REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
sul ricorso 15543-2022 proposto da:
—, rappresentato e difeso dall’avvocato —;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA
GIUSTIZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 73-2022 del Consiglio Superiore della Magistratura, depositata il 11/05/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2023 dal Consigliere —;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore —, che ha concluso per il rigetto
del ricorso;
udito l’avvocato — per delega dell’avvocato —.
Svolgimento del processo
1. Il dottor — è stato fatto oggetto di incolpazione disciplinare, da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, degli illeciti di cui al d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 1 e 2, comma 1, lett. q).
2. In particolare, l’incolpazione relativa all’anzidetta lett. q) dell’art. 2, comma 1, cit. concerneva l’avere violato, nell’esercizio delle funzioni di giudice del Tribunale di —, i doveri di diligenza e laboriosità e ritardato in modo reiterato, grave ed ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni, in specie dal — al —.
3. In particolare, il dottor — depositava n. — sentenze in materia civile, con ritardo superiore al triplo del termine prescritto dalla legge per il compimento dell’atto (ex art. 281 quinquies c.p.c.), riportate e contraddistinte nell’elenco A allegato alla sentenza impugnata, con il ritardo più risalente pari a giorni 631 (come da allegati prospetti di cui alla nota informativa del Presidente del Tribunale di —, parte integrante dell’incolpazione; notizia dei fatti acquisiti in data —, circostanziata in data — a seguito di comunicazione del Presidente della Corte d’Appello di —, e in data — come da prospetti, allegati alla sentenza impugnata, di cui alla nota informativa del Presidente del Tribunale di —, parte integrante dell’incolpazione).
4. Con tale comportamento, si evinceva dall’incolpazione, il dottor — arrecava un ingiusto pregiudizio alle parti, ledendo gravemente il diritto delle stesse ad ottenere la definizione del procedimento in tempi ragionevoli, a mente della Cost., artt. 111, comma 2, e 6 par.1 CEDU.
5. Quanto all’illecito di cui alla lett. n), dell’art. 2, comma 1, cit., al dottor — si contestava, per quanto in questa sede rileva, di avere mancato, nell’esercizio delle funzioni di giudice del tribunale di —, ai doveri di diligenza e laboriosità, con reiterata e grave inosservanza delle disposizioni sul servizio giudiziario e sui servizi organizzativi e informatici vigenti nel proprio Ufficio:
1) per non avere mai partecipato, se non in una sola occasione, alle riunioni d’ufficio indette dal Presidente del Tribunale di — nel periodo — e non avere mai giustificato, se non una sola volta, l’assenza;
2) per non essersi avvalso dell’applicativo console del magistrato (notizia dei fatti acquisita in data —, a seguito di comunicazione del Presidente della Corte d’appello di — e del Presidente del Tribunale di —, incolpazione, quest’ultima, per la quale la sezione disciplinare non ha ravvisato, in riferimento all’addebito, alcuna condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. n), cit..
6. Acquisita la relazione ispettiva (del —) redatta all’esito dell’accertamento svolto presso il Tribunale di — dall’— ed avente ad oggetto il periodo — – —, in occasione del quale l’Ispettorato rilevava ulteriori intempestività addebitabili al dottor — e compendiate nella richiamata relazione, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione, in data —, estendeva l’incolpazione disciplinare, all’udienza del —, ulteriormente contestando l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1, comma 1 e 2, comma 1, lettera q), per avere violato i doveri di diligenza e laboriosità con reiterati, gravi e ingiustificati ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni di giudice del Tribunale di —.
7. In particolare, come si evinceva dalla relazione dell’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia trasmessa in ottemperanza a quanto richiesto dalla Sezione disciplinare del CSM, con ordinanza in data —, nel periodo compreso tra il — e il —, depositava:
a) in tempo superiore al triplo del termine prescritto dalla legge o stabilito dal giudice per il compimento dell’atto, n. 4 sentenze civili con lettura del dispositivo in udienza – con rito del lavoro – specificamente elencate nella tabella B allegata alla sentenza, con ritardo massimo contestato, calcolato alla data del dispositivo, pari a giorni 343;
b) in tempo superiore a 200 giorni dalla data dell’udienza di riserva, n. 31 ordinanze civili riservate, specificamente elencate nella tabella C allegata alla sentenza impugnata, di cui n. 19 con ritardo ultrannuale (e con ritardo massimo pari a 511 giorni);
c) n. 4 ordinanze di rimessione sul ruolo, in procedimenti andati in decisione, con ritardo superiore a 200 giorni dall’udienza di precisazione delle conclusioni, specificamente elencate nella tabella D allegata alla sentenza impugnata.
8. Tale comportamento, come si evinceva dalla contestazione, era da considerarsi gravemente pregiudizievole del diritto delle parti ad ottenere la definizione del procedimento in tempi ragionevoli, secondo quanto previsto dalla Cost., art. 111, comma 2 e dall’art. 6, par. 1, CEDU.
9. All’esito del giudizio dinanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, il dottor —, con sentenza resa pubblica l’11 maggio 2022, è stato ritenuto responsabile degli illeciti ascrittigli, con esclusione, come dianzi anticipato, del fatto di cui al punto 2) del capo B), ed è stata inflitta la sanzione disciplinare della censura.
10. La Sezione disciplinare, a sostegno della decisione assunta e dell’affermata responsabilità disciplinare del Dott. —, svolgeva gli argomenti di seguito esposti.
11. Con riferimento alla contestazione di cui al capo A), nonché al capo risultante dalla successiva estensione dell’incolpazione disciplinare, entrambi aventi ad oggetto la violazione dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q) in ragione dei ritardi accumulati dal dottor — nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali compiutamente indicati nell’incolpazione, le evidenze istruttorie acquisite al procedimento disciplinare consentivano di affermare la sussistenza degli addebiti ascritti.
12. I ritardi risultavano per tabulas – come si evinceva dalla segnalazione del Presidente della Corte di Appello di — e dalla successiva integrazione, a seguito di richiesta della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, nonché dalla relazione ispettiva del — – e non erano stati contestati dall’incolpato.
13. La gravità e la reiterazione dei ritardi contestati erano indubbie.
14. Non sussistevano cause di giustificazione per desumere la inesigibilità di una diversa condotta, da parte del magistrato, escludente l’illiceità disciplinare, tenuto conto dei parametri indicati dalla costante giurisprudenza della Sezione disciplinare, tra cui “l’enorme carico di lavoro, la straordinaria produttività, la pluralità di funzioni promiscue alle quali risulti contemporaneamente assegnato, l’elevatissimo numero di udienze settimanali, protratte sino a tarda ora per la rilevante mole di procedimenti trattati, la ridotta percentuale dei ritardi rispetto alla enorme quantità di provvedimenti depositati”, in guisa di fatti ostativi che “consentano di dare una compiuta giustificazione non del ritardo nel deposito dei provvedimenti in generale ma, in particolare, degli specifici ritardi accertati, operando come situazioni idonee ad escludere che il ritardo sia dovuto ad una effettiva violazione dei doveri del magistrato” (Sez. disc. CSM, n. 36/2013).
15. Nessuna efficacia scriminante poteva riconoscersi, nella specie, alla circostanza addotta dall’incolpato – con riferimento ai ritardi occasionati dall’esigenza di smaltire l’arretrato accumulato quando era giudice del Tribunale di —, in conseguenza dei ritardi ereditati da — e della necessità di provvedere allo smaltimento – sia perché risalente al 2016 (anno in cui il dottor — risultava aver depositato quattro sentenze in procedimenti dinanzi al Tribunale di — proprio perché impegnato nel deposito dei provvedimenti arretrati) sia perché la riferita esigenza di provvedere allo smaltimento involgeva periodo temporale, 2018-2019, antecedente alle intempestività oggetto di contestazione e giudizio disciplinare.
16. Neanche risultavano poste, all’attenzione della Sezione disciplinare, ulteriori circostanze tali da giustificare la condotta posta in essere.
17. La contestazione di cui al capo B) ineriva all’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 cit., art. 2, comma 1, lett. n) in ragione di due tipologie di condotte, in particolare:
per non avere mai partecipato, se non in una sola occasione, alle riunioni d’ufficio indette dal Presidente del Tribunale di —, nel periodo — – —, senza giustificare, se non una sola volta, la propria assenza;
per non avvalersi dell’applicativo “Consolle del magistrato” (condotta, quest’ultima, per la quale la sentenza ora impugnata non ha ravvisato alcun illecito disciplinare).
18. Quanto alla prima parte della contestazione, la Sezione disciplinare osservava, in punto di diritto e preliminarmente, che la mancata partecipazione alle riunioni dell’ufficio indette ai sensi dell’art. 47 quater O.G. senz’altro integrava una condotta astrattamente rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 109 cit., art. 2, comma 1, lett. n), trattandosi di disposizioni sul servizio giudiziario.
19. In punto di fatto, argomentava la Sezione disciplinare, risultava che, in occasione di talune riunioni (—; —; —; —; —; —), il dottor — fosse impegnato in udienza, per cui l’assenza si sarebbe potuta astrattamente ritenere “giustificata”; peraltro, dalla documentazione acquisita non era stata raggiunta la prova certa dell’orario di svolgimento delle udienze (dall’attestazione di cancelleria del — si evinceva solo che “i verbali relativi ai singoli procedimenti non riportano la data (rectius, l’orario) di inizio e di fine delle stesse” e, pertanto, non vi era certezza che le udienze fossero state realmente ostative alla partecipazione alle riunioni.
20. Ad ogni modo, concludeva la sentenza impugnata, in disparte le riunioni svolte “in concomitanza” con le udienze, residuavano comunque come ingiustificabili le assenze alle altre riunioni (—; —; —; —), assenze che, in quanto ripetute, erano connotate dalla reiterazione richiesta ai fini della configurabilità della violazione del D.Lgs. n. 109 cit., art. 2, comma 1, lett. n) ascritta all’incolpato.
21. Avverso la predetta pronunzia ricorre —, con ricorso affidato a tre motivi.
22. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
23. Il ricorso è stato trattato in udienza pubblica.
24. Il Pubblico Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
25. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c), d) ed e) c.p.p.; mancanza di motivazione, motivazione apparente, motivazione contraddittoria, travisamento dei fatti e delle prove; violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 125 e 546 c.p.p., art. 1 comma 1, 2 comma 1 lett. q), art. 3 bis e 24 D.Lgs. n. 109 del 2006.
26. Censura la sentenza per avere svolto, a sostegno della sanzione disciplinare, motivazione apodittica senza in alcun modo sostanziare o altrimenti indicare le ragioni, in fatto e in diritto, per le quali le condotte ascritte sarebbero state gravi e reiterate.
27. Assume che il legislatore, nel prevedere, alla lettera q) del comma 1 dell’art. 2 D.Lgs. n. 109 cit., che non sia grave il ritardo che non eccede il triplo dei termini, non ha introdotto l’automatica sussistenza della gravità della condotta per i ritardi superiori al triplo dei termini medesimi.
28. Evidenzia che gravità e reiterazione devono essere valutate in concreto, di volta in volta, tenendo conto degli indici sintomatici normalmente costituiti dal danno che l’incolpato possa avere cagionato alla credibilità della giurisdizione e che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato, l’esposizione dello Stato italiano alla concreta possibilità di censura, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, per violazione del principio della durata irragionevole dei processi, le conseguenze che ne siano derivate sul piano giurisdizionale e l’importanza dei procedimenti implicati.
29. Assume il ricorrente che, alla stregua di tali criteri, il giudizio di colpevolezza deve verificare, nel concreto, se i ritardi addebitati siano ascrivibili al magistrato a titolo di colpa e deve essere affidato ad una motivazione significativa, rigorosa e strutturata, non limitata, come nella specie, a mere affermazioni di principio.
