Civile Sent. Sez. U Num. 37406 Anno 2022
Data pubblicazione: 21/12/2022
SENTENZA
sul ricorso — -2022 proposto da:
—, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA —, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentato e difeso dagli avvocati — e —;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VERONA;
– intimati –
avverso la sentenza n. —/2022 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il —/—/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del —/—/2022 dal Consigliere —.;
lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale —, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte vogliano rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
In data — novembre 2015, l’avv. — presentò un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona segnalando una molteplicità di comportamenti dell’avv. —, a suo avviso, disciplinarmente rilevanti; in particolare rappresentò che: a) l’avvocato —, dopo essere stato nominato amministratore della comunione —, sita in Sardegna, aveva conferito a sé stesso mandato in relazione ad alcune azioni legali senza aver preventivamente convocato l’assemblea dei comunisti, della quale faceva parte l’avv. —, in quanto proprietario di una unità immobiliare della medesima comunione; b) l’avv. — aveva conferito a sé stesso mandato anche nel procedimento monitorio n. —/2015 nei confronti di una sua ex cliente, —, prima che fossero trascorsi due anni dalla cessazione del rapporto, nonché l’incarico di recuperare il credito vantato con il detto d.i. nell’esecuzione n. —/2014; c) la — era assistita sia nel procedimento monitorio che in quello esecutivo da colleghi associati di studio dell’avv. —, avv. — e —; d) l’avv. — aveva concesso alla — una dilazione del pagamento che aveva arrecato un danno alla comunione; e) l’avv. —, quale amministratore della comunione, aveva fatto demolire e poi ricostruire la garitta posta all’ingresso del complesso immobiliare —, senza chiedere le necessarie autorizzazioni amministrative e in violazione delle norme edilizie e urbanistiche vigenti; f) il Comune di — e — aveva quindi constatato la violazione e ordinato la demolizione della garitta che, nonostante ciò – a seguito di un incendio – era stata anche ricostruita su incarico dello stesso —.
Acquisite le controdeduzioni del —, il fascicolo venne trasmesso al Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto (in breve CDDV) che archiviò alcune contestazioni in quanto deontologicamente irrilevanti e iniziò il procedimento disciplinare nei confronti del predetto legale in relazione ai seguenti quattro capi di incolpazione:
1) «per la violazione degli artt. 9 e 24, primo comma, NCDF per avere, quale amministratore della Comunione, dato mandato a se stesso, con evidente pericolo di conflitto di interesse con la parte rappresentata e pericolo di interferenze con lo svolgimento del suo incarico di amministratore della Comunione, proposto ben sei diverse azioni: 1) opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da — avanti al Tribunale di Tempio Pausania R.G. n. —/14; 2) opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi avanti il Tribunale di Tempio Pausania R.G. n. —/2014; 3) opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi avanti il Tribunale di Verona R.G. n. —/2014; 4) opposizione agli atti esecutivi avanti al Tribunale di Verona R.G. n. —/2014; 5) istanza di conversione del pignoramento depositata in data 5.03.2015 nell’esecuzione R.G. n. —/2014; 6) ricorso ex art. 512 cpc nell’esecuzione R.G. n. —/2014.
In Tempio Pausania e Verona dal 30.05.2014 all’attualità»;
2) «per violazione degli artt. 9, 68, I comma, e 24, comma 5, NCDF, per essersi a luglio 2015, ossia a poco più di un anno dalla rinuncia al mandato di —, nella sua qualità di amministratore della Comunione —, autoaffidato l’incarico professionale di chiedere ed ottenere il decreto ingiuntivo n. —/2015 nei confronti della sua ex cliente — prima che fossero trascorsi due anni dalla cessazione del rapporto, e per essersi, sempre nella sua qualità di amministratore della Comunione —, autoaffidato l’incarico professionale di intervenire, al fine di recuperare il credito portato nel decreto ingiuntivo, nell’esecuzione n. —/2014 a carico di —, difesa, in detta come in tutte le altre procedure che la vedevano parte, dai colleghi ed associati di studio, avv.ti — e —, in palese conflitto di interesse.
In Tempio Pausania da maggio 2015 all’attualità»;
3) «per violazione dell’art. 9, comma 2°, NCDF, per non avere al di fuori della sua attività professionale osservato i doveri di probità, dignità e decoro, concedendo nella sua qualità di amministratore della Comunione — una dilazione di pagamento di circa 5 anni alla Società —, debitrice della prima ed ex cliente dello stesso, con evidente vantaggio della debitrice e svantaggio della Comunione da lui rappresentata.
In Verona a maggio 2015»;
4) «per violazione degli artt. 9 e 4, 10 e 2° comma, NCDF per avere, nella sua qualità di amministratore della Comunione — demolito e fatto ricostruire senza le necessarie autorizzazioni amministrative la garitta posta all’ingresso del complesso immobiliare — in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche vigenti; nonché per avere, dopo che il Comune di — e — aveva ordinato la demolizione di detto manufatto e successivamente rigettato la domanda di concessione in sanatoria, fatto ricostruire per una seconda volta la garitta, che nel frattempo era stata distrutta da un incendio, sempre senza chiedere la necessaria concezione edilizia.
In — e — dal 13.06.2014 a ottobre 2015».
Con decisione n. —/18 del — giugno 2018, depositata il — settembre 2018, il CDDV ritenne insussistenti le violazioni di cui ai capi 3) e 4) e ritenne, invece, sussistenti quelle indicate ai capi di incolpazione n. 1) e 2) e, per l’effetto, applicò all’avv. — la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi otto.
Tale decisione venne impugnata dall’avv. — dinanzi al CNF che, con sentenza n. —/2022, depositata il — marzo 2022, accolse il ricorso «deliberando il non luogo a provvedimento disciplinare in relazione al capo di incolpazione n. 1) ed applicando all’avv. —, in riforma della sanzione irrogata dal CDD del Veneto, la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi due per la violazione di cui al capo di incolpazione n. 2)».
Avverso la sentenza del CNF l’avv. — ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite basato su due motivi.
Nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta.
Il ricorrente ha depositato memoria.
All’udienza del — ottobre 2022 queste Sezioni Unite hanno rinviato la causa all’odierna udienza, mandando alla cancelleria di provvedere alle comunicazioni di rito e all’invio alla parte ricorrente delle conclusioni del P.G., già comunicate tardivamente con riferimento all’udienza fissata in precedenza.
Nell’imminenza dell’udienza del — novembre 2022 la difesa dell’avv. — ha depositato ulteriore memoria, datata — novembre 2022.
Fissato da ultimo per l’udienza pubblica del — novembre 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dall’art. 23, comma 8-bis, del decreto legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, lamentando «Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3, c.p.c.: dell’art. 64 R. D. 22 gennaio 1934 n. 37, degli artt. 3, 36 e 37 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 in relazione agli artt. 9 e 68 Nuovo Codice Deontologico Forense, nonché dell’art. 111 Cost. e degli artt. 50 e 59 c.p.», il ricorrente deduce che il CNF avrebbe omesso di motivare in relazione alla sua richiesta – formulata nel corso dell’udienza del — novembre 2018 – di emissione di sentenza di non luogo a provvedere anche in applicazione dei poteri d’ufficio del giudicante pure in relazione alla prima parte del predetto capo.
Sostiene il ricorrente che non sarebbe ravvisabile nella specie la contestata violazione dell’art. 68, comma 1, NCD, stante il consenso e la ratifica ex post del suo operato da parte del legale rappresentante della —.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Come evidenziato pure dal P.G., l’avv. —, nel gravame avanzato dinanzi al CNF, aveva proposto due motivi relativi all’insussistenza della violazione di cui al capo 1 dell’incolpazione e alla carenza di motivazione, con riferimento alla sanzione irrogata, ma nulla aveva osservato in relazione alla sussistenza o meno della violazione di cui al capo 2 della rubrica. Solo nel corso dell’udienza del — novembre 2021, l’attuale ricorrente aveva chiesto l’emissione di sentenza di assoluzione anche con riferimento al capo 2 di incolpazione.
1.3. Nella sentenza del CNF – in relazione al motivo di appello con cui era stata lamentata l’eccessività della sanzione irrogata con riferimento a tale ultimo capo, stante l’insussistenza dell’incolpazione di cui al primo capo – è stato posto in rilievo che risultava pacifico che l’avv. — avesse assunto incarichi contro una parte già assistita prima che fossero trascorsi due anni dalla cessazione del rapporto, il che era stato ammesso dallo stesso ricorrente, con conseguente conflitto di interesse.
1.4. In relazione al denunciato vizio motivazionale, deve rilevarsi che il presente ricorso è, ratione temporis, soggetto all’applicazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e che, in relazione a tale modificazione, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare il principio – che si applica anche al procedimento disciplinare (v. Cass., sez. un., 25/07/2016, n. 15287; Cass., sez. un., 20/09/2016, n. 18395) -, secondo cui «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicché è denuncia bile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014)».
