Civile Ord. Sez. U Num. 10249 Anno 2021
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 19/04/2021
ORDINANZA
sul ricorso 15590-2020 proposto da:
FARAON LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COMANO 95, presso il proprio studio, difeso personalmente ex art. 86 c.p.c., nonché rappresentato e difeso unitamente dall’avvocato DANILO DINOI;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7530/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 25/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.L’avvocato Luciano Faraon ha proposto ricorso articolato in nove motivi per la “revocazione/correzione” della sentenza 25 marzo 2020, n. 7530/2020 delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione. Il ricorso è stato notificato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia, il quale ultimo non ha svolto attività difensive.
2. Su proposta del relatore, ai sensi degli artt. 391-bis, comma 4, e 380-bis, commi 1 e 2, c.p.c., che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
2.1. Il ricorrente ha depositato memoria in data 6 aprile 2021.
Sono inammissibili i documenti nuovi allegati alla memoria e concernenti l’assunta fondatezza delle censure.
3.Con sentenza n. 38/2019 del 13 maggio 2019, il Consiglio Nazionale Forense confermò la decisione adottata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, infliggendo all’avvocato Luciano Faraon la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi sei per avere ricevuto nel proprio studio il minore diciassettenne Gabriele Papaccio unitamente alla madre, dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale con decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia dell’11 giugno 2017, ed aver comunicato direttamente al padre del ragazzo la volontà di trasferirsi presso la residenza della madre, senza prendere preventivamente contatto con l’avvocato Carponi Schiffar che assisteva Guido Papaccio, affidatario esclusivo del minore. Nella decisione resa dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia si reputò incontroverso che l’avvocato Faraon avesse ricevuto il minore conferendo con lo stesso senza informarne e raccogliere il consenso del genitore affidatario, neppure rilevando la dedotta mancata conoscenza del nome del difensore di tale genitore. Sull’impugnazione dell’avvocato Faraon, il Consiglio Nazionale Forense affermò la sussistenza della grave violazione del dovere di correttezza professionale nella condotta dello stesso avvocato (ex art. 6 del C.D.F. previgente), negò la rilevanza e la pertinenza dell’asserita violazione dei principi CEDU relativi al giusto processo, come della censura inerente alla capacità di autodeterminazione del minore, e reputò correttamente applicata la sanzione della sospensione, attesa la gravità della la condotta e tenuto anche conto dei precedenti penali dell’avvocato.
4. Avverso la sentenza n. 38/2019 del Consiglio Nazionale Forense, l’avvocato Faraon propose ricorso per cassazione, che venne rigettato con la sentenza n. 7530/2020 così argomentando:
(…) 4. Nel primo motivo viene rilevato il travisamento dei fatti e l’eccesso di potere in relazione alla circostanza di fatto, alla quale non è stato dato il dovuto rilievo, relativa all’omessa conoscenza da parte del ricorrente sia del nome dell’avv. Carponi Schittar e della sua funzione di legale di Guido Papaccio, sia dell’intervenuta decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre del minore. Secondo il ricorrente entrambe le circostanze sono emerse in modo inequivocabile dall’istruzione svolta. 4.1. La censura non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, incentrata sulla grave violazione deontologica conseguente all’ascolto del minore senza il previo interpello del genitore affidatario, risultando incontestatamente accertata (e non oggetto di censura) la circostanza della conoscenza da parte del ricorrente di tale elemento fattuale diverso dalla decadenza della responsabilità genitoriale (peraltro ritenuta dal C.N.F. accertata con valutazione di merito insindacabile in quanto adeguatamente motivata) e dalla conoscenza del nome del legale dell’affidatario.
5. Nel secondo motivo viene dedotta l’ingiustizia manifesta del provvedimento impugnato, dal momento che l’istruzione probatoria svolta davanti al C.O.A ha fatto emergere le violenze che hanno subito i figli di Guido Papaccio a causa del padre, come da documentazione allegata. Tale situazione eccezionale giustifica la difesa del minore da parte dell’avvocato avvalorata anche dalla volontà dei fratelli maggiorenni di tutelare il fratello minore, ed anche di mutare il regime di affidamento.
5.1 La censura è inammissibile perché inconferente rispetto all’addebito contestato e perché avente ad oggetto la prospettazione di una situazione di fatto alternativa e diversa da quella insindacabilmente posta a fondamento della decisione impugnata, anche sulla base di giudicati penali.
6. Nel terzo motivo viene dedotto il difetto d’istruttoria per aver il Collegio tratto l’incolpazione e la successiva condanna da una denuncia priva di procura speciale e non confermata dalla audizione dei denuncianti i quali non sono stati posti a confronto, con ingiustificata compressione dell’istruttoria, con i fratelli Capaccio. L’ audizione di questi ultimi era indispensabile nel giudizio, nonché di altri testi.