30. Lamenta che, nella specie, la Sezione disciplinare, con l’inciso “nessun dubbio vi può essere in ordine alla gravità e reiterazione” ha usato l’espediente della formula di stile, priva di valore intrinseco e inidonea a individuare il criterio logico-fattuale che ha indotto il Giudice disciplinare alla formulazione del proprio convincimento e ad individuare, con chiarezza, la ratio decidendi.
31. Denuncia l’omessa valutazione di tutte le circostanze, rappresentate e provate nel corso di giudizio, che, se considerate, avrebbero condotto al diverso esito della non gravità degli addebiti o della scarsa rilevanza, anche alla stregua del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, di cui la sentenza non ha fatto applicazione.
32. Si duole che la pronunzia non contenga alcun esame delle risultanze istruttorie delle quali, pertanto, neanche ne ha misurato la portata, limitandosi alla cennata valutazione di sintesi – “nessun dubbio può esservi in ordine alla gravità e reiterazione dei ritardi” – avulsa da un’illustrazione critica del materiale istruttorio acquisito al giudizio disciplinare, e finendo con l’esprimere, in definitiva, un giudizio le cui ragioni restano inespresse.
33. Si duole della contraddittorietà della motivazione e/o travisamento dei fatti e della prova consistente nell’obliterazione di talune prove decisive ai fini della pronuncia e/o nella macroscopica e non controvertibile difformità tra il senso tratto dall’impugnata sentenza e il senso intrinseco degli allegati alla sentenza e di talune prove, decisive ai fini della pronuncia, rimaste completamente ignorate.
34. Il ricorrente, ai fini dell’apprezzamento del criterio di decisività, indica i seguenti elementi di prova:
– l’inoffensività della condotta per non avere leso né l’immagine né il prestigio del magistrato e/o dell’ufficio, non avendo la sentenza considerato che i ritardi, rilevati peraltro solo a seguito di ispezione interna, non hanno minimamente provocato alcun discredito esterno o pregiudizio, né effetti negativi sugli interessi delle parti (per non essere mai pervenute segnalazioni o lamentale ed essere state le cause definite da tempo);
– la concorde valutazione positiva espressa dai Presidenti dei Tribunali di — e —, in riferimento al periodo —, che lo hanno ritenuto meritevole di fiducia e hanno escluso condotte intrinsecamente rilevanti a fini disciplinari e riflessi negativi sull’immagine del magistrato, dell’ufficio, della funzione giurisdizionale;
– l’omessa considerazione, come segnalato dalla Corte d’appello di — con allegazioni e documentazione, della diffusa situazione di ritardi, nel deposito dei provvedimenti, da parte dei magistrati civili del distretto e, segnatamente, del Tribunale di —, a testimonianza di una complessa situazione lavorativa, tanto più per il ricorrente che, colà trasferitosi solo nel —, portava con sé anche il pesante arretrato accumulato in relazione al gravoso ruolo presso il Tribunale di —/ex — (circa 1700 cause).
La predetta situazione non poteva, pertanto, ritenersi collegata ed imputata al ricorrente giacché preesisteva e afferiva ad Ufficio giudiziario gravato oltremodo nella possibilità di smaltimento dei relativi magistrati addetti ovvero frutto di criteri di assegnazione insensibili alla descritta e pregressa situazione lavorativa connotata dalla mancata adozione d’interventi e moduli organizzativi consoni ed efficaci nello smaltimento dell’arretrato, in un contesto di piena consapevolezza, da parte dei Capi ufficio, dell’arretrato acquisito in precedenza;
– l’omessa considerazione, ancora, dei dati esposti nelle tabelle A, B, C, D, allegate al capo di incolpazione e alla sentenza disciplinare, a suffragio del deposito dei provvedimenti nel rispetto sia del termine di durata ragionevole del giudizio, sia del limite annuale individuato, dalla giurisprudenza di legittimità, quale utile parametro di riferimento ai fini della valutazione della responsabilità disciplinare.
La decisione è così incorsa anche nell’ulteriore vizio di travisamento della prova, per avere fondato il proprio convincimento su una prova inesistente o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, come risultante dalle menzionate tabelle e in contrasto con l’orientamento maggioritario della S.C. in materia di illecito disciplinare.
Precisa, infine, che i prospetti allegati calcolano il ritardo con riferimento al giorno in cui la causa è stata assegnata in decisione, e quindi al giorno in cui sono state precisate le conclusioni a chiusura della fase istruttoria, non tenendo conto degli 80 giorni prescritti per il deposito, da parte dei difensori, di conclusionali e repliche, termine dal cui decorso è consentito individuare l’inizio del segmento decisorio da parte del magistrato (cfr., SS.UU, n. 42 del 2015).
In definitiva, con il richiamo acritico e generico ai prospetti allegati all’incolpazione, quale fonte del convincimento apodittico, si duole che la sentenza non abbia fatto buon governo dei principi espressi in materia disciplinare, sia perché carente di motivazione, sia perché fondata su ritardi identificati alla stregua di erronei parametri temporali, inclusivi dell’arco temporale a disposizione dei difensori nel corso del quale alcun termine poteva decorrere per il deposito della sentenza (inoltre, si rimarca, i prospetti A-D indicano ritardi ampiamente inferiori al triennio di durata ragionevole del giudizio e/o del limite dell’anno di assegnazione della causa, per cui emergono l’insufficienza ed illogicità della motivazione anche sotto il profilo del travisamento delle risultanze istruttorie).
35. Con il secondo motivo il ricorrente attinge la medesima statuizione già criticata con il primo mezzo e, reiterando censure già svolte, si duole dell’omessa valutazione delle tabelle allegate all’incolpazione e del travisamento del contenuto intrinseco fino a ricavarne l’apodittica conferma, anziché, smentita, dell’inescusabilità dei ritardi contestati, con esclusione di qualsivoglia efficacia scriminante all’addotta esigenza di smaltire l’arretrato accumulato quando era giudice del Tribunale di — e costituito dai ritardi ereditati da —, pretermettendo la valutazione, in concreto, dello specifico contesto in cui si era trovato ad esercitare le funzioni giurisdizionali.
