Civile Ord. Sez. U Num. 32687 Anno 2021
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: VINCENTI ENZO
Data pubblicazione: 09/11/2021
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
PIETRO CURZIO – Primo Presidente –
GIACOMO TRAVAGLINO – Presidente di Sezione –
MARIA ACIERNO – Presidente di Sezione –
ALBERTO GIUSTI – Consigliere –
CHIARA GRAZIOSI – Consigliere –
GUIDO MERCOLINO – Consigliere –
CATERINA MAROTTA – Consigliere –
MILENA FALASCHI – Consigliere –
ENZO VINCENTI – Consigliere – Rel. –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso R.g. n. 23070/2020 proposto da:
VITALAIRE ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Vittoria Colonna 39, presso lo studio degli avvocati Claudio TESAURO, Luca R. PERFETTI e Sara LEMBO, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
nonché nei confronti di
SO.RE.SA. S.p.A., FEDERFARMA CAMPANIA (Unione Regionale dei Titolari di Farmacia della Campania);
– intimati –
avverso la sentenza n. 236/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 10/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2021 dal Consigliere ENZO VINCENTI;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Procuratore Generale Aggiunto LUIGI SALVATO, che ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – Vitalaire Italia S.p.A. (di seguito anche solo: Vitalaire) – sul presupposto della peculiarità del modello campano di fornitura dei servizi di ossigenoterapia (OTD) e ventiloterapia domiciliare (VTD), siccome incentrato sull’attività di intermediazione dell’Unione Regionale dei Titolari di Farmacia della Campania (“Federfarma”) con la Regione Campania e le società fornitrici – impugnò il provvedimento n. 26316, adottato, all’esito del procedimento I/792, in data 21 dicembre 2016, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“l’Autorità”), con il quale era stata irrogata, a suo carico, ai sensi dell’art. 101 TFUE, la sanzione amministrativa di euro 927.906, per la costituzione, con altre società (Linde; Eubios; Medicair Sud; Oxy Live; Ossigas; Tergas Vivisol; Magaldi; di seguito, “Home Care Provider” o “HCP”), di un’intesa restrittiva della concorrenza, nell’ambito della partecipazione alle procedure di gare, indette dall’ASL Milano I, dall’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, nonché, nel caso di specie, nella regione Campania, da So.Re.Sa S.p.A. (di seguito anche solo: Soresa) per l’affidamento, tra il 2012 e il 2014, del servizio, segnatamente, di OTD.
In particolare, con il provvedimento, l’Autorità osservò che l’intesa anticoncorrenziale si era articolata, in forma di pratica concordata, nelle seguenti fasi: a) decisione di mancata adesione alla convenzione stipulata, per l’anno 2013, tra Federfarma e la Regione per l’affidamento, in favore degli HCP, del servizio di OTD (“Prima Fase”); b) mancata adesione all’accordo quadro del 2014 siccome prevedeva condizioni economiche meno vantaggiose di quelle previste negli accordi per le regioni Puglia e Calabria (“Seconda Fase”); c) spartizione dei lotti relativi alla gara, poi, indetta, nel 2014, da Soresa (“Terza Fase”); d) così attuata, essa intesa era volta a mantenere artificiosamente alto il prezzo dei servizi, ad impedire l’apertura di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento, nonché ad ostacolare il confronto concorrenziale in occasione della gara poi indetta, nel 2014, da Soresa.
2. – Con sentenza n. 4475 resa pubblica il 24 aprile 2018, l’adito TAR del Lazio, in accoglimento parziale del ricorso, ritenne fondato l’accertamento dell’Autorità in merito alla “Terza Fase” della concertazione e dispose la rideterminazione, nella misura percentuale ridotta del 15%, della sanzione amministrativa inflitta.
Il primo giudice, a sostegno della decisione, rilevò che: a) quanto alle prime due “Fasi” dell’intesa: “l’analisi del mercato di riferimento operata dall’Autorità, in relazione al periodo in cui il servizio era intermediato dalle farmacie, risulta(va) carente, perché non (aveva) ricostruito adeguatamente il concreto atteggiarsi della diversa forza contrattuale dei soggetti operanti nel settore”; “particolarmente significativo (era) l’omesso approfondimento sulla effettiva capacità di Federfarma di ‘ingessare’ il mercato ed ostacolare una diminuzione complessiva dei prezzi del servizio”; “gli stralci documentali richiamati nel Provvedimento non consenti(vano) di individuare una volontà comune alle parti di ‘boicottare’ l’accordo quadro per ritardare i tempi di indizione della gara pubblica”; b) quanto alla “Terza Fase”: sussistevano “numerosi elementi di prova esogeni”, sufficienti a dimostrare la concertazione tra imprese al fine di presentare offerte “a incastro” per sterilizzare il confronto competitivo.
3. – Con sentenza n. 236 resa pubblica il 10 gennaio 2020, il Consiglio di Stato, riuniti gli appelli proposti dall’Autorità e da Vitalaire, accoglieva soltanto l’appello proposto dall’Autorità, con conseguente reiezione del ricorso originariamente proposto dalla predetta società.
3.1. – Il giudice di secondo grado osservava, anzitutto, in punto di diritto [richiamando giurisprudenza europea (tra le altre, CGUE: in C-439/09; in C-506/06P) e dello stesso Consiglio di Stato (tra le altre, Cons. Stato: n. 2514/2015, n. 4123/2015, n. 740/2017; n. 4733/2017)], che: a) l’intesa restrittiva realizzatasi in base a “pratica concordata” era da intendersi come “forma di coordinamento tra imprese”, senza giungere fino all’attuazione di “un vero e proprio accordo”, alla luce dei principi in materia di concorrenza, per cui “ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato”; b) pur non essendo escluso “il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti”, è comunque vietato che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali di mercato; c) l’accertamento dell’intesa non richiede una prova documentale, ma qualsiasi congruo mezzo dimostrativo, anche tramite indizi, purché gravi, precisi e concordanti, postulando, comunque, “una valutazione globale delle prove acquisite, al fine di dare evidenza dell’intero assetto dei rapporti intercorrenti tra le imprese”, non potendosi “parcellizzare i singoli elementi probatori secondo una considerazione meramente atomistica degli stessi”; d) sempre sul piano probatorio, ai fini dell’an della responsabilità non occorre indagare il ruolo del singolo aderente all’intesa, potendo rispondere dell’illecito anche il partecipante che, senza assumere una veste attiva, abbia tratto vantaggio dall’intesa e potendo l’esonero da responsabilità derivare solo da esplicita dissociazione.
3.2. – In punto di fatto (e per quanto ancora rileva in questa sede), il Consiglio di Stato, alla luce della documentazione in atti, evidenziava che: a) l’accordo di non adesione alla convenzione con Federfarma, sottoscritto in data 20 dicembre 2012 (tra: Vivisol; Vitalaire; Oxy Live; Medicair Sud; Ossigas; Eubios; Magaldi; Eurossigeno; Linde; GCO; Tergas), e volto ad esprimere indisponibilità all’accettazione di prezzi non remunerativi, risultava, di per sé, “illecito”, “indipendentemente dall’accertare il ruolo svolto nella vicenda da Federfarma, non essendo in nessun caso consentito agli operatori economici coordinarsi fra loro al fine di concertare una comune strategia commerciale finalizzata a conseguire una più elevata remunerazione delle prestazioni rese”; b) “la suddetta associazione di categoria non ha avuto alcun ruolo nella determinazione del prezzo da riconoscere agli HCP, per l’assorbente ragione che non esercitando alcun potere su questi ultimi, non aveva alcuna possibilità di incidere sui prezzi del servizio da costoro erogato; c) “l’intesa fra gli HCP, come emerso dall’indagine dell’Autorità, ha avuto l’effetto di far