Civile Ord. Sez. U Num. 37353 Anno 2022
Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA
Data pubblicazione: 20/12/2022
ORDINANZA
sul ricorso 1108-2022 proposto da:
CANALGRANDE S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 180, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO ORSONI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI VENEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 34, presso lo studio dell’avvocato NICOLO’ PAOLETTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO IANNOTTA e NICOLETTA ONGARO;
REGIONE VENETO, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIACOMO QUARNETI, ANTONELLA CUSIN e BIANCA PEAGNO;
– controricorrenti –
nonché contro
AGENZIA DEL DEMANIO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4197/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 01/06/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2022 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 1° giugno 2021, n. 4197, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello avverso la decisione del T.a.r. del Veneto in data 11 dicembre 2019, n. 1346, che aveva disatteso il ricorso proposto dalla Canalgrande s.r.l. contro il provvedimento del 4 gennaio 2019 del Comune di Venezia, con il quale è stata respinta l’istanza di rilascio di un permesso di costruire per la ristrutturazione, finalizzata al cambio di destinazione d’uso da direzionale a turistico-ricettivo, del “Palazzetto Balbi” del Sestiere San Marco di Venezia.
Il Consiglio di Stato ha premesso, in punto di fatto, che il Comune di Venezia, con il provvedimento impugnato, ha respinto la predetta istanza, ritenendo la nuova destinazione d’uso incompatibile con la variante al piano regolatore generale per la Città Storica, adottata dal Consiglio comunale con delibera del 16 giugno 2017, n. 25 ed approvata dal medesimo con delibera del 12 aprile 2018, n. 11, in quanto l’art. 21-bis delle Norme tecniche di attuazione-NTA – introdotto dalla variante – esclude l’utilizzo di edifici nella Città Storica per strutture ricettive, alberghiere o complementari, a meno che non fossero già legittimati a tale uso.
Quindi, ha così individuato il quadro normativo: l’art. 58 d.l. n. 112 del 2008, conv. dalla l. n. 133 del 2008, prevede che gli enti locali individuino i beni del loro patrimonio immobiliare, al fine di valorizzarne la gestione, anche mediante procedure di dismissione concretamente avviate, previa adozione di un piano delle alienazioni e valorizzazioni, nel quale sono elencati, d’intesa con lo Stato, gli immobili interessati; l’art. 35 l.r. Veneto n. 11 del 2010 (legge finanziaria) detta disposizioni relative alla definizione del suddetto piano di alienazione; l’art. 26 l.r. Veneto n. 30 del 2016 ha introdotto talune modifiche alla precedente, disponendo che, qualora si preveda una nuova destinazione urbanistica dei beni inseriti, il piano è trasmesso al consiglio comunale, che può adottare una variante allo strumento urbanistico generale.
Ciò posto, in primo luogo il Consiglio di Stato ha valutato il quarto motivo di appello, con cui era contestata la dichiarazione del T.a.r. di irricevibilità del motivo ivi proposto – il quale impugnava, in via subordinata, la “Variante alle Norme Tecniche della VPRG per la Città Antica”, adottata dal Comune di Venezia con delibera del consiglio comunale del 15 giugno 2017, n. 25 e approvata, dopo le osservazioni pervenute, con delibera del consiglio comunale del 12 aprile 2018, n. 11 – ed ha confermato la statuizione di irricevibilità, reputando la variante «immediatamente lesiva perché inibiva il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile di cui è causa, adibito a suo tempo (in via di fatto e diritto) a destinazione direzionale (uffici del Genio civile), impedendo così l’accoglimento della richiesta di attribuzione della destinazione recettiva», e, al momento dell’approvazione della variante, la società appellante aveva già presentato l’istanza di permesso di costruire, facendo emergere un ben individuato interesse alla realizzazione dell’intervento costruttivo. Di conseguenza, ha ritenuto che la stessa avrebbe dovuto essere impugnata «nel termine perentorio decorrente dalla pubblicazione sia dell’adozione che dell’approvazione, soprattutto per le prescrizioni generali introdotte, incidenti direttamente sulla sfera giuridica dei proprietari degli immobili, in relazione alle quali i dinieghi dei titoli edilizi si atteggiano quindi quali atti interamente vincolati».
Il Consiglio di Stato ha, poi, proceduto respingendo nel merito gli altri motivi di ricorso.
Avverso questa sentenza è proposto ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi degli artt. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1 e 362, comma 1, cod. proc. civ., sulla base di un motivo.
