Civile Sent. Sez. U Num. 12209 Anno 2022
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: MANCINO ROSSANA
Data pubblicazione: 14/04/2022
SENTENZA
sul ricorso 6572-2017 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A., quale società incorporante la CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;
– ricorrente –
contro
PREMI ROBERTO, GIANTIN ALESSANDRO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA BORTOLUZZI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza non definitiva n. 443/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 3/9/2016;
sul ricorso 7210-2018 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A., quale società incorporante la CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA UBERTI e PAOLO TOSI;
– ricorrente –
PREMI ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA BORTOLUZZI;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
INTESA SANPAOLO S.P.A., quale società incorporante la CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA UBERTI e PAOLO TOSI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 273/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/08/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/02/2022 dal Consigliere ROSSANA MANCINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale MARIO FRESA, che ha concluso per l’estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia, con riferimento al ricorso proposto nei confronti di Alessandro Giantin; rigetto del ricorso principale proposto nei confronti di Roberto Premi e del ricorso incidentale del lavoratore medesimo;
uditi gli avvocati Elisa Puccetti per delega dell’avvocato Paolo Tosi, Guido Rossi ed Andrea Bortoluzzi.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza non definitiva depositata il 3 settembre 2016, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha riconosciuto il diritto di G.A. e P.R., dipendenti della Cassa di Risparmio di Venezia fino alle dimissioni (G. il 12 febbraio 2008, P. il 4 gennaio 2008), al riscatto della posizione individuale maturata presso il fondo di previdenza per il personale della Cassa di Risparmio di Venezia, rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione del dovuto a mezzo consulenza tecnica d’ufficio.
2. La fondatezza della domanda azionata dai lavoratori – portabilità e riscattabilità della posizione previdenziale individuale nei fondi a ripartizione e a prestazione definita preesistenti anche nel caso di cessazione anticipata dall’iscrizione al fondo – è stata argomentata dalla Corte territoriale facendo propria integralmente la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, 14 gennaio 2015, n. 477 e, in continuità con detto arresto e i principi in esso affermati, è stata rimarcata l’indifferente natura del fondo preesistente a fronte della imperatività delle norme di cui agli artt. 10 e 18 decreto legislativo n. 124 del 1993.
3. In particolare, verificata la tempestività della domanda inerente al rimborso dell’intera posizione individuale maturata fin dall’iscrizione al fondo, e introdotta in giudizio fin dal primo grado, mediante l’indicazione dei criteri di calcolo utilizzati per la redazione dei conteggi, autorizzati e depositati in sede di gravame, la Corte territoriale officiava un ausiliare tecnico-contabile per la definizione della consistenza del diritto dei lavoratori al riscatto nei termini indicati dal citato arresto delle Sezioni Unite.
4. Rimarcava in fatto che nel 2001, pur prevista una trasformazione del fondo con indicazione, per ciascun ricorrente iscritto, della dotazione inziale, il fondo a ripartizione e a prestazioni definite era proseguito immutato e che il gruppo societario Banca Intesa (incorporante la Cassa) aveva dapprima disdetto tutti gli accordi in essere alla data del 31 dicembre 2007 (compreso l’accordo regolatore del fondo) e, poi, con l’accordo del 21 maggio 2008 aveva previsto, a far data dal 10 gennaio 2008, la trasformazione in fondo in uno a contribuzione definita, con finalità liquidatorie, in favore dei soli lavoratori in servizio alla data del 6 giugno 2008, con esclusione dei ricorrenti, dimessisi in epoca precedente (l’applicazione del quale, con la quantificazione dello “zainetto” dichiarato dalla Cassa, era stata richiesta, in via subordinata, dai lavoratori).
5. Rilevava, infine, l’erronea quantificazione delle somme già corrisposte dall’istituto di credito, in ragione della sentenza definitiva di primo grado, per essere stata disposta la liquidazione degli accessori sulle somme già quantificate al lordo di interessi e rivalutazione.
6. Avverso tale pronuncia non definitiva Intesa Sanpaolo S.p.A., incorporante Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A., ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di censura.
7. Giantin Alessandro e Premi Roberto hanno resistito con controricorso.
8. Nelle more del giudizio, per intervenuta conciliazione della lite tra loro pendente, Intesa Sanpaolo S.p.A. ha notificato a Giantin Alessandro atto di rinuncia al ricorso per cassazione, che questi ha accettato.
9. Con sentenza depositata il 24 agosto 2017, la Corte d’appello di Venezia, definitivamente pronunciando in esito alla disposta consulenza tecnica d’ufficio, e per quanto in questa sede rileva, ha condannato Intesa Sanpaolo S.p.A. a corrispondere a Premi Roberto la somma di euro 177.218,42 a titolo di riscatto della posizione previdenziale maturata presso il fondo di previdenza per il personale della Cassa di Risparmio di Venezia, comprensiva degli accessori al 16 maggio 2017, oltre ulteriori interessi, previa rivalutazione, dalla data della sentenza al saldo effettivo.
10. La Corte di merito, in adesione alle conclusioni dell’ausiliare officiato in giudizio e tenuto conto che la quota di conferimento al fondo versata dal lavoratore era stata già corrisposta dalla Banca in data 20 dicembre 2011 (come riconosciuto dai consulenti di parte, nel corso delle operazioni peritali), ha determinato il valore della quota di conferimento al fondo a carico della Banca, sino al 31 dicembre 1997, alla stregua del Regolamento del fondo del 1984, che stabiliva l’onere per il trattamento previdenziale, a totale carico della Cassa di Risparmio, attraverso l’utilizzo del fondo appositamente costituito, da incrementare con un contributo mensile nella misura del 22,50 per cento della retribuzione di cui all’art. 6 del regolamento medesimo, con la previsione di una contribuzione aggiuntiva dell’i per cento e dello 0,50 per cento a carico dei soli dipendenti appartenenti, rispettivamente, alle categorie dei dirigenti e funzionari.
11. La Corte territoriale motivava l’anzidetto discrimine temporale, per la quantificazione del controvalore monetario della quota a carico della Banca con la diversa metodologia adottata per il periodo temporale successivo, in considerazione della delibera del Consiglio di Amministrazione (del 25 novembre 1997) con la quale si attribuiva al fondo un patrimonio di destinazione, ex art. 2117 cod. civ., con retrocessione al fondo dei proventi maturandi sui cespiti ad esso assegnati, fermo restando l’impegno della Cassa alla copertura della riserva matematica con determinazione annuale dell’aliquota di contribuzione al fondo a carico della società (alla stregua del regolamento del 1984 e previa determinazione del Consiglio di Amministrazione), in funzione delle proiezioni dei fabbisogni di copertura
della riserva matematica formulate dall’attuario.
12. Ulteriormente accertato che, con decorrenza dal 1998, l’investimento delle predette risorse finanziarie in titoli di Stato aveva determinato la redditività del Fondo, innovando la prassi precedente che, alla stregua delle disposizioni statutarie (del 1946) e regolamentari (del 1963 e 1984), relegava a mera facoltà la redditività del capitale amministrato dal Fondo, la Corte di merito riconosceva il diritto del lavoratore a vedere incluso il rendimento finanziario nella posizione individuale.
13. Infine, la Corte di merito riteneva l’accordo del maggio 2008 (accordo “zainetto”, espressamente applicabile soltanto ai lavoratori in forza alla data del 21.5.2008), inefficace nei confronti di Premi Roberto per plurimi profili: per avere egli, a quella data, già cessato il rapporto di lavoro e per non avere conferito apposito mandato alle organizzazioni sindacali stipulanti; peraltro, l’accordo era intervenuto dopo la maturazione del diritto alla restituzione della posizione previdenziale individuale nel fondo, nei termini stabiliti dalla sentenza non definitiva.
14. Avverso la sentenza definitiva Intesa Sanpaolo S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, ulteriormente illustrato con memoria.
15. Premi Roberto ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale basato su di un motivo, ulteriormente illustrato con memoria.