lievitare il prezzo del servizio a 3,606 euro rispetto ai 3 euro proposti dalla Regione”; d) il boicottaggio dell’accordo quadro del 2014 era provato dai numerosi “contatti” fra le società “volti a concordare la strategia da assumere nei confronti dell’Amministrazione in risposta al nuovo tentativo di quest’ultima di negoziare un prezzo unico omnicomprensivo inferiore a quello previsto nell’accordo della regione Puglia (e Calabria)”, nonché dal fitto scambio di corrispondenza del gennaio 2014, indicativo della sussistenza di una pratica concordata; e) era irrilevante il dato della rimodulazione dei prezzi ai fini della stipula dell’accordo quadro in conformità alla nota commissariale del 7 febbraio 2014, poiché essa era successiva all’avvenuto boicottaggio della procedura, indetta per il 29 gennaio 2014; f) la razionalità della condotta della società non era suscettibile di esser valutata alla stregua dei criteri informanti la verifica di liceità del comportamento di altre sei imprese del settore non sanzionate; g) non era dirimente l’argomento della non comparabilità delle procedure (accordo quadro e procedura aperta), poiché era provato che gli HCP avevano “mantenuto negli anni una presenza sostanzialmente stabile nelle rispettive aree di attività”; h) l’Autorità, con riferimento precipuo alla “Terza Fase” dell’intesa [e, quindi, all’appello proposto da Vitalaire], non era tenuta a svolgere “ulteriori accertamenti volti a verificare se l’intesa avesse in concreto prodotto effetti anticoncorrenziali sul mercato, una volta stabilito il suo oggetto anti-competitivo”, e, come evidenziato dal primo giudice, “le spiegazioni economiche alternative fornite dalle imprese interessate non (parevano) generalmente attendibili, o comunque, complessivamente idonee a superare le ragioni validamente poste da AGCM a fondamento dell’ordito motivazionale dell’atto impugnato”, in forza della documentazione acquisita (e, in particolare, di due documenti “che dimostrano incontrovertibilmente l’intento collusivo”: uno rinvenuto presso la società OXY; l’altro, comprovante la sussistenza del “bid rigging” tra le imprese).
4. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Vitalaire Italia S.p.A., con ricorso affidato ad unico motivo, illustrato da memoria con allegata documentazione.
Ha resistito con controricorso l’Autorità, illustrato da memoria [con nota del 24 settembre 2021 la ricorrente deduce che la memoria riguarda altro giudizio tra le stesse parti e che non se ne dovrebbe tenere conto].
Il Procuratore generale ha depositato le proprie conclusioni scritte, con le quali chiede l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con unico motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta, la “violazione dei limiti di giurisdizione per violazione degli artt. 7 del d.lgs. 3/2017, 6 CEDU e del principio di full jurisdiction”, sul rilievo del mancato esercizio, da parte del Consiglio di Stato, di “un sindacato di piena giurisdizione” sul provvedimento, che, concretandosi in omissioni di verifica dei fatti contestati, risulta idoneo ad inficiare “l’intero impianto motivazione della sentenza”, afferendo, le assunte omissioni, tutte, “alla plausibilità delle soluzioni alternative proposte dalla ricorrente, e quindi, allo standard probatorio che deve essere assolto dall’AGCM”.
1.1. – A tal riguardo, Vitalaire richiama, in premessa, la nozione “elastica” di giurisdizione, secondo cui il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione va inteso come sindacato “sulla effettività della tutela giurisdizionale” e osserva – con ampie argomentazioni – che la cognizione del giudice amministrativo insiste, in materia antitrust, su un illecito sostanzialmente penale ai sensi della giurisprudenza CEDU, necessitando di una verifica di c.d. “full jurisdiction”, ossia piena e diretta sui fatti (un “controllo intrinseco” e non “estrinseco”), la quale soltanto potrebbe soddisfare il “principio del rimedio effettivo” e, quindi, non dare luogo ad un diniego di giurisdizione.