36. Assume che la sommarietà della decisione disciplinare si pone in contrasto con plurime e specifiche circostanze addotte a sostegno del proprio comportamento, quali:
– la consistenza in termini di assoluta gravosità, per quantità, tipologia e promiscuità dei procedimenti (civili, penali) del ruolo affidatogli, dapprima presso il Tribunale di —, quindi a seguito dell’accorpamento, presso il Tribunale di — – ex — e, infine, presso il Tribunale di — a far data dal —, come dichiarato dal Presidente del Tribunale di — (dichiarazione —) con la descrizione di carichi, tra i più gravosi a livello nazionale, che il ricorrente aveva portato con sè, una volta trasferito al Tribunale di — ove, non dispensato da nuove assegnazioni, veniva caricato di altro ruolo vacante;
– il notevole carico di lavoro, del quale veniva onerato a — e, quindi, a —, aveva conseguentemente determinato una complessiva considerevole sproporzione, a suo danno, tale da rendere inesigibile una diversa organizzazione lavorativa idonea a scongiurare ritardi, in assenza dell’adozione di interventi suppletivi, di supporto, da parte dell’Ufficio;
– lo smaltimento dei ritardi “per il solo anno 2016”, come si legge nella sentenza impugnata, è circostanza inesistente nel processo, smentita dalla dichiarazione del Presidente del Tribunale, riferita a sentenze del pregresso ruolo, depositate anche nel 2017, nel mentre dal Tribunale di — non era stato esonerato e si era visto affidare un ruolo, di vecchie e nuove cause, con inevitabile accrescimento dell’arretrato; – nonostante il gravoso contesto lavorativo – l’originaria segnalazione della Corte d’appello di — allegava e documentava la diffusa situazione di ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati civili del Distretto – e nonostante l’impegno a smaltire l’arretrato sino al 2017, si era adoperato nel riuscire a depositare e pubblicare sentenze, presso il Tribunale di —, negli anni 2017 (88), 2018 (136), 2019 (96);
– la consistenza dei ritardi alla luce della tipologia dei procedimenti interessati, sulla quale la Sezione disciplinare aveva ritenuto di non indagare, per storia processuale, tempi di definizione complessivi, procedimenti ereditati, anche in rapporto agli standard medi degli altri colleghi, circostanze tutte evidenziate puntualmente, in giudizio, benché la Sezione disciplinare avesse ritenuto come non poste “ulteriori circostanze tali da giustificare la condotta dell’incolpato”.
37. Con il terzo e ultimo motivo il ricorrente attinge la sentenza nella parte in cui, in riferimento al capo B), ha affermato che “in punto di diritto la mancata partecipazione alle riunioni integra una condotta astrattamente rilevante in quanto trattasi di disposizioni sul servizio giudiziario”.
38. Si duole di violazione di legge in relazione all’affermata sussistenza della violazione di cui al D.Lgs. n. 109 cit., art. 2.
39. Assume il ricorrente che la motivazione sia in parte tautologica e in parte carente in quanto:
– ha omesso qualsiasi approfondimento sulle caratteristiche specifiche e concrete delle varie riunioni, per apprezzarne l’inerenza a disposizioni sul servizio giudiziario, svolgendo motivazione immotivata ed apodittica avulsa da riferimenti fattuali idonei ad apprezzarne la portata sul piano disciplinare;
– ha pretermesso un’espressa e formale valutazione della “gravità” della ritenuta “violazione delle disposizioni sul servizio giudiziario” giacché, a mente dell’art. 2, comma 1, lett. n) cit. l’inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario può costituire illecito disciplinare solo ove si presenti “reiterata” oppure “grave”, dovendo specificamente indagarsi sulla sussistenza o meno di entrambe le ipotesi;
– si è limitata a ritenere configurata la violazione di cui al menzionato art. 2 senza identificare, in maniera compiuta, i doveri nello specifico disattesi, le ragioni in fatto e in diritto della colpevole violazione, in presenza di plurime circostanze comprovanti l’insussistenza dell’addebito, sul piano soggettivo e oggettivo;
– l’affermazione secondo cui relativamente ad alcune riunioni non vi fosse prova certa dell’orario delle udienze tenute e se ostative alla partecipazione, è illogica e contraddittoria perché non tiene conto delle relative attestazioni di cancelleria in ordine alla regolare tenuta delle udienze, in quei giorni, né ha tenuto conto della mancanza di prova dell’invio delle convocazioni al ricorrente, documentazione prodromica della prova d’inizio e fine delle udienze (udienze, peraltro, quasi tutte tenute fino alle 14, orario incompatibile con la presenza o con la sussistenza di un’intenzionale inottemperanza alle disposizioni presidenziali).
40. Il ricorso è da accogliere.
41. E’ bene premettere che, ai fini dell’integrazione dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q), che sanziona il ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, è necessario che sussistano, congiuntamente, tre distinti ed autonomi presupposti: la reiterazione, la gravità e l’ingiustificabilità del ritardo.
42. La reiterazione del ritardo implica indefettibilmente una pluralità di episodi di ritardo entro un determinato ambito temporale, senza tuttavia richiedere il carattere dell’abitualità di siffatta condotta, essendo sufficiente ad integrare il presupposto in esame che il ritardo si sia concretato più di una volta e, dunque, i ritardi siano almeno due.
43. La gravità del ritardo è presupposto che il legislatore ha inteso delineare attraverso una presunzione che assume come termine la connotazione contraria a quella che integra l’illecito disciplinare, ossia definendo “non grave… il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”, sempre che “non sia diversamente dimostrato”.
44. Il parametro temporale individuato dalla disciplina legislativa, attraverso una valutazione astratta di incidenza del ritardo sulla durata ragionevole dell’attività giurisdizionale, segna la soglia oltre la quale il ritardo stesso riveste carattere di gravità e, come tale, dunque, è suscettibile di essere
apprezzato.
