Civile Sent. Sez. U Num. 19103 Anno 2023
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: IOFRIDA GIULