Civile Sent. Sez. U Num. 10860 Anno 2022
Data pubblicazione: 04/04/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
sul ricorso n.8755-2017 proposto da:
CURATELA DEL FALLIMENTO LEONMOBILI S.R.L., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OMBRONE 12, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentata e difesa dall’avvocato —;
– ricorrente –
FIDA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato —, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato —;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
— (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Leonmobili s.r.l.), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA STIMIGLIANO 5, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentato e difeso dall’avvocato —;
LEONMOBILI OOD, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 289, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentata e difesa dall’avvocato —;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
contro
FIDA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato —, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato —;
CURATELA DEL FALLIMENTO LEONMOBILI S.R.L., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OMBRONE 12, presso lo studio dell’avvocato —, rappresentata e difesa dall’avvocato —;
– controricorrenti all’incidentale –
contro
ARTURO SALICE S.P.A., DEUTSCHE BANK S.P.A., ELICA S.P.A., I.C.O. S.R.L., GRAFICHE — DI —, HOMAG HOLZBEARBEITUNGSSYSTEME GMBH;
– intimati –
avverso la sentenza n. 154/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 27/02/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/03/2022 dal Consigliere Dott. —;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale —, il quale chiede che la Corte di Cassazione voglia accogliere il ricorso principale nei suoi primi due motivi, assorbiti i restanti, nonchè il ricorso incidentale di Fida s.r.l. nel suo primo motivo, assorbiti i restanti e dichiarare inammissibile l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato di Leonmobili ODD e i due motivi del ricorso incidentale condizionato di —.
Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
§ 1. I principali fatti di causa ed i fondamentali elementi della questione devoluta a queste Sezioni unite possono così riassumersi:
– il 10 giugno 2013 il Tribunale di Bari dichiarava, su istanze presentate da vari creditori a partire dal 19 novembre 2012, il fallimento della Leonmobili s.r.l. (avente ad oggetto il commercio all’ingrosso ed al dettaglio di mobili ed arredi) in persona del legale rappresentante —;
– l’11 febbraio 2014 la Corte di appello di Bari, adita in sede di reclamo ex art. 18 l. fall., sospendeva il giudizio fin visto l’esito del regolamento preventivo di giurisdizione già proposto ex art. 41 c.p.c. dalla Leonmobili s.r.l., la quale assumeva la carenza di giurisdizione del giudice italiano, avendo l’assemblea dei soci trasferito la sede sociale in Sofia (Bulgaria) con delibera del 18 luglio 2012, seguita dalla cancellazione della società dal registro delle imprese italiano in data 12 settembre 2012 (nulla di operativo residuando in Italia);
– il 16 maggio 2014 veniva depositata l’ordinanza n. 10823 con la quale queste Sezioni unite decidevano il suddetto regolamento preventivo nel senso della sussistenza, ex art. 3, § 1, reg. Consiglio CE sulle procedure di insolvenza n. 1346/2000, della giurisdizione del giudice italiano, dal momento che la presunzione regolamentare di corrispondenza tra la sede statutaria dell’impresa e l’ubicazione del centro degli interessi principali della società debitrice doveva qui “dirsi superata, non essendosi mai effettivamente radicato in Bulgaria il centro degli interessi principali della Leomobili“;
– il 24 giugno 2015, riassunto e nuovamente sospeso il procedimento, interveniva l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Bari, dubitando della correttezza di quanto così statuito dalle Sezioni unite nella ordinanza regolatrice, rimetteva alla Corte di giustizia UE la seguente questione pregiudiziale sull’esatta interpretazione dell’art. 3, § 1, reg. CE n. 1346/2000:
“a) se in assenza di dipendenze in altro Stato membro, la presunzione di cui al paragrafo 1 ultima parte e paragrafo 2 dell’articolo 3 del regolamento può essere superata da chi contesti la giurisdizione, con prova che il centro degli interessi principali si trova in Stato diverso da quello in cui ha sede l’impresa societaria;
b) in caso di risposta positiva al quesito che precede, se la prova può essere tratta da altra presunzione, e cioè dalla valutazione di elementi indiziari dai quali possa ritenersi arguibile sul piano logico-deduttivo che il centro degli interessi principali si trova in altro Stato membro“;
– il 24 maggio 2016 (causa C-353/15) veniva depositata l’ordinanza della CGUE, con il seguente dispositivo: “L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, dev’essere interpretato nel senso che, qualora la sede statutaria di una società sia stata trasferita da uno Stato membro a un altro Stato membro, il giudice investito, successivamente a detto trasferimento, di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza nello Stato membro di origine può escludere la presunzione secondo la quale il ‘centro degli interessi principali’ di tale società è situato nel luogo della nuova sede statutaria e ritenere che il centro di tali interessi rimanga, alla data in cui esso è stato adito, in tale Stato membro di origine, benché tale società non abbia più in quest’ultimo Stato alcuna dipendenza, solo se da altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi si evince che, tuttavia, il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché la gestione dei suoi interessi, continua a trovarsi in tale Stato a tale data“;
– il 27 febbraio 2017, riassunto il giudizio, veniva pubblicata la sentenza n. 154 (oggetto del presente ricorso per cassazione) con la quale la Corte di appello di Bari definiva il reclamo dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice italiano e quindi revocando il fallimento della Leonmobili s.r.l.; si osserva, in particolare, nella sentenza in questione, che: il giudice del reclamo può riesaminare il merito della giurisdizione previa rimessione alla CGUE di questione pregiudiziale concernente l’esatta interpretazione del diritto comunitario, allorquando abbia ragione di dubitare della conformità a quest’ultimo della statuizione sulla giurisdizione già resa dalla Corte di cassazione ex art. 382 c.p.c.; quanto stabilito dalla CGUE richiede di verificare se, al momento dell’instaurazione del procedimento fallimentare, il centro effettivo di direzione e di controllo della Leonmobili s.r.l., nonché il luogo di gestione dei suoi interessi, continuasse a trovarsi in Italia, così da superare la presunzione di cui all’art. 3, § 1, reg. CE n. 1346/2000; questa verifica deponeva nel senso che la Leonmobili s.r.l. avesse appunto in Bulgaria, e non in Italia, il centro effettivo di direzione e controllo, nonché il luogo di gestione dei suoi interessi, come desumibile da vari e convergenti elementi istruttori.