16. Al ricorso incidentale Intesa Sanpaolo S.p.A. ha resistito con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.
17. Con ordinanza interlocutoria n. 26169 del 27 settembre 2021, la Sezione lavoro della Corte, investita dei ricorsi indicati in epigrafe e preliminarmente riuniti, ha rilevato che la questione controversa poneva profili solo in parte sovrapponibili a quelli già esaminati dalle Sezioni Unite con la pronunzia n. 477 del 2015 cit. e che, in disparte, faceva emergere la questione preliminare della portabilità/riscatto della posizione previdenziale, disciplinata originariamente dall’art. 10, d.l.gs. n. 124 del 21 aprile 1993, ed oggi dall’art. 14 del d.lgs. n. 252 del 2005 cit., a tutti i fondi complementari preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema a ripartizione e a prestazioni definite, aspetto già esaminato dalle Sezioni Unite nella pronunzia cit., in fattispecie in cui veniva in rilievo l’applicazione, ratione temporis, del solo art. 10 del d.lgs. n. 124 del 1993; pertanto, l’ordinanza interlocutoria ha sollecitato un nuovo intervento delle Sezioni Unite – ove fosse stata riaffermata la portabilità della posizione previdenziale – al fine di individuarne modalità e consistenza.
18. In dettaglio, ha chiesto di specificare se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre.
19. Pertanto, nel tema da scrutinare la Sezione lavoro ha ravvisato una questione di massima di particolare importanza, interrogando le Sezioni Unite al fine di stabilire: a) portabilità/riscatto della posizione previdenziale, disciplinata originariamente dall’art. 10, d.l.gs. n. 124 del 1993 ed oggi dall’art. 14 del d.lgs. n. 252 del 2005, a tutti i fondi complementari cd. preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione e a prestazioni definite; b) ove riconosciuta la sussistenza del diritto al riscatto della posizione individuale maturata presso un fondo preesistente, a prestazione definita e funzionante secondo il sistema cd. a ripartizione, individuare le modalità attraverso le quali commisurarne la consistenza; c) se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre.
20. Il Primo Presidente della Corte, in ragione della particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste Sezioni Unite.
21. Il Procuratore Generale ha formulato le proprie conclusioni motivate concludendo per la declaratoria di estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia, con riferimento al ricorso proposto nei confronti di Alessandro Giantin; ha chiesto, poi, il rigetto del ricorso principale proposto nei confronti di Roberto Premi e del ricorso incidentale di quest’ultimo.
22. In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
23. Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi proposti avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, pronunciate dalla Corte territoriale.
24. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza non definitiva, Intesa Sanpaolo S.p.A. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993 e art. 20, comma 2, d.lgs. n. 252 del 2005, nonché del d.m. n. 62 del 2007, per avere la Corte di merito riconosciuto il diritto al riscatto della posizione individuale e applicato al fondo di previdenza le previsioni dell’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993, giusta le indicazioni di Cass.,Sez. Un., n. 477 del 2015.
25. In particolare, l’istituto di credito deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva applicato l’art. 10 d.lgs. n. 124 del 1993 ai fondi a prestazione definita preesistenti alla riforma della previdenza complementare, pur trattandosi di fondi in cui, come nel caso di specie, non erano previste posizioni individuali o conti individuali; assume che la finalità mutualistica sottesa a tale forma di capitalizzazione renderebbe inapplicabile la norma anzidetta, riferentesi soltanto ai fondi di nuova istituzione (ex lege, a capitalizzazione individuale e contribuzione definita) e, in via interpretativa, estensibile ai soli fondi preesistenti a capitalizzazione individuale, ossia con posizioni riconducibili ai singoli iscritti; sostiene che tale esclusione sarebbe chiara in relazione alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 252 del 2005, che ha abrogato e sostituito integralmente la previgente disciplina; soggiunge, infine, che l’adeguamento ivi previsto dei fondi preesistenti, nei termini e modi contemplati (come delineati con il dm 10.5.2007, n. 62), presupporrebbe la non immediata applicabilità delle norme di cui al ridetto d.lgs. n. 124 ai preesistenti fondi a prestazione definita, anche perché se il principio di portabilità fosse stato applicabile ai fondi a ripartizione – con correlato obbligo di immediato adeguamento – il legislatore del 2005 avrebbe dovuto considerarli già obbligati a garantire agli iscritti la portabilità della posizione individuale e non avrebbe potuto introdurre norme transitorie o facoltà di deroga retroattiva.
26. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 437 cod. proc. civ. e 1362 cod. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto tempestiva la domanda concernente i rendimenti prodotti dall’investimento dei contributi versati al Fondo benché la pretesa introdotta con il ricorso introduttivo fosse stata limitata alla restituzione dei contributi versati dal datore di lavoro e di quelli trattenuti sulla retribuzione corrisposta al lavoratore iscritto al fondo.
27. Identica censura è svolta da Intesa Sanpaolo S.p.A. quale primo motivo del ricorso principale avverso la sentenza definitiva con cui la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento della domanda, l’ha condannata a pagare a Premi Roberto la somma di euro 177.218,42.
28. Con il secondo motivo del ricorso principale avverso la sentenza definitiva, l’istituto di credito prospetta violazione degli artt. 8 e 10, d.lgs. n. 124 del 1993, 414 cod. proc. civ., 1362 cod. civ., per avere la Corte di merito riconosciuto la posizione individuale incrementata con i rendimenti rivenienti dall’impiego produttivo del montante dei contributi versati al fondo.
29. Con l’unico motivo del ricorso incidentale avverso la sentenza definitiva, Roberto Premi si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 10, d.lgs. n. 124 del 1993 e 18 e degli artt. 8, 14, 20 del d.lgs. n. 252 del 2005, per avere la Corte di merito incluso nella posizione individuale i rendimenti rivenienti dall’impiego produttivo dei contributi versati al Fondo solo a far data dal 1998, anziché dalla data di iscrizione al Fondo, sul presupposto che prima di allora non vi fosse stato alcun investimento dei contributi accantonati.
30. Vanno preliminarmente rigettati il secondo motivo del ricorso di Intesa Sanpaolo S.p.A. avverso la sentenza non definitiva e il primo motivo, del medesimo contenuto, avverso la sentenza definitiva, per non essere la Corte di merito incorsa nella violazione del divieto di ultrapetizione.
31. Invero, risulta dal conclusum del ricorso di primo grado che Roberto Premi, insieme ad altri litisconsorti, ebbe a chiedere, in via principale, “la portabilità/il trasferimento ovvero il riscatto/il rimborso della posizione maturata (…) per l’importo corrispondente alla riserva matematica del Fondo pro-quota maturata, comprensiva della somma dei contributi rispettivamente versati dalla datrice di lavoro e da ciascun ricorrente (…) oltre interessi e rivalutazione” e, in subordine, “rimborsare.., un importo pari alla somma dei contributi rispettivamente versati dalla datrice di lavoro e da ciascun ricorrente, ex artt. 37 e 2117 cod.civ. (…) oltre
interessi e rivalutazione”, salva comunque la restituzione della propria quota di contribuzione versata al fondo.
32. Il thema decidendum azionato ha investito, dunque, il contenuto della pretesa del lavoratore – che si era dimesso dal rapporto di lavoro e aveva perso il diritto a partecipare al fondo di previdenza al quale era stato iscritto dal 1985 – di ottenere, prima del raggiungimento dei requisiti pensionistici, il rimborso, in parte o integralmente, del montante contributivo accumulato presso la forma pensionistica di elezione, incrementato con i rendimenti rivenienti dal loro impiego produttivo.
33. Tanto premesso, le impugnazioni avverso la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva ripropongono alle Sezioni Unite della Corte la questione della portabilità o possibilità di estendere la facoltà di riscatto della posizione individuale, già prevista dall’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993 e adesso ridisciplinata dall’art. 14, d.lgs. n. 252 del 2005, ai fondi complementari preesistenti a prestazioni definite e funzionanti, come il Fondo di Previdenza per il personale della Cassa di Risparmio di Venezia, secondo il sistema a ripartizione, e insieme ad essa quella, strettamente dipendente, della relativa consistenza, discutendosi se debba essere parametrata solo ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore iscritto o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero comunque potuto produrre.
