione tardivamente depositata, è stata oggetto di due pronunce della Corte Costituzionale.
Con l’ordinanza n. 152 del 2000, la Corte Costituzionale dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 641, 645 e 447-bis in relazione all’art. 8, secondo comma, numero 3) del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione. La Corte Costituzionale richiamò i propri precedenti con cui era stata nègata l’irragionevolezza della diversa disciplina dell’opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario ed in quello di lavoro, finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia (ordinanza n. 936 del 1988); quindi invocò il principio della legale conoscenza delle norme, che non può non valere quando la parte si avvalga, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere la causa petendi dagli atti notificati alla parte.
Con la sentenza n. 45 del 2018, la Corte Costituzionale ha poi dichiarato in ammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 426 del codice di procedura civile, sollevata; in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. La questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 426 c.p.c. era stata posta dal giudice a quo con riguardo alla interpretazione di tale norma prediletta dalla Corte di cassazione, e quindi «nella parte in cui non prevede che, in caso di introduzione con rito ordinario di una causa soggetta al rito previsto dagli artt. 409 e ss. c. p. c. e di conseguente mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali si producano secondo le norme del rito ordinario, seguito fino al mutamento». Il remittente censurava la sanatoria dimidíata, e non piena, dell’atto non ritualmente introdotto «nelle forme ordinarie» (in luogo di quelle del rito speciale per esso previste) – quale unicamente consentita dall’art. 426 c.p.c. -, perché non coerente con la sopravvenuta previsione normativa di cui all’art. 4, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e nemmeno con la disciplina della cosiddetta translatio iudicii ex art. 59, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69. La sentenza n. 45 del 2018 della Corte Costituzionale ha affermato che l’auspicata riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub art.426 c.p.c. riflette “una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell’atto irrituale, per raggiungimento dello scopo. Ma non per questo risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina (a sua volta coerente ad un principio di tipicità e non fungibilità delle forme degli atti) non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali”.
5.6.7. Sono, invero, evidenti, le notevoli differenze operative cui si perviene a seconda che l’errore sul modello dell’atto introduttivo del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo risulti soggetto alla disciplina del mutamento del rito dettata dall’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 (ove, cioè, si tratti di controversia promossa in forme diverse da quelle regolate dal medesimo decreto legislativo n. 150/2011), oppure soggetto tuttora all’operatività del principio di conversione, il quale comporta lo slittamento in avanti del momento di efficacia dell’atto (ove, cioè, sia adottata la forma propria dei rito ordinario in luogo di quella tipica del rito speciale delle controversie di lavoro, o viceversa). Si è dinanzi, tuttavia, all’esigenza di pervenire alla modifica di regole processuali, modifica che – per riprendere ancora le parole della sentenza n. 45 del 2018 della Corte Costituzionale – può apparire “di per sé meritevole di considerazione, ma comunque rientrante nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore”.
5.7. Va pertanto enunciato, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., il seguente principio di diritto:
“Allorché l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 – che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto legislativo n. 150/2011 -, producendo l’atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all’art.641 c.p.c.”.
5.8. Alla luce di tale principio di diritto, il primo motivo del ricorso incidentale condizionato della I.S. s.r.l. può dirsi fondato, essendo comunque accertata una ragione che comportava l’inapplicabilità nel caso in esame della disciplina sul mutamento del rito contenuta nell’art. 4, del d.lgs. n. 150/2011, con particolare riguardo alla salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta secondo le norme del rito erroneamente seguito. A differenza di quantb affermato nella sentenza impugnata dalla Corte d’appello di Palermo a proposito del secondo motivo di gravame, doveva perciò dichiararsi inammissibile perché tardiva l’opposizione proposta dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo con citazione (notificata il 9 ottobre 2014 ma) depositata il 20 ottobre 2014 avverso il decreto ingiuntivo notificatole il 18 luglio 2014 su domanda della I.S. s.r.l. ed avente ad oggetto il pagamento di somme per indennità di occupazione e oneri accessori inerenti alla locazione dell’immobile sito in via Bernini 49/51 di Palermo.