6.1. La censura, per la parte relativa alla validità dell’avvio del procedimento mediante denuncia invalida, è manifestamente infondata per le ragioni del tutto condivisibili esposte nel provvedimento impugnato, avendo il C.O.A. il dovere di procedere d’ufficio quando venga a conoscenza di notizia di rilievo deontologico, del tutto idoneamente rappresentata dall’esposto di un privato.
6.2. In relazione al difetto di approfondimento istruttorio invece la censura non supera il vaglio di ammissibilità, sia perché strettamente attinente al merito dell’accertamento insindacabile dei fatti svolto nel merito, sia perché non viene esplicitata la ragione del rilievo dell’omessa istruttoria rispetto all’addebito, come già rilevato, consistente nell’ascolto del minore, privo delle garanzie dovute ed, in particolare, senza la preventiva informazione dell’affidatario.
7. Nel quarto motivo viene dedotta la violazione del principio di proporzionalità nell’irrogazione della sanzione. L’attività del ricorrente si è limitata al ruolo del nuncius di una determinazione di volontà del figlio, quasi maggiorenne, al padre. La sanzione è del tutto sproporzionata, anche in relazione all’età dello stesso.
7.1. La censura è inammissibile in quanto attiene al merito della valutazione della condotta ai fini della sanzione (S. U. 1609 del 2020). Nel provvedimento impugnato c’è ampia giustificazione della gravità della condotta e della proporzionalità della sanzione, in relazione sia alla gravità dei fatti oggetto dell’audizione del minore senza la preventiva informazione del genitore affidatario, sia in relazione ad illeciti pregressi, così da escludere carenze motivazionali.
8. Nel quinto motivo viene censurata l’illogicità della motivazione derivante dal fatto che la decisione si rivelerebbe in contrasto con la incolpazione, che ha ad esclusivo oggetto l’omessa comunicazione al legale del padre della decisione di procedere all’ascolto del minore facendo riferimento a parametri normativi diversi da quelli effettivamente applicati nell’accertamento della responsabilità disciplinare.
8.1. La censura è manifestamente infondata dal momento che le S. U. hanno affermato, in tema di obbligo di specificità della contestazione nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati (S. U. 8313 del 2019), che “le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa all’interno del procedimento disciplinare che venga intrapreso a carico di un iscritto al relativo albo forense è necessario che all’incolpato venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica (…)”. Alla luce dell’attenuazione dell’obbligo di specificità della contestazione sopra evidenziata può escludersi che vi sia stato il contrasto tra contestazione ed accertamento della responsabilità disciplinare invocato nella censura e, peraltro non correttamente, riferito ad un vizio di motivazione. Il filo conduttore della condotta addebitata al ricorrente è l’inosservanza delle cautele previste dalle Convenzioni internazionali e dalle nostre norme interne in tema di ascolto del minore, specie se il contenuto dell’audizione può avere ad oggetto dichiarazioni lesive della posizione giuridica dei genitori esercenti la responsabilità e del loro diritto di difesa. L’identificazione del soggetto da informare preventivamente non incide sul contenuto lesivo della condotta contestata, dal momento che l’omessa informazione del genitore affidatario determina anche una diretta lesione del diritto di difesa. Ha, pertanto, natura secondaria la non coincidenza del soggetto indicato nella contestazione come destinatario dell’obbligo di avviso di interpello, quando si tratti del difensore del titolare del diritto ad essere interpellato. Deve aggiungersi, infine, che la censura d’illogicità non viene sviluppata sotto il profilo di non perfetta aderenza tra contestazione ed accertamento della responsabilità ma in relazione agli astratti canoni deontologici violati, da ritenersi, oltre che non pertinenti rispetto all’incolpazione, anche irrilevanti alla luce dell’orientamento sopra illustrato. La contestazione e il successivo accertamento della responsabilità disciplinare rientrano, come esattamente evidenziato dal C.N.F., nell’ambito del contenuto precettivo dell’art. 6 previgente da integrarsi con la fattispecie atipica avente ad oggetto la violazione delle regole deontologiche relative all’ascolto del minore.
9. Nel sesto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. per avere il Consiglio nazionale Forense fondato il proprio giudizio soltanto sulle ragioni del denunciante. L’istruttoria è risultata sbilanciata. I ragazzi sono stati vittime di abusi ed il ricorrente voleva aiutarli. Le prove documentali (dichiarazioni dei figli maggiorenni e di tecnici) e quelle orali attestanti i predetti abusi sono state ignorate. E’ mancato un giusto processo.
9.1. La censura è radicalmente inammissibile in relazione all’accertamento compiuto nel presente giudizio, correttamente limitato alla violazione degli obblighi deontologici in tema di ascolto del minore ed in alcun modo ampliabile come illegittimamente richiesto dal ricorrente. (…).
5. Il ricorso dell’avvocato Luciano Faraon contiene dapprima quattro motivi che si inseriscono nel paragrafo A intitolato “la sentenza è viziata per violazione di legge”.