1.2. – Parte ricorrente lamenta, dunque, che il secondo giudice avrebbe omesso di “esaminare determinati fatti storici contenuti nel fascicolo istruttorio”, limitandosi “a richiamare apoditticamente (senza verificarle e senza condurre un’adeguata istruttoria a riguardo) circostanze già contenute nel Provvedimento”, ossia: a) “evidenze da cui possa desumersi, anche in via indiziaria, l’esistenza di contatti qualificati tra Vitalaire e i suoi concorrenti”; b) prova alcuna della “irrazionalità delle condotte contestate”; c) nonché prova della implausibilità di spiegazione alternative alla concertazione.
In particolare, il Consiglio di Stato avrebbe omesso di: a) valutare, in concreto, il ruolo determinante svolto da Federfarma nella determinazione del prezzo per il servizio di fornitura di ossigenoterapia; b) accertare se l’Accordo Quadro prevedesse condizioni economiche peggiori di quelle previste negli accordi per le regioni Puglia e Calabria; c) tenere in considerazione il ruolo svolto da talune imprese, le quali – pur nell’ambito della partecipazione alla pretesa Seconda fase dell’intesa – non erano state sanzionate; d) se, in relazione alla gara indetta da Soresa, la presentazione delle offerte fosse avvenuta in relazione ai lotti considerati più remunerativi “sulla base di una strategia di gara incompatibile con l’ipotesi collusiva”.
1.3. – Con la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., la parte ricorrente ha chiesto, in subordine, che venga disposto rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, alla Corte di giustizia dell’Unione europea sul seguente quesito: «se il principio di effettività della tutela giurisdizionale per il giudice del ricorso in merito alle decisioni definitive sull’applicazione dell’art. 101 TFUE, desumibile anche dagli artt. 6 CEDU, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 6 del Regolamento 1/2003 e dall’art. 9 della direttiva 2014/104/UE, osti ad un sistema processuale dello Stato membro che consenta al giudice del ricorso di effettuare una analisi non completa dei fatti di causa e di non riscontrare e/o non esaminare circostanze di fatto che rilevano rispetto alla motivazione dell’autorità nazionale di concorrenza e sono decisive ai fini dell’accertamento di contatti qualificati e/o di spiegazioni plausibili alternative alla collusione nell’ambito di una pratica concordata ai sensi dell’art. 101 TFUE».
2. – Il ricorso è inammissibile in tutta la sua articolazione.
2.1. – Alla luce del più recente e ormai consolidato orientamento di queste Sezioni Unite, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento; sicché, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte, successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, cfr.: Cass., S.U., n. 7926/2019, Cass., S.U., n. 8311/2019, Cass., S.U., n. 29082/2019, Cass., S.U., n. 7839/2020, Cass., S.U., n. 19175/2020, Cass., S.U., n. 18259/2021).
A tal riguardo, si è altresì precisato che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma ottavo, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass., S.U., n. 32773/2018; Cass., S.U., 10087/2020; Cass., S.U., n. 19175/2020).
Dunque, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, comma ottavo, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo, anche per contrasto con il diritto dell’Unione europea, operando i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto a questa Corte, “i quali restano invalicabili, quand’anche motivati per implicito, allorché si censuri il concreto esercizio di un potere da parte del giudice amministrativo, non potendo siffatta modalità di esercizio integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale” (Cass., S.U., n. 12586/2019).
Orientamento, questo, che costituisce ormai “diritto vivente”, come tale assunto dalla stessa ordinanza n. 19598 del 18 settembre 2020 con la quale questa Corte ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, alla luce dei principi di effettività ed equivalenza della tutela giurisdizionale interna agli Stati europei, in merito alla compatibilità con il diritto europeo dell’inutilizzabilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato che non abbiano correttamente applicato il diritto dell’Unione europea siccome confliggenti, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea, con la giurisprudenza della Corte di giustizia, o che abbiano omesso immotivatamente di effettuare, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il rinvio pregiudiziale, in assenza delle condizioni in cui il mancato rinvio è consentito (enucleate a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81).
2.1.1. – Dunque, in siffatto contesto si collocano anche i principi che questa Corte ha più volte enunciato in tema di limiti del sindacato del giudice amministrativo a proposito di provvedimenti sanzionatori adottati dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, alla quale spetta il compito, fra gli altri, di accertare e sanzionare le ipotesi di alterazione della libera concorrenza tra imprese, consistenti in intese anticoncorrenziali (art. 2, legge n. 287/1990) e in abusi di posizione dominante (art. 3 della predetta legge), con efficacia vincolante, ai sensi dell’art. 7, comma 1, d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, nei confronti del giudice civile, chiamato a conoscere dell’azione risarcitoria.
In particolare, come già chiarito da queste Sezioni Unite, nonché dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’AGCM comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità, detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini (Cass., S.U., n. 1013/2014; Cass., S.U., n. 30974/2017; Cass., S.U., n. 11929/2019; Cass., S.U., n. 8093/2020).
Si tratta, in ogni caso, di un sindacato, certamente non debole, tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità sia stato correttamente esercitato (Cons. Stato n. 4266/2016; Cons. Stato n. 4616/2015); un sindacato, quindi, di “full jurisdiction”, che, secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU, 27 novembre 2011, Menarini Diagnostic s.r.l. c. Italia e Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia), implica il potere del giudice di sindacare la fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte amministrative (Cons. Stato n. 1596/2015).
2.2. – Nel caso di specie, le doglianze lamentano, per l’appunto, l’assenza di “pienezza” (o “adeguatezza” ed “effettività” di tutela) – sotto il profilo dell’omissione di istruttoria, del mancato accertamento dei fatti di causa, nonché dei relativi elementi prova – del sindacato del giudice amministrativo in ordine all’ascritto illecito anticoncorrenziale, là dove la asserita violazione della normativa nazionale ed europea di riferimento (la quale – ove riferita ai principi applicabili in materia anticoncorrenziale, come sopra rammentati – sarebbe comunque infondata, poiché la sentenza impugnata dà ampiamente e correttamente conto di quali siano le coordinate giuridiche secondo le quali può configurarsi un’intesa restrittiva vietata e di quali siano le modalità di prova dell’intesa stessa: cfr. sintesi al § 3.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia integralmente) assume rilievo meramente incidentale, poiché in concreto solo genericamente lamentata al fine di radicare – strumentalmente – la esperibilità di ricorso per cassazione avverso sentenza del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 111, comma ottavo, Cost.
E difatti, i motivi di ricorso della ricorrente non afferiscono al preteso stravolgimento di principi e prassi applicabili in materia antitrust (che, del resto, come detto, è insussistente), bensì all’asserita lesione del diritto di accesso ad un giudice avente piena giurisdizione e al tipo di controllo esercitato dal giudice amministrativo sui provvedimenti dell’AGCM – connotati da “discrezionalità amministrativa” -, che si postula come affatto inadeguato in punto di attività istruttoria, nonché di valutazioni fattuali.
Sicché, la pretesa violazione o “stravolgimento” delle “norme di riferimento” in materia antitrust, ove riferita, per l’appunto, all’assenza del dovuto sindacato pieno del giudice amministrativo sul provvedimento dell’AGCM, è inconsistente, poiché sottende – risolvendosi in essa – una pura istanza di rivisitazione dell’attività di apprezzamento dei fatti di causa compiuto, all’interno del proprio ambito di competenza di giurisdizione, dal giudice amministrativo, il quale ha effettivamente operato una verifica diretta dei fatti stessi tramite l’esame e la valutazione delle complessive emergenze probatorie, da cui ha desunto esser stata integrata la fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale (cfr., in riferimento a ciascun punto oggetto di critica, la sintesi della sentenza impugnata al § 3.2. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia integralmente).