§ 2.1. Il curatore del Fallimento Leonmobili s.r.l. ha proposto quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in questione:
– con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, comma 1, n. 1) ovvero n. 4), c.p.c. – il fatto che la Corte di appello – che pure, quale giudice non di ultima istanza ancora investito di compito decisionale, aveva il potere di rivolgersi alla CGUE in presenza di dubbi sulla conformità al diritto UE del giudicato sulla giurisdizione rinveniente dalla pronuncia delle Sezioni unite ex art. 382 c.p.c. – era poi entrata nel merito delle valutazioni espresse dal giudice superiore ben oltre il perimetro della questione pregiudiziale devoluta alla CGUE, così da pronunciarsi nuovamente su questioni già risolte dal giudice superiore e non sottoposte al vaglio della CGUE medesima.
Segnatamente, la Corte di appello aveva sollevato questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE non già sulla nozione di “centro degli interessi principali” e neppure sulla idoneità degli elementi rilevati dalle Sezioni unite a superare la presunzione più volte menzionata, bensì sul diverso problema per cui, ai sensi dell’art. 3 reg., solo la presenza di una dipendenza nel territorio di altro Stato membro potrebbe consentire la giurisdizione in questo altro Stato, per cui la mancanza di questa dipendenza impedirebbe di per sé di superare la presunzione stessa. Sulla relativa eccezione, così dedotta, la Corte di appello neppure si era pronunciata, con conseguente violazione altresì dell’art. 112 c.p.c.;
– con il terzo motivo di ricorso il Fallimento lamenta – ex art. 360, comma 1, n. 1) ovvero 3) e 5), c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 reg. cit., oltre che degli artt. 9, comma 5, l. fall., 122 c.p.c. e 2719 c.c.. Ciò perché, quand’anche si volesse riconoscere alla Corte di appello la potestà di rivalutare nel merito gli indici fattuali rilevanti ai fini della giurisdizione anche se non devoluti alla CGUE, questa potestà era stata in concreto comunque esercitata in violazione di legge e dei principi UE in materia; così quanto a riconoscibilità degli elementi di ubicazione dell’impresa, ad abitualità, a prossimità temporale con l’istanza di fallimento, ad abuso del c.d. forum shopping, a necessità di valutazione congiunta di tutti questi parametri in rapporto sia alle attività sia alle passività patrimoniali.
Dalla ricostruzione della vicenda Leonmobili, e sulla base di vari fatti decisivi il cui esame era stato dal giudice di appello del tutto omesso, risultava inequivoca la fittizietà del trasferimento di sede in Bulgaria (posto in essere dopo l’emersione dello stato di insolvenza) e comunque la permanenza in Italia del principale centro di interessi e direzione;
– con il quarto motivo di ricorso il Fallimento lamenta – ex art. 360, comma 1, n. 1) ovvero n. 4), c.p.c. – la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 l. fall. (e comunque la mancata pronuncia sulla relativa eccezione). Ciò perché, qualora si fosse ravvisata l’effettiva estinzione della società in Italia e la costituzione di una nuova società in Bulgaria, le istanze di fallimento presentate in Italia dovevano essere necessariamente riferite alla società italiana estinta, con conseguente suo assoggettamento a fallimento in Italia entro l’anno dall’estinzione, ex art. 10 l. fall..
§ 2.2. Si è costituita con controricorso (dichiaratamente adesivo alle conclusioni della curatela, ricorrente principale) la creditrice istante Fida s.r.l., la quale ha anche formulato dieci motivi di ricorso incidentale, così riassumibili:
– (primo motivo) erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano [art. 360, comma 1, n. 1) o 4), c.p.c.], dal momento che (come dedotto con eccezione non vagliata dalla Corte di appello) il giudice nazionale non di ultima istanza, ancora investito di potestà decisionale, poteva in effetti discostarsi dal giudicato sulla giurisdizione rinveniente dalla pronuncia del giudice nazionale superiore difforme dal diritto UE, ma ciò soltanto nei limiti della questione interpretativa da esso devoluta in via pregiudiziale alla CGUE.
Nella specie, la Corte di appello non aveva sottoposto alla CGUE alcuna questione concernente la nozione di “centro degli interessi principali“, ovvero la sufficienza degli elementi posti dalle Sezioni unite a superamento della presunzione di coincidenza di cui all’art. 3, § 1, reg., limitandosi a sottoporre ad essa la conformità della propria interpretazione di quest’ultima disposizione; interpretazione secondo cui solo la presenza di una dipendenza nel territorio di altro Stato membro poteva consentire la giurisdizione di questo altro Stato, con la conseguenza che la mancanza di dipendenza rendeva insuperabile la presunzione a favore della sede sociale statutaria. Da qui l’illegittimità della decisione della Corte di appello, la quale aveva riesaminato nel merito la questione di giurisdizione, già decisa dalle Sezioni unite, esulando dai limiti della questione pregiudiziale rimessa alla CGUE;
– (secondo, terzo e quarto motivo) violazione e falsa applicazione delle norme regolatrici della giurisdizione [art. 360, comma 1, n. 1), c.p.c.], ovvero omesso esame di fatti decisivi (n. 5), ovvero violazione diretta dell’art. 3 reg. come risultante dalla decisione della CGUE (n. 3), dal momento che la Corte di appello aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano omettendo di compiere la valutazione globale ed interdipendente di tutte le circostanze (partitamente descritte) rilevanti a tal fine e di valutarne la compatibilità con i parametri UE (effettività, abitualità, riconoscibilità da parte dei terzi, irrilevanza del trasferimento basato su fatti accaduti o resi conoscibili ai terzi dopo la proposizione dell’istanza di fallimento);
– (quinto, sesto e settimo motivo) erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano, nonché omesso esame di fatto decisivo per quanto rispettivamente concerne: l’asserita vendita degli immobili e delle attrezzature già collocate in Italia; la prosecuzione dell’attività in Italia attraverso soggetti comunque riconducibili alla Leonmobili s.r.l., risultati cessionari fittizi degli assets aziendali; la posteriorità di fatti asseritamente attestanti il trasferimento del centro principale degli interessi sociali rispetto alla presentazione dell’istanza di fallimento, con conseguente loro inopponibilità ai terzi per difetto di riconoscibilità; la Corte di appello aveva, per contro, attribuito rilevanza dimostrativa a circostanze (trasferimento di sede, cancellazione dal registro imprese) che tale rilevanza non potevano avere, costituendo piuttosto l’oggetto del giudizio;
– (ottavo motivo) erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano per omessa considerazione del fatto che il trasferimento all’estero e la cancellazione dal registro delle imprese in Italia costituivano fatti verificatisi a ridosso della presentazione dell’istanza di fallimento, così da risultare privi dei requisiti della riconoscibilità e della abitualità;
– (nono motivo) illegittimo utilizzo probatorio di documentazione (estratti di conto corrente bancario; utenza telefonica; contratto di locazione) prodotti in giudizio dalla società debitrice tardivamente ed in copia fotostatica, come tali specificamente disconosciuti ex adverso nella loro conformità all’originale;
– (decimo motivo) violazione delle norme regolatrici della giurisdizione; per non avere la Corte di appello considerato che, in ipotesi di trasferimento effettivo e di costituzione di nuova società all’estero, la sostanziale estinzione della società italiana, accompagnata dalla volontà dei soci di perdere la nazionalità dello Stato di provenienza e di acquistare quella dello Stato di destinazione (come da delibere in atti), rendeva nella specie applicabile l’art. 10 l. fall., con conseguente fallibilità in Italia entro l’anno della società estinta.