Hanno depositato controricorsi il Comune di Venezia e la Regione Veneto, quest’ultima aderendo al ricorso, mentre non ha svolto difese l’Agenzia del Demanio.
Le parti hanno depositato le memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 103 e 111 Cost., in ragione del rifiuto dell’esercizio della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, per avere il Consiglio di Stato, al punto 20 della motivazione della sentenza, ritenuto irricevibile, e, quindi, mancato di scrutinare nel merito il quarto motivo dell’appello proposto, il quale censurava la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1346/2019, a sua volta dichiarativa della irricevibilità dell’analogo motivo di ricorso al giudice amministrativo.
Con tale motivo di ricorso innanzi al T.a.r., la Canalgrande s.r.l. aveva impugnato la “Variante alle Norme Tecniche della VPRG per la Città Antica” adottata dal Comune di Venezia con la deliberazione del consiglio comunale del 15 giugno 2017, n. 25 e approvata con delibera del 12 aprile 2018, n. 11.
Il motivo è stato ritenuto irricevibile dal T.a.r. Veneto per tardività.
Analogamente, per effetto della sua decisione, il Consiglio di Stato, secondo la ricorrente, avrebbe rifiutato l’esercizio della propria giurisdizione, omettendo: a) di valutare l’illegittimità della variante e di accertare il diritto di Canalgrande s.r.l. di destinare Palazzetto Balbi ad attività ricettiva, come da destinazione urbanistica impressa tramite la procedura di alienazione, e conseguentemente b) di ritenere l’obbligo del Comune di rispettare la destinazione impressa da Stato e Regione Veneto nell’ambito della procedura pubblica di dismissione.
Tale statuizione – che deriva da un’interpretazione erronea dei principî che presiedono la valutazione della lesività dei provvedimenti amministrativi e l’identificazione del momento dal quale decorre il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale, anche in relazione alla esistenza di un’aspettativa giuridica all’utilizzo ricettivo del bene pubblico acquisito dallo Stato e dalla Regione, integrante un vero e proprio diritto soggettivo, comunque rimesso alla sua giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. – ha finito tuttavia per integrare il rifiuto di giurisdizione.
Per gli atti di portata generale, il termine decadenziale di sessanta giorni per l’azione decorre dal momento in cui si concreta nei confronti del singolo la portata lesiva.
E, secondo la giurisprudenza amministrativa, vanno distinte, da un lato, le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) e, dall’altro lato, le diverse regole che, più in dettaglio, disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio.
Solo nel primo caso, considerato l’immediato effetto conformativo del ius aedificandi, sussiste l’onere d’immediata impugnazione; ma, invece, nel secondo caso le previsioni di dettaglio, essendo destinate a regolare la futura attività edilizia e, quindi, suscettibili d’una ripetuta applicazione, sono lesive soltanto nel momento in cui è adottato l’atto applicativo e possono essere oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest’ultimo.
Per tale ragione, Canalgrande S.r.l., che aveva presentato la propria offerta e poi acquistato il bene con atto di cessione di immobile del 16 giugno 2017, non riteneva assolutamente che la nuova Variante del Comune di Venezia, laddove volta a precludere la destinazione ad attività ricettiva di nuovi immobili nel centro storico, potesse incidere anche sugli immobili pubblici che erano alienati, appositamente con tale destinazione ricettiva, anche perché nelle more del completamento della procedura di alienazione la Giunta Regionale, con delibera n. 711 del 29 maggio 2017, aveva approvato l’aggiornamento del “Piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare legge regionale 7/11 art. 16”, nell’ambito del quale veniva riconfermato l’inserimento dell’immobile in questione.
Onde, a fronte di tali rassicurazioni, anche in sede di ricorso al T.a.r. avverso il diniego del permesso di costruire l’odierna ricorrente ha impugnato la Variante solo in via subordinata, per la denegata ipotesi in cui il Giudice amministrativo avesse ritenuto che essa avesse a oggetto anche gli immobili inclusi in piani di valorizzazione, la stessa variante al PRG per la Città antica.
Per tali ragioni Canalgrande S.r.l., acquisendo un bene che riteneva certamente avere destinazione ricettiva, si è limitata a presentare l’istanza di permesso di costruire senza mai impugnare
la Variante comunale, se non in via subordinata nel momento in cui ha proposto ricorso al T.a.r. Veneto avverso il provvedimento di diniego della stessa istanza, in applicazione della predetta variante. La variante, infatti, veniva impugnata in uno con il provvedimento dell’amministrazione comunale, perché in tale momento si manifestava e concretizzava la sua possibile portata pregiudizievole.
Ne è derivato, in conclusione, un rifiuto di giurisdizione, da parte del Consiglio di Stato, in relazione all’impugnazione della Variante alle Norme Tecniche della VPRG per la Città Antica, adottata dal Comune di Venezia con DCC n. 25 del 15 giugno 2017 e approvata con DCC n. 11 del 12 aprile 2018. Infatti, il Consiglio di Stato non ha esercitato il proprio sindacato giurisdizionale rispetto a tale variante, oggetto del quarto motivo di appello, disattendendo i principi che presiedono e impongono il riconoscimento della tutela giurisdizionale amministrativa.
2. – Il motivo è inammissibile.
2.1. – Nella delimitazione dell’àmbito di ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., le Sezioni unite hanno individuato il caso del “rifiuto dell’esercizio della giurisdizione”, il quale viene integrato allorché si statuisca, in contrasto con la regula iuris che attribuisce a quel giudice il potere di dicere ius sulla domanda proposta, che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia, in astratto, priva di tutela, con estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione, ma anche a quella di ogni altro giudice (cfr. Cass., sez. un., 16 febbraio 2022, n. 5121; Cass., sez. un., 30 novembre 2021, n. 37522; Cass., sez. un., 21 settembre 2020, n. 19675; Cass. , sez. un., 13 maggio 2020, n. 8842; Cass. , sez. un., 30 luglio 2018, n. 20169; Cass. , sez. un., 27 giugno 2018, n. 16973; Cass., sez. un., 6 giugno 2017, n. 13976; ed altre, unitamente a Corte Cost. n. 6/2018).
Occorre, dunque, ai fini di fondare il sindacato delle Sezioni unite secondo l’art. 111, comma 8, Cost., che sussista un rifiuto dell’esercizio della giurisdizione da parte del giudice, ipotizzabile ove il Consiglio di Stato abbia negato la propria giurisdizione, sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale, ossia il c.d. arretramento; mentre resta estraneo al sindacato delle Sezioni unite la verifica sulla delimitazione interna dell’ambito di un plesso giurisdizionale dal medesimo concretamente operata, posto che un controllo siffatto involgerebbe un inammissibile sindacato sui limiti interni a quella stessa giurisdizione.
Non è, pertanto, sufficiente, a tal fine, che il giudice adito si sia sottratto al dovere di pronunciare in ordine alla domanda proposta dalla parte: perché si configuri un vizio di giurisdizione per c.d. rifiuto dell’esercizio della giurisdizione da parte del giudice speciale, cui invece essa competa, è necessario che tale declinatoria sia stata giustificata con l’affermazione che la situazione soggettiva azionata è in astratto priva di tutela, non potendo essere fatta valere dinanzi ad nessun giudice.
Quindi, occorre che quel giudice non decida sulla situazione giuridica, contro la regola che la giurisdizione sulla domanda gli attribuisce, e sostenga invece che la situazione fatta valere non ha tutela in astratto, cioè sul piano normativo, davanti alla propria giurisdizione, perché la domanda formulata sia estranea ad essa e nel contempo anche ad altra giurisdizione.
Ora, l’intervento delle Sezioni unite della Corte di cassazione quale organo per Costituzione di vertice fra le giurisdizioni e deputato alla regolazione dei conflitti fra di esse ed alla preservazione sia dei confini di ciascuna sia del dovere di esercitare ciascuna giurisdizione in quanto esistente, certamente si estende ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., a tale figura. In tal senso, è da tempo affermato il principio di diritto, secondo cui il ricorso, con il quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta (cfr., fra le altre, Cass., sez. un., 6 giugno 2017, n. 13976; Cass., sez. un., n. 3037 del 2013; e, in precedenza, già Cass., sez. un., n. 14211 del 2005).
Al contrario, non può essere sindacato innanzi alle Sezioni unite l’errore che non si risolva nel rifiuto di esercitare la giurisdizione, bensì solo nel suo cattivo esercizio.
Ciò, in quanto il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione e, tuttavia, nell’esercitarla, applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore interno e, se tale errore porti a negare tutela alla situazione fatta valere, ciò costituisce mera valutazione di infondatezza – in senso lato, occorre precisare, quindi comprendente anche la pronuncia in rito – della richiesta di tutela.