45. Il ritardo disciplinarmente rilevante può, dunque, qualificarsi come condotta omissiva permanente, consistente nel mancato compimento, in un termine prescritto, del comportamento doveroso (cfr., SS.UU, 29 settembre 2014, n. 20450), ossia la predisposizione e il deposito di atti che ineriscono all’esercizio delle funzioni giurisdizionali (quale categoria generica e, quindi, comprensiva di qualsiasi forma tipica l’atto possa assumere: sentenza, ordinanza, decreto), la cui emanazione si renda doverosa, su istanza di parte o d’ufficio, entro un termine prestabilito.
46. Reiterazione e gravità del ritardo costituiscono, quindi, elementi strutturali della fattispecie di illecito disciplinare, mentre il terzo presupposto richiesto per la sua realizzazione, l’ingiustificabilità del ritardo, si colloca all’esterno della fattispecie e opera come causa di esclusione della punibilità dell’illecito stesso, correlata a specifiche condizioni di inesigibilità della condotta doverosa, e conseguente onere dell’incolpato di allegarne e provarne l’esistenza.
47. Le condizioni di inesigibilità della condotta doverosa del magistrato che possono integrare l’esimente della giustificabilità del ritardo assumono carattere oggettivo allorquando vengono in rilievo, in modo particolarmente significativo e pregnante, fattori inerenti la complessiva organizzazione lavorativa nella quale il magistrato stesso si trovi a svolgere le proprie funzioni e, dunque, fattori come la gravosità del complessivo carico di lavoro, la qualità dei procedimenti trattati e definiti, gli indici di laboriosità ed operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché lo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato, anche in riferimento alla sussistenza ed entità di impegni aggiuntivi di tipo amministrativo od organizzativo (cfr., SS.UU, 19 settembre 2017, n. 21264 e Cass., 3 ottobre 2018, n. 24136).
48. Alle condizioni personali del magistrato può ascriversi, invece, una rilevanza solo concorrente, ove eccezionali e transitorie, “restando aperte le vie consentite dall’ordinamento giudiziario (quali congedi straordinari, aspettative per motivi familiari) per potersi temporaneamente assentare dal servizio, onde consentire che lo stesso prosegua senza intralci derivanti da motivi non istituzionali” (cfr., SS.UU, 17 maggio 2013, n. 12108; Cass., 30 settembre 2015, n. 19449).
49. Il presupposto in esame si configura, quindi, come una clausola generale, elastica, che il giudice è tenuto a specificare, in sede interpretativa, adeguandola e conformandola alla realtà in cui essa dovrebbe operare, in consonanza con valori e principi, desumibili anche dall’ordinamento generale (nella cornice delle previsioni costituzionali e in armonia con le fonti sovranazionali), che vengono in gioco nell’intera disciplina in cui la clausola stessa si colloca.
50. Nell’alveo della valutazione concernente il presupposto della ingiustificabilità del ritardo rileva, dunque, quella peculiare soglia di gravità, da questa Corte individuata nel ritardo ultrannuale.
51. L’orientamento giurisprudenziale inizialmente formatosi riteneva ingiustificabile, in linea di principio – e, dunque, a meno che non ricorressero “impedimenti oggettivi di carattere eccezionale e straordinario assolutamente insuperabili” – il ritardo nel deposito superiore ad un anno, desumendo tale termine dalla giurisprudenza della Corte EDU che lo ritiene sufficiente, in materia civile, a completare l’intero giudizio di legittimità, sicché la stesura e il deposito di qualsiasi provvedimento non possono richiedere tempi superiori a quelli del processo di cassazione che comprende, con gli adempimenti procedurali e lo studio del caso, anche l’ascolto della difesa, in quanto, altrimenti, risulterebbe violato il diritto al giusto processo, di cui alla Cost., art. 111 (cfr., SS.UU, 05 aprile 2013, n. 8360 e 28 marzo 2014, n. 7307).
52. Tale orientamento è stato successivamente temperato in considerazione del precipuo rilievo per cui l’imputabilità dei ritardi, anche ultrannuali, non può affatto risolversi in un addebito di responsabilità oggettiva, dovendo misurarsi in ragione “del se” e “del come” i profili attinenti all’organizzazione dell’Ufficio e del lavoro individuale possano avere effettivamente inciso sul mancato compimento, nei tempi stabiliti, dell’atto doverosamente richiesto al magistrato, ridondando, quindi, proprio in tale ambito specifico la rilevanza del rispetto del dovere fondamentale di diligenza.
53. SS.UU, 08 luglio 2015, n. 14268, ha, quindi, enunciato, il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta dell’incolpato ma, trattandosi di inosservanza protrattasi ulteriormente e per un tempo considerevole rispetto alla soglia di illiceità considerata dal legislatore, è giustificabile solo in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo, sicché quanto più esso è grave tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve essere la relativa giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, comunque, essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare il grave ritardo o almeno ridurne l’abnorme dilatazione”.
54. La portata di tale principio, pur con accenti diversi, ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, SS.UU, 30 settembre 2015, n. 19449; SS.UU, 16 febbraio 2016, n. 2948; SS.UU, 29 luglio 2016, n. 15813; SS.UU, 19 settembre 2017, n. 21624; SS.UU, 03 ottobre 2018, n. 24136), ulteriormente ribadita e puntualizzata (per tutte, SS.UU, 28 maggio 2019, n. 14526) con i condivisi snodi argomentativi che seguono.
55. La gravità dei ritardi, sebbene, per dettato normativo, rinvenga nel superamento del discrimine temporale stabilito dalla presunzione di legge il connotato di illiceità disciplinare, assume evidenza affatto peculiare allorquando il mancato compimento della condotta doverosa attinga il limite temporale dell’anno, individuato da questa Corte, non arbitrariamente, come elemento che qualifica il ritardo come “ragguardevole” in considerazione del valore costituzionale della durata ragionevole del processo, che si impone al giudice anche quale criterio per la migliore organizzazione del suo lavoro, attraverso scelte adeguate al contesto in cui si svolge.
