Civile Ord. Sez. U Num. 2370 Anno 2023
Data pubblicazione: 25/01/2023
O R D I N A N Z A
sul ricorso iscritto al NRG 12339 del 2022 promosso da:
—, rappresentato e difeso dagli Avvocati —, — e —, con domicilio eletto presso il domicilio digitale dei difensori ai rispettivi indirizzi pec, nonché presso lo studio del primo difensore in Roma, —, n. — (studio legale — – —);
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE, RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, con domicilio presso l’Ufficio in Roma, via Baiamonti, n. 25;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, depositata in segreteria il 31 dicembre 2021, n. 228/A/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2023 dal Consigliere —.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza n. 420 del 2020, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, accogliendo la domanda della Procura regionale, ha condannato il prof. — – ex magistrato “laico” in servizio presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel periodo dal 27 agosto 2010 al 26 agosto 2016 – a pagare, all’Amministrazione del Consiglio di Stato, la somma di euro 315.364, oltre accessori e spese, a titolo di risarcimento del danno da disservizio scaturito dai gravi e reiterati ritardi nel deposito di numerosi provvedimenti giudiziari di sua pertinenza.
La Sezione giurisdizionale, nel rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal —, ha evidenziato che la Procura non ha contestato profili di responsabilità disciplinare o sanzionatoria né tantomeno di detrimento arrecato all’immagine dell’Amministrazione del Consiglio di Stato, avendo, invece, chiesto il risarcimento del danno erariale scaturito dal mancato puntuale adempimento, da parte del convenuto, del dovere di tempestivo deposito dei provvedimenti giudiziari, con conseguente lesione del sinallagma contrattuale, che giustificava la corresponsione, in suo favore, della retribuzione nella misura prestabilita.
Nel merito, il Giudice di primo grado ha sottolineato che i reiterati e gravi ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari da parte del — avevano arrecato un vulnus concreto ed attuale all’efficienza ed al buon andamento del servizio giustizia fornito dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, rendendo, quindi, ingiustificata, almeno in parte, la retribuzione corrisposta al medesimo magistrato, in quanto volta a remunerare, nell’ambito del rapporto sinallagmatico, una prestazione lavorativa che avrebbe dovuto essere comprensiva anche della puntualità nel deposito dei provvedimenti.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 31 dicembre 2021, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, ha parzialmente accolto, in punto di quantum, il gravame interposto dal —, rideterminando in euro 90.000, comprensivi di rivalutazione monetaria, l’importo dal medesimo dovuto a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi legali.
Per quanto in questa sede rileva, la Corte dei conti ha disatteso l’eccezione, riproposta dal — in grado d’appello, di difetto di giurisdizione.
La Sezione giurisdizionale d’appello ha ribadito che la domanda formulata nei riguardi dell’ex magistrato amministrativo dalla Procura contabile, concernente il risarcimento del danno da disservizio, va intesa come “danno arrecato al corretto ed efficiente esercizio della funzione giurisdizionale” in favore della collettività, che era derivato dai reiterati e gravi ritardi del — nel deposito dei provvedimenti di sua pertinenza, con conseguente lesione del rapporto sinallagmatico intercorrente con l’Amministrazione d’appartenenza, avendo quest’ultima remunerato il magistrato — senza ottenere come contropartita una prestazione lavorativa adeguata alle esigenze di tempestività, efficienza ed efficacia richieste dall’ordinamento.
Secondo la Corte dei conti, una conclusione contraria non si trae dalla legge 13 aprile 1988, n. 117. Con essa il legislatore, all’art. 2, comma 3-bis, ha espressamente fatto salva la possibilità d’instaurare nei riguardi del magistrato il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639, di competenza della Corte dei Conti; all’art. 13, ha inoltre disposto che, in caso di responsabilità civile per i danni derivanti da reato commesso da un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, all’esercizio dell’azione di regresso verso il magistrato da parte dello Stato, che abbia dovuto risarcire il terzo danneggiato, deve procedersi secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti, che attribuiscono, in linea generale, la giurisdizione in materia alla Corte dei conti.
Secondo la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, la legge n. 117 del 1988, avente, tra l’altro, la finalità di tutelare l’indipendenza del magistrato nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, non ha escluso, in linea generale, né la configurabilità di ipotesi di ordinaria responsabilità amministrativo-contabile, in cui possa incorrere il magistrato per danni direttamente arrecati all’Amministrazione d’appartenenza, né la conseguente esperibilità, nei suoi confronti, della relativa azione risarcitoria dinanzi alla Corte dei conti da parte del pubblico ministero contabile.
Osserva, inoltre, la Sezione d’appello che non avrebbe alcuna ragionevole giustificazione giuridica e sarebbe anzi foriera di un ingiusto privilegio, in violazione del principio costituzionale di eguaglianza, l’esenzione del magistrato da responsabilità amministrativo-contabile nei casi in cui il medesimo abbia, ad esempio, sottratto o danneggiato beni o valori di pertinenza dell’Amministrazione, abbia leso l’immagine ed il prestigio della medesima mediante condotte costituenti reato e penalmente sanzionate, abbia illecitamente lucrato emolumenti retributivi, tenendo comportamenti lesivi del rapporto sinallagmatico intercorrente con l’Amministrazione d’appartenenza o abbia arrecato disservizio all’organizzazione ed al funzionamento della stessa.
In tali ipotesi – afferma conclusivamente la Corte dei conti – non sono ravvisabili le peculiari esigenze di tutela dell’indipendenza del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.
3. – Per la cassazione della sentenza della Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana della Corte dei conti il prof. — ha proposto ricorso, con atto notificato il 2 maggio 2022, sulla base di tre motivi.
Ha resistito, con controricorso, il Procuratore Generale, rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti.
4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione agli artt. 362, primo comma, e 360, primo comma, numero 1), cod. proc. civ., la violazione degli artt. 3, 103 e 108 Cost., dell’art. 1 cod. proc. civ., della legge 13 aprile 1988, n. 117 (in particolare, degli artt. 2, 3 e 13), nonché delle norme che regolano il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati speciali, derivanti dal combinato disposto del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (in particolare, dell’art. 2, lettera q) e della legge 27 aprile 1982, n. 186 (in particolare, dell’art. 32), per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti in materia di risarcimento dei danni da disservizio, consistente nel sistematico ritardo nel deposito delle sentenze, che la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana ha ritenuto essere stato cagionato dal prof. —, componente laico del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, nell’esercizio delle proprie funzioni giudiziarie. Ad avviso del ricorrente, la materia della responsabilità dei magistrati sarebbe integralmente disciplinata dalla legge n. 117 del 1988, come modificata dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18. In particolare, il — sostiene che in base a tale normativa, concernente la responsabilità dei magistrati anche per i casi di “denegata giustizia”, in cui andrebbe ricompreso il tardivo deposito dei provvedimenti, spetta al Presidente del Consiglio dei ministri l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, da proporsi dinanzi al giudice civile, per i danni subiti dallo Stato, che abbia dovuto risarcire il cittadino cui sia stato riconosciuto il relativo diritto. Secondo il ricorrente, la previsione dell’esercizio dell’azione di rivalsa, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, dinanzi al giudice ordinario troverebbe fondamento nell’art. 108 della Costituzione, secondo cui le norme riguardanti ogni magistratura vanno stabilite con legge, la quale deve anche assicurare l’indipendenza dei giudici delle magistrature speciali.