34. Nell’ordinanza interlocutoria viene dato atto che, in riferimento alla previsione di cui all’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 14 gennaio 2015, n. 477), componendo il contrasto insorto all’interno della Sezione Lavoro, hanno affermato il principio di diritto secondo cui la norma cit., nel consentire la portabilità della posizione individuale, ossia il trasferimento dei contributi maturati da un dipendente cessato prima di aver conseguito il diritto alla pensione complementare verso un fondo cui il medesimo acceda in relazione ad una nuova attività, si applica anche ai fondi pensionistici preesistenti
all’entrata in vigore della legge delega n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali e, quindi, tanto ai fondi a capitalizzazione individuale quanto a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, trattandosi di soluzione coerente non solo con il dato letterale della norma (che non reca espressioni idonee a fondare trattamenti differenziati tra le due tipologie di fondi), ma anche con la relativa ratio, intesa ad assicurare, in conformità ai principi della legge delega, più elevati livelli di copertura previdenziale (Cass. Sez. Un. n. 477 del 2015 cit.).
35. Nel motivare tale soluzione, le Sezioni Unite cit. hanno affermato che anche nei fondi a ripartizione e a prestazione definita è ravvisabile una posizione individuale, di valore determinabile, in relazione alla durata del periodo di iscrizione dell’interessato e dell’apporto contributivo e, quanto al controvalore monetario, attraverso regole e metodi delle specializzazioni matematiche applicate nel settore assicurativoprevidenziale (in tal senso, in precedenza, fra le altre, v. Cass. n. 7161 del 2013).
36. La soluzione è stata argomentata da Cass. Sez. Un. n. 477 cit., anche in riferimento alla disciplina di cui al successivo decreto legislativo n. 252 del 2005 – allora inapplicabile, ratione temporis, ma rilevante, nei ricorsi all’esame, in relazione alla data di cessazione dell’iscrizione del lavoratore al fondo (4 gennaio 2008) – e al rilievo per cui la disciplina transitoria (art. 20, d.lgs. n. 252 del 2005 cit.), dettata per i fondi preesistenti, lungi dall’avvalorare la tesi incentrata sull’estraneità al dettato del d.lgs. n. 124 del 1993, comproverebbe ulteriormente, in ragione dell’insussistenza di esenzioni in relazione alla struttura del fondo e della limitata facoltà conferita all’autorità di vigilanza di consentire deroghe alla portabilità (in caso di dimostrati problemi di tenuta di equilibrio tecnico del fondo), l’insussistenza di una impossibilità tecnica di garantire la portabilità nell’ambito dei fondi preesistenti o di una incompatibilità sistemica tra portabilità della posizione individuale e fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva.
37. L’ordinanza interlocutoria ricorda che le Sezioni Unite, chiamate in un breve volgere di tempo a decidere la diversa questione della natura, retributiva o previdenziale, della contribuzione versata ai fondi pensione in epoca anteriore alla legge delega n. 421 del 1992 cit., hanno ritenuto di natura previdenziale, e non retributiva, i versamenti del datore di lavoro al fondo, indipendentemente dall’essere il fondo medesimo dotato di personalità giuridica autonoma o con gestione separata, escludendoli dalla base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro; inoltre, hanno espressamente affermato che «la mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, in buona sostanza, la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare, trovano una conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa – il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro», sottolineando altresì che «l’obbligazione che il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del fondo non è monetizzabile a favore del lavoratore come accade invece per alcuni benefit» (così Cass. Sez. Un. 9 marzo 2015, n. 4684 e 30 marzo 2015, n.6345).
38. Le affermazioni enunciate dalle sentenze nn. 4684 e 6345 cit. mal si conciliano, si rimarca nell’ordinanza interlocutoria, con l’opposta prospettiva sviluppata dalla sentenza n. 477 del 2015 cit., nel senso che l’obbligazione assunta dal fondo è sempre monetizzabile e, proprio per ciò, ben può essere oggetto di un diritto del lavoratore, diritto che, in quel caso, concerneva proprio il trasferimento della somma dei contributi versati, in favore del lavoratore, dal datore di lavoro.
39. Pur trattandosi di affermazioni effettuate nello scrutinio di fattispecie indubbiamente differenti (come sottolineato da Cass. n. 28874 del 2017), appartenendo entrambe, a pieno titolo, ai percorsi argomentativi che hanno portato all’enunciazione dei principi di diritto rispettivamente affermati da Cass. Sez. Un. n. 477 del 2015 e n. 4684 del 2015, nondimeno il Collegio remittente dubita che esse possano logicamente darsi insieme.
40. Per inciso, va dato atto, sin d’ora, che, in epoca coeva alla pubblicazione dell’ordinanza interlocutoria, ancora in fattispecie indubbiamente differente, queste Sezioni Unite, con la sentenza 9 giugno 2021, n. 16084, hanno dato continuità al principio per il quale i versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare hanno natura previdenziale e non retributiva (all’uopo citando Cass., Sez. Un., 20 marzo 2018, n. 6928) e, conseguentemente, hanno ribadito la natura previdenziale dell’apporto contributivo dei datori di lavoro ai fondi di previdenza complementare ed escluso la possibilità di accordare ai crediti correlati a detta contribuzione il privilegio di cui all’art. 2751-bis n. 1, cod. civ., riservato, come recita la rubrica della disposizione, ai «Crediti per retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società o enti cooperativi e delle imprese artigiane», indicati nei nn. da 1 a 5-ter (Cass.,Sez. Un., n. 16084 del 2021 cit.).
41. Tornando al percorso argomentativo dell’ordinanza interlocutoria, in esso è evocata, attingendo alla dottrina che ha affrontato funditus la materia, la distinzione, nell’ambito dei fondi preesistenti, tra forme previdenziali a contribuzione definita e forme previdenziali a prestazione definita, e la notazione per cui solo per le prime non può dubitarsi né della natura retributiva dei versamenti operati dal datore di lavoro né, a fortiori, della sussistenza di una posizione individuale riferibile al singolo iscritto e da questi tutelabile, eventualmente tramite gli strumenti già previsti dall’art. 10, d.lgs. n. 124 del 1993, laddove per le seconde, nelle quali sull’interesse individuale prevale manifestamente l’interesse mutualistico, non potrebbe rigorosamente affermarsi né la natura retributiva dei versamenti effettuati dal datore di lavoro né, a fortiori, la configurabilità di una posizione individuale del singolo iscritto.
42. A tale ultimo fine – soggiunge conclusivamente l’ordinanza interlocutoria – contrari argomenti non paiono nemmeno potersi trarre dalle regole delle specializzazioni matematiche, pur richiamate da Cass. Sez. Un. n. 477 cit., per affermare la determinabilità della posizione individuale nei fondi a prestazione definita, in quanto ciò che i metodi attuariali consentono propriamente di determinare è, piuttosto, l’ammontare delle passività, in funzione delle quali calcolare il contributo dovuto in relazione a ciascuno degli iscritti per garantire l’equilibrio finanziario del fondo, cosa affatto diversa da ciò che ciascun iscritto ha diritto di
pretendere dal fondo, vale a dire le somme liquidabili a ciascun iscritto che fuoriesca anticipatamente.
43. Al principale profilo evidenziato nell’ordinanza interlocutoria – la sussistenza di una posizione, da portare o riscattare, a vantaggio dell’iscritto che abbia cessato di appartenere al fondo a ripartizione e a prestazioni definite prima della maturazione del diritto a pensione – va risposto in continuità con il principio già espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 477 del 2015 cit., riaffermando che alla stregua dell’art. 10 del d.lgs. n. 124 del 1993 e, poi, dell’art. 14 del d.lgs. n. 252 del 2005, applicabile nella specie, va riaffermata la portabilità/trasferimento del montante contributivo maturato dal lavoratore la cui prestazione lavorativa sia cessata prima della maturazione del diritto alla pensione complementare del quale intenda avvalersi per reimpiegare la propria posizione individuale nell’ambito di un altro programma di previdenza complementare, verso un fondo cui il medesimo lavoratore acceda in relazione ad una nuova attività (come specificamente affermato dalla sentenza n. 477 cit.) o, più semplicemente, per riappropriarsi del controvalore monetario esercitando il riscatto.