Orbene, emerge con chiarezza che la sentenza impugnata non è affetta da omessa motivazione, risultando la decisione del CFN motivata in relazione alla sussistenza del contestato illecito disciplinare (v. sentenza impugnata p. 6), alla luce delle doglianze proposte dinanzi al CNF, evidenziandosi che lo stesso ricorrente ha confermato in memoria che nell’atto di appello non era stata richiesta l’applicazione della scriminante del consenso dell’avente diritto in relazione all’assunzione di un incarico nei confronti di un ex cliente, pur sostenendo di aver implicitamente trattato il tema, senza ulteriori precisazioni al riguardo, con palese difetto di specificità sul punto del motivo all’esame; ha pure ammesso che non sono indicate, nel verbale di udienza in cui aveva concluso per il non luogo a provvedere, le ragioni di tale sua richiesta e ha asserito, in modo del tutto apodittico e indimostrato, che tali ragioni non potessero essere che quelle poi illustrate nel ricorso per cassazione.
1.5. Alla luce di quanto appena osservato non può trovare accoglimento la doglianza relativa alla mancata motivazione in ordine alle argomentazioni relative all’applicabilità, anche d’ufficio e in via putativa della scriminante del consenso dell’avente diritto, a suo avviso, «di chiara matrice penalistica» ed evidentemente, sempre a suo avviso, applicabile anche in sede disciplinare.
Su tale specifico punto va rimarcato che, peraltro, non è dato sapere, sulla base di quanto dedotto dallo stesso ricorrente, se, effettivamente, e in quali esatti termini tale questione – che peraltro implica pure accertamenti in fatto – sia stata proposta dinanzi al CNF e comunque prima che il giudizio pervenisse in questa sede di legittimità.
In ogni caso si osserva che, in ambito penale, ai fini dell’esimente prevista dall’art. 50 c.p. è necessario che il consenso sia manifestato prima della commissione del reato (Cass. pen. 23/03/1973, n. 6287 e n. 73/553).
Inoltre, nell’ordinamento processuale penale, non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di fatto (Cass., Sentenza n. 20171 del 7/02/2013 Ud. (dep. 10/05/2013).
Nella specie, in cui occorre far riferimento alle norme processuali civilistiche (arg. ex Cass., sez. un., 29/11/2019, n. 31270) e, quindi, ad un onere di allegazione ancor più stringente, è lo stesso ricorrente ad ammettere (v. memoria p. 3) che il verbale di udienza già richiamato non riporta le ragioni della sua richiesta di emissione di sentenza di non luogo a provvedere, sicché non risulta che lo stesso abbia specificamente allegato in precedenza quanto in questa sede dedotto su tale punto. Né è stato precisato se e in quali esatti termini il ricorrente abbia posto all’esame del CNF la produzione documentale cui si fa riferimento a p. 8.
1.6. Inoltre, va ribadito che il codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione del codice rileva in sede giurisdizionale solo quando si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l’art. 36 della I. n. 247 del 2012 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per censurare unicamente un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce (Cass., sez. un., n. 13168 del 17/05/2021), il che non è stato neanche dedotto nella specie.
1.7. Ne consegue che neppure sussistono le lamentate violazioni di legge.
2. Con il secondo motivo, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, n. 3 c.p.c.: Ha) degli artt. 3, 36 e 37 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 in relazione agli articoli 9 ,22, 24, comma 5 e 68, comma 1 del Nuovo Codice Deontologico Forense; Hb) dell’art. 111, comma 6, Cost. e art. 64 RD 22 gennaio 1934 n. 37 per vizio, “rectius” mancanza, di motivazione sulla norma violata; Hc) dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU per violazione del principio di legalità della pena», il ricorrente censura la decisione impugnata sostenendo che il CNF, nell’esaminare il secondo motivo, pur accogliendo la richiesta dell’avv. — di considerare violato soltanto l’art. 68, comma 1, NCD (assunzione di incarico contro ex cliente), nel determinare la sanzione, avrebbe poi considerato anche la violazione – a suo avviso “inesistente” – dell’art. 24, comma 5, NCD (conflitto di interessi indiretto o riflesso), in tal modo aggravando la sanzione dalla censura che, ad avviso dell’avv. —, si sarebbe dovuta applicare, alla sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi due, effettivamente ma, sempre secondo il ricorrente, erroneamente applicata al caso all’esame.
In particolare, il ricorrente deduce di aver rappresentato a p. 17 del suo ricorso al CNF che la violazione dell’art. 24, comma 5, NCD è venuta meno a seguito dell’archiviazione, disposta il — luglio 2018, della notizia di illecito disciplinare a carico degli avvocati — e — e sostiene che l’archiviazione a carico dei predetti suoi colleghi di studio farebbe automaticamente venir meno qualsiasi potenziale ipotesi di conflitto di interessi ex art. 24, comma 5, NCD a suo carico. Lamenta che di tale provvedimento di archiviazione il CNF non abbia tenuto in alcun modo conto, con conseguente mancanza di motivazione sul punto. Rappresenta, inoltre, che una situazione di conflitto di interessi diretto vero e proprio di cui ai primi quattro commi dell’art. 24 NDC non sarebbe stata mai a lui contestata né si sarebbe mai verificata in base al consenso e alla ratifica ex post da parte di — sul suo operato (come sostenuto con il primo motivo).