§ 2.3. Resiste con controricorso la Leonmobili OOD, con sede in Sofia, in persona dell’AU e legale rappresentante —, evidenziando che legittimamente la Corte di appello aveva rilevato la contrarietà al diritto UE del giudicato sulla giurisdizione stabilito dalle Sezioni unite, così come rinveniente dalla pronuncia pregiudiziale della CGUE (concernente la possibilità di superare la presunzione di coincidenza di cui all’art. 3 reg. con altri elementi a loro volta di natura presuntiva); e che altrettanto legittimamente essa aveva quindi dato corso ad un nuovo e globale riesame della situazione di fatto.
Propone anche un motivo di ricorso incidentale condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale della curatela; motivo con cui si riproduce in questa sede l’eccezione (sulla quale la Corte di appello non si era pronunciata) di nullità della sentenza dichiarativa di fallimento, dal momento che il Tribunale di Bari aveva individuato la società fallita (con sede in Modugno, Via Andriese-Coratina Km 1+300, ed in persona del legale rappresentante —) in un ente pacificamente non più esistente a seguito del suo trasferimento in Bulgaria e della iscrizione nel registro delle imprese in quest’ultimo Stato (con sede in Sofia, V.le Vasil Levski n. 102, in persona del legale rappresentante —).
§ 2.4. Resiste con controricorso anche —, in proprio e quale (ritenuto) legale rappresentante della Leonmobili s.r.l., il quale rileva tra il resto l’inidoneità della decisione delle Sezioni unite a costituire giudicato sulla giurisdizione, dal momento che questa decisione era intervenuta dopo che il Tribunale di Bari (che non aveva ritenuto di sospendere il procedimento) aveva dichiarato il fallimento, sicché il regolamento “preventivo” tale in realtà non era, tanto da dover essere dichiarato inammissibile.
Propone anche due motivi di ricorso incidentale condizionati relativi ad aspetti già da lui dedotti in sede di reclamo, e sui quali la Corte di appello non si era pronunciata:
– (primo motivo) violazione dell’art. 9, comma 5, l. fall., dal momento che questa disposizione (successiva al regolamento CE e non in contrasto con quest’ultimo) ammetteva la giurisdizione italiana solo nel caso (qui non ricorrente) in cui il trasferimento di sede all’estero fosse avvenuto dopo il deposito dell’istanza di fallimento;
– (secondo motivo) omessa valutazione di fatti decisivi attestanti l’insussistenza, al momento della sentenza dichiarativa, della sua veste di legale rappresentante della società fallita, in quanto amministrata e rappresentata dalla cittadina bulgara —.
§ 2.5.Il Fallimento Leonmobili s.r.l. e Fida s.r.l. hanno depositato controricorso ai ricorsi incidentali di Leonmobili s.r.l. e di —.
Gli altri creditori istanti, come in epigrafe indicati, non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
§ 3. Assegnata la causa a decisione, interveniva l’ordinanza interlocutoria n. 32113/2021 con la quale la Prima Sezione civile della Corte, dopo aver giudicato infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale, ha ritenuto di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite della questione – nuova rispetto a quella già esaminata in sede di regolamento di giurisdizione, ed involgente profili di massima di particolare importanza concernenti sia i rapporti tra giudice di legittimità e giudice comunitario sia i limiti dell’autorità del giudicato – concernente “la possibilità per il giudice di merito di riesaminare una questione di giurisdizione già definita dalla Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo, a seguito di una pronuncia della CGUE, adottata in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE che, nel fornire l’interpretazione della norma comunitaria che disciplina il riparto di giurisdizione tra i giudici degli Stati membri, abbia ribadito i principi precedentemente enunciati e già applicati dal giudice di legittimità“.
Osservano i giudici remittenti che:
– la questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di appello di Bari riguardava “la possibilità di ritenere superata la presunzione di corrispondenza tra la sede statutaria ed il centro degli interessi principali anche nel caso in cui, come nella specie, a seguito del trasferimento della prima in un altro Stato membro, la società non abbia più alcuna dipendenza nello Stato di origine“;
– nel risolvere la questione così sollevata, la CG ha ribadito il proprio orientamento (sentt. 2 maggio 2006, C-341/04, Eurofood IFSC; 20 ottobre 2011, C-396/09, Interedil; 15 dicembre 2011, C-191/10, Rastelli) circa la nozione di “centro degli interessi principali” di cui all’art. 3 reg. CE 1346/2000, osservando, quanto al quesito postole, che “la presenza di una dipendenza in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria della società di cui trattasi, che costituisce un elemento obiettivo e riconoscibile dai terzi, deve essere presa in considerazione per valutare se occorra escludere la presunzione“, ma tale presenza “non è sufficiente a dimostrare che il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in quest’altro Stato membro, potendo tale conclusione risultare unicamente da una valutazione globale di tutti gli elementi inerenti alla situazione esaminata”, sicché “eventualmente, l’assenza di dipendenze nello Stato membro diverso da quello della sede statutaria della società di cui trattasi deve essere altresì presa in considerazione nell’ambito di una siffatta valutazione globale, atteso che tale elemento depone invece a sfavore della collocazione del centro di interessi principali in tale Stato membro“;
– dalla disamina della decisione resa nel presente procedimento dalla CGUE e della decisione delle Sezioni unite sul regolamento preventivo di giurisdizione (a sua volta richiamante CGUE 20 ottobre 2011, in causa C-396/09) emergerebbe evidente che “la prima si è limitata in gran parte a ribadire i principi già affermati dalla sentenza del 20 ottobre 2011 (a loro volta ripresi da precedenti pronunce) e richiamati da questa Corte a sostegno della ritenuta spettanza all’autorità giudiziaria italiana della giurisdizione in ordine all’istanza di fallimento proposta nei confronti della Leonmobili s.r.l., aggiungendovi le considerazioni riguardanti l’oggetto specifico della questione sollevata dalla Corte di appello di Bari, vale a dire la possibilità di escludere l’operatività della presunzione di corrispondenza tra la sede statutaria ed il centro degli interessi principali della società anche nel caso in cui quest’ultima non abbia mantenuto alcuna dipendenza nello Stato di origine“;
– si tratta di aspetto che la Corte di appello non avrebbe in alcun modo esaminato, il che ha dato origine ad un rinnovato apprezzamento, da parte della stessa Corte di appello, degli stessi elementi fattuali che avevano già indotto le Sezioni unite ad affermare, non negare, la giurisdizione italiana, nonostante che quest’ultima statuizione non apparisse in contrasto con il diritto UE (art. 3 cit.) così come interpretato dalla CGUE; in modo tale che qualora, in sede di rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia fornisca un’interpretazione della norma comunitaria coincidente con quella fatta propria dal giudice nazionale di grado superiore, “non residui spazio alcuno per un riesame della questione da parte del giudice non di ultima istanza, risultando la stessa coperta dal giudicato formatosi al riguardo“;
– in tal senso deporrebbe pure la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo la quale l’autorità del giudicato nazionale costituisce un valore anche per l’ordinamento dell’Unione, al fine di garantire la stabilità del diritto e la certezza dei rapporti giuridici, oltre che la buona amministrazione della giustizia; con la conseguenza che, in tanto il giudice non di ultima istanza che abbia sollevato questione pregiudiziale di interpretazione avanti alla CGUE potrebbe discostarsi dal giudicato, in quanto la decisione della CGUE risulti strettamente collegata a quella già emessa in via definitiva, rilevandone la difformità dal diritto UE (sentt. 15 gennaio 2013, C-416/10, Krizan; 20 ottobre 2011, C-396/09, Interedil; 5 ottobre 2010, C-173/09, Elchinov).
§ 4. Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale nei primi due motivi, nonché del ricorso incidentale di Fida nel primo motivo, con assorbimento dei restanti e dichiarazione di inammissibilità dei motivi di cui ai ricorsi incidentali condizionati di Leonmobili OOD e —.
Ciò osservando che:
– in presenza di una sentenza della CGUE dalla quale si evinceva la conformità al diritto UE del giudicato nazionale, era precluso il riesame della questione da parte del giudice remittente (stante la vincolatività del giudicato, come ritenuta anche dallo stesso diritto UE);
– la sentenza sulla giurisdizione emessa dalle Sezioni unite era risultata conforme alla citata sentenza CGUE 20 ottobre 2011, in causa C-369/09 [recte: C-396/09 – n.d.r.], a sua volta recettiva di un orientamento consolidato in ordine alla superabilità della presunzione regolamentare di coincidenza del centro principale di interessi con la sede statutaria, pur in assenza di dipendenza nello Stato;
– inammissibili dovevano ritenersi i motivi di ricorso incidentale di Leonmobili OOD e —, dal momento che sulle relative questioni (comunque riproponibili in sede di rinvio) era mancata una pronuncia della Corte di appello, soffermatasi in maniera assorbente sul ritenuto difetto di giurisdizione;
– il ricorso incidentale di Leonmobili OOD era poi inammissibile anche per mancata illustrazione dell’interesse ad agire, ex art. 18 l. fall., in revoca del fallimento di una società che, per stessa prospettazione della ricorrente incidentale, doveva ritenersi un soggetto giuridico diverso da sé.
Il — e Leonmobili OOD hanno depositato memorie.
Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina (successivamente prorogata) dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
§ 5.1. I primi due motivi del ricorso principale del Fallimento ed il primo motivo del ricorso incidentale di Fida s.r.l. sono fondati nei termini che seguono.
Vanno qui richiamate tanto la natura di giudicato che assume la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni unite della Corte di cassazione sul ricorso proposto ex art. 41 c.p.c. (Cass., Sez. un., nn. 2739/1997, 20504/2006, 7930/2013), quanto la potestà del giudice nazionale non di ultima istanza di sollevare, pur a seguito di statuizione vincolante sulla giurisdizione, questione pregiudiziale davanti alla CGUE, così da evitare che il vincolo conformativo interno in tal modo generatosi induca all’adozione di una decisione in contrasto con il diritto UE.
Come in varie occasioni osservato dalle parti nel corso del processo, e come puntualizzato dalla stessa ordinanza di rimessione, costituisce fermo indirizzo della Corte di giustizia UE (v. sent. 5 ottobre 2010, in causa C-173/09, Elchinov; sent. 20 ottobre 2011, in causa C-396/09, Fall. Interedil, ed altre), ribadito anche nella ordinanza CG nel caso in esame (§ 23), quello per cui: “il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli debba attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione come interpretato dalla Corte” (§ 39 sent. Fall. Interedil, cit.).
Si tratta, del resto, di orientamento già fatto proprio da questa stessa Corte di legittimità (Cass., Sez. un., n. 12317/2015, proprio nel caso Fall. Interedil) la quale ha ribadito, alla luce di quanto stabilito dalla CGUE, che il giudice nazionale che non decida in ultima istanza deve essere libero, se ritiene che la valutazione in diritto formulata dall’istanza superiore possa condurlo ad emettere un giudizio contrario al diritto UE, di sottoporre al giudice comunitario le questioni con cui deve confrontarsi. Nella sentenza da ultimo citata si è al contempo escluso che questo principio possa subire restrizione per effetto di controlimiti di natura costituzionale, ovvero che si ponga esso stesso in diretto conflitto con la Costituzione.
Si è osservato, in particolare, che la primazia della Corte di giustizia discende dai Trattati costitutivi dell’Unione europea e dai conseguenti vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario cui l’Italia si è sottoposta in osservanza degli artt. 11 e 117 Cost., ed è funzionale a garantire l’applicazione effettiva ed uniforme, a livello sovranazionale, delle norme unionali.
Nel caso specifico del giudicato, si tratta – si è evidenziato – di un istituto privo di un espresso riconoscimento a livello costituzionale, “per cui sotto tale profilo lo stesso va valutato alla luce del diritto di difesa delle parti e della tutela dei loro interessi in sede giurisdizionale“.