44. Sempre in continuità con Cass., Sez. Un., n. 477 cit., va ribadito che l’ampio orizzonte della regola della portabilità, nel senso dell’applicabilità anche ai fondi pensionistici preesistenti all’entrata in vigore (15 novembre 1992) della legge-delega 23 ottobre 1992, n. 421, indipendentemente dalle relative caratteristiche strutturali e, quindi, non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, è coerente con il dato letterale
della norma – in assenza di espressioni idonee a fondare trattamenti differenziati – e con la ratio dell’intervento riformatore, preordinato ad assicurare, in attuazione dei principi e criteri direttivi della legge delega, i più elevati livelli di copertura previdenziale.
45. Dei tratti significativi emergenti dai precedenti e contrastanti orientamenti di legittimità, espressi sul tema della portabilità, ha già dato atto la richiamata sentenza di queste Sezioni Unite, n. 477 del 2015, il cui impianto argomentativo, dipanatosi nel solco degli opposti indirizzi emersi e scrutinati, si ha qui per integralmente richiamato per relationem.
46. Giova qui rimarcare – per rafforzarne l’attualità nel regime introdotto dal legislatore delegato nel 2005 con il riconoscimento, in favore del lavoratore, della facoltà di attivare la portabilità volontaria – gli argomenti a sostegno dell’esito ermeneutico della citata sentenza n. 477:
– l’inconsistenza della tesi dell’inapplicabilità dell’art.10 del d.lgs. n.124 del 1993 alle forme pensionistiche preesistenti, giacché il legislatore era ben consapevole che la maggior parte dei fondi esistenti all’epoca del primo intervento riformatore della previdenza complementare erano a ripartizione o a capitalizzazione collettiva;
– la natura imperativa della norma, dovendo lo Statuto del fondo consentire le tre opzioni ivi previste a chi perde i requisiti d’iscrizione senza aver maturato il diritto a prestazione;
– l’estraneità, alla portabilità enunciata dall’art. 10 cit., della natura previdenziale o retributiva dei contributi (sono seguite, in conformità, fra le tante, Cass., sez. lav., 18 settembre 2015, n. 18426 e Cass., sez. lav., 17 luglio 2019, n. 19259).
47. Muovendo dalla riaffermazione di tali principi, l’apparente antinomia tra la sentenza n. 477 cit. e la successiva affermazione della non monetizzabilità della contribuzione versata ai fondi pensione in epoca anteriore alla legge delega n. 421/1992, predicata da Cass., sez. un., 9 marzo 2015, n. 4684 e Cass., sez. un., 30 marzo 2015, n. 6345 (con i relativi enunciati secondo cui «in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa – il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro»), ribadito che trattasi di affermazioni effettuate nello scrutinio di fattispecie indubbiamente differenti (in tal senso Cass. n. 28874 del 2017 cit.), va risolta in coerenza con la configurazione legislativa della previdenza complementare riformata che rispecchia la vocazione espansiva della portabilità, estesa a tutti i fondi, anche preesistenti, di qualunque natura, nel mutato assetto del livello di tutela del lavoratore determinato dalla sempre più accentuata flessibilità del mercato del lavoro.
48. Il riconoscimento del diritto alla portabilità e al riscatto, anche nell’ambito dei fondi preesistenti a ripartizione, è in sintonia con l’assetto dato al sistema previdenziale integrativo dal legislatore delegato, con i decreti legislativi nn. 124 del 1993 e 252 del 2005, con l’obiettivo di «favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l’affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto più idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale» (così la Relazione illustrativa a corredo della legge delega n.243 del 2004), in una cornice normativa volta ad ampliare le libertà di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l’estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente europeo, della disciplina nazionale.
49. Al riguardo va ricordata la Direttiva 1998/49/CE del 29 giugno 1998, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno della Comunità europea: a norma dell’art. 4 Direttiva cit., gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare il mantenimento dei diritti a pensione acquisiti dagli iscritti ad un regime pensionistico complementare, nei confronti dei quali non vengono più versati contributi per il fatto di spostarsi da uno Stato membro ad un altro, nella stessa misura riservata agli iscritti nei confronti dei quali i contributi non vengono più versati, ma che restano nel primo Stato membro.
50. Successivamente, la Direttiva n. 2003/41/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP), ha introdotto norme rigorose, di carattere prudenziale, a protezione dei diritti dei futuri pensionati, valorizzando il perseguimento, all’interno dei fondi, dell’obiettivo di tutela assoluta della posizione previdenziale dei pensionandi e dei pensionati.
51. In particolare, nel considerando n. 5, si evidenzia che: «Dal momento che i regimi di sicurezza sociale sono sottoposti a una pressione sempre crescente, in futuro si farà sempre più ricorso a schemi pensionistici aziendali e professionali a integrazione dei regimi pubblici. Occorre pertanto sviluppare le pensioni aziendali e professionali, senza tuttavia mettere in discussione l’importanza dei regimi pensionistici della sicurezza sociale ai fini di una protezione sociale sicura, durevole ed efficace, che dovrebbe garantire un livello di vita decoroso durante la vecchiaia e che dovrebbe pertanto essere al centro dell’obiettivo del rafforzamento del modello sociale europeo».
52. Del pari, nel considerando n. 6 si rimarca che «si incoraggia il riorientamento del risparmio verso il settore degli schemi pensionistici aziendali e professionali contribuendo in tal modo al progresso economico e sociale».
53. Ancora, va rammentato quanto si legge nel considerando n. 14: «È importante garantire che le persone anziane e i disabili non vengano esposti al rischio di povertà e possano godere di un livello di vita decoroso. Una copertura adeguata dei rischi biometrici negli schemi pensionistici aziendali o professionali rappresenta un aspetto importante della lotta contro la povertà e l’insicurezza tra gli anziani. Al momento di stabilire uno schema pensionistico, i datori di lavoro e i lavoratori, o i rispettivi rappresentanti, dovrebbero vagliare la possibilità che detto schema preveda disposizioni per la copertura del rischio di longevità e di
invalidità professionale, nonché per la pensione di reversibilità».
54. Della cornice euro-unitaria va, poi, ricordata la Direttiva 2014/50/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilità dei lavoratori tra Stati membri migliorando l’acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari, preordinata, per l’appunto, a «promuovere la mobilità dei lavoratori riducendo gli ostacoli a tale mobilità creati da alcune regole relative ai regimi pensionistici complementari collegati a un rapporto di lavoro» (considerando n. 1), tenuto conto che «la protezione sociale dei lavoratori relativamente alle pensioni è garantita dai regimi obbligatori di sicurezza sociale, integrati dai regimi pensionistici complementari connessi a un contratto di lavoro, che negli Stati membri assumono un peso sempre più rilevante» (considerando n. 2).
55. La mobilità dei lavoratori tra Stati membri è stata, dunque, incoraggiata anche migliorando l’acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari degli iscritti ai regimi pensionistici complementari, valorizzando l’obiettivo di tutelare, in maniera adeguata, l’introduzione di nuovi regimi, la sostenibilità di quelli esistenti e le aspettative e i diritti degli iscritti ai regimi pensionistici (considerando nn. 5, 8 direttiva cit.).
56. Ed ancora, la valorizzazione della disponibilità di una pensione complementare è intesa «quale mezzo per garantire il tenore di vita
delle persone anziane» (considerando n. 16 direttiva cit.).