Assume il ricorrente che la violazione dell’art. 9 NCD verrebbe meno con il venir meno del conflitto di interessi ex art. 24, comma 5, NCD e resterebbe in ogni caso assorbita dalla (e dovrebbe ricondursi alla) violazione dell’art. 68, comma, 1 NCD.
Pertanto, per il calcolo della sanzione attenuata (come stabilito dal CNF), bisognerebbe partire dalla meno grave sanzione edittale dell’art. 68, comma 1, (che è la sospensione da due a sei mesi) con la conseguenza che la sanzione attenuata da applicare sarebbe quella della censura. Il CNF non avrebbe fornito «alcuna (corretta) motivazione della sua scelta».
2.1. Va rilevato che l’intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (arg. ex Cass., sez. un., n. 17931 del 24/07/2013; Cass., ord., n. 25557 del 27/10/2017; Cass., ord., n. 26310 del 7/11/2017).
E nella specie deve ritenersi che, pur avendo fatto riferimento, nella rubrica del motivo in scrutinio, unicamente alla violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., il ricorrente, nella parte in cui lamenta, nell’illustrazione del motivo, che «il CNF non abbia tenuto in nessun conto (con conseguente vizio logico e mancanza di motivazione) il provvedimento di archiviazione dell’ipotesi di violazione della norma sul divieto di conflitto di interessi a carico dei Colleghi associati all’avv. — (Avv.ti — e —)» abbia sostanzialmente denunciato l’omesso esame, da parte del CNF, circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – e di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – costituito dall’intervenuta archiviazione del procedimento disciplinare a carico degli avvocati — e — disposta il — luglio 2018 che, ad avviso del ricorrente, farebbe venir meno la violazione dell’art. 24, comma 5, del Nuovo Codice Deontologico Forense.
Tale archiviazione risulta essere stata dedotta a p. 17 e sgg del ricorso (in cui si fa pure riferimento alla relativa documentazione prodotta in quella sede) al CNF avverso la decisione del CDD del Veneto depositata il — settembre 2018.
Effettivamente a tale archiviazione non si fa alcun cenno nella decisione impugnata in questa sede, nonostante trattasi di fatto decisivo, nel caso di specie, anche per la determinazione in concreto della sanzione.
Il motivo va accolto sotto tale profilo, mentre resta assorbita ogni ulteriore questione pure proposta con il mezzo all’esame.
4. Conclusivamente va rigettato il primo motivo, e va accolto il secondo nei sensi appena precisati; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata per un nuovo esame al CFN, in diversa composizione.
5. L’accoglimento sia pure parziale del ricorso assorbe l’esame della richiesta di sospensiva degli effetti della sentenza impugnata.
6. Tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso, le spese del presente giudizio ben possono essere interamente compensate tra le parti.
7. Stante l’accoglimento sia pure parziale del ricorso, va altresì dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e accoglie il secondo nei sensi precisati in motivazione, assorbita l’istanza di sospensione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per un nuovo esame al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il — novembre 2022.
Allegati:
SS.UU, 21 dicembre 2022, n. 37406, in tema di procedimento disciplinare
Nota dell’ Avv.ta Valentina Petruzziello
Il conflitto di interessi nelle società fra avvocati e nelle associazioni professionali
1. Il principio di diritto
Il provvedimento di archiviazione dell’ipotesi di violazione della norma sul conflitto di interessi in favore di alcuni avvocati associati fa venir meno la contestazione dell’illecito disciplinare, previsto dall’art. 24, c. 5, del Codice deontologico forense, anche nei confronti degli altri legali dello stesso studio professionale.
2. La fattispecie
L’art. 24, c. 1 Codice deontologico forense vieta la prestazione di attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
Il c. 5 chiarisce che il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.
3. Riflessioni conclusive
Il c. 1 delinea un’ipotesi di conflitto di interessi diretto, vero e proprio, mentre i casi ai quali il c. 5 estende l’obbligo di astensione riguardano situazioni di (solo) potenziale conflitto.
Ne consegue che le sorti delle contestazioni disciplinari, per uno stesso fatto, laddove siano coinvolti avvocati soci/associati, sono indissolubilmente legate le une alle altre.