Le critiche di parte ricorrente non attengono, quindi, all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento del giudice speciale dai limiti esterni di essa, bensì ai limiti interni della medesima funzione siccome concernenti il modo di esercizio del sindacato di legittimità – esercitabile (nonché, nella specie, esercitato) di per sé in modo “pieno” – del giudice amministrativo in ordine ai provvedimenti adottati dall’AGCM.
Il Consiglio di Stato, dunque, non ha travalicato, i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma ha esercitato i compiti che gli sono propri nella specifica materia, là dove, anche se (solo in ipotesi) eventualmente commessi, gli errores in iudicando o in procedendo dedotti dalla Vitalaire, quale che ne sia la gravità, rimangono racchiusi entro i limiti interni dell’anzidetta giurisdizione e del relativo concreto esercizio nell’accertamento e qualificazione dei fatti.
2.3. – L’istanza di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, avanzata con la memoria, è inammissibile.
Come messo in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (segnatamente, Cass., S.U., n. 24107/2020 e ivi i richiami alla giurisprudenza della CGUE), “(a)ttraverso il rinvio pregiudiziale su questione di interpretazione del diritto UE il giudice nazionale … non si spoglia in alcun modo del proprio potere giurisdizionale, ma … lo esercita pieno iure formulando, ove ritenuto necessario ai fini della decisione, la richiesta incidentale alla Corte UE, in esito alla quale avrà il compito di applicare l’interpretazione fornita da quel giudice; (…) in altri termini l’attivazione del rinvio pregiudiziale su questione interpretativa – art. 267, par.1, lett. a) TFUE- e, specularmente, la mancata attivazione, non presuppongono mai la cessione di potere giurisdizionale o comunque il travalicamento della giurisdizione della Corte di giustizia. La funzione interpretativa (del diritto UE) riservata dall’art.267 TFUE alla Corte di Giustizia e la vincolatività che deriva dalla pronunzia adottata dalla stessa Corte non può dunque confondersi con la funzione giurisdizionale riservata al giudice nazionale anche quando è in discussione una controversia per la quale rileva il diritto UE, al cui interno si inserisce il rinvio pregiudiziale: al giudice nazionale appartiene in via esclusiva il potere sia di interpretare il diritto interno (…) rendendolo conforme al diritto UE, salvo i poteri di disapplicazione ove esercitabili; sia di applicare il diritto UE come interpretato dalla Corte di Giustizia nel caso concreto (…), non spettando tale potere alla Corte di Giustizia (…)”.
Dunque, “deve escludersi che l’attivazione del rinvio implichi la devoluzione al giudice dell’Unione europea del potere di decidere la controversia, proprio perché il quesito pregiudiziale non può mai riguardare l’oggetto della controversia, ma unicamente l’interpretazione del diritto UE”.
2.3.1. – E’, quindi, inammissibile l’istanza della Vitalaire di rinvio pregiudiziale, giacché il Consiglio di Stato, con la sentenza impugnata, non ha affatto messo in discussione l’interpretazione del diritto europeo in materia di antitrust, né l’estensione dei poteri cognitivi (la cd. “full jurisdiction”) che in base alla relativa normativa ad esso competono, secondo gli orientamenti ermeneutici della stessa CGUE (e anche della Corte EDU), non solo ad essi espressamente aderendo, ma facendone concreta applicazione.
Ne consegue, dunque, che i quesiti che si intendono porre alla CGUE prescindono dalla funzione che è ad essa Corte rimessa, ossia quella di interprete del diritto dell’Unione, palesandosi invece come istanze che involgono la decisione sull’oggetto della controversia, ossia sul modo in cui il giudice amministrativo di appello ha applicato in concreto quei principi e, quindi, denunciando gli (asseriti) errori dallo stesso giudice commessi nell’esercizio della propria funzione, con ciò, però, ponendosi in un’ottica prospettica che è estranea al perimetro del sindacato riservato a queste Sezioni Unite nell’ambito della verifica dell’eccesso di potere giurisdizionale.
Di qui, peraltro, la carenza di rilevanza della stessa questione pregiudiziale – quale presupposto la cui verifica si impone anche per il rinvio obbligatorio imposto ai giudici di ultima istanza -, poiché nessuna influenza sul presente giudizio, incidentale, ex art. 362 c.p.c. potrebbe avere la decisione interpretativa della Corte di giustizia, che rimarrebbe risposta solo ipotetica, ma senza effetti concreti sulla controversia e, dunque, priva della necessaria incidenza sul thema decidendum. Né, in siffatto contesto e per le ragioni appena illustrate, assume rilievo la già citata ordinanza n. 19598 del 2020 con la quale – come detto – questa Corte ha chiesto alla CGUE di pronunciarsi, alla luce dei principi di effettività ed equivalenza della tutela giurisdizionale interna agli Stati europei, sulla compatibilità con il diritto europeo dell’inutilizzabilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato che non abbiano correttamente applicato il diritto dell’Unione europea siccome confliggenti, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea, con la giurisprudenza della Corte di giustizia, o che abbiano omesso immotivatamente di effettuare, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il rinvio pregiudiziale, in assenza delle condizioni in cui il mancato rinvio è consentito.
Dunque, in ipotesi che, per l’appunto, non ricorrono nel caso di specie.
In altri termini, come evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 26920 del 5 ottobre 2021 (deliberata, però, il 13 luglio 2021) in controversia in buona parte analoga a quella in esame (avente ad oggetto sanzioni irrogate da AGCM ad imprese farmaceutiche per concertazione contraria all’art. 101, par. 1, lett. c, TFUE), “il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo effettuato da S.U. ord. 19598/2020 è privo di pertinenza rispetto al thema decidendum della presente causa nella quale … si censura il Consiglio di stato non per aver denegato la legittimazione alla tutela giurisdizionale delle attuali ricorrenti, bensì per le modalità contenutistiche della giurisdizione che ha per loro esercitato”.
3. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e parte ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo in coerenza con il d.m. n. 55/2014 e successive modificazioni, tenuto conto di due sole fasi (di studio della controversia e introduttiva del giudizio), non potendo dare luogo a compensi professionali la fase decisionale in quanto la memoria depositata da AGCM è inammissibile, giacché non riguarda il presente, bensì altro giudizio (ossia quello avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 7322 del 23 novembre 2020).
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, in favore dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, in complessivi euro 10.000,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di Cassazione, il 28 settembre 2021.
Il Presidente
(Pietro Curzio)
Allegati:
SS.UU, 09 novembre 2021, n. 32687, in tema di ricorso per cassazione
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Non travalica i limiti esterni della giurisdizione il giudice amministrativo che esercita i compiti che gli sono propri
1. Il principio di diritto
Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano oggettivi margini di opinabilità, detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, il giudice non può sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante, ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini.
2. Le motivazioni
Le Sezioni Unite, nel dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha ripristinato la sanzione amministrativa pecuniaria comminata dall’AGCM per una “intesa restrittiva della concorrenza”, ribadiscono come, alla luce del più recente e già consolidato orientamento giurisprudenziale (quale ormai “diritto vivente”), l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione ex art. 111, c. 8, Cost., vada riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione - che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento.
3. Riflessioni conclusive
I motivi di giurisdizione ex art. 111, c. 8, Cost. devono afferire alla violazione o stravolgimento dei principi e della prassi applicabili in materia antitrust, e non ad errores in procedendo o in iudicando, attinenti non ai limiti esterni della giurisdizione, bensì ai limiti interni della stessa, in quanto concernenti il modo di esercizio del sindacato di legittimità del giudice amministrativo in ordine ai provvedimenti adottati dall’AGCM.
Si vedano anche SS.UU, 03 novembre, n. 31311 e 09 novembre 2021, n. 32673.