57. Importanza sempre maggiore ha assunto, dunque, la disciplina della previdenza complementare come garanzia di una protezione sociale adeguata del lavoratore a fronte delle criticità della vita lavorativa contemplate dall’art. 38, secondo comma, Cost. (sul ruolo sociale della previdenza complementare come espressamente qualificato dal legislatore, v., fra gli altri, art. 3 legge n.421 del 1992; art.1 d.lgs.n.124 del 1993; art. 1, legge n. 335 del 1995; art.3 legge n. 133 del 1999; v., inoltre, Cass. 11 dicembre 2002, n. 17657 ed ivi la disamina degli interventi normativi che hanno tessuto il collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare facendo rientrare quest’ultima nell’alveo dell’art. 38 Cost.).
58. Va ricordata, poi, la collocazione della previdenza complementare all’interno del sistema costituzionale e, in particolare, dell’art. 38, secondo comma, come scandito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. nn. 427/90, 421/95) che ha delineato la pensione complementare come strumento di tutela volto a soddisfare bisogni essenziali, concorrente alla definizione di un trattamento adeguato (Corte cost. n.319/2001), e che proprio scrutinando la prestazione definita nel regime a ripartizione (Corte cost. n. 393/2000, incentrata proprio sulle forme a prestazione definita) ha messo definitivamente a punto il processo di collocazione della previdenza complementare nel quadro costituzionale del secondo comma dell’articolo 38.
59. Anche con la sentenza dianzi richiamata, n. 16084 del 2021, l’impianto interpretativo delle Sezioni Unite si è snodato lungo la scia delle pronunce del Giudice delle leggi che, rimarcando la scelta del legislatore, nella legge delega n. 421 del 1992 e nei successivi interventi, di istituire un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, hanno ricondotto all’alveo dell’art. 38, secondo comma, Cost. la funzione della previdenza complementare, in ragione del suo concorso alla realizzazione dell’obiettivo dell’adeguatezza dei mezzi al soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione volontaria (Corte Cost. n. 303/2000, recte n. 393 del 2000, n. 319 del 2001, n. 218 del 2019).
60. Si obietta in dottrina che la solidarietà tra tutti gli iscritti, realizzata nei fondi pensione gestiti a ripartizione, è espressa dal contributo di tutti gli iscritti al finanziamento non delle prestazioni alle quali avranno diritto, ma delle prestazioni erogate ai già pensionati, ai lavoratori usciti dal mondo produttivo per sopraggiunte condizioni invalidanti, ai superstiti dei lavoratori prematuramente deceduti e, infine, ai trattamenti perequativi per i pensionati.
61. Ebbene, all’accentuato contenuto solidaristico – nei termini detti – dei fondi pensione gestiti a ripartizione va opposto il rilievo che il mutato assetto ordinamentale e comunitario ha conformato la portabilità da ipotesi eccezionale (conseguente alla perdita dei requisiti soggettivi di partecipazione al fondo da parte del lavoratore) a principio generale del sistema previdenziale complementare, come tale pienamente collocabile nella fisiologia del rapporto previdenziale, in parallelo con l’espansione, nazionale e transfrontaliera, della mobilità occupazionale e dell’accentuata flessibilità della vita attiva dei lavoratori, in tutti i profili
legati anche all’uscita dal mondo del lavoro (compresi, e non ultimi, quelli legati a necessità imposte da attività di cura), incidenti sul progressivo frazionamento della complessiva protezione previdenziale.
62. In questa prospettiva non va trascurato che la Commissione europea, mediante l’esplicito riferimento alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 (e alla previsione del diritto di ogni lavoratore «ad una protezione sociale adeguata» e a «poter beneficiare al momento della pensione di risorse che gli garantiscano un tenore di vita dignitoso»: artt. 10 e 24), ha anche riconosciuto che quanto più il livello della sicurezza sociale è affidato al «secondo pilastro» tanto più gli aspetti della disciplina della previdenza complementare che penalizzano l’uscita anticipata dalla forma pensionistica sono destinati a tradursi, oltre che in altrettanti ostacoli alla libertà di circolazione dei lavoratori, anche in una carenza di sicurezza per quei lavoratori che, nonostante quegli ostacoli, abbiano comunque deciso di esercitare quella libertà.
63. Ciò perché, come sottolineato dalla Commissione europea, in tutti i casi in cui la disciplina della previdenza complementare non protegga adeguatamente i diritti dei lavoratori che lasciano in anticipo la forma pensionistica esiste il rischio che costoro, al termine della propria carriera, possano trovarsi privi di un adeguato livello di sicurezza, potendo contare soltanto in misura limitata sul «secondo pilastro».
64. Pertanto, stante l’importanza acquisita dal «secondo pilastro» nella garanzia del livello di sicurezza sociale, la necessità di rimuovere gli ostacoli giuridici che possono impedire ai lavoratori che cambiano lavoro di conservare pienamente i propri diritti di previdenza complementare è funzionale non soltanto all’effettività della libertà di circolazione, ma anche all’obiettivo, parimenti rilevante per l’ordinamento europeo, di salvaguardare «la possibilità dei lavoratori che si spostano di acquisire sufficienti diritti a pensione a fine carriera».
65. La stessa Commissione aveva avvertito che i tipici ostacoli che la disciplina della previdenza complementare può porre alla libertà di circolazione fra gli Stati membri possono costituire altrettanti ostacoli alla mobilità dei lavoratori anche nell’ambito del mercato del lavoro di uno stesso Stato membro, per l’influenza che essi comunque possono avere sulla «scelta di una persona di cambiare occupazione».
66. La consapevolezza, maturata negli anni novanta, della crescente mobilità occupazionale caratterizzante il mercato del lavoro e della conseguente necessità di predisporre strumenti atti a consentire ai lavoratori, esposti al frammentarsi della vita lavorativa e alla differente modulazione dei tempi del lavoro e di abbandono del mondo produttivo scanditi nelle età della vita (pur con diverso impatto fra uomini e donne), di non subire, o quanto meno attenuare, i contraccolpi sul versante previdenziale, ha innervato, dunque, la valorizzazione e l’adeguatezza della protezione sociale, dalla Carta dei diritti fondamentali (art.34) alla protezione del tenore di vita degli anziani (Direttiva 2014/50/UE cit.), procedendo poi con l’armonizzazione delle norme, nell’ordinamento interno, espressa con il sistema integrativo riformato nel 2005 e l’esegesi compendiata nella sentenza n. 477 cit. con l’affermazione della regola generale della portabilità.
67. Pertanto, l’esigenza istituzionale e strutturale del fondo di poter fare ragionevoli previsioni, quanto a grandezza e tempi dei flussi monetari che movimentano il patrimonio e la gestione finanziaria e ne garantiscono la sostenibilità, non può essere ostativa alla portabilità anche per gli aderenti ai fondi preesistenti gestiti secondo il meccanismo della ripartizione, ben potendo il fondo reagire, a rischi finanziari e squilibri, mediante un’adeguata ristrutturazione del proprio assetto, pure imposta dalla normativa di settore.
68. Né può essere agitata la prevalenza, sull’interesse individuale, dell’interesse mutualistico nei fondi preesistenti a prestazione definita – espressione della solidarietà tra lavoratori, tra chi ancora lavora e chi è già pensionato o chi è invalido o superstite del lavoratore – per giungere al diverso esito di negare la portabilità, posto che il legislatore, che già nel 1993 aveva dato disposizione per l’adeguamento degli Statuti, nel 2005 ha messo in campo uno specifico strumento per adattare la portabilità alle «esigenze relative all’equilibrio tecnico del fondo», sicché i fondi preesistenti che dalla portabilità avessero realmente, e fondatamente, temuto rischi per l’equilibrio tecnico del fondo o danni alla sua immanente funzione solidaristica, avrebbero potuto, e dovuto, chiedere specifica deroga, anche parziale, alla portabilità medesima.
69. Ebbene, l’impronta solidaristica nel sistema pensionistico di secondo livello dei fondi a prestazione definita e la libera circolazione delle posizioni individuali come stimolo alla libera circolazione dei lavoratori non si elidono, ma coesistono nel riconoscimento dell’assenza di limiti alla portabilità con riferimento a tutti i fondi pensionistici preesistenti, a prescindere dal relativo regime e sistema di gestione, garantendo maggior protezione per il lavoratore che, cessato il rapporto lavorativo, può giovarsi della portabilità o riscattabilità della propria posizione anche prima di aver maturato il diritto a pensione.