2. – Con il secondo motivo, prospettato in via subordinata rispetto al precedente mezzo, il ricorrente chiede disporsi il rinvio della causa alla Corte costituzionale, per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 103 e 108 Cost., con riferimento all’art. 1 del codice di giustizia contabile, nella parte in cui dovesse essere interpretato nel senso di non escludere la giurisdizione contabile nella materia oggetto del presente giudizio, essendo essa attribuita al giudice ordinario nell’ambito del procedimento speciale istituito e disciplinato dalla legge n. 117 del 1988, o per illegittimità costituzionale della medesima legge n. 117 del 1988, nella parte in cui dovesse essere interpetrata nel senso di non escludere la giurisdizione contabile in materia di danno cagionato dal magistrato all’Amministrazione di appartenenza, nell’ipotesi di denegata giustizia.
3. – Con il terzo motivo, sollevato in via di ultima subordinata, il ricorrente censura la violazione della norma, in tesi, attributiva della giurisdizione contabile (art. 2, comma 3-bis, e art. 13, comma 2-bis, della legge n. 117 del 1988), essendo essa stata applicata retroattivamente dal giudice a quo, nonostante si tratti di disposizioni di carattere innovativo.
4. – Il primo motivo pone la questione se ricada nella giurisdizione della Corte dei conti l’azione, proposta dalla Procura regionale contabile nei confronti di un ex magistrato amministrativo, di responsabilità per danno erariale da disservizio in pregiudizio dell’Amministrazione di appartenenza (il Consiglio di Stato), per avere egli, nell’ambito dello svolgimento delle funzioni giurisdizionali, quale componente laico del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, violato l’obbligo di tempestivo deposito delle sentenze.
5. – La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, ha ritenuto di essere munita della giurisdizione.
L’iniziativa promossa dal Procuratore regionale rientrerebbe nell’ambito della giurisdizione in materia di responsabilità amministrativa per danno erariale, istituzionalmente attribuita alla Corte dei conti, qui inteso come danno al corretto ed efficiente esercizio della funzione giurisdizionale. Il danno erariale, di natura diretta, consisterebbe nell’avere, il magistrato, omesso di adempiere puntualmente al dovere di tempestivo deposito dei provvedimenti giudiziari, arrecando disservizio all’amministrazione di appartenenza e lesione del sinallagma che giustificava la corresponsione della retribuzione nella misura prestabilita.
La sentenza d’appello, condividendo il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, ha osservato che, per un magistrato che esercita la funzione giudicante, il rispetto dei termini previsti dalla legge per il deposito dei provvedimenti costituisce elemento essenziale della prestazione lavorativa, contribuendo a connotare, in termini quantitativi e qualitativi, il servizio giustizia. La Sezione d’appello ha quindi sottolineato che, in caso di mancata od inesatta effettuazione della prestazione lavorativa da parte di un dipendente pubblico, si verifica, ove le inadempienze siano gravi e reiterate, una notevole alterazione del sinallagma contrattuale, di talché la retribuzione corrisposta al medesimo viene ad essere, almeno in parte, priva di valida causa giustificativa, in quanto dalle risorse finanziarie impiegate a tal fine l’Amministrazione non ricava le utilità preventivate, patendo, anzi, per effetto delle inadempienze del dipendente negligente, negative ripercussioni, in termini di minore efficienza sotto il profilo funzionale e di minore efficacia, sotto i profili della qualità e della quantità, dei servizi resi alla collettività.
6. – Il Collegio osserva preliminarmente che la ricostruzione, attraverso la legislazione ed il sistema, dell’ambito della giurisdizione contabile in materia di danni arrecati all’erario e l’individuazione dei soggetti sottoponibili al giudizio di responsabilità amministrativa competono, innanzitutto, alla Corte dei conti in sede di verifica della propria competenza giurisdizionale e poi, eventualmente, alla Corte di cassazione su ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 cod. proc. civ.) ovvero, come nella specie, su ricorso avverso la decisione della Corte dei conti per motivi inerenti alla giurisdizione (artt. 111, ottavo comma, Cost., 362 cod. proc. civ. e 207 del codice di giustizia contabile).
7. – Quando è posta una questione di giurisdizione, questa Corte ha la possibilità – esattamente come per qualunque altra questione processuale – di riscontrare direttamente gli atti di causa per individuare il giudice munito di giurisdizione; al riguardo, le Sezioni Unite non devono limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice a quo abbia vagliato la questione di giurisdizione, essendo investite del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, onde stabilire se, in effetti, la suddetta questione sia stata correttamente decisa o meno (tra le tante, Cass., Sez. Un., 16 settembre 2021, n. 25042).
8. – La responsabilità amministrativo-contabile è la responsabilità patrimoniale in cui incorrono i pubblici funzionari che, in presenza di un rapporto di impiego, per inosservanza dolosa o colposa degli obblighi di servizio, abbiano causato un danno economico alla pubblica amministrazione.
Essa costituisce parte integrante di un sistema volto ad ottenere dai funzionari pubblici comportamenti coerenti con il buon andamento.
La responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente non differisce strutturalmente dall’ordinaria responsabilità civile (art. 2043 cod. civ.), se non per la particolare qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico dipendente o soggetto legato alla P.A. da rapporto di servizio), per la natura del soggetto danneggiato (ente pubblico e assimilati) e per la causazione del danno nell’esercizio di pubbliche funzioni o in circostanze legate da occasionalità necessaria con lo svolgimento di pubbliche funzioni.
La responsabilità si configura non solo a fronte di danni diretti subiti dall’amministrazione, ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dall’amministrazione chiamata innanzi al giudice, ordinario o amministrativo, a risarcire, ai sensi dell’art. 28 Cost., il terzo danneggiato.
Tale responsabilità trova la sua unitaria e fondamentale disciplina nella legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificata dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639. In base ad essa, “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.
L’illecito erariale si connota per la “combinazione di elementi restitutori e di deterrenza” (Corte costituzionale, sentenza n. 371 del 1998).
La conformazione della responsabilità amministrativa risente dell’opera di progressiva specificazione, precisazione e tipizzazione degli obblighi di servizio nonché di un sempre più diffuso utilizzo di qualificazioni legali tipiche, nelle quali le violazioni delle regole giuscontabili sono direttamente qualificate dal legislatore come fonte di responsabilità amministrativa, erariale o contabile. Così, ad esempio, nelle pubbliche amministrazioni incluse nell’elenco adottato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica, e la violazione di tale obbligo di accertamento comporta, per espressa previsione, responsabilità amministrativa (art. 9, comma 1, lettera a, numero 2, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102). Analogamente, la legge 6 novembre 2012, n. 190, nell’aggiungere il comma 7-bis all’art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, inquadra tra le ipotesi di responsabilità erariale l’omesso versamento del compenso percepito dal dipendente pubblico per attività extraistituzionale non autorizzata.
L’evoluzione del sistema è frutto anche dell’elaborazione, ad opera della giurisprudenza della Corte dei conti, di figure di responsabilità amministrativa in cui il nesso tra il pregiudizio e le casse erariali è meno immediato che nelle ipotesi tradizionali, dandosi rilievo alla lesione di interessi pubblici generali riferibili indistintamente alla collettività amministrata.
Nella sua struttura essenziale e tradizionale, la sfera della responsabilità amministrativa risulta perimetrata a quelle fattispecie in cui il danno, quale diretta o indiretta conseguenza dell’atto o del comportamento del pubblico dipendente, si materializza in un indebito esborso di denaro pubblico o nella mancata percezione di somme spettanti all’amministrazione. La giurisprudenza contabile ha progressivamente ampliato la nozione di danno pubblico, sino a ricomprendervi la compromissione di interessi pubblici di carattere generale connessi all’equilibrio economico e finanziario dello Stato.
In quest’ambito si colloca la particolare figura di responsabilità amministrativa che viene in rilievo nella presente vicenda: il danno da disservizio.
Tale figura ricomprende varie tipologie di illecito caratterizzate dalla diminuzione di rendimento dell’azione amministrativa eziologicamente
connessa alla lesione dell’agire amministrativo nei suoi valori fondamentali, tra cui il buon andamento e l’imparzialità: dall’inosservanza dei doveri del pubblico dipendente deriva la diminuzione di efficienza dell’apparato pubblico per la mancata o ridotta prestazione del servizio o per la cattiva qualità dello stesso.
Il danno da disservizio presuppone una distorsione dell’azione pubblica rispetto al fine cui l’azione stessa deve essere indirizzata. Il danno si verifica quando il pubblico servizio è “desostanziato”, per l’utenza, delle sue intrinseche qualità. Si è di fronte a un pregiudizio sofferto dalla collettività in ragione dell’esercizio sviato della funzione amministrativa. Il danno da disservizio si accredita come figura di sintesi di una serie di condotte colpevolmente disfunzionali che incidono sulla qualità del servizio, oltre che sulla sua materiale esecuzione (Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, 26 settembre 2017, n. 479).
Il diritto vivente vi ha fatto rientrare ipotesi contrassegnate da uno sviamento della funzione o da una rilevante alterazione della prestazione: l’illecita cancellazione in cambio di denaro, da parte di un funzionario dell’Agenzia fiscale, di alcuni carichi fiscali pendenti per omessi versamenti di imposte dovute (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 23 febbraio 2009, n. 74); l’assenteismo nel settore della scuola (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 21 marzo 2008, n. 209); la mancata resa del servizio o della prestazione, ricondotta allo schema dell’aliud pro alio, da parte di un segretario scolastico, in fattispecie di irregolare gestione del bilancio della scuola, con sfondamenti di capitoli e senza deliberazioni degli organi collegiali competenti, con fatture inevase, con emissioni di mandati senza la firma del preside e con omesso invio al provveditorato agli studi del conto consuntivo relativo all’esercizio finanziario (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Umbria, 29 novembre 2001, n. 511); l’esercizio distorto di potestà pubbliche e l’asservimento del servizio da parte di un finanziere condannato per collusione in contrabbando (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Puglia, 7 gennaio 2008, n. 2); l’utilizzo improprio di beni strumentali della pubblica amministrazione, consistente nella connessione alla rete internet per navigare su siti proibiti, con conseguente trasmissione di virus alla rete locale (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Basilicata, 22 marzo 2006, n. 83); l’intenzionale discriminazione, da parte del pubblico funzionario, dell’ordine delle pratiche da seguire, frutto di un comportamento delittuoso, con l’assicurazione di un canale preferenziale ed accelerato ad alcuni imprenditori e professionisti (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 31 luglio 2015, n. 139); le “anticipazioni” sui temi concorsuali ai candidati da parte di un commissario (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Umbria, 22 marzo 2022, n. 12).
Ne emerge un quadro che concorre a delineare il perimetro del danno da disservizio dell’amministrazione, e quindi anche il limite della tutela risarcitoria avviata su queste basi.
9. – Ai sensi dell’art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti “ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
L’art. 1 del codice di giustizia contabile, approvato con il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, prevede che la Corte dei conti “ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi di contabilità pubblica”.
Come ha rilevato la Corte costituzionale (sentenza n. 29 del 1995), la prassi giurisprudenziale e le leggi di attuazione della Costituzione hanno esaltato, della Corte dei conti, il ruolo complessivo di garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive, quale “organo posto a tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione”.
La Corte dei conti è il giudice naturale della responsabilità per danno erariale dei soggetti legati alle pubbliche amministrazioni da un rapporto di impiego o di servizio.
La giurisprudenza costituzionale ha altresì precisato che la giurisdizione “nelle materie di contabilità pubblica”, come prevista dalla Costituzione e alla stregua della sua conformazione storica, è dotata non di una “assoluta”, ma solo di una tendenziale generalità (sentenza n. 102 del 1977, nonché sentenza n. 33 del 1968), in quanto essa è suscettibile di espansione in via interpretativa, quando sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi della responsabilità per danno erariale, ma ciò solo “in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso” (sentenza n. 641 del 1987).
Come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 385 del 1996, “appartiene … alla discrezionalità del legislatore, che deve essere circoscritta all’apprezzamento ragionevole dei motivi di carattere ordinamentale e, particolarmente, di quelli riconducibili agli equilibri costituzionali, la definizione concreta della materia di contabilità pubblica, da attribuire alla giurisdizione della Corte dei conti”.
10. – Nel sistema costituzionale non vi è potere senza responsabilità.
Nei confronti dei magistrati, siano essi ordinari o appartenenti a una magistratura speciale, possono essere fatte valere diversi tipi di responsabilità.
La Corte costituzionale (sentenza n. 385 del 1996, cit.), nel dichiarare l’inammissibilità del conflitto di attribuzione proposto da un giudice istruttore a seguito di un atto di citazione relativo a danni erariali prodotti nella liquidazione di perizie d’ufficio, ha chiarito che sussiste “la conciliabilità in linea di principio dell’indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilità nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma anche amministrativa, nelle sue diverse forme”.
Gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost. “non valgono ad assicurare al giudice uno status di assoluta irresponsabilità, pur quando si tratti di esercizio delle sue funzioni riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione di giurisdizione”. “Le richiamate disposizioni dettate dalla Costituzione a garanzia dell’indipendenza e dell’insindacabilità della funzione giurisdizionale non si oppongono di per sé alla possibilità che la legge preveda casi e forme di responsabilità per atti giudiziari del tipo qui in questione”.
Il magistrato deve essere indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione, ma è soggetto alla legge: alla Costituzione innanzitutto, che sancisce, ad un tempo, il principio di indipendenza (artt. 101, 104 e 108) e quello di responsabilità (art. 28) al fine di assicurare che la posizione super partes del magistrato non sia mai disgiunta dal corretto esercizio della sua alta funzione (sentenza n. 18 del 1989 della Corte costituzionale).
11. – La giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha ritenuto configurabile la responsabilità amministrativa del magistrato, con le conseguenze in punto di giurisdizione, e si è interrogata anche sui rapporti tra la responsabilità amministrativa e la disciplina della responsabilità civile del magistrato per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
11.1. – L’ordinanza delle Sezioni Unite 24 marzo 2006, n. 6582, ha fatto rientrare nella giurisdizione della Corte dei conti una controversia nella quale l’azione di responsabilità per danno erariale era stata avviata nei confronti di un giudice addetto alla sezione misure di prevenzione, già condannato in sede penale per avere commesso, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, una serie di reati che avevano causato direttamente allo Stato un danno patrimoniale (derivante dalla mancata applicazione di misure di prevenzione di carattere personale e patrimoniale, con conseguente mancato incameramento di cauzioni e di beni destinati alla confisca) e all’immagine (in termini di pregiudizio del prestigio e del decoro dell’istituzione pubblica).
L’assimilazione della posizione del magistrato a quella degli altri funzionari pubblici è motivata sul rilievo che l’intero sistema della legge n. 117 del 1988 (come risulta anche dalla sua intestazione) mira a disciplinare, ponendo limiti e condizioni a garanzia dell’indipendente e imparziale esercizio delle funzioni giurisdizionali, la sola responsabilità civile del magistrato; mentre l’esigenza di una disciplina speciale viene meno in presenza di un fatto di reato commesso nell’esercizio delle funzioni, come dimostra l’art. 13, secondo comma, di tale legge che, in tema di responsabilità civile per fatti costituenti reato, “espressamente richiama le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti (operando, quindi, quanto meno a questi effetti, un’equiparazione dei magistrati ai pubblici dipendenti)”. In sostanza, “in mancanza di una diversa previsione (…), non c’è alcuna ragione per escludere la responsabilità amministrativa dei magistrati in presenza di un fatto costituente reato”: “nella complessiva ricostruzione del sistema”, “la commissione nell’esercizio delle funzioni di un fatto costituente reato fa venir meno l’esigenza di una speciale e più favorevole disciplina della responsabilità dei magistrati”.
11.2. – La sentenza delle Sezioni Unite 27 maggio 2009, n. 12248, a sua volta, ha corretto l’impostazione del giudice a quo, secondo cui l’attività giudiziaria svolta da un magistrato, salvo il caso di commissione di reato, sarebbe sempre e comunque insindacabile in sede contabile e, quindi, in assoluto sottratta alla giurisdizione della Corte dei conti, e ha riconosciuto la conciliabilità in linea di principio della indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilità del suo esercizio. Cionondimeno, poste di fronte ad una controversia promossa dal Procuratore regionale della Corte dei conti, nei confronti di un magistrato ordinario, per il danno colposamente arrecato all’Amministrazione a seguito del ritardato dissequestro di due autoveicoli affidati in custodia giudiziale, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, e non della Corte dei conti, non essendo configurabile alcuna ipotesi di reato e trattandosi di danno causato – alla luce della legge n. 117 del 1988 – nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
11.3. – Si è, poi, riconosciuta la sussistenza della giurisdizione contabile in una fattispecie relativa a un magistrato venuto meno al dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi extralavorativi e del conseguente obbligo di riversare all’Amministrazione i compensi per essi ricevuti (Cass., Sez. Un., 2 novembre 2011, n. 22688). Questa Corte ha motivato sulla premessa che è configurabile la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa di un soggetto che, legato all’Amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, causi un danno con azioni od omissioni connesse alla violazione non soltanto dei doveri tipici delle funzioni concretamente svolte, ma anche di quelli ad esse strumentali, attenendo al merito e, dunque, ai limiti interni della potestas iudicandi, ogni questione concernente il tipo e l’ammontare del danno stesso diverso da quello all’immagine.
12. – Esplicite disposizioni di legge confermano la sottoposizione anche dei magistrati alla giurisdizione della Corte dei conti.
L’art. 172 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevede (con una disposizione di cui la Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 273 del 2006, ha escluso il carattere innovativo) che “i magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa”.
A sua volta, l’art. 5, comma 4, della legge 24 marzo 2001, n. 89, in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, dispone che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione, di chi ha subito un danno per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole del processo, venga comunicato al procuratore contabile, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità, oltre che ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici interessati dal procedimento.
In caso di responsabilità civile per fatti costituenti reato, l’art. 13 della legge n. 117 del 1988 prevede che “all’azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti”.
13. – Da tali coordinate, legislative e giurisprudenziali, possono trarsi i seguenti corollari.
L’art. 7 della legge n. 117 del 1988 – che attribuisce al giudice ordinario la cognizione dell’azione di rivalsa che il Presidente del Consiglio dei ministri, entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, ha l’obbligo di esercitare nei confronti del magistrato nel caso di diniego di giustizia, ovvero nei casi in cui la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove sono stati determinati da dolo o negligenza inescusabile – non esclude la possibilità che si instaurino, dinanzi alla Corte dei conti, altri giudizi, secondo la disciplina di diritto comune della responsabilità amministrativa, nei confronti del magistrato che abbia ingiustamente arrecato danni erariali allo Stato. Difatti, il citato art. 7 devolve alla giurisdizione ordinaria l’azione di rivalsa per il danno patrimoniale indiretto arrecato dal magistrato allo Stato che ha risarcito in sede civile il terzo danneggiato nell’esercizio di funzioni giurisdizionali, sicché in tutte le restanti ipotesi di danno erariale si riespande la generale giurisdizione contabile.
Se ne ha conferma nella trama della stessa legge n. 117 del 1988, che distingue tra azione di rivalsa, riservata allo Stato e da proporre davanti alla giurisdizione ordinaria, e azione di regresso in caso di reato, da esercitare secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.
In altri termini, la legge n. 117 del 1988 non esaurisce in sé ogni forma di responsabilità perché, nella sua regolazione, attiene all’ambito di quella civile. Con la clausola di salvezza del giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, contenuta nell’art. 2, comma 3-bis, della legge n. 117 del 1988, inserito dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18, il legislatore della responsabilità civile dello Stato verso terzi indica che quella disciplina non esaurisce la responsabilità del magistrato per danni all’erario.
Spetta alla giurisdizione della Corte dei conti, secondo le norme generali, conoscere dei danni arrecati allo Stato, inteso nel senso dell’amministrazione della giustizia, o ad altra amministrazione o ente pubblico, essendo tale responsabilità fondata sull’ordinario presupposto del rapporto funzionale e di servizio che lega il magistrato all’amministrazione pubblica e della violazione (commessa con dolo o colpa grave) di doveri inerenti a quel rapporto.
Dinanzi alla Corte dei conti il magistrato può essere chiamato a rispondere, innanzitutto, per i danni causati nell’esercizio di funzioni amministrative: si pensi al caso di un uso non istituzionale di beni dell’ufficio o alla mancata segnalazione alla Procura contabile, da parte dei vertici di un ufficio giudiziario, di fatti dannosi per l’erario prodotti da magistrati o dal personale amministrativo.
Dinanzi alla Corte dei conti il magistrato può essere chiamato a rispondere anche del danno scaturito dall’esercizio di funzioni giudiziarie, fermi restando l’insindacabilità nel merito dei provvedimenti giudiziari e il limite della indipendenza funzionale. Anche all’interno della funzione giudiziaria propriamente detta, del resto, sono previste numerose incombenze, per lo più di disposizione di beni e di risorse pubbliche, suscettibili di produrre immediati effetti patrimonialmente valutabili sugli oneri legati alla gestione pubblica della funzione giudiziaria: così, ad esempio, in caso di liquidazione di elevati compensi, non conformi a legge, a periti o consulenti. A questa ipotesi va ricondotto quanto stabilito dal citato art. 172 del testo unico in materia di spese di giustizia.
È un danno direttamente causato allo Stato, del quale il magistrato può essere chiamato a rispondere dinanzi alla Corte dei conti, anche quello all’immagine della P.A. per delitti commessi in danno della stessa nell’esercizio delle funzioni (art. 51 del codice di giustizia contabile).
14. – Con riguardo alla fattispecie che viene in rilievo nella presente vicenda, preme rilevare che la legge prende in considerazione sotto più profili le ricadute negative derivanti dal ritardo, da parte del giudice, nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali.
14.1 – In primo luogo, attribuendo alla Corte dei conti il giudizio di rivalsa verso il magistrato per i danni risarciti dallo Stato in caso di irragionevole durata dei processi, ai sensi della citata legge n. 89 del 2001.
Poiché tra le cause della irragionevole durata può esservi il comportamento del magistrato, è stabilito, all’art. 5 di detta legge, che il decreto con cui è accolta la domanda di equa riparazione dei danni debba essere comunicato, a cura della cancelleria, anche al Procuratore contabile, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità.
Mentre la legge n. 89 del 2001 pone un obbligo risarcitorio a carico dello Stato connesso tendenzialmente all’oggettiva violazione del principio di ragionevole durata del processo, nel giudizio di rivalsa dinanzi alla Corte dei conti rileva il dolo o la colpa grave dell’autore del ritardo, dovendosi fare applicazione delle regole sostanziali e processuali che disciplinano la responsabilità amministrativa. Pertanto, potrà essere escluso ogni profilo di responsabilità, guardandosi alle plurime funzioni esercitate dal singolo magistrato o considerandosi il complessivo carico di lavoro. In altri termini, in ragione dell’autonomia del processo contabile rispetto al procedimento giudiziario che ha dato luogo all’equa riparazione, la Corte dei conti è chiamata a valutare senza automatismi il comportamento dei soggetti innanzi ad essa convenuti e l’imputabilità ai medesimi del danno erariale derivante dall’equa riparazione.
L’art. 5 della legge n. 89 del 2001 esplicita, dunque, un’ipotesi di danno arrecato all’erario che ha erogato l’indennizzo per il ritardo. Dal ritardo può derivare, secondo autonoma valutazione della Corte dei conti, una fonte di responsabilità amministrativa.
14.2. – In secondo luogo, prevedendo una apposita figura di illecito disciplinare.
Il magistrato è tenuto ad esercitare le funzioni attribuitegli con diligenza e laboriosità.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, costituisce illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”.
Tale disposizione “presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”.
Alla stregua della citata disposizione normativa, risulta passibile di sanzione disciplinare il reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni. Pertanto – come ha chiarito la giurisprudenza di queste Sezioni Unite (tra le tante, Cass., Sez. Un., 7 ottobre 2019, n. 25020) – i ritardi rilevano disciplinarmente là dove siano una diretta conseguenza della mancanza di laboriosità. È imprescindibile, al riguardo, una valutazione complessiva del carico di lavoro dell’ufficio e degli sforzi profusi per l’abbattimento dell’arretrato. Il notevole carico di lavoro del quale risulti gravato il magistrato è idoneo ad assumere rilievo quale causa di giustificazione per il ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali ove, tenuto conto degli standard di operosità e laboriosità mediamente sostenuti dagli altri magistrati dell’ufficio, a parità di condizioni di lavoro vi sia una considerevole sproporzione del carico, a danno del magistrato incolpato, così da rendere inesigibile l’apprestamento di una diversa organizzazione.
Ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 109 del 2006, la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati “non si applica ai magistrati amministrativi”. In relazione alla responsabilità disciplinare dei giudici amministrativi, quello contenuto nell’art. 32 della legge 27 aprile 1982, n. 186, si interpreta come un rinvio fisso: perciò, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, nella parte in cui definiscono l’illecito disciplinare (art. 18) (Cons. Stato, Sez. IV, 7 dicembre 2015, n. 5572). Occorre dare atto, tuttavia, che la tipizzazione contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006 è destinata a spiegare effetto, per i magistrati amministrativi, in via di “autovincolo” dell’organo di governo autonomo: nel Plenum del 15 gennaio 2016, infatti, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha stabilito che “ai sensi dell’art. 18 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, integra l’illecito disciplinare, da parte del magistrato amministrativo, il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”.
14.3. – In terzo luogo, prevedendo la responsabilità civile del magistrato, ai sensi della legge n. 117 del 1988, in caso di diniego di giustizia.
Costituisce diniego di giustizia anche il ritardo, oltre che il rifiuto o l’omissione, del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte abbia presentato istanza per ottenere il provvedimento e siano decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria (art. 3).
Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali (art. 2).
Anche nel caso di diniego di giustizia, il Presidente del Consiglio dei ministri ha l’obbligo di esercitare, dinanzi al giudice ordinario, l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale (art. 7).
14.4. – Rimane ferma la responsabilità del magistrato per fatti costituenti reato (art. 13 della legge n. 117 del 1988) nell’ipotesi in cui il ritardo trasmodi in un rifiuto di atti d’ufficio.
La giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., Sez. VI, 16 marzo 2022, n. 8870, imp. —) ha chiarito che l’inosservanza, anche ripetuta e grave, da parte del magistrato, dei termini di deposito delle sentenze non integra, di per sé sola, il reato di rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di giustizia ex art. 328, comma primo, cod. pen., se non sussista una indifferibilità dell’atto omesso, la quale non può essere desunta dall’esigenza di regolare andamento dell’attività giudiziaria, ma presuppone che il ritardo determini un pericolo concreto di pregiudizio per le parti interessate, derivante dalla mancata definizione dell’assetto regolativo degli interessi coinvolti nel procedimento.
In questa prospettiva, il ritardo, in specie quando consistente, non costituisce un dato irrilevante e neutro, ma deve essere valutato nella concretezza della situazione, in modo da verificare se in rapporto ad essa lo stesso, per il suo protrarsi, possa influire sull’attuazione del diritto oggettivo nel caso concreto e se dunque l’ulteriore ritardo possa assumere il significato di vero e proprio rifiuto di un atto divenuto indifferibile.
In tale quadro possono assumere concreta rilevanza le specifiche sollecitazioni rivolte al giudice, affinché provveda al deposito del provvedimento.
Le stesse possono peraltro provenire da organi sovraordinati o preposti al controllo e al coordinamento dell’attività giudiziaria ovvero direttamente da soggetti coinvolti nell’attività giudiziaria.
La manifestazione di un legittimo interesse, ove ulteriormente qualificata dalla richiesta del provvedimento, può dare luogo alla figura del diniego di giustizia e, in presenza di una diffida, al reato di cui all’art. 328, secondo comma, cod. pen.
Ma ove la sollecitazione sia specificamente qualificata dalla rappresentazione dell’urgenza, correlata all’esigenza di compiuta attuazione del diritto positivo, che potrebbe essere altrimenti pregiudicata, in quanto si determinino o possano determinarsi conseguenze non fisiologiche in relazione allo sviluppo del procedimento o alla posizione delle parti interessate, esposte a pregiudizi dipendenti dalla mancata definizione dell’assetto degli interessi coinvolti nel procedimento, essa potrebbe valere non solo a dar conto dell’indifferibilità dell’atto, ma anche a consentire di valutare la protratta inerzia come elemento rappresentativo del rifiuto, che integra l’ipotesi delittuosa di cui al primo comma dell’art. 328 cod. pen.
15. – La responsabilità amministrativo-contabile dei magistrati presenta, accanto ad aspetti di sostanziale sovrapponibilità con quelli riguardanti le altre categorie di funzionari pubblici soggetti al giudizio della Corte dei conti, alcuni profili di specificità.
Il comune aspetto di fondo, dipendente dal fatto che ambedue le categorie interessate sono legate da un rapporto di impiego pubblico con lo Stato e svolgono attività in nome e per conto dello Stato medesimo, non impedisce di considerare le peculiarità derivanti dallo status e dai compiti dei magistrati rispetto a quelli degli altri funzionari pubblici.
I profili di specificità sono dovuti alla particolarità della funzione giudiziaria e al rapporto con l’autonomia e l’indipendenza, intese come precondizioni essenziali per l’esercizio di una attività indirizzata alla tutela dei diritti individuali.
L’elemento unificante della funzione giudiziaria risiede nella particolare posizione di indipendenza degli organi giudiziari nel sistema politico-istituzionale: amministrativamente incardinato nell’organizzazione del potere pubblico, dello Stato-persona, il magistrato ha una sua collocazione ordinamentale con regole peculiari quanto a carriera e a garanzie di indipendenza dal potere politico.
16. – Ai fini della soluzione della questione che il ricorso solleva, il Collegio ritiene rilevante la considerazione che la pluralità di gravi ritardi, da parte di un magistrato, nel deposito dei provvedimenti dà luogo ad una figura di illecito disciplinare, rimessa alla valutazione dell’organo di governo autonomo della magistratura: la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, per i magistrati ordinari; il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, per i giudici amministrativi.
Non v’è dubbio che depositare le sentenze nei termini di legge, tenendo conto dei carichi esigibili secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza, e svolgere tutti i compiti dell’ufficio con laboriosità e diligenza costituiscono dovere primario di ogni giudice.
L’osservanza da parte del magistrato dei doveri inerenti al suo status è parte integrante del modo di essere dell’imparzialità e dell’indipendenza della giurisdizione.
La figura del magistrato è legata non solo ad un’idea comune di probità personale, di imparzialità, di estraneità agli interessi che si agitano nella controversia, di indipendenza, ma anche di diligenza, di operosità e di laboriosità per l’efficiente esercizio della funzione giudiziaria, attraverso il quale il potere si fa servizio pubblico per gli utenti e per la comunità.
C’è un legame diretto tra la disciplina del magistrato e la tutela generale e complessiva dell’ordinamento.
Il rispetto della deontologia professionale del magistrato interest rei publicae ed oltrepassa la barriera dell’ordine interno del corpo.
La negligenza fonte di disservizio, punita con sanzioni disciplinari, non ha un rilievo interno, ma fuoriesce dai confini dell’istituzione, per attingere la generalità dell’ordinamento, al cui livello necessariamente si pongono le questioni che investono il modo di esercizio dell’attività giurisdizionale, destinataria principale dell’istanza di garanzia dei diritti dei cittadini.
La responsabilità disciplinare dei magistrati non può essere qualificata quale mera responsabilità verso l’ordine di appartenenza, perché è l’intero ordinamento costituzionale ad essere interessato al rispetto delle regole disciplinari da parte dei magistrati. Come insegna la Corte costituzionale (sentenza n. 497 del 2000), il regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e il prestigio della magistratura investono il momento della concretizzazione dell’ordinamento attraverso la giurisdizione, vale a dire l’applicazione imparziale e indipendente della legge.
Si tratta di beni i quali, affidati alle cure di ciascun organo di governo autonomo, non riguardano soltanto la magistratura, ordinaria o amministrativa, riduttivamente intesa come corporazione professionale, ma appartengono alla generalità dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costituiscono presidio dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini.
La responsabilità disciplinare, per sua vocazione, tende a oltrepassare la ristretta cerchia di un corpo professionale organizzato. Il suo fondamento non può ricercarsi, come per gli altri funzionari pubblici, nel rapporto di supremazia speciale della pubblica amministrazione verso i propri dipendenti.
Il procedimento disciplinare è anche una garanzia: mira a far emergere situazioni idonee ad escludere che i ritardi siano dovuti ad un’effettiva violazione dei doveri del magistrato (quali, indicativamente, il numero di udienze tenute nell’arco temporale considerato, l’impegno straordinario in processi di eccezionale importanza, il numero dei processi dei quali il magistrato è assegnatario ove sproporzionato in eccesso rispetto a quelli attribuiti ad altri magistrati).
17. – Con la sentenza in questa sede impugnata, la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana della Corte dei conti ha condannato il giudice amministrativo a risarcire un danno erariale da disservizio.
Il predetto magistrato è incorso – secondo l’apprezzamento svolto dalla Corte dei conti a conferma dell’impostazione dell’atto di promovimento della Procura erariale – in gravi e sistematiche inadempienze e, proprio in ragione di ciò, il servizio giustizia reso dal Consiglio di giustizia amministrativa non ha conseguito i migliori standard di efficienza e di efficacia che avrebbero potuto essere altrimenti raggiunti.
La Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti ha evidenziato anche gli “indicatori di performance” della prestazione resa nel periodo considerato, dandosi cura di precisare che il prof. —: “aveva fatto parte dei collegi giudicanti in misura maggiore rispetto agli altri magistrati in servizio nel C.G.A.”; “aveva la migliore percentuale di presenze in tutti i collegi del C.G.A. (giudicanti e consultivi), circostanza che, soprattutto nel periodo in cui il numero dei magistrati laici effettivamente in servizio era diminuito, aveva consentito la celebrazione di tutte le udienze programmate”; “aveva redatto più ordinanze cautelari rispetto agli altri colleghi”; “era in seconda posizione per numero di sentenze pubblicate”; “era in seconda posizione con riferimento alla percentuale di sentenze depositate rispetto al totale di quelle prodotte dal C.G.A.”; “soltanto in relazione ai tempi di deposito delle sentenze era in posizione assai peggiore rispetto agli altri colleghi, che, comunque, anch’essi avevano fatto registrare rilevanti ritardi in proposito”.
La Sezione giurisdizionale d’appello ha quindi determinato il risarcimento del danno, in via equitativa, in un importo pari al 20% delle risorse finanziarie che risultano essere state stanziate ed utilizzate dall’Amministrazione del Consiglio di Stato per retribuire il magistrato nell’arco temporale considerato.
18. – La responsabilità amministrativo-contabile per danno da disservizio è stata, quindi, ipotizzata e riscontrata sussistente in una fattispecie di espletamento, da parte dell’odierno ricorrente, della funzione giurisdizionale con standard qualitativi inferiori a quanto dovuto in relazione al rispetto dei termini per il deposito dei provvedimenti.
Dinanzi alla Corte dei conti non è stata esercitata un’azione di risarcimento del danno erariale frutto di una condotta del magistrato derivante da reato.
Né è stata esercitata un’azione di rivalsa per danni risarciti dallo Stato a terzi per l’irragionevole durata del processo in base alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed alla legge n. 89 del 2001.
L’iniziativa erariale neppure è stata promossa a seguito di una condanna dello Stato al risarcimento dei danni per diniego di giustizia.
La responsabilità amministrativo-contabile è stata ravvisata per un danno che si assume direttamente arrecato in un caso di negligente attività lavorativa del magistrato, il quale, pur avendo una produttività ragguardevole, ha depositato con sistematico ritardo (di circa 200 giorni) le sentenze e i provvedimenti di sua competenza, provocando disservizio all’Amministrazione di appartenenza, che non ha potuto conseguire i migliori standard di efficienza e di efficacia.
19. – In tal modo, la Sezione giurisdizionale d’appello ha esteso il perimetro della responsabilità amministrativo-contabile per danno da disservizio fino a ricomprendervi un’ipotesi di ordinaria violazione del dovere di diligenza del magistrato integrante una figura di illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni, come tale rimessa alla valutazione dell’organo di governo autonomo della magistratura amministrativa; e ha finito, così, con il giudicare di una domanda che fuoriesce dall’ambito della cognizione della Corte dei conti.
La condotta neghittosa per la quale il prof. — è stato convenuto in giudizio non ricade nell’ambito della materia della contabilità pubblica, ma trova la sua esclusiva risposta da parte dell’ordinamento nel sistema disciplinare, deputato ad accertare se i ritardi ascritti all’incolpato raggiungano quel livello di censurabilità tale da legittimare l’irrogazione, da parte dell’organo di autogoverno della magistratura amministrativa, di una sanzione disciplinare.
20. – Invero, il danno da disservizio è – come ha messo in luce un’autorevole dottrina – un danno di “chiusura”, che ha il suo tratto unificante nell’espletamento di una attività della pubblica amministrazione in modo inefficiente, con standard qualitativi inferiori al dovuto e conseguente non pieno soddisfacimento dell’utenza. L’alterazione delle tempistiche procedimentali può essere una delle cause del disservizio: i tempi della pubblica amministrazione sono un bene della vita.
La valutazione di condotte del magistrato, ordinario o amministrativo, in violazione del dovere di diligenza e di laboriosità è devoluta all’organo di governo autonomo, secondo quanto prescrivono la Costituzione e le norme sull’ordinamento giudiziario.
Il mancato rispetto, da parte del magistrato, dei tempi processuali rinviene la sua reazione nella sanzione disciplinare, la quale, anche per la particolare iniziativa nel promovimento, evoca una responsabilità verso l’intero ordinamento: una responsabilità mediante la quale si tu-tela il principio di buon andamento, riferibile pure agli organi dell’amministrazione della giustizia, e trovano un presidio i valori che si compendiano nel giusto processo, caratteristica essenziale della funzione giurisdizionale.
La responsabilità disciplinare del magistrato è tale, per sua natura, da assorbire, là dove l’inefficienza del servizio giustizia dipenda dal mero ritardo nel deposito, le ragioni che stanno alla base della elaborazione giurisprudenziale giuscontabile del danno da disservizio.
Non ci può essere spazio, allora, per la perseguibilità, dinanzi al giudice contabile, di una responsabilità per danno diretto erariale da disservizio derivante dalla inosservanza, quantunque reiterata, grave e ingiustificata, dei termini di deposito dei provvedimenti giurisdizionali. Il rispetto dei canoni costituzionali cui deve improntarsi l’agire funzionale del giudice è assicurato dalla predisposizione, e dal concreto funzionamento, di un apparato disciplinare affidato a un organo che, per la composizione elettiva e per la presenza anche di membri laici, non costituisce un’entità separata, ma esprime il collegamento della magistratura con il complessivo ordinamento costituzionale dello Stato.
21. – Le funzioni della Corte dei conti, pur se tra loro differenti, sono coerenti con l’alta funzione di organo posto al servizio dello Stato comunità, quale garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche, anche sotto il profilo del buon andamento, e degli equilibri di bilancio. Il concetto di risorse collettive è alla base della capacità espansiva dell’ambito cognitivo della Corte dei conti in tema di responsabilità: un ampliamento che si giustifica in considerazione dell’evoluzione della nozione di pubblica amministrazione e della trasformazione del danno erariale, che comprende non solo il deterioramento o la perdita di beni o denaro, ma anche la lesione di uno specifico interesse o di un valore della comunità di cui la pubblica amministrazione si fa portatrice ed interprete in veste di ente esponenziale. Il legislatore asseconda questa tendenza, di volta in volta affidando alla responsabilità amministrativa, con norme di settore, obiettivi di prevenzione speciale e generale dei fenomeni di devianza economico-finanziaria.
22. – In questo contesto, la responsabilità amministrativa per danno erariale da disservizio non può essere in via interpretativa estesa fino a comprendere ipotesi legate al mero ritardo nel deposito dei provvedimenti da parte del magistrato.
Spetta, infatti, alla responsabilità disciplinare affidata all’organo di governo autonomo reagire a condotte violative dei doveri funzionali del magistrato che abbiano determinato, per il mancato rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti, un livello della funzione giurisdizionale qualitativamente non adeguato alle attese dell’utenza. Saremmo, altrimenti, di fronte ad una pluralità di giudizi, o di procedimenti, di responsabilità distinti unicamente sotto il profilo della sanzione e non anche quanto ai relativi presupposti.
In altri termini, la responsabilità disciplinare per il ritardo (reiterato, grave e ingiustificato) attinge all’interesse, in tutte le sue componenti, all’osservanza dei doveri funzionali, laddove la responsabilità erariale per lo stesso fatto in tanto è consentita in quanto la condotta del magistrato si ponga “oltre” la fattispecie di rilievo disciplinare.
23. – Perché si abbia, accanto alla responsabilità disciplinare, responsabilità amministrativa per danno erariale da disservizio, occorre un quid pluris rispetto al mero ritardo: (a) un danno aggiuntivo di carattere patrimoniale, derivante dalla condanna dello Stato al paga-mento dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per irragionevole durata o il risarcimento per diniego di giustizia; oppure (b) il mancato collegamento tra il potere esercitato ed il fine istituzionale che l’ordinamento attribuisce ad esso, configurabile ogniqualvolta il ritardo si traduca in un rifiuto o in una omissione di atti d’ufficio, penalmente rilevante, o sia espressione di un radicale, mancato svolgimento della prestazione lavorativa, con conseguente rottura del rapporto sinallagmatico per ciò che attiene alla retribuzione del magistrato “assenteista dalla funzione”.
24. – È questo, del resto, l’approdo al quale è pervenuta la giurisprudenza della Corte dei conti nel delineare i contorni della responsabilità erariale da disservizio a carico di un magistrato.
24.1. – Con specifico riferimento alla responsabilità per danno era-riale da disservizio provocato da un magistrato ordinario – già dichiarato decaduto dall’appartenenza all’ordine giudiziario, ai sensi dell’art. 11 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 – è emblematica, nella giurisprudenza contabile, la sentenza n. 95/2016 del 10 giugno 2016, della Sezione giurisdizionale Lombardia.
Le condotte dannose non si esaurivano nel mancato rispetto dei termini per il deposito dei provvedimenti da parte del giudice civile, ma riguardavano: l’assenza ingiustificata dal servizio del magistrato; i gravi e sistematici ritardi nel deposito di moltissime sentenze e ordinanze; la caotica gestione dei fascicoli d’ufficio, non restituiti e addirittura persi, o accatastati in ufficio nonostante ripetuti solleciti; l’omessa risposta a plurimi tentativi vani di contatti telefonici; l’omesso recupero del lavoro accumulato, nonostante l’esonero concessogli per circa due mesi dalle udienze e da nuove assegnazioni per agevolarlo nello smaltimento dell’enorme arretrato.
Preme sottolineare la vicenda, di assoluta, e ingiustificata, assenza dal servizio, che ha occasionato la decisione del giudice contabile.
La vicenda dimostra che la responsabilità amministrativa per danno erariale da disservizio non si atteggia quale mera conseguenza di violazioni del dovere di tempestivo deposito.
Occorre una condotta che si traduca in un aliud pro alio, in una profonda e significativa alterazione dei contenuti propri della presta-zione che il magistrato avrebbe dovuto assicurare all’amministrazione. Soltanto nei casi più gravi ed eclatanti è configurabile un’ipotesi anche di responsabilità amministrativa diretta per danno all’erario, capace di radicare la giurisdizione della Corte dei conti: casi nei quali il ritardo sistematico è l’effetto di un sostanziale rifiuto di espletamento dell’attività lavorativa, con una radicale violazione dei doveri che costituiscono il nucleo fondante della funzione giurisdizionale e che sono di-rettamente correlati al perseguimento dei fini di cui all’art. 97 Cost.,
tanto da rendere la stessa percezione della retribuzione fonte, sia pure in parte, di un ingiustificato arricchimento per il magistrato e di un danno diretto per l’erario, che ha remunerato energie lavorative di-stolte dalle normali attribuzioni a fronte di una sostanziale assenza in-giustificata dalla funzione.
24.2 – Significativo nella stessa direzione è anche un altro caso in tema di responsabilità amministrativa di un magistrato per danno da disservizio, venuto all’esame di queste Sezioni Unite.
Esso avvalora la ricostruzione, da parte del diritto vivente del giudice contabile, nel senso della configurabilità del danno da disservizio anche quando il pregiudizio al normale andamento del servizio giustizia deriva da un esercizio illecito e penalmente rilevante della funzione.
La sentenza 11 aprile 2018, n. 22083, delle Sezioni Unite ha esaminato il caso di un magistrato ordinario – nel frattempo rimosso dall’ordine giudiziario con sanzione disciplinare irrogata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura – che era stato condannato dalla Corte dei conti perché, quale giudice delegato, aveva disposto la vendita senza incanto di un immobile acquisito all’attivo fallimentare nell’intento di favorirne l’acquisto da parte di soggetti predeterminati, con sviamento di pubbliche risorse dalle finalità proprie della procedura fallimentare e pregiudizio, oltre che per il ceto creditorio, anche per l’amministrazione, in termini di mancato conseguimento delle utilità normalmente ritraibili da un corretto svolgimento della procedura fallimentare, sia sotto il profilo della mancata utilità collettiva, sia sotto quello del disutile costo del servizio svolto.
Investite di un ricorso per cassazione per eccesso di potere giurisdizionale contro la pronuncia del giudice contabile, le Sezioni Unite, con la citata sentenza, lo hanno dichiarato inammissibile, dopo aver rilevato che era lo stesso ricorrente “a riconoscere che, sulla scorta dei molteplici addebiti che gli erano stati in origine mossi, la Corte dei Conti aveva competenza giurisdizionale a decidere della sua responsabilità contabile e dunque a valutare se dalla commissione di quei fatti fosse derivato un pregiudizio all’amministrazione della giustizia”, e dopo aver sottolineato che il ricorrente non aveva contestato “neppure l’astratta configurabilità del c.d. danno erariale da disservizio”, essendosi doluto soltanto di un error in procedendo del giudice contabile per non avere questi rispettato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
25. – La responsabilità erariale per danno da disservizio non deriva dal ritardo di per sé, neppure quando reiterato, grave e ingiustificato.
Il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni è sanzionato disciplinarmente, e la responsabilità disciplinare serve, da sola, a tutelare il corretto esercizio della funzione e, con essa, il prestigio e il decoro del magistrato e il prestigio dell’istituzione giudiziaria.
Quando il ritardo assume il significato di un comportamento non solo deontologicamente rilevante, ma anche illecito, risolvendosi in un reato o essendo l’effetto di un sostanziale mancato svolgimento della prestazione lavorativa, allora la protratta inerzia consente la configurazione di un danno erariale diretto da violazione del sinallagma lavoro-retribuzione patito dall’Amministrazione.
26. – Conclusivamente, il mero ritardo, da parte di un magistrato amministrativo, nel deposito dei provvedimenti non integra, di per sé, responsabilità amministrativa per danno da disservizio, essendo rimessa la valutazione di tale condotta all’organo disciplinare di governo autonomo, con conseguente difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
27. – Ritenendo configurabile la responsabilità amministrativa del magistrato convenuto, e quindi ammissibile la tutela risarcitoria, al di là dei confini della stessa derivanti dal sistema elaborato dal diritto vivente, la Sezione giurisdizionale d’appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana ha finito con il creare una nuova fattispecie di responsabilità erariale destinata a investire il medesimo interesse tutelato con l’azione disciplinare officiosa, così superando i limiti esterni della giurisdizione spettante alla Corte dei conti in materia di contabilità pubblica.
28. – Il primo motivo di ricorso è, dunque, fondato, nei termini di cui in motivazione, derivandone l’assorbimento dell’esame dei restanti motivi.
Va dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
La sentenza impugnata è cassata senza rinvio.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la qualità di parte soltanto in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti.
P.Q.M.
accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo motivo; dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti; cassa senza rinvio la sentenza impugnata.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 10 gennaio
Allegati:
SS.UU, 25 gennaio 2023, n. 2370, in tema di responsabilità del magistrato
Nota del Dott. Stefano Pugliese
Responsabilità civile e disciplinare del magistrato “ritardatario”
1. Il principio di diritto
Il mero ritardo da parte di un magistrato amministrativo nel deposito dei provvedimenti non integra di per sé responsabilità per danno da disservizio, essendo rimessa la valutazione di tale condotta alla sezione disciplinare dell’autonomo organo di governo, con conseguente difetto di giurisdizione della Corte dei Conti.
2. La fattispecie
La Corte dei Conti ha condannato un ex magistrato “laico”, in servizio presso il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, a risarcire all’Amministrazione del Consiglio di Stato i danni da disservizio provocati dai gravi e reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari di sua pertinenza.
In entrambi i gradi di giudizio è stata respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal magistrato, sulla base del seguente sillogismo: considerato che l’art. 1 del Codice di Giustizia Contabile (D.lgs. 174/2016) affida alla Corte dei Conti la giurisdizione nei giudizi di responsabilità amministrativa per danno erariale e ritenuto che i continui ritardi nel deposito delle sentenze da parte del magistrato configurano un danno erariale sub specie di “danno da disservizio” per l’Amministrazione, ne consegue la competenza giurisdizionale del giudice contabile.
E' stato proposto, quindi, ricorso per cassazione, con richiesta di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice contabile, ai sensi degli artt. 360, c. 1, lett. a), e 362, c. 1, c.p.c.
3. Riflessioni conclusive
La Suprema Corte evidenzia l’erroneità della ratio decidendi della decisione impugnata, sottolineando il vizio nascosto nella premessa minore del sillogismo richiamato.
La figura del “danno da disservizio” non può essere dilatata sino a ricomprendere il mero ritardo nel deposito dei provvedimenti da parte del magistrato.
Tale comportamento, quale violazione del dovere di diligenza del giudice, integra una figura di illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni, la cui giurisdizione spetta all’organo di governo autonomo della magistratura amministrativa.
Affinché il ritardo non esaurisca il proprio rilievo sul piano deontologico e, di conseguenza, accanto alla responsabilità disciplinare possa affiancarsi una responsabilità amministrativa per danno erariale da disservizio, occorre, chiarisce la Cassazione, un qualcosa in più e precisamente:
a) la condanna dello Stato al pagamento dell’equa riparazione per irragionevole durata del processo o il risarcimento per diniego di giustizia;
b) l’assenza di collegamento tra il potere esercitato e il fine istituzionale che l’ordinamento attribuisce ad esso (come nei casi di omissione di atti d’ufficio).
In mancanza di tali ulteriori elementi, si legge in pronuncia, il ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali da parte del magistrato dà luogo unicamente a responsabilità disciplinare, in relazione alla quale è giurisdizionalmente competente l’organo di governo autonomo di riferimento.