Ciascuna giurisdizione si esercita, infatti, con l’attribuzione all’organo di vertice interno al plesso giurisdizionale del controllo e della statuizione finale sulla correttezza, in facto ed in iure, di tutte le valutazioni che sono necessarie per decidere sulla controversia, onde non è possibile prospettare che il modo in cui tale controllo viene esercitato dall’organo di vertice della giurisdizione speciale, se anche si sia risolto in concreto nel negare erroneamente tutele alla situazione giuridica azionata, sia suscettibile di controllo da parte delle Sezioni unite, assumendo che la negazione di tutela in concreto, ossia con l’applicazione da parte del giudice speciale delle regole sostanziali e processuali interne alle controversie devolute alla sua giurisdizione, si sia risolta in un vizio di violazione delle regole di giurisdizione.
Né può assumere rilievo la circostanza che la declaratoria d’inammissibilità o d’irricevibilità del ricorso sia stata determinata da una non condivisa qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato o da una ricostruzione asseritamente inesatta della fattispecie sottoposta all’esame del giudice amministrativo, se non si traduca nell’esclusione dell’astratta tutelabilità della situazione soggettiva fatta valere con la domanda, bensì nell’accertamento dell’avvenuto decorso del termine per l’impugnazione, e quindi del difetto di un presupposto processuale, la cui insussistenza fa venir meno il dovere del giudice adito di pronunciarsi sul merito della controversia sottoposta al suo esame (Cass., sez. un., 3 agosto 2022, n. 25505; v. pure la citata n. 5121 del 2022; nonché – specificamente in caso di rilievo, od omesso rilievo, da parte del Consiglio di Stato della irricevibilità del ricorso o di un motivo – le non massimate Cass. 13 maggio 2020, n. 8842, 31 ottobre 2018, n. 27755 e 21 febbraio 2018, n. 4231).
L’esclusione del predetto presupposto comporta la negazione della tutela non già in astratto, ma in concreto, e non può quindi integrare un motivo inerente alla giurisdizione, neppure nel caso in cui, come nella specie, si affermi che la stessa costituisce il risultato di una censurabile interpretazione della legge sostanziale o processuale: tale prospettazione implica infatti la deduzione, rispettivamente, di un error in iudicando o in procedendo, i quali esulano dall’ambito del sindacato spettante alle Sezioni unite della Corte di cassazione, avendo quest’ultimo ad oggetto esclusivamente la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, e non anche le scelte ermeneutiche del giudice adito, la cui eventuale erroneità resta confinata nei limiti interni, indipendentemente dalla sua gravità, dal momento che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium dell’attività giurisdizionale.
2.2. – Nella specie, la violazione della giurisdizione viene argomentata con l’assunto che il giudice amministrativo, nello svolgimento del giudizio sulla legittimità del provvedimento innanzi a sé impugnato ed asseritamente lesivo, sarebbe pervenuto a negare la tutela giurisdizionale richiestagli, sulla base di una valutazione in iure errata: l’avere ritenuto decorso il termine di decadenza di sessanta giorni per impugnare l’atto amministrativo di variante al piano regolatore generale per la Città Storica di Venezia, di cui alle delibere del Consiglio comunale del 16 giugno 2017, n. 25 e del 12 aprile 2018, n. 11, sebbene esso – nell’assunto della ricorrente – non fosse immediatamente lesivo.
Ma tale prospettazione, indipendentemente da ogni valutazione sulla correttezza del convincimento esposto dalla sentenza impugnata, non evidenzia che il Consiglio di Stato abbia rifiutato di esercitare la sua giurisdizione o che la sua decisione si sia risolta in un sostanziale diniego del suo esercizio.
Essa evidenzia, invece, un asserito error in iudicando, che il giudice speciale avrebbe commesso nell’esercizio della sua giurisdizione.
Non si riscontra un rifiuto di giurisdizione per c.d. arretramento, quindi, se, come nella specie, l’omesso esame della questione sollevate dinanzi al giudice amministrativo sia stato determinato non già dall’affermazione dell’estraneità della controversia alla giurisdizione di quest’ultimo, ma dalla rilevazione di una causa d’irricevibilità del motivo, il cui carattere pregiudiziale rispetto alla verifica della fondatezza delle censure mosse ha impedito, in concreto, al giudice amministrativo di provvedere nel merito.
3. – Le spese seguono la soccombenza.
4. – Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento di un importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge.
Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 dicembre
Allegati:
SS.UU, 20 dicembre 2022, n. 37353, in tema di rifiuto di giurisdizione
Nota dell’ Avv. Valentina Petruzziello
Il rifiuto di giurisdizione per c.d. “arretramento”
1. Il principio di diritto
In materia di ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice speciale, integra il vizio di rifiuto dell’esercizio della giurisdizione l’affermazione - contro la “regola iuris” che attribuisce a quel giudice il potere di “dicere ius” sulla domanda - che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio è, in astratto, priva di tutela, allorché essa sia corredata dal rilievo della estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione, ma anche a quella di ogni altro giudice, atteso che, ove tale affermazione fosse, invece, accompagnata dal riconoscimento dell’esistenza dell’altrui giurisdizione, ricorrerebbe un’ipotesi di diniego della propria giurisdizione, l’uno e l’altro vizio, peraltro, risultando i soli sindacabili dalla Corte di Cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., diversamente dall’erronea negazione, in concreto, della tutela alla situazione soggettiva azionata.
2. La questione di massima di particolare importanza
La pronuncia delle Sezioni Unite delinea le regole sullo svolgimento del giudizio previste dall’art. 111 Cost..
Con sentenza n. 4197 del 2021, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello avverso la decisione del T.a.r. Veneto che aveva disatteso il ricorso proposto da una società contro il provvedimento del Comune di Venezia, con il quale era stata respinta l’istanza di rilascio di un permesso di costruire per la ristrutturazione di un immobile, finalizzata al cambio di destinazione d’uso (da direzionale a turistico-ricettivo).
Per i giudici amministrativi, il cambio di destinazione d’uso era incompatibile con la variante del piano regolatore generale, adottata con delibera dal Consiglio comunale, in quanto l’art. 21 bis delle Norme tecniche di attuazione escludeva l’utilizzo di edifici nella Città Storica per strutture ricettive, alberghiere o complementari, a meno che non fossero già legittimati a tale uso.
Avverso questa sentenza è stato proposto ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione ai sensi dell'art. 111, c. 8, Cost..
3. Riflessioni conclusive
Nella delimitazione dell’ambito di ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 111, c. 8, Cost., le Sezioni Unite individuano il caso del “rifiuto dell’esercizio della giurisdizione”, il quale viene integrato allorché si statuisca che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia, in astratto, priva di tutela, con estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione, ma anche a quella di ogni altro giudice.
Occorre, dunque, ai fini di fondare il sindacato delle Sezioni Unite secondo l’art. 111, c. 8, Cost., che sussista un rifiuto dell’esercizio della giurisdizione da parte del giudice, ipotizzabile ove il Consiglio di Stato abbia negato la propria giurisdizione, sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale, c.d. arretramento, non essendo sufficiente che il giudice adito si sia sottratto al dovere di pronunciare in ordine alla domanda proposta dalla parte.
In altre parole, non può essere sindacato innanzi alle Sezioni Unite l’errore che non si risolva nel rifiuto di esercitare la giurisdizione, bensì solo nel suo cattivo esercizio.
Nella specie, la violazione della giurisdizione viene argomentata con l’assunto che il giudice amministrativo, nello svolgimento del giudizio sulla legittimità del provvedimento innanzi a sé impugnato, sarebbe pervenuto a negare la tutela giurisdizionale richiestagli, sulla base di una valutazione in iure errata: l’avere ritenuto decorso il termine di decadenza di sessanta giorni per impugnare l’atto amministrativo di variante al piano regolatore generale per la Città Storica di Venezia di cui alla delibera comunale.
Tale prospettazione, indipendentemente da ogni valutazione sulla correttezza del convincimento esposto dalla sentenza impugnata, non evidenzia che il Consiglio di Stato abbia rifiutato di esercitare la sua giurisdizione o che la sua decisione si sia risolta in un sostanziale diniego del suo esercizio.
Essa evidenzia, invece, un asserito error in iudicando, che il giudice speciale avrebbe commesso nell’esercizio della sua giurisdizione.
Non si riscontra un rifiuto di giurisdizione per c.d. arretramento, quindi, se, come nella specie, l’omesso esame della questione sollevate dinanzi al giudice amministrativo sia stato determinato non già dall’affermazione dell’estraneità della controversia alla giurisdizione di quest’ultimo, ma dalla rilevazione di una causa d’irricevibilità del motivo, il cui carattere pregiudiziale rispetto alla verifica della fondatezza delle censure mosse ha impedito, in concreto, al giudice amministrativo di provvedere nel merito.