E sotto questi profili risulta come, per un verso (art. 102 Cost.), non sussista alcuna sottrazione di poteri al giudice italiano in ragione del menzionato potere sovraordinato della Corte di giustizia e come, per altro verso (art. 24 Cost.), “rivestendo la pronuncia sulla giurisdizione carattere meramente processuale e non di merito, resta comunque fatta salva la possibilità per la parte di far valere le proprie ragioni innanzi alla giurisdizione competente, senza che risulti violato il principio secondo cui, una volta conclusosi il processo con una sentenza di merito, non possa più essere messo in discussione il diritto della parte che ha avuto il definitivo riconoscimento delle proprie ragioni“.
Si tratta di affermazioni dalle quali si evince come la cedevolezza del giudicato sulla giurisdizione rispetto al diritto UE, nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia invocato in sede pregiudiziale dal giudice del rinvio, trovi radice nella peculiarità rappresentata dall’essere esso portatore di un accertamento che è sì definitivo ed idoneo a fare stato (anche con portata c.d. “panprocessuale” perché estesa a giudizi diversi da quello nel quale si è prodotto: v. art. 59 l. 69/2009), ma che ha pur sempre natura esclusivamente rituale sulla potestà decisoria del giudice adito, e quindi una tipica funzione legittimante, strumentale e prodromica alla decisione di merito che deve ancora essere adottata dal giudice designato.
Nell’ambito dei rimedi volti ad attenuare la vincolatività decisoria interna al fine di prevenire la formazione di giudicati di merito in contrasto con il diritto UE, questo indirizzo porta ad ulteriori conseguenze il consolidato orientamento secondo cui neppure il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione ex art. 384, comma 2, c.p.c. (anch’esso portatore di una preclusione endoprocessuale di tipo conformativo, sebbene estranea ai connotati accertativi del fatto propri del giudicato ex art. 2909 c.c.) vincola il giudice del rinvio a fronte di confliggenti successive pronunce della Corte di giustizia aventi efficacia immediata, quale jus superveniens, nell’ordinamento nazionale (Cass. nn. 10035/1998, 10939/2005, 19301/2014).
E tuttavia, il vero problema di causa – così come esattamente colto tanto nelle censure in esame quanto nell’ordinanza di rimessione – non verte sulla ammissibilità in sé della devoluzione pregiudiziale alla CGUE da parte del giudice nazionale non di ultima istanza che dubiti della conformità al diritto UE del giudicato interno sulla giurisdizione, ma sul diverso e successivo aspetto della potestà di questo giudice di discostarsi da tale giudicato una volta che, all’esito della decisione della CGUE, questo risulti, non contrastante, ma conforme al diritto UE.
Ebbene, in una simile evenienza questa facoltà è certamente da escludersi, sulla considerazione logico-sistematica che il vincolo rinveniente dal giudicato sulla giurisdizione non viene meno per il solo fatto che il giudice nazionale non di ultima istanza abbia sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE, ma solo se – e nei limiti in cui – la CGUE così adita si sia espressa nel senso della effettiva difformità di quel giudicato dal diritto UE.
Gli indirizzi interpretativi appena ricordati convergono sulla finalità sostanziale di uniforme adeguamento della decisione nazionale sulla giurisdizione al diritto UE ogniqualvolta quella decisione incida – come nel caso del trattamento concorsuale dell’insolvenza – su una materia rilevante per il diritto unionale; ma al di là di questo obiettivo (cioè quando non si ponga alcun problema di adeguamento né di uniformità, risultando il giudicato sub iudice già in linea con il diritto UE) non vi sono ragioni per non riaffermare la piena operatività della disciplina processuale nazionale che a tale giudicato sulla giurisdizione attribuisca natura vincolante e preclusiva.
Conclusione, questa, che a maggior ragione si impone in considerazione del fatto che la stabilità e l’intangibilità del giudicato, come osservato nell’ordinanza di rimessione, costituiscono un valore, quanto a certezza-stabilità dei rapporti giuridici e buona amministrazione della giustizia, anche per l’ordinamento giuridico dell’Unione, come riconosciuto dalla giurisprudenza CGUE che ha ripetutamente affermato come il diritto UE non imponga ad un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato ad una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una situazione nazionale contrastante con detto diritto (v., in tal senso, sentt. Eco Swiss, C-126/97, §§ 46 e 47; Kapferer, C-234/04, §§ 20 e 21; Fallimento Olimpiclub, C-2/08, §§ 22 e 23; Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, §§ da 35 a 37, nonché Commissione/Slovacchia, C-507/08, §§ 59 e 60; Impresa Pizzarotti spa C-213/13; ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, C-352/09P, § 123).
Dunque, appurato che ciò che esautora il giudicato sulla giurisdizione non è il fatto in sé della sua devoluzione all’esame pregiudiziale della CGUE da parte del giudice nazionale non di ultima istanza, ma soltanto la pronuncia della CGUE dalla quale si evinca l’effettivo e materiale contrasto del giudicato stesso con il diritto UE, occorre valutare se, nella concretezza del caso, questo contrasto sia ravvisabile oppure no.
Il che richiede un raffronto sostanziale e contenutistico tra i principi espressi dalla CGUE nella citata ord. 24 maggio 2016 (C-353/15) e quanto deciso dalle Sezioni unite con l’ordinanza regolatoria n. 10823/14; ciò con specifico riferimento all’interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 3, § 1, reg. CE n. 1346/2000, qui applicabile ratione temporis, secondo cui: “Competenza internazionale. 1. Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria“.
§ 5.2.1. Come si è anticipato, la CGUE è stata investita dalla Corte di appello di Bari di due correlati quesiti che è utile qui nuovamente trascrivere:
“a) se in assenza di dipendenze in altro Stato membro, la presunzione di cui al paragrafo 1 ultima parte e paragrafo 2 dell’articolo 3 del regolamento può essere superata da chi contesti la giurisdizione, con prova che il centro degli interessi principali si trova in Stato diverso da quello in cui ha sede l’impresa societaria;
b) in caso di risposta positiva al quesito che precede, se la prova può essere tratta da altra presunzione, e cioè dalla valutazione di elementi indiziari dai quali possa ritenersi arguibile sul piano logico-deduttivo che il centro degli interessi principali si trova in altro Stato membro“.
Si tratta di dubbi interpretativi mirati:
– sulla superabilità della presunzione regolamentare (coincidenza del centro degli interessi principali con la sede statutaria) pur in assenza di dipendenza in altro Stato membro;
– (in caso di risposta affermativa) sulla superabilità di questa presunzione in forza di altra presunzione o fonte indiziaria.