Il motivo 1) a pagina 18 di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 395, n. 1, c.p.c., allegando il dolo imputabile al denunciante Guido Papaccio quanto all’asserito titolo di genitore affidatario del minore. Ciò avrebbe inficiato la decisione del COA di Venezia e cagionato “l’errore in judicandum” da parte prima del CNF e poi della Corte di cassazione.
Il motivo 2) a pagina 19 di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 395, n. 4, c.p.c., in quanto “la sentenza” fonderebbe su tre presupposti errati (l’aver ricevuto il minore nello studio legale senza il consenso del padre, genitore affidatario; non essere ricorso al giudice competente per disporre sull’affido del minore; aver agito a tutela dei figli di Guido Papaccio nonostante quest’ultimo fosse stato assolto dalle accuse di violenze perpetrare in danno dei minori).
Il motivo 3) a pagina 21 di ricorso censura la violazione dell’art. 245 c.p.c. e dell’art. 6 CEDU, avendo il COA abusato del proprio potere disciplinare e così impedito l’audizione dei testimoni indicati a sostegno delle accuse.
Il motivo 4) a pagina 23 di ricorso deduce la illegittimità per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Si espongono le erroneità e le ingiustizie a base della inflitta condanna disciplinare.
Il ricorso dell’avvocato Luciano Faraon prosegue con cinque motivi che si inseriscono nel paragrafo B intitolato “la sentenza impugnata è viziata da eccesso di potere”.
Il motivo 1) del paragrafo B, a pagina 25 di ricorso, denuncia la mancanza del presupposto, il travisamento dei fatti e lo sviamento di potere nella ricostruzione effettuata dal C.O.A. di Venezia e confermata dal C.N.F., giacché radicata sulle dichiarazioni dell’avvocato Carponi Shittar e del suo assistito Guido Papaccio.
Il motivo 2) del paragrafo B, a pagina 27 di ricorso, denuncia la “ingiustizia manifesta” e torna sulla infondatezza della condanna disciplinare subita.
Il motivo 3) del paragrafo B, a pagina 28 di ricorso, denuncia il “difetto di istruttoria”.
Il motivo 4) del paragrafo B, a pagina 29 di ricorso, deduce la “violazione del principio di proporzionalità” fra violazione contestata e sanzione inflitta.
Il motivo 5) del paragrafo B, a pagina 30 di ricorso, denuncia la “illogicità della motivazione”.
6. I motivi di ricorso sono palesemente estranei al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.
Per consolidata interpretazione, invero, in materia di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. postula un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione. Deve, dunque, trattarsi di un errore meramente percettivo, tale da aver indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo. L’errore di fatto che può legittimare la revocazione di una decisione della Corte di cassazione deve, quindi, pur sempre riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione medesima (Cass. Sez. U, 27/11/2019, n. 31032; Cass. Sez. U, 28/05/2013, n. 13181).
Non sono perciò neppure astrattamente idonee ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 391-bis e 395, numero 4), c.p.c., le deduzioni, che il ricorrente porta nei suoi nove motivi avverso la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione che ha pronunciato sul ricorso proposto dall’interessato contro la decisione del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare ai sensi dell’art. 36, legge 31 dicembre 2012, n. 247, attinenti, nella specie, al dolo del denunciante, ad errori di giudizio o di fatto, a violazioni processuali, a travisamenti delle vicende, a falsità delle prove, a carenze istruttorie o illogicità di motivazione, al tipo o all’entità della sanzione, vizi con cui il ricorrente mira a reintrodurre il “thema decidendum” originario del precedente giudizio di legittimità, giacché tutti riferibili già alla pronuncia del Consiglio nazionale forense e dunque da far valere immediatamente soltanto con i rimedi proponibili contro la medesima decisione di merito.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, ciò assorbendo anche l’istanza di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. avanzata dal ricorrente. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di revocazione, in quanto l’intimato Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia non ha svolto attività difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni
Allegati:
SS.UU, 19 aprile 2021, n. 10249, in tema di revocazione
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Le Sezioni Unite intervengono sull’errore di fatto revocatorio
1. La giurisprudenza costante
In materia di revocazione delle decisioni della Corte Suprema di Cassazione, l'errore di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. postula un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
Deve, dunque, trattarsi di un errore meramente percettivo, tale da aver indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (o esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (o escluso) nella realtà del processo.
L'errore di fatto che può legittimare la revocazione di una decisione della Corte Suprema di Cassazione deve, quindi, pur sempre riguardare gli atti "interni" al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione stessa (cfr., SS.UU, 2 novembre 2019, n. 31032; 28 maggio 2013, n. 13181).
2. Conseguenze operative
Non sono (neppure astrattamente) idonee ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 391 bis e 395, n. 4, c.p.c., le deduzioni attinenti a vizi con cui il ricorrente miri a reintrodurre il thema decidendum originario del precedente giudizio di legittimità, giacché riferibili alla pronuncia già impugnata dinanzi la Corte Suprema di Cassazione e dunque da far valere immediatamente soltanto con i rimedi proponibili contro la stessa decisione di merito.