70. In altri termini, la portabilità è intrinseca alla posizione soggettiva del lavoratore partecipante al fondo e viene meno solo al verificarsi delle condizioni per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico integrativo.
71. Nella vicenda all’esame, la partecipazione al Fondo di previdenza integrativa aziendale, costituito con Statuto nel 1946, comportava l’obbligo di versamento dei contributi a carico del datore di lavoro e dei lavoratori con qualifica di funzionari e dirigenti, iscritti al Fondo; dal 1998, come di seguito si dirà, aveva ottenuto l’attribuzione di un patrimonio di destinazione ex art. 2117 cod. civ.
72. Fino al 1997 il fondo era alimentato da una contribuzione predefinita, ripartita tra datore di lavoro e lavoratore, con qualifica di funzionario e dirigente (acquisite dal Premi, rispettivamente, dal 1° ottobre 1994 e dal 1° giugno 2003), in misura percentuale della retribuzione: rispettivamente, per il contributo a carico del lavoratore, in misura dell’1 per cento e dello 0,50 per cento, diversificato per le predette qualifiche, e nella misura del 22,50 per cento della retribuzione come del pari previsto dalla fonte regolamentare, quanto all’onere a carico della Cassa.
73. Il flusso contributivo, predeterminato dalla fonte regolamentare, era, pertanto, predefinito nell’an e nel quantum: vero è che operava con modalità finanziarie dei sistemi a ripartizione e che fosse preesistente alla riforma voluta con la legge di delegazione n. 421 del 1991, ma è altrettanto vero che la fonte regolamentare prevedeva espressamente le modalità con cui si sarebbe dovuto costituire e alimentare.
74. In definitiva, il fondo gestiva le risorse acquisite con le modalità della ripartizione e veniva incrementato sulla scorta dei predeterminati criteri di contribuzione in misura pari ad una percentuale delle retribuzioni, inizialmente, dalla costituzione, fissa e successivamente, dopo il 1998, variabile, alla stregua delle necessità determinate dagli studi attuariali operati in base alla riserva matematica necessaria.
75. Per le dette peculiarità, il fondo gestito con la ripartizione del capitale acquisito veniva, tuttavia, costituito e incrementato mediante importi individuati sulla base dei redditi percepiti da ciascuno dei partecipanti al fondo, con un fondo a capitalizzazione collettiva o comunque un fondo che prevedeva una prestazione definita, ma anche una contribuzione predeterminata.
76. Ulteriore conferma che la provvista del fondo veniva acquisita mediante contribuzione definita è data dalla previsione statutaria, valida dunque fin dalla costituzione del Fondo, della tutela del lavoratore iscrittovi (e poi cessato senza diritto alla pensione) mediante il versamento all’INPS della riserva matematica relativa ai contributi dell’assicurazione, invalidità e vecchiaia calcolata in base agli assegni percepiti nei vari periodi di servizio presso la Cassa di Risparmio di Venezia, prelevando detta riserva matematica dall’importo da liquidare all’iscritto: dunque, fin dallo statuto costitutivo era prevista la possibilità di dismissione della posizione previdenziale del partecipante al Fondo e di individuazione in termini di riserva matematica del valore della prestazione.
77. Va soggiunto che anche la previsione della facoltà di richiedere anticipazioni e prestiti per l’acquisto di appartamenti, in uso o come propria abitazione o per altre necessità di famiglia, sia pure previa insindacabile valutazione della Cassa, presuppone una posizione individuale e la liquidabilità d’un credito ad un importo anticipabile.
78. Tanto conferma che ciò che rileva è un sistema certo di ingresso dei flussi, rapportabile alle posizioni partecipate nel fondo, ancorché non necessariamente riportate in un conto dedicato (il conto individuale tipico dei sistemi a capitalizzazione individuale) e non il fatto che il fondo sia a capitalizzazione ovvero a ripartizione, giacché questa e quella rappresentano solo due diversi sistemi attuariali per assicurare l’idoneità dei flussi di ingresso a fronteggiare le prestazioni e a garantire la copertura anche delle obbligazioni nascenti dalle posizioni contributive in formazione, ma non influenzano il criterio di determinazione della prestazione.
79. Si tratta, ora, di delineare il contenuto della posizione del lavoratore rispetto all’evento liquidatorio che ha interessato il fondo secondo regole che avrebbero escluso il dipendente e negato quei più elevati livelli di copertura previdenziale che l’ordinamento ha inteso assicurare, e scrutinare la consistenza della posizione destinata ad essere portata, controvertendosi se debba essere parametrata ai soli contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore iscritto o anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero comunque potuto produrre.
80. Che la posizione individuale sia data dalla somma dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore è principio già acquisito nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte, affermato dalla sentenza n. 477 cit. (paragrafo 46) e, di recente, riaffermato da Cass.,Sez. Un., n.16084 del 2021 cit., che nell’ambito della previdenza complementare ha ritenuto contribuzione e prestazione pur sempre intimamente correlate; né è dato distinguere tra le due obbligazioni – di versamento dei contributi ed erogazione della prestazione – od affermare che abbia natura pecuniaria la seconda e non anche la prima (paragrafi 78-81, Cass., Sez. Un., n.16084 del 2021 cit., in riferimento al Fondo integrativo previdenziale di Sicilcassa).
81. Il pagamento della contribuzione versata al fondo, nei casi nei quali la prestazione non possa essere erogata per la cessazione del fondo stesso, coincide in sostanza con il riscatto, previsto dalla legge (artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 124 del 1993), della contribuzione versata dal datore di lavoro a favore del lavoratore, per ampliarne la tutela previdenziale, riscatto che resta estraneo all’istituto disciplinato dall’art. 2033 cod. civ. (Cass., Sez. Un., n.16084 del 2021 cit.).
82. Si è detto dianzi del contrasto solo apparente emergente dall’affermazione secondo cui «l’obbligazione che il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del fondo non è monetizzabile a favore del lavoratore come accade invece per alcuni benefit» (enunciata da Cass. Sez. Un. nn. 4684 e 6345 del 2015 cit.), in considerazione del diverso profilo scrutinato, allora, e risolto nel senso dell’esclusione, dalla base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro, dei versamenti eseguiti dal datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare, con particolare riferimento alla contribuzione di solidarietà, nella misura del 10 per cento, da corrispondere all’istituto di previdenza obbligatoria (dunque, non si paleserebbe un contrasto stridente, come – del resto – già rimarcato da Cass. n.28874 del 2017 cit.).
83. Rimane da domandarsi se nei fondi a ripartizione la posizione individuale da portare o riscattare possa essere implementata in relazione ai rendimenti effettivi o conseguibili, in virtù di investimenti non effettuati.
84. Il tema dei rendimenti prodotti dagli investimenti, avulso dalla disamina della sentenza n.477 cit. (nel ricorso in quell’occasione all’esame delle Sezioni Unite la pretesa degli iscritti era limitata, con l’azione intrapresa, alla portabilità dei contributi del datore di lavoro, oltre ai contributi versati dai lavoratori), è per la prima volta oggetto di scrutinio di queste Sezioni Unite.
85. Vale premettere che nei fondi pensione gestiti a capitalizzazione i rendimenti degli investimenti vengono, pro quota, accreditati sui conti individuali degli iscritti: ciò perché nei fondi gestiti a capitalizzazione – ora definiti a contribuzione definita perché non sono definite le prestazioni che dovranno essere erogate – il valore dei contributi via via accreditati sui conti individuali è inevitabilmente eroso dalla svalutazione della moneta nel periodo compreso tra l’accredito e la liquidazione della pensione.
86. Per ovviare alla situazione appena descritta, il rimedio apprestato dal legislatore è stato quello di prevedere che le somme accreditate sui conti individuali a titolo di contributi venissero investite, con tutte le cautele più opportune, nel mercato finanziario e, quindi, producessero rendimenti.