56. Pertanto, è proprio in questo contesto che l’esclusione della valenza illecita del ritardo deve sostanziarsi di circostanze di fatto (nell’alveo di quelle innanzi menzionate) dal tenore particolarmente significativo, che possano ragionevolmente rapportarsi, in modo proporzionale, al peso del ritardo stesso e, quindi, renderlo giustificato perché effetto di una condotta doverosa altrimenti inesigibile.
57. Di tutto ciò deve farsi carico la decisione del giudice disciplinare, la quale – come posto in risalto da SS.UU, n. 14268 del 2015 cit. – dovrà essere “fondata su un complesso e complessivo apprezzamento di fatto” ed “essere sorretta da una motivazione corrispondentemente adeguata”, per cui “quanto più ampia, composita ed articolata sarà la valutazione necessaria in proposito (specie in rapporto al maggiore “spessore” della giustificazione richiesta per ritardi di rilevante ampiezza), tanto più simmetricamente significativa, rigorosa e “strutturata” dovrà essere la relativa motivazione”.
58. E in tale prospettiva proprio l’intensità dei ritardi gravi (in particolar modo quelli ultrannuali) rappresenta la “base oggettiva” su cui misurare le circostanze giustificatrici addotte, giacché, per un verso, queste devono essere valutate non in sé ma in rapporto al numero dei ritardi, alla loro durata media, alle punte massime e, per altro verso, ritardi di una certa ampiezza richiedono se non giustificazioni eccezionali, certamente giustificazioni specifiche, rigorose, significative.
59. Di qui, pertanto, quel necessario giudizio di proporzionalità e ragionevolezza che si impone al giudice disciplinare nella valutazione in concreto – vale a dire, calata nello specifico e reale contesto in cui si esercitano le funzioni giurisdizionali – dell’efficacia delle circostanze esimenti addotte dall’incolpato a fronte della comprovata sussistenza della condotta materiale integrante la fattispecie dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 cit., lett. q), comma 1 dell’art. 2.
60. Un giudizio, quello fin qui delineato, che, muovendo dall’oggettività dei fatti che ne connotano la sostanza – da un lato, i ritardi gravi e reiterati e, dall’altro, le circostanze giustificatrici – dovrà essere calibrato elasticamente in ragione del peculiare modularsi della realtà che ciascuna fattispecie disciplinarmente rilevante può palesare, divenendo, però, sempre più stretto al crescere d’intensità delle connotazioni di gravità e reiterazione della condotta doverosa omessa.
61. Alla luce di quanto sinora evidenziato, la sentenza disciplinare impugnata, sebbene operi una ricostruzione, in diritto, della fattispecie di illecito disciplinare armonica rispetto ai principi sopra enunciati, non resiste, tuttavia, alle critiche mosse dal ricorrente sul piano, essenzialmente, del vizio di motivazione, il cui sindacato è devoluto a questa Corte ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24), siccome volto a verificare – alla stregua dell’orientamento consolidato (tra tante, SS.UU, 29 ottobre 2015, n. 22092; SS.UU, 19 settembre 2017, n. 21618 ; SS.UU, 3 ottobre 2018, n. 24136; SS.UU, 28 maggio 2019, n. 14526) – che essa sia effettiva, non manifestamente illogica o intrinsecamente contraddittoria e non radicalmente incompatibile, sotto il profilo logico, con altri atti del processo.
62. L’insegnamento di queste Sezioni Unite è univoco nel senso che, in materia di illecito disciplinare degli appartenenti all’ordine giudiziario, la denuncia – con ricorso per cassazione – del vizio di manifesta illogicità della decisione, in cui sarebbe incorsa la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, può sollecitare la Suprema Corte esclusivamente al fine di verificare se il giudice di merito abbia esaminato gli elementi e le deduzioni posti a sua disposizione ed abbia fatto corretto uso di regole logiche, massime di esperienza e criteri legali di valutazione, così da offrire razionale spiegazione dell’opzione decisionale fatta rispetto alle diverse tesi difensive, restando, invece, preclusa la possibilità di opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa loro ricostruzione (così SS.UU, n. 14430 del 2017 alla quale ha dato continuità, fra le altre, SS.UU, n. 12446 del 2022).
63. Da tale premessa discende che il sindacato che queste Sezioni Unite devono svolgere sulle sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura alla stregua dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non può estendersi alla rivalutazione delle risultanze processuali ma deve valutare se, e come, il giudice di merito abbia esaminato gli elementi e le deduzioni emergenti dalle risultanze processuali.
64. Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata non contiene, invero, alcun esame delle risultanze, nè, a fortiori, ne misura la portata, e racchiude il decisum in un generico apprezzamento sintetico privo, dunque, dell’illustrazione critica del contenuto del materiale istruttorio acquisito al giudizio disciplinare, finendo in tal guisa con l’esprimere un giudizio disciplinare meramente apodittico, le cui ragioni rimangono inespresse.
65. Donde, in siffatta prospettiva, colgono nel segno le doglianze di insufficienza motivazionale che evidenziano come la motivazione adottata dal giudice disciplinare manchi, in definitiva, di dare effettivamente contezza del necessario giudizio di proporzionalità-ragionevolezza da compiersi secondo le coordinate innanzi tracciate, rimanendo su un piano di astrattezza tale da incrinarne la complessiva tenuta argomentativa.
66. La sentenza impugnata, dunque, ai fini della verifica del presupposto della ingiustificabilità dei ritardi che il giudice disciplinare è tenuto a compiere a valle dei conseguiti accertamenti di fatto, sulla premessa che i ritardi “risultano per tabulas” (richiamando, per relationem, la segnalazione del Presidente della Corte d’appello di —, la successiva integrazione a seguito di richiesta della Procura Generale presso la Corte di Cassazione e la relazione ispettiva del —) e che “non sono contestati dall’incolpati”, esaurisce l’argomentazione logico-giuridica con l’espressione “nessun dubbio può esservi, altresì, in ordine alla gravità e reiterazione dei ritardi”, affidando in tali termini la statuizione a mera astratta formula di stile, priva di valore intrinseco ed inidonea a palesare il criterio logico-fattuale sotteso alla formulazione del convincimento del Giudice disciplinare e ad individuare la ratio decidendi.
67. Il giudizio di sintesi “nessun dubbio può esservi in ordine alla gravità e reiterazione dei ritardi”, non corredato dell’indicazione di alcuna delle circostanze trasfuse nel materiale istruttorio acquisito al giudizio disciplinare, oblitera del tutto la disamina del compendio dei ritardi contestati e non giova minimamente a dare contezza della motivazione il rinvio, per relationem, alla segnalazione del Presidente di Corte e alla successiva integrazione, a seguito di richiesta della Procura Generale, nonché alla relazione ispettiva, per essere detto rinvio correlato all’anzidetta premessa – ritardi risultanti per tabulas – non corroborata, per la sua intrinseca genericità, dal rinvio ai prospetti allegati all’incolpazione.
68. La valutazione di merito espressa dalla motivazione che sostiene la decisione del giudice disciplinare si alimenta, dunque, dell’apodittica valorizzazione di ritardi, ritenuti risultanti per tabulas, di una condotta difensiva dell’incolpato, che si assume di non contestazione, della gravità e reiterazione dei ritardi perché “nessun dubbio può esservi”.
69. La motivazione è disancorata, nell’intero iter argomentativo, da una compiuta disamina e da qualsivoglia precipuo cenno ai dati fattuali, alla percentuale di ritardi, alla trattazione di affari in plurime materie, all’analisi comparativa del Distretto, in altre parole non valorizza in alcun modo gli elementi che sostanziano la verifica giudiziale della percentuale dei ritardi disciplinarmente rilevanti, unitamente agli ulteriori dati – desumibili, nella specie, dalla stessa nota presidenziale – relativi alla proporzionalità del ruolo assegnato al dottor — rispetto a quello dei colleghi di Sezione e del Distretto, connotato da diffusa situazione di ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati civili e, segnatamente, del Tribunale di —.
70. In assenza dei descritti elementi, dunque, la statuizione è del tutto disarticolata.
71. Ed ancora, alla stregua della costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, anche al fine di evitare la violazione del principio di ragionevole durata del processo, riconducibile alla garanzia costituzionale del giusto processo (Cost., art. 111 e art. 6 CEDU) per l’integrazione della fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 109 cit., art. 2, comma 1, lett. q), il superamento del termine di un anno nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali è da considerare l’elemento che può determinare la specifica intollerabilità del ritardo e tale superamento non è giustificabile se non in presenza di circostanze di carattere del tutto eccezionale e proporzionate alla particolare gravità che, alla stregua dell’ordinamento giuridico, deve attribuirsi alla violazione, nel senso che quanto più gravi sono i ritardi tanto più gravi e riscontrate nella loro efficienza causale dovranno essere le circostanze giustificatrici (cfr., fra le tante: SS.UU, 13 settembre 2011, n. 18697; SS.UU, 26 aprile 2012, n. 6490; SS.UU, 15 gennaio 2013, n. 4215; SS.UU, 30 settembre 2015, n. 19449; SS.UU, 16 febbraio 2016, n. 2948; SS.UU, 29 luglio 2016, n. 15813; SS.UU, 16 febbraio 2017, n. 4096; SS.UU, 19 settembre 2017, n. 21624; SS.UU, 03 ottobre 2018, n. 24136; SS.UU, 31 maggio 2019, n. 15048).
72. Da ultimo, SS.UU, 10 gennaio 2023, n. 2370, riconfermando gli approdi giurisprudenziali di queste Sezioni Unite (tra le tante, SS.UU, 07 ottobre 2019, n. 25020), ha riaffermato che i ritardi rilevano disciplinarmente là dove siano una diretta conseguenza della mancanza di laboriosità e che è imprescindibile, al riguardo, una valutazione complessiva del carico di lavoro dell’Ufficio e degli sforzi profusi per l’abbattimento dell’arretrato e che il notevole carico di lavoro del quale risulti gravato il magistrato è idoneo ad assumere rilievo, quale causa di giustificazione per il ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, ove tenuto conto degli standard di operosità e laboriosità mediamente sostenuti dagli altri magistrati dell’ufficio, vi sia, a parità di condizioni di lavoro, una considerevole sproporzione del carico, a danno del magistrato incolpato, così da rendere inesigibile l’apprestamento di una diversa organizzazione.
73. Vale, poi, ricordare che le contestazioni di non puntualità lavorativa toccano variegati aspetti dell’agire professionale del magistrato che non si esauriscono con la mera trasmissione di tabulati e schede riepilogative dei ritardi nel deposito di sole sentenze, rilevando anche altri significativi riferimenti nei vari versanti d’impegno giudiziario del magistrato, chiamato ad analoga puntualità anche nell’emissione di ordinanze e altri provvedimenti di varia natura (si v., SS.UU, 21 marzo 2017, n. 14430), costituenti elementi di contesto per la rilevazione complessiva del lavoro giudiziario e indispensabili per definire la reale portata e gravità della condotta del magistrato.
74. Nondimeno va aggiunto, benché quanto fin qui argomentato assuma rilievo assorbente di ogni altra censura che ha attinto la statuizione con riferimento all’incolpazione all’esame, che con motivazione apparente la Sezione disciplinare ha escluso la sussistenza di esimenti, attraverso tecnica assertiva meramente apodittica – “all’evidenza non ricorre alcuna delle richiamate condizioni“ – che non palesa le ragioni per cui una diversa organizzazione del lavoro sarebbe risultata idonea ad impedire o ridurre i ritardi e concretamente possibile, in relazione al carico di lavoro complessivamente gravante sul dottor —, e alla produttività e laboriosità esigibili (cfr., SS.UU, 16 marzo 2021, n. 7337).
75. Ciò vale anche per il contesto temporale al quale la statuizione ha inteso fare riferimento, circoscrivendo al solo 2016 l’impegno profuso per lo smaltimento dell’arretrato complessivamente maturato in riferimento all’ufficio giudiziario, di un presupposto fattuale – lo smaltimento dell’arretrato limitato al 2016 – ad avviso del giudice disciplinare estraneo all’ambito temporale dell’incolpazione, inesistente, invece, nel processo in cui era risultato acquisito lo smaltimento dell’arretrato accumulato a —, ex —.
76. Passando all’esame dell’ultima censura, che ha attinto il capo della sentenza relativo alla mancata partecipazione alle riunioni d’ufficio indette dal Presidente del Tribunale di —, senza mai giustificare l’assenza se non in una sola occasione, vale osservare che l’illecito disciplinare che si realizza nella “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti” riceve tipizzazione concreta in forza del contenuto della norma regolamentare o della disposizione di servizio violata, che definisce il comportamento sanzionabile.
77. Rispettivamente la lett. n) dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 109 cit. prevede, come condotta disciplinarmente rilevante, “la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti”, sicché l’inosservanza di tali norme può costituire illecito disciplinare solo ove alternativamente si presenti come “reiterata” oppure come “grave” (cfr., SS.UU, 25 marzo 2013, n. 7383).
78. La disgiunzione “o” lascia intendere sia sufficiente la ricorrenza di uno solo dei due requisiti, a condizione che la sentenza contenga in ordine ad essa una valutazione che può essere presente, in forma congrua, anche per entrambi i requisiti (cfr., SS.UU, 09 luglio 2015, n. 14344).
79. La reiterazione dei comportamenti omissivi, recte della mancata partecipazione alle riunioni, non può prescindere dalla valutazione in ordine alla significatività: in altri termini, la pluralità numerica degli episodi di assenza – quattro riunioni in un contesto temporale che spazia da giugno 2016 a gennaio 2019 – non è sufficiente a connotare di offensività la mancata presenza senza identificare, in concreto, i doveri nello specifico disattesi, le ragioni concrete della colpevole violazione, la debita e tempestiva convocazione per calibrare meglio l’impegno d’udienza, le conseguenze negative derivanti dalla mancata partecipazione, quali l’essersi o meno uniformato alle determinazioni assunte all’esito delle riunioni alle quali il dottor — non aveva presenziato.
80. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata con rinvio, per nuova motivazione, alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione, che, alla luce dei rilievi innanzi esposti, dovrà procedere a nuovo esame in ordine alla sussistenza degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q) e n), contestati al dottor —.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 21 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023.
Allegati:
SS.UU, 21 marzo 2023, n. 8151, in tema di responsabilità del magistrato
Nota del Dott. Vito D’Alessio
Responsabilità disciplinare del magistrato per ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti
1. Il principio di diritto
La durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta del magistrato incolpato, ma trattandosi di inosservanza protrattasi ulteriormente e per un tempo considerevole rispetto alla soglia di illiceità considerata dal legislatore, è giustificabile solo in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo, sicché quanto più esso è grave tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve essere la relativa giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, comunque, essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare il grave ritardo o almeno ridurne l’abnorme dilatazione.
2. L’illecito disciplinare e la giurisprudenza di legittimità
Ai fini dell’integrazione dell’illecito disciplinare di cui all’art. 2, c. 1, lett. q), del D.lgs. 109/2006, che sanziona il ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni di magistrato, è necessario che sussistano, congiuntamente, tre presupposti: la reiterazione, la gravità e l’ingiustificabilità del ritardo.
La reiterazione e la gravità del ritardo sono elementi costitutivi dell’illecito; l’ingiustificabilità si colloca all’esterno della fattispecie oggettiva e opera come causa di esclusione della punibilità, essendo correlata a specifiche condizioni di inesigibilità della condotta doverosa.
È onere dell’incolpato allegare e provare l’esistenza delle cause di giustificazione del ritardo.
Queste ultime possono inerire alla complessiva organizzazione ed alla gravosità del carico di lavoro, alla qualità dei procedimenti trattati e definiti, agli indici di laboriosità ed operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché allo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato, agli impegni aggiuntivi di tipo amministrativo od organizzativo e, in via concorrente, alle condizioni personali del magistrato, ove eccezionali e transitorie.
L’orientamento giurisprudenziale inizialmente formatosi ha ritenuto ingiustificabile il ritardo superiore ad un anno, salvo impedimenti oggettivi, eccezionali e straordinari, del tutto insuperabili (cfr., SS.UU, 28 marzo 2014, n. 7307; 05 aprile 2013, n. 8360).
L’orientamento successivo, attualmente maggioritario, rileva che l’ultrannualità del ritardo non può risolversi in un addebito di responsabilità oggettiva: ai fini della responsabilità disciplinare, deve essere considerata l’effettiva incidenza dei profili di organizzazione dell’ufficio e del lavoro individuale sul mancato compimento, nei tempi stabiliti, dell’atto richiesto al magistrato (cfr., SS.UU, 08 luglio 2015, n. 14268; da ultimo, SS.UU, 10 gennaio 2023, n. 2370, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota del Dott. Stefano Pugliese).
3. Conseguenze operative
In mancanza di indicazioni legislative, alla luce del valore costituzionale della durata ragionevole del processo, la giurisprudenza di legittimità considera sì “ragguardevole” il ritardo annuale, ma proprio nell’ipotesi in cui esso attinga il suddetto limite temporale, la decisione del giudice disciplinare deve essere fondata su un complessivo apprezzamento di fatto ed essere sorretta da una motivazione corrispondentemente adeguata.
Quanto più ampia, composita ed articolata sarà la valutazione necessaria in proposito (specie in rapporto al maggiore spessore della giustificazione richiesta per ritardi di rilevante ampiezza), tanto più simmetricamente significativa, rigorosa e strutturata dovrà essere la relativa motivazione.