Orbene, la CGUE ha statuito che: “L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, dev’essere interpretato nel senso che, qualora la sede statutaria di una società sia stata trasferita da uno Stato membro ad un altro Stato membro, il giudice investito, successivamente a detto trasferimento, di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza nello Stato membro di origine può escludere la presunzione secondo la quale il ‘centro degli interessi principali’ di tale società è situato nel luogo della nuova sede statutaria e ritenere che il centro di tali interessi rimanga, alla data in cui esso è stato adito, in tale Stato membro di origine, benché tale società non abbia più in quest’ultimo Stato alcuna dipendenza, solo se da altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi si evince che, tuttavia, il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché la gestione dei suoi interessi, continua a trovarsi in tale Stato a tale data“.
Quindi il fatto che la società non abbia mantenuto nello Stato di origine una dipendenza depone per il non superamento della presunzione di coincidenza del centro degli interessi principali con la sede statutaria posta in altro Stato membro, e tuttavia questa conclusione non ha carattere assoluto e tassativo, potendo essere sovvertita (pur in assenza di dipendenza) “se da altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi si evince che, tuttavia, il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché la gestione dei suoi interessi, continua a trovarsi in tale Stato a tale data“.
Questa conclusione (con la quale la CGUE risponde positivamente ad entrambi i quesiti postile dalla Corte di appello) si basa su un articolato ragionamento, ampiamente recettivo di indirizzi pregressi relativi al caso di trasferimento di sede della società debitrice prima della richiesta di apertura di una procedura primaria di insolvenza, secondo cui:
– (§ 33) per “centro degli interessi principali” deve intendersi, ex art. 13 reg. cit., “il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi”, ed esso “deve essere individuato in base a criteri al tempo stesso obiettivi e verificabili dai terzi. (…)“;
– (§ 35) la presunzione (semplice) a favore della sede statutaria “può tuttavia essere superata se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria (sentenze del 2 maggio 2006, Eurofood IFSC, C-341/04, EU:C:2006:281, punto 34; del 20 ottobre 2011, Interedil, C-396/09, EU:C:2011:671, punto 51, e del 15 dicembre 2011, Rastelli Davide e C., C-191/10, EU:C:2011:838, punto 35)“;
– (§ 37) “la presenza di una dipendenza in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria della società di cui trattasi, che costituisce un elemento obiettivo e riconoscibile dai terzi, dev’essere presa in considerazione per valutare se occorra escludere la presunzione prevista dall’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1346/2000, ma non è sufficiente a dimostrare che il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in quest’altro Stato membro, potendo tale conclusione risultare unicamente da una valutazione globale di tutti gli elementi inerenti alla situazione esaminata“;
– (§ 38) “Se ne deduce che, eventualmente, l’assenza di dipendenze nello Stato membro diverso da quello della sede statutaria della società di cui trattasi dev’essere altresì presa in considerazione nell’ambito di una siffatta valutazione globale, atteso che tale elemento depone invece a sfavore della collocazione del centro degli interessi principali in tale Stato membro. Non può tuttavia escludersi, in un caso del genere, che la valutazione globale di tutti gli elementi propri della situazione esaminata porti alla conclusione che il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché della gestione dei suoi interessi, sia nondimeno situato in tale Stato membro“;
– (§ 40) questa presunzione “(…) può essere superata solo se viene fornita la prova che il centro di tali interessi non ha seguito il cambiamento di sede statutaria (v., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2011, Interedil, C-396/09, EU:C:2011:671, punto 56). Ciò si verifica se, benché tale società non abbia più dipendenze nello Stato membro di origine alla data della proposizione di detta domanda, da altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi si evince che, tuttavia, il centro effettivo di direzione e di controllo di detta società, nonché la gestione dei suoi interessi, continua a trovarsi in tale Stato a tale data“.
Emerge dunque chiaramente come (ferme tanto la presunzione regolamentare quanto la nozione unitaria, perché sovranazionale, di “centro degli interessi principali“) spettasse al giudice nazionale di operare una “valutazione globale di tutti gli elementi propri della situazione esaminata” al fine di verificare, attraverso “elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi“, l’eventuale permanenza in Italia – pur in assenza di dipendenza – del centro degli interessi principali della società debitrice.
§ 5.2.2. Le Sezioni unite, con l’ordinanza del 16 maggio 2014, decidevano il regolamento preventivo nel senso della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, dal momento che la presunzione regolamentare di corrispondenza tra la sede statutaria dell’impresa e l’ubicazione del centro degli interessi principali della società debitrice doveva qui “dirsi superata, non essendosi mai effettivamente radicato in Bulgaria il centro degli interessi principali della Leomobili“.
Si osservava, più in dettaglio, che:
– (in diritto) “contrariamente a quanto sembra adombrato in alcuni passaggi del ricorso, la suddetta presunzione non ha però carattere assoluto, come inequivocabilmente si desume dal chiaro testo della norma, che ammette la possibilità di fornire prova contraria alla coincidenza tra sede statutaria e sede effettiva (il centro degli interessi principali del debitore) della persona giuridica (cfr. anche tra le altre, in tal senso, Sez. un., n. 9414/2013); ben consolidata è in proposito anche la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ancora da ultimo ha ribadito che, qualora gli organi direttivi e di controllo di una società si trovino presso la sua sede statutaria e qualora le decisioni di gestione di tale società siano assunte, in maniera riconoscibile dai terzi, in tale luogo, la presunzione introdotta dalla citata disposizione del regolamento non è superabile, mentre se il luogo dell’amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di attivi sociali nonché l’esistenza di contratti relativi alla loro gestione finanziaria in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerate elementi sufficienti a superare tale presunzione, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in tale altro Stato membro (CGUE 20 ottobre 2011, n. 396/09)“;