87. Nei fondi gestiti a capitalizzazione, quindi, l’accredito degli investimenti sui conti individuali ha la funzione di compensare la svalutazione delle somme già accreditate al fine di garantire l’effettività delle prestazioni.
88. La medesima evenienza, si sostiene in dottrina, di regola non ricorrerebbe nel fondo pensione gestito a ripartizione e a prestazioni definite, perché per queste ultime, non commisurate alla contribuzione nm, versata, diventerebbe irrilevante, in sede di quantificazione della prestazione integrativa, la svalutazione della moneta: in breve, la prestazione integrativa, essendo di importo determinato solo al momento in cui matura il relativo diritto, per definizione sarebbe sottratta alla svalutazione della moneta.
89. Inoltre, la medesima dottrina nota che nei fondi a ripartizione mancherebbe la contabilizzazione degli apporti su conti individuali perché, come osservato da risalente giurisprudenza, le risorse che affluiscono al fondo – destinate come sono a finanziare prestazioni la cui misura non è in alcun modo calcolata in rapporto con l’insieme dei contributi versati nel tempo in favore del singolo lavoratore – apparterrebbero, indivise, ad un sistema attuariale a ripartizione, profili, quelli appena sottolineati, dai quali non potrebbe che predicarsi l’inattingibilità dei rendimenti del fondo ed escludere che il lavoratore possa pretendere, al venir meno dei requisiti di partecipazione alla forma di previdenza complementare di appartenenza senza aver maturato il diritto alla prestazione pensionistica, una posizione individuale meritevole di considerazione, e protezione, comprensiva della redditività medio tempore conseguita dal fondo.
90. La lettura – offerta dalla dottrina e (anche) da giurisprudenza risalente – del limite alla portabilità solo se ed in quanto prevista dalle fonti istitutive collettive (art.10, co.1, d.lgs. n.124 del 1993), anche per i profili inerenti alle regole tecniche applicative per determinare la posizione o quota individuale, conferma, invece, la portabilità e determinabilità della posizione individuale non solo come espressione dell’autonomia negoziale collettiva, ma anche come regola generale (v. art.14, sesto comma, ultimo periodo, d.lgs. n. 252 del 2005).
91. Il tema della ricomprensione della redditività del fondo nella posizione individuale merita, a sua volta, un’ulteriore precisazione: si tratta d’un fondo costituito dall’apporto di più soggetti (datore di lavoro e lavoratori) e che, proprio in quanto tale, ex art. 2123 comma 2 cod. civ. prevede la possibilità della liquidazione della quota in favore del singolo lavoratore, qualunque sia la causa di cessazione del rapporto lavorativo.
92. Trattandosi d’un patrimonio vincolato alle finalità previdenziali del fondo, id est un «patrimonio di destinazione» (v. art. 2117 cod. civ.) la relativa disciplina, quanto ai rendimenti, può trarsi dall’applicazione analogica degli 2447-bis e ss. cod. civ. (novella introdotta al codice civile con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 per le società per azioni) per gli aspetti non espressamente regolati dalla disciplina speciale in materia di previdenza complementare (d.lgs. n. 252 del 2005, successivamente integrata dalle previsioni regolamentari del Ministro del lavoro, della COVIP e dell’ISVAP).
93. In particolare, per quanto qui rileva, ribadito dal decreto legislativo n. 252 del 2005 che sono garantiti gli effetti previsti dall’art. 2117 cod. civ., il patrimonio di destinazione è vincolato alle finalità previdenziali del fondo pensione e, ove non sia adottata una struttura amministrativa e gestionale distinta, deve essere in ogni caso garantita la « tracciabilità » degli atti compiuti in relazione al patrimonio separato ed è prescritta come obbligatoria sia l’espressa menzione per ciascuno del vincolo di destinazione sia la tenuta di libri obbligatori e scritture contabili specificamente dedicati, in analogia a quanto previsto dagli artt. 2447- quinquies, quarto comma, e 2447 -sexies cod.civ. per i patrimoni destinati delle S.p.A.
94. Il decreto n. 252 non prevede più espressamente, a differenza dell’art. 4, quinto comma, d.lgs. n. 124 del 93, che il patrimonio di destinazione debba essere «dotato di strutture gestionali, amministrative e contabili separate da quelle della società o dell’ente», salvo che nell’ipotesi delle forme pensionistiche già istituite dall’entrata in vigore della legge n. 421 del 1992.
95. Il d.lgs. n. 252 ha demandato al Ministro del lavoro il compito di determinare in dettaglio «i contenuti e le modalità del protocollo di autonomia gestionale».
96. Le previsioni già dettate dal d.m. 16 gennaio 1997, n. 211, in relazione al previgente sistema a norma dell’art. 4, terzo comma, d.lgs. n. 124/93, rilevanti ratione temporis, valorizzavano il protocollo di autonomia gestionale mediante l’adozione di criteri certi di imputazione delle spese e delle obbligazioni direttamente al patrimonio separato e di contabilità separata, al fine di poter verificare la consistenza del capitale «vincolato» e la coerenza rispetto a questo vincolo di ogni specifico atto di utilizzazione.
97. Dalla descritta cornice normativa che salda, in via di interpretazione analogica, l’attribuzione di un patrimonio di destinazione, più puntualmente disciplinato nel 2005 ma già introdotto dal legislatore delegato del 1993, alle novellate disposizioni dell’art. 2447 e seguenti del codice civile, va tratto il principio per cui, salvo diverse disposizioni contrattuali, i proventi degli atti di disposizione del patrimonio di destinazione entrano a far parte della posizione individuale del lavoratore in caso di cessazione anticipata dall’iscrizione ad un fondo a ripartizione e a prestazione definita.
98. Il fondo del quale ora si controverte, con la costituzione di un patrimonio di destinazione, ex art. 2117 cod.civ., con decorrenza primo gennaio 1998, ha introdotto quegli elementi di redditività, correttamente valorizzati dalla Corte territoriale, con decorrenza da tale epoca, in considerazione della destinazione di risorse finanziarie specifiche del fondo verso investimenti (e contestuale decremento degli accantonamenti effettuati dalla Banca, a suo carico, a titolo di copertura della riserva matematica).
99. Guardando, poi, alle vicende diacroniche del fondo per il personale della Cassa di Risparmio di Venezia del 1946, lo statuto prevedeva, all’art. 16, la possibilità, non l’obbligo, che il capitale amministrato potesse essere investito in titoli di Stato e ciò – si legge nella sentenza gravata – è stato fatto, in concreto, solo a partire dal 1998, allorché l’istituto di credito ha attribuito al fondo un patrimonio di destinazione.
100. In esso gli investimenti in titoli di Stato operati con apposita deliberazione – con gli effetti di cui all’art. 2117 del codice civile, in ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 4, co.2, d.lgs. n.124 del 1993 – hanno prodotto una redditività del patrimonio medesimo grazie all’attribuzione, al fondo, degli interessi maturati sui titoli di sua pertinenza.
101. Solo dal 1998, dunque, sono state attribuite al fondo risorse finanziarie specifiche investite in titoli di Stato, per cui investimenti e relativi rendimenti non sono enucleabili da epoca precedente, come invece pretenderebbe il lavoratore.
102. Nel caso di specie, dalla costituzione del rapporto lavorativo (dal 1985) fino a tutto il 1997, la quota a carico dell’istituto di credito era costituita da un apporto nella misura del 22,50 per cento della retribuzione e determinata alla stregua delle norme regolamentari vigenti che rinviavano agli accordi sindacali per la determinazione dei criteri utili di riferimento ai fini della quantificazione della predetta quota.
103. La posizione individuale (delineata, con chiarezza, tra le prime, da Cass. n.17657 del 2002 cit.), comprensiva degli accantonamenti derivanti dal flusso contributivo, anche del lavoratore (nella specie, dall’epoca del conseguimento della qualifica di funzionario, il 10 ottobre 1994) e del datore di lavoro, solo dal 1998 include i rendimenti rivenienti dalla redditività del patrimonio di destinazione (rendimenti che, nella specie, hanno bilanciato il contestuale decremento degli accantonamenti effettuati, da quel momento in poi, a carico del datore di lavoro per effetto della rideterminazione, ad opera del Consiglio di amministrazione, dell’aliquota di contribuzione determinata in funzione delle proiezioni dei fabbisogni di copertura della riserva matematica, formulate dall’attuario).