5.8.1. L’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale comporta l’assorbimento del secondo motivo dello stesso ricorso, perdendo di immediata rilevanza decisoria la censura sulla motivazione adottata dalla Corte di Palermo in ordine ai presupposti di applicabilità dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2011.
6. In definitiva, risultano fondati i primi due motivi del ricorso principale proposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, mentre andrebbe dichiarato inammissibile il terzo motivo del ricorso principale. La riconosciuta fondatezza del ricorso principale ha imposto l’esame del ricorso incidentale condizionato della I.S. s.r.I., del quale risulta a sua volta fondato, per quanto esposto in motivazione, il primo motivo, rimanendo assorbito il secondo motivo, mentre sarebbe inammissibile il terzo motivo.
7. Atteso il carattere di unitarietà e contestualità della emananda decisione, occorre allora considerare che la stessa deve limitarsi a correggere l’error in iudicando contenuto nella motivazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., essendo comunque conforme al diritto il dispositivo della stessa, con cui era rigettato l’appello avanzato dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo contro la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo resa in primo grado dal Tribunale di Palermo. Il ricorso incidentale condizionato spiegato dalla resistente vittoriosa I.S. s.r.l. consente, invero, sulla base dei fatti accertati dai giudici di merito, di pervenire allo stesso risultato raggiunto nella sentenza impugnata, sia pure all’esito della diversa soluzione data in motivazione con riguardo alla questione pregiudiziale di rito che aveva visto vincitrice la ricorrente principale, senza necessità di rimettere la causa al giudice di rinvio, con conseguente reiezione sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.
8. Devono in definitiva rigettarsi sia il ricorso principale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, sia il ricorso incidentale condizionato della I.S. s.r.I., compensandosi tra le parti le spese del giudizio di cassazione in ragione della reciproca soccombenza e della novità della questione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese sostenute nel giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2021.
Il Consigliere estensore
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 18 maggio 2021, n. 13556, per SS.UU, 13 gennaio 2022, n. 927, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo
SS.UU, 13 gennaio 2022, n. 927, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo
Nota dell'Avv. Maurizio Fusco
Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo: giudizio autonomo o semplice fase (eventuale) di quello ordinario già pendente?
1. Il principio di diritto
Allorché l'opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all'art. 4 del D.lgs. 150/ 2011, producendo l'atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c..
2. Il contrasto risolto
L’ordinanza interlocutoria ha rilevato la sussistenza di una questione di diritto non decisa in senso univoco da precedenti pronunce della Corte, quanto alla natura, di impugnazione o di ordinario giudizio di cognizione, dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
La sezione rimettente ha richiamato, da un lato, un diffuso orientamento giurisprudenziale che ha sostenuto l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione (cfr., SS.UU, 08 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985, e 18 luglio 2001, n. 9769), e, dall’altro lato, la sentenza, sempre a Sezioni Unite, 08 marzo 1996, n. 1835, secondo la quale lo “innegabile profilo impugnatorio non fa assurgere l'opposizione ad ingiunzione al rango di un processo di impugnazione in senso proprio, per cui l'opposizione non potrà considerarsi un giudizio d'appello”.
E’ stato, infine, rilevato come la questione, controversa anche in dottrina, inerente alla qualificazione del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio o grado autonomo, o quale semplice fase (eventuale) del giudizio ordinario già pendente, da rimeditare altresì alla luce del principio del giusto processo, è rilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 4 del D.Igs. 150/2011, il quale si riferisce espressamente alla controversia che “viene promossa” in forme diverse da quelle previste dal decreto stesso.
3. Riflessioni conclusive
Sebbene nel dibattito scientifico l'interpretazione propensa alla natura (anche) impugnatoria del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo non manchi tuttora di autorevole sostegno, secondo le Sezioni Unite deve ritenersi stabilizzato nel nostro ordinamento il seguente principio: "l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è un’actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio", non quale "giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo".