SS.UU, 15 marzo 2023, n. 7484, in tema di revocazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ORDINANZA
sul ricorso 178-2022 proposto da:
—, elettivamente domiciliato in ROMA, —, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentato e difeso dall’avvocato —;
– ricorrente –
contro
—, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, —, presso lo studio dell’avvocato —, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati — ed —;
– controricorrente –
per revocazione dell’ordinanza n. 12603/2021 della Corte Suprema di Cassazione, depositata il 12/05/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2022 dal Consigliere —.
Svolgimento del processo
1. La Società — (per brevità, —) – società a totale capitale pubblico, costituita ai sensi del d.lgs. n. 446/1997 e dell’art. 113 bis d.lgs. n. 267/2000 per le attività di gestione delle entrate dei comuni soci della stessa – convenne avanti al Tribunale di Prato l’ex amministratore unico, —, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità ai sensi degli artt. 2392 e 2393 c.c..
2. Il — si costituì in giudizio eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice contabile in quanto la — aveva natura di società in house; nel merito contestò la propria responsabilità chiedendo il rigetto della domanda.
3. Il Tribunale condannò il — al pagamento della somma di 394.230,00 Euro (oltre accessori).
4. La Corte di appello di Firenze, pronunziando sul gravame del —, ridusse la condanna a 393.924,92 Euro.
5. Con ordinanza n. 12603/2021 le Sezioni Unite della S.C. respinsero il ricorso con il quale — aveva chiesto la cassazione della sentenza di secondo grado.
6. Avverso tale ordinanza — ha proposto ricorso per revocazione affidato a tre motivi; la — ha
resistito con controricorso.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente in revocazione deduce ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 391 bis c.p.c., l’errore di fatto della ordinanza impugnata per avere ritenuto formato il giudicato (interno) sulla esistenza della giurisdizione del giudice ordinario in conseguenza della mancata impugnazione in sede di gravame del rigetto della eccezione del — da parte del giudice di prime cure; sostiene, infatti, la necessità a tal fine di una esplicita e formale pronunzia di rigetto della eccezione di difetto di giurisdizione, pronunzia nello specifico mancante.
2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 391 bis c.p.c. l’errore di fatto revocatorio in relazione alla statuizione relativa al settimo motivo di ricorso per cassazione; prospetta tale errore in relazione alla qualificazione della sentenza n. 41 del 2021 della Corte Costituzionale posta a base del rigetto del settimo motivo del ricorso per cassazione; sostiene infatti che tale sentenza non era annoverabile fra le pronunzie additive come, viceversa, affermato dalla ordinanza revocanda, ma si configurava come pronunzia di incostituzionalità tout court e come tale avente effetto retroattivo; per contro, le sentenze “additive” si connotavano per aggiungere al dettato normativo un contenuto che consentiva di ricondurre la norma ad un ambito di legittimità costituzionale.
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 13 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Denunzia che l’ordinanza impugnata, sia in relazione al primo motivo di ricorso che in relazione al settimo motivo, in quanto “decisione a sorpresa”, aveva violato l’art. 13 CEDU e l’art. 47 CDFUE; analoga violazione era stata consumata con riferimento alla sottrazione del giudice naturale precostituito per legge (primo motivo di ricorso per cassazione) e alla lesione all’imparzialità dello stesso (settimo motivo del ricorso per cassazione).
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c.; l’errore revocatorio presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio sul piano logico giuridico, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (si v., tra le altre, Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 8180 del 2009; Cass. n. 14267 del 2007; Cass. n. 4015 del 2006; Cass. n. 3652 del 2006).
4.2. Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione si è affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale; esula, viceversa, dall’errore revocatorio l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati, con la conseguenza che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione (cfr., fra le altre, Cass. n. 1040 del 2022; Cass. n. 442 del 2018; Cass. 16136 del 2009; Cass. n. 3365 del 2009; SS.UU, 26022 del 2008).
4.3. In applicazione dei richiamati parametri deve escludersi in relazione a tutti e tre i motivi di ricorso la sussistenza del denunziato errore revocatorio.
5. In relazione al primo motivo del ricorso per revocazione, occorre premettere che con il primo motivo di ricorso per cassazione il — aveva dedotto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice contabile; la ordinanza impugnata per revocazione ha ritenuto tale motivo inammissibile per essere precluso l’esame nel merito della giurisdizione in conseguenza del giudicato interno formatosi su tale questione a seguito della mancata impugnazione sul punto della decisione di primo grado che aveva respinto la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in prime cure dal —; secondo la ordinanza revocanda dall’esame diretto dell’atto di appello non emergeva, infatti, la formulazione di uno specifico motivo di impugnazione avente ad oggetto la giurisdizione.
5.1. Tale ricostruzione della vicenda processuale non è validamente censurata dall’odierno ricorrente il quale si limita ad affermare, in termini assertivi, che il giudice di primo grado non si era pronunziato sulla giurisdizione, precisando che al fine della formazione del giudicato interno occorreva una pronunzia esplicita e formale non essendo sufficiente una pronunzia implicita.
5.2. Dalla medesima prospettazione del ricorrente emerge, quindi, la inconfigurabilità dell’errore revocatorio posto che la “svista” in tesi ascritta al giudice di legittimità non investe la percezione del “fatto processuale”, rappresentato dall’affermazione della propria giurisdizione da parte del giudice di primo grado e dal difetto di impugnazione della stessa da parte del —, bensì una valutazione in diritto, frutto di apprezzamento delle risultanze processuali, valutazione confluita nell’affermazione della formazione del giudicato interno sulla questione di giurisdizione, affermazione peraltro coerente con la giurisprudenza di legittimità che riconosce la formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione in presenza di una pronunzia nel merito del giudice adito alla quale le parti abbiano prestato acquiescenza (si v., tra le altre, SS.UU, 28503 del 2017; Cass. n. 19498 del 2017; SS.UU, 9693 del 2013; Cass. n. 19792 del 2011; SS.UU, 2067 del 2011).
6. Il secondo motivo di ricorso per revocazione, che investe la statuizione sul settimo motivo del ricorso per cassazione proposto dal —, è inammissibile.
6.1. Con il settimo motivo del ricorso per cassazione il — aveva denunziato violazione e/o falsa applicazione degli artt. 158 e 161 c.p.c. e degli artt. 3, 25, 106, comma 2, e 108 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo nullità della sentenza di appello per la presenza nel collegio giudicante di un giudice ausiliario con funzioni di relatore ed estensore, in particolare evidenziando l’assenza di imparzialità rispetto agli altri componenti del Collegio.
6.2. Il motivo è stato ritenuto infondato dalla ordinanza impugnata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 41/2021 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che hanno istituito e disciplinato l’impiego della figura del giudice ausiliario “nella parte in cui non prevedono che () si applichino fino a quando sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del D.Lgs. n. 116 del 2017”.
Il giudice di legittimità, premesso che tale pronuncia aveva operato una reductio ad legitimitatem “secondo la tecnica della pronuncia additiva (inserendo nella normativa censurata un termine finale entro e non oltre il quale il legislatore è chiamato ad intervenire, individuato nel 31.10. 2025)”, ha ritenuto che tanto comportava il riconoscimento della legittimità – medio tempore – dell’impiego dei giudici ausiliari d’appello, con conseguente esclusione della configurabilità del denunciato vizio di costituzione del collegio che aveva reso la decisione di secondo grado.
6.3. Alla luce di tale premessa deve escludersi la sussistenza dell’errore revocatorio per come in concreto denunziato; questo non concerne, infatti, la supposta esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulta positivamente accertato, bensì l’interpretazione e quindi la ricostruzione del contenuto e della portata della sentenza della Corte costituzionale n. 41/2021 ed in definitiva la ricognizione della concreta disciplina applicabile alla fattispecie, configurandosi quale denunzia di un tipico un error iuris, del tutto estraneo all’ambito dell’errore percettivo.
7. Il terzo motivo di ricorso è in radice inammissibile in quanto con esso parte ricorrente non prospetta, neppure formalmente, l’errore percettivo del giudice di legittimità, ma, denunziando violazione dell’art. 13 della Carta Europea dei diritti dell’Uomo e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, allega una tipica violazione di diritto, che è estranea al perimetro dell’errore revocatorio.
7.1. In questa prospettiva priva di pregio si rivela la deduzione formulata dal — nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c., intesa a sollecitare l’interpretazione nomofilattica da parte delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione dell’art. 391 bis c.p.c. nel senso di intendere l’espressione “errore di fatto” come riferita a “qualsiasi errore”, unica interpretazione – si assume – che consente di non violare l’art. 13 CEDU.
In continuità con la giurisprudenza di questa Corte occorre, infatti, ribadire che l’estensione delle ipotesi di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione può essere operata solo dal legislatore, nell’ambito delle valutazioni discrezionali di sua competenza, alle quali non rimane estranea l’esigenza, costituzionalizzata nell’art. 111 Cost., di evitare che i giudizi si protraggano all’infinito, così da non risultare irrazionale la scelta legislativa di limitare all’appello e al ricorso per cassazione l’esame del vizio suddetto e di riservare, quindi, alla revocazione la specifica funzione di consentire la correzione dell’errore di percezione (cfr., Cass. n. 6845 del 2022; SS.UU, 8984 del 2018; Cass. n. 13181 del 2013; Cass. n. 18897 del 2011; Cass. n. 862 del 2018).
In merito poi alla dedotta violazione della norma convenzionale è condivisibile l’affermazione del giudice di cassazione che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 395, 391 bis e 391 ter c.p.c. in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 24, 101 e 111 Cost. ed in relazione all’art. 6 della CEDU, nella parte in cui non ammettono la revocazione delle sentenze di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori di diritto o di fatto, diversi dalla mera svista su questioni non oggetto della precedente controversia, rispondendo la non ulteriore impugnabilità all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme costituzionali e convenzionali, di conseguire il giudicato all’esito di un sistema strutturato anche su differenti impugnazioni, con l’immutabilità e definitività della pronuncia che tutela i diritti delle parti (Cass. n. 8472 del 2016).
Le considerazioni che precedono orientano anche in relazione alla questione specificamente posta in memoria relativa alla compatibilità dell’attuale formulazione dell’art. 391 bis c.p.c. con l’art. 13 della Cedu atteso che il principio di effettività della tutela giurisdizionale non risulta obiettivamente vulnerato dalla preclusione alla possibilità, dopo tre gradi di giudizio, di far valere il possibile errore di diritto del giudice di legittimità, proprio in ragione della esigenza, intrinseca al sistema, della definitività delle decisioni.
8. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
9. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza nella misura di cui al dispositivo, non corrispondente a quella di cui alla nota spese depositata dalla parte controricorrente, non ravvisandosi alcuna “particolare importanza”, sotto il profilo del numero e della complessità delle questioni trattate, tale da giustificare l’accoglimento del maggiore importo richiesto.
10. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 10.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2023.
Allegati:
SS.UU, 15 marzo 2023, n. 7484, in tema di revocazione
Nota del Dott. Stefano Pugliese
L’errore di fatto revocatorio
1. Il principio di diritto
L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato; consiste, pertanto, in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice.
L’errore deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi di errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c..
2. La fattispecie
Una società ha proposto ricorso per revocazione avverso un’ordinanza delle Sezioni Unite a sé sfavorevole, deducendone l’errore di fatto:
- per avere ritenuto formato il giudicato interno sull’esistenza della giurisdizione del giudice ordinario;
- per aver qualificato erroneamente una sentenza della Corte Costituzionale posta a fondamento del rigetto di un motivo di ricorso;
- per aver violato l’art. 13 della CEDU e l’art. 47 della CDFUE.
La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, escludendo la denuncia, con i motivi proposti, di un autentico errore revocatorio.
3. Riflessioni conclusive
Stabilire se il giudice abbia correttamente applicato le regole sul giudicato, ovvero adeguatamente ricostruito il contenuto e la portata di una sentenza della Corte Costituzionale, o ancora applicato correttamente principi di matrice internazionale o sovranazionale, costituisce, al più, un’attività diretta all’individuazione di errori di diritto, non di errori di fatto revocatori.
La Suprema Corte conferma così la propria giurisprudenza restrittiva sul tema, sì da evitare che il procedimento di revocazione si trasformi surrettiziamente in un quarto grado di giudizio con cui censurare meri errores in iudicando.