– (in fatto): “(…) decisiva, a tal riguardo, è non tanto la perdurante nazionalità italiana dei componenti la compagine sociale, quanto soprattutto la circostanza (risultante dalla relazione della Guardia di Finanza, nonché da atti prodotti dalla stessa ricorrente) che, dopo il formale trasferimento in Bulgaria della sede della società, sia stata rilasciata alla già menzionata sig.ra —, cittadina italiana da sempre residente in Italia (avente legami personali con la famiglia Leone, cui fa capo la Leonmobili, e rapporti societari con altra società avente sede in Bari nei medesimi locali ove era ubicata la stessa Leonmobili), una procura generale ad operare in nome e per conto della Leonmobili con un raggio d’azione e con poteri così ampi da consentire a detta sig.ra Monno di comportarsi di fatto come il vero e proprio gestore dell’impresa; (…) l’affermazione di parte ricorrente, la quale tende a sminuire la valenza significativa di tale procura, giustificandola con la necessità di lasciare comunque sul suolo italiano un rappresentante in grado di ultimare la liquidazione delle pendenze della società in Italia, è smentita dal tenore della procura stessa, che ha portata generale ed attribuisce alla sig.ra — poteri di rappresentare la società ‘sia nel paese che all’estero, in relazione all’amministrazione ed alla gestione della società’; (…) va anche considerata la vendita dei beni immobili della società, per un prezzo assai inferiore al valore iscritto in bilancio, in favore di altra società amministrata dall’ex legale rappresentante della stessa Leonmobili, e l’assenza di qualsiasi atto da cui possa desumersi l’avvenuto trasferimento all’estero degli impianti e dei macchinari mediante i quali la società svolgeva in ambito nazionale la propria attività caratteristica; (…) in Bulgaria è unicamente documentato il compimento formale da parte della Leonmobili di attività prodromiche all’eventuale esercizio d’impresa, ed in particolare la locazione di un immobile di dimensioni relativamente modeste e delle attrezzature ivi esistenti, ma non è stata fornita alcuna evidenza, come pure sarebbe stato assai agevole fare, mediante la produzione di contratti, fatture e simili, dello svolgimento di una qualsivoglia attività industriale o commerciale coerente con il dichiarato oggetto sociale; (…) dall’insieme di tali circostanze è ragionevole trarre la conclusione che, se per un verso l’incombente stato di crisi può avere indotto la Leonmobili a cessare la sua attività imprenditoriale (o eventualmente a far sì che essa sia proseguita da soggetti societari diversi) ponendo in essere operazioni sostanzialmente liquidatorie della propria azienda in Italia, nessun reale spostamento dell’attività aziendale in Bulgaria è avvenuto, onde il formale trasferimento in quello Stato della sede sociale presenta carattere meramente fittizio (presumibilmente strumentale ad evitare o ritardare la dichiarazione di fallimento in Italia) senza che vi corrisponda l’effettivo radicamento in Bulgaria del centro principale degli interessi della società; (…) le circostanze dianzi sottolineate appaiono idonee a consentire il superamento della più volte richiamata presunzione di corrispondenza tra sede statutaria e sede effettiva della società debitrice, a norma dell’art. 3, paragrafo 1, del regolamento CE 29 maggio 2000 n. 1346/2000, trattandosi di circostanze esteriori agevolmente percepibili da qualsiasi terzo, e perciò anche dai creditori, ed avendo già la CGUE chiarito che, in simili situazioni, occorre privilegiare il luogo dell’ultimo centro degli interessi principali esistente al momento della cessazione di ogni attività dell’impresa (CG 20 ottobre 2011, n. 396/09, cit.) (…)“.
In definitiva, l’affermazione della giurisdizione del giudice italiano è dipesa dall’applicazione di principi giuridici in linea con gli indirizzi CGUE quanto a nozione di centro degli interessi principali, a carattere relativo (dunque superabile) della presunzione regolamentare, a superamento di tale presunzione (pur in assenza di dipendenza) in ragione della “valutazione globale di tutti gli elementi propri della situazione esaminata”, ed attraverso l’enucleazione (dalle Sezioni unite operata in qualità di giudice, in sede di regolamento di giurisdizione, anche del fatto) di “elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi”.
Si tratta di principi di cui la Corte di appello ha sollecitato la riedizione ma che, in realtà, erano già stati ampiamente recepiti dalle stesse decisioni citate dalla CGUE nell’ordinanza resa in questo processo e, tra queste, da CGUE 20 ottobre 2011, C-396/09, Fall. Interedil, più volte anche testualmente richiamata nell’ordinanza regolatoria delle Sezioni unite.
§ 5.3. In questo contesto, la qui impugnata sentenza della Corte di appello si è limitata, per un verso, a sinteticamente ricostruire la decisione della CGUE da essa adita e, per altro, ad affermare che:
– (pag. 3) “ne deriva che, nel caso in rassegna, alcuna preclusione sussiste per il giudice del reclamo circa l’esame del merito della questione di giurisdizione“;
– (pag. 5) “preso atto del decisum della CGUE, si tratta di verificare se il centro effettivo di direzione e di controllo della Leonmobili s.r.l., nonché il luogo della gestione dei suoi interessi, continuava a trovarsi in Italia al momento dell’instaurazione del procedimento fallimentare. Dai documenti acquisiti risultano le seguenti circostanze (…)“.
Il giudice territoriale, su queste premesse, ha quindi dato corso ad una nuova ed autonoma valutazione fattuale e probatoria del quadro istruttorio (giungendo a collocare in Bulgaria il centro effettivo di direzione e controllo della società), come se una valutazione originaria non fosse già stata compiuta in sede di regolamento, e come se la sollecitata pronuncia della CGUE fosse di per sé (cioè indipendentemente dal suo tenore) idonea ad aprire una fase rescissoria di giudizio.
Ciò, in particolare:
– senza farsi carico della valutazione di conformità-difformità del giudicato sulla giurisdizione rispetto ai criteri offerti dalla CGUE adita;
– senza spiegare perché, pur in presenza di accertata conformità al diritto UE, il giudice di rinvio si ritenesse non vincolato dalla statuizione interna sulla giurisdizione ed in dovere di riconsiderare ex novo l’intera vicenda;
– senza operare alcun distinguo tra il potere (incontroverso) di investire la CGUE, pur a fronte del vincolo interno ex art. 382 c.p.c., e quello di operare questa globale riconsiderazione all’esito di una pronuncia CGUE confermativa della compatibilità UE del giudicato interno disatteso;
– senza rilevare che la nuova disamina della situazione fattuale ai fini della giurisdizione esulava dai quesiti posti alla CGUE dalla stessa Corte di appello, estranei tanto alla nozione di centro degli interessi principali, quanto alla utilizzabilità probatoria degli specifici elementi a tal fine dedotti in giudizio e già valutati ex art. 41 c.p.c.
La disamina delle ragioni che hanno convinto la Corte di appello a negare la giurisdizione nazionale ed a revocare, ex art. 18 l. fall., la sentenza dichiarativa rende eclatante la violazione dell’art. 382 c.p.c.