104. Correttamente la Corte territoriale ha incluso, nella posizione da portare a beneficio del lavoratore, i rendimenti degli investimenti in riferimento all’anzidetto segmento temporale connotato dalla redditività del patrimonio di destinazione da ripartire a favore degli aderenti cessati dall’appartenere al fondo, tenuto conto per il periodo precedente del solo montante contributivo, e definito l’intera posizione anche con le regole della matematica attuariale, come indicate da Cass.n.7161 del 2013 cit. e dalla sentenza n. 477 di queste Sezioni Unite, regole che palesano l’intrinseca maggiore affinità con la materia della previdenza complementare.
105. La tesi propugnata dal ricorrente incidentale e volta ad incrementare la posizione individuale anche da epoca precedente al ridetto 1998, tenuto conto della eventuale redditività del denaro accumulato dal fondo e utilizzato, come si assume, per l’attività propria della Banca e in ogni caso incrementata dei rendimenti non prodotti, ma che si sarebbe potuto realizzare, da un lato investe un accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità, dall’altro postula un interesse, difficilmente ipotizzabile in capo all’iscritto al fondo, a contestare la gestione degli investimenti o a dolersi dei mancati investimenti.
106. Quanto, infine, all’ultimo dei profili pur evidenziati dall’ordinanza interlocutoria, in riferimento a non univoci esiti nella giurisprudenza di legittimità – se, una volta individuata la posizione individuale, siano dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria – vale osservare che, invero, dal dispositivo della sentenza definitiva, ora gravata, si evince la condanna dell’istituto di credito a corrispondere la somma di euro 177.218, 42 oltre accessori, ex art. 429 cod. proc. civ., dal 16 marzo 2017 (data dell’udienza di discussione) al saldo, mentre il relativo capo della motivazione riconosce il diritto alla predetta somma, comprensiva degli accessori, al 16 marzo 2017, oltre ulteriori interessi, previa rivalutazione dalla data della sentenza al saldo.
107. Ebbene, il dictum cristallizzato nel dispositivo, all’evidenza difforme dalla motivazione, non è stato fatto segno di censura, dalle parti ricorrenti, per incrinarne la validità e rimettere in discussione, veicolandola in sede di legittimità con appropriato mezzo d’impugnazione, l’applicabilità, alla materia trattata, degli accessori e dell’art. 429 cod. proc. civ.
108. In particolare, la regola legale applicata dalla Corte territoriale alla maturazione del credito, dal momento in cui risulta perfezionata la fattispecie costitutiva (del credito) in funzione compensativa del ritardato godimento delle somme dovute, alla stregua della disciplina dei crediti di lavoro o delle obbligazioni pecuniarie, non è stata attinta da alcuna censura per saggiarne la validità, con pertinenza agli altri profili dibattuti in causa e adeguatamente riproposti in sede di legittimità.
109. In conclusione, dichiarato estinto il giudizio tra Intesa Sanpaolo S.p.A. e Giantin Alessandro per intervenuta rinuncia, vanno rigettati, per le esposte motivazioni, i ricorsi principale e incidentale.
110. L’obiettiva complessità delle questioni trattate e l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite della Corte giustificano la compensazione delle spese tra tutte le parti.
111. Ai sensi dell’art.13, co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per i ricorsi, principale e incidentale, ex art.13, co. 1, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara estinto il giudizio tra Intesa Sanpaolo S.p.A. e Giantin Alessandro; rigetta i ricorsi, principale e incidentale, di Intesa Sanpaolo S.p.A. e Premi Roberto; spese compensate.
Ai sensi dell’art.13, co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente principale e ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezio Unite Civili della
Corte di Cassazione, dell’8 febbraio 2022
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 27 settembre 2021, n. 26169, per SS.UU, 14 aprile 2022, n. 12209, in tema di previdenza complementare
SS.UU, 14 aprile 2022, n. 12209, in tema di previdenza complementare
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Le Sezioni Unite ritornano ad esprimersi sui diritti degli iscritti ai fondi di previdenza complementare, in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro
1. I principi di diritto
La regola della portabilità/riscattabilità della posizione individuale previdenziale, a vantaggio del lavoratore che abbia cessato di appartenere al fondo complementare, prima della maturazione del diritto alla pensione, si applica a tutti i fondi, indipendentemente dalle relative caratteristiche strutturali, ed anche a quelli c.d. preesistenti.
La consistenza della posizione destinata ad essere portata deve essere parametrata ai contributi versati sia dal datore di lavoro sia dal lavoratore iscritto, nonché ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero comunque potuto produrre.
2. La questione di massima di particolare importanza
La questione controversa ha posto profili solo in parte sovrapponibili a quelli già esaminati dalle Sezioni Unite con la pronuncia, 14 gennaio 2015, n. 477, sicché l'ordinanza interlocutoria ha sollecitato un nuovo intervento del Supremo Consesso al fine di stabilire:
a) la portabilità ovvero la possibilità di estendere la facoltà di riscatto della posizione individuale previdenziale, disciplinata originariamente dall’art. 10 del D.lgs. 124/1993 ed oggi dall’art. 14 del D.lgs. 252/2005, a tutti i fondi complementari c.d. preesistenti, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema c.d. a ripartizione e a prestazioni definite;
b) ove riconosciuta la sussistenza del diritto al riscatto della posizione individuale maturata presso un fondo preesistente, a prestazione definita e funzionante secondo il sistema c.d. a ripartizione, l’individuazione delle modalità attraverso le quali commisurarne la consistenza;
c) se detta posizione individuale, nei fondi a prestazione definita, debba essere parametrata ai soli contributi versati (ivi compresi quelli datoriali) ovvero anche ai rendimenti che essi abbiano prodotto o avrebbero potuto produrre.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite rispondono in continuità con il principio già espresso con la citata sentenza n. 477 del 2015, il cui impianto argomentativo richiamano integralmente per relationem.
Vengono così riaffermati:
a) alla stregua dell’art. 10 del D.lgs. 124/1993 e, poi, dell’art. 14 del D.lgs. 252/2005, la portabilità/trasferimento del montante contributivo maturato verso un fondo cui il lavoratore acceda in relazione ad una nuova attività o, più semplicemente, per riappropriarsi del controvalore monetario, esercitando il riscatto;
b) l’applicabilità della portabilità anche ai fondi pensionistici preesistenti all'entrata in vigore (15 novembre 1992) della Legge delega 421/1992, indipendentemente dalle relative caratteristiche strutturali e, quindi, non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva.
Quanto alla consistenza della posizione individuale destinata ad essere portata, che la stessa possa essere implementata in relazione ai rendimenti effettivi o conseguibili, in virtù di investimenti non effettuati, è tema avulso dalla disamina della citata sentenza n. 477 e, dunque, per la prima volta oggetto di scrutinio delle Sezioni Unite.
La questione viene risolta come da secondo principio di diritto sopra riportato, enunciato in ragione del fatto che il fondo, nella posizione individuale, è un patrimonio vincolato alle finalità previdenziali, i.e. un “patrimonio di destinazione” (cfr., art. 2117 c.c.).
La relativa disciplina, quanto ai rendimenti, può trarsi, ad avviso del Supremo Collegio, dall’applicazione analogica degli 2447 bis e ss. c.c., per gli aspetti non espressamente regolati dalla disciplina speciale in materia di previdenza complementare (cfr., D.lgs. 252/2005, nonché previsioni regolamentari del Ministro del lavoro, della COVIP e dell'ISVAP, ora IVASS).
Ne consegue che, salvo diverse disposizioni contrattuali, i proventi degli atti di disposizione del patrimonio di destinazione debbano entrare a far parte della posizione individuale del lavoratore, in caso di cessazione anticipata dall’iscrizione ad un fondo a ripartizione e a prestazione definita.