Come detto, la Corte di appello ha rinnovato il giudizio fattuale concludendo nel senso che la Leonmobili s.r.l. avesse in Bulgaria, e non in Italia, il centro effettivo di direzione e controllo, nonché il luogo di gestione dei suoi interessi, come desumibile da vari e convergenti elementi istruttori, così individuati: cambio di sede e di amministratore in Sofia; conclusione in questa città di un contratto di locazione di un immobile con relativi macchinari ed attrezzature di falegnameria; attivazione di un conto corrente e di un’utenza telefonica in Bulgaria; assenza di dipendenze in Italia, stante la chiusura dell’opificio e la vendita degli immobili e delle attrezzature già qui collocate; irrilevanza indiziaria del rilascio della procura generale ad una cittadina italiana (—) “sia perché il rilascio della procura potrebbe essere giustificato dalle numerose pendenze tuttora esistenti in Italia, sia soprattutto perché il rilascio della procura non comporta il trasferimento al procuratore dei poteri propri dell’amministratore che, pertanto, restano di pertinenza della nuova amministratrice, cittadina bulgara”.
Si tratta, all’evidenza, di valutazioni ed accertamenti esattamente antitetici a quelli posti a base del giudicato (le Sezioni unite ebbero infatti a reputare solo formali e prodromici gli atti operativi compiuti in Sofia; ampia e sostanzialmente riconducibile alla pienezza del potere gestorio anche in Italia, e non solo in ambito processuale, la procura generale rilasciata alla —) e come tali preclusi.
§ 6. Ne segue pertanto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale del Fallimento e del primo motivo del ricorso incidentale di Fida s.r.l., la cassazione della sentenza impugnata in forza del seguente principio di diritto: a seguito di statuizione sulla giurisdizione da parte della S.C. adita in sede di regolamento, il giudice nazionale non di ultima istanza avanti al quale il processo prosegua è ammesso a sollevare questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE avanti alla Corte di giustizia qualora dubiti della conformità di questa statuizione al diritto UE; in tal caso, la vincolatività della statuizione interna sulla giurisdizione viene meno soltanto all’esito della decisione della Corte di giustizia dalla quale si evinca l’effettiva contrarietà di questa statuizione al diritto UE, e nei limiti della contrarietà così emergente.
Gli altri motivi del ricorso principale e dei ricorsi incidentali (diretti e condizionati) sono assorbiti: vuoi perché inerenti alla stessa questione di giurisdizione da ritenersi ormai definit[iv]amente risolta, vuoi perché concernenti doglianze (queste riproponibili avanti al giudice di rinvio) non esaminate nella sentenza impugnata perché ritenute assorbite dall’accoglimento del reclamo ex art. 18 l. fall. in punto giurisdizione.
Il processo va dunque rinviato alla Corte di appello di Bari la quale, in diversa composizione, eserciterà la giurisdizione che le compete, decidendo anche sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale del Fallimento Leonmobili s.r.l., nonché il primo motivo del ricorso incidentale di Fida s.r.l., assorbiti i restanti motivi tanto del ricorso principale quanto dei ricorsi incidentali tutti;
– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 05 novembre 2021, n. 32113, per SS.UU, 04 aprile 2022, n. 10860, in tema di rinvio pregiudiziale
SS.UU, 04 aprile 2022, n. 10860, in tema di rinvio pregiudiziale
Nota dell’Avv. Valentina Petruzziello
La vincolatività della statuizione interna sulla giurisdizione viene meno in seguito alla decisione della Corte di Giustizia sulla contrarietà della decisione al diritto UE
1. Il principio di diritto
A seguito di statuizione sulla giurisdizione da parte della Corte Suprema di Cassazione adita in sede di regolamento, il giudice nazionale non di ultima istanza, avanti al quale il processo prosegua, è ammesso a sollevare questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE dinanzi alla Corte di Giustizia, qualora dubiti della conformità al diritto UE.
In tal caso, la vincolatività della statuizione interna sulla giurisdizione viene meno soltanto all’esito della decisione della Corte di Giustizia, dalla quale si evinca l’effettiva contrarietà della decisione al diritto UE, e nei limiti della contrarietà così emergente.
2. La questione di massima di particolare importanza
Con l’ordinanza interlocutoria è stata posta la questione relativa alla possibilità per il giudice di merito di riesaminare una questione di giurisdizione definita dalla Corte Suprema di Cassazione in sede di regolamento preventivo, a seguito di una pronuncia della Corte di Giustizia Europea, adottata in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 TFUE, che, nel fornire l’interpretazione della norma comunitaria che disciplina il riparto di giurisdizione tra i giudici degli Stati membri, abbia ribadito i principi precedentemente enunciati e già applicati dal giudice di legittimità.
Le Sezioni Unite, riprendendo un fermo indirizzo della Corte di Giustizia (sent. 20.10.2011 in causa C-396/09, Fall. Interedil) ribadiscono che il giudice nazionale che non decida in ultima istanza deve essere libero, se ritiene che la valutazione in diritto formulata dall’istanza superiore possa condurlo ad emettere un giudizio contrario al diritto UE, di sottoporre al giudice comunitario le questioni con cui deve confrontarsi.
Tale principio può subire restrizioni per effetto di controlimiti di natura costituzionale ovvero laddove si ponga esso stesso in diretto conflitto con la Costituzione.
3. Conseguenze operative
Da un lato non sussiste alcuna sottrazione di poteri al giudice italiano in ragione del potere sovraordinato della Corte di Giustizia e, dall’altro lato, rivestendo la pronuncia sulla giurisdizione carattere meramente processuale e non di merito, resta comunque salva, per la parte, la possibilità di far valere le proprie ragioni innanzi alla giurisdizione competente, senza che risulti violato il principio secondo cui, una volta conclusosi il processo con una sentenza di merito, non possa più essere messo in discussione il diritto della parte che ha avuto il definitivo riconoscimento delle proprie ragioni.
Quanto, poi, al diverso e successivo aspetto della potestà del giudice del rinvio di discostarsi dal giudicato interno, una volta che, all'esito della decisione della CGUE, questo risulti conforme al diritto UE, è certamente da escludersi una siffatta facoltà, sulla considerazione logico-sistematica che il vincolo rinveniente dal giudicato sulla giurisdizione non viene meno per il solo fatto che il giudice nazionale non di ultima istanza abbia sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE, ma solo se la CGUE così adita si sia espressa nel senso della effettiva difformità di quel giudicato dal diritto UE.
In altre parole, ribadita la finalità sostanziale di uniforme adeguamento della decisione nazionale sulla giurisdizione al diritto UE ogniqualvolta quella statuizione incida su una materia rilevante per il diritto unionale, ciò che esautora il giudicato sulla giurisdizione non è la devoluzione all’esame pregiudiziale della CGUE da parte del giudice nazionale non di ultima istanza, ma soltanto la pronuncia della CGUE dalla quale si evinca l’effettivo e materiale contrasto del giudicato stesso con il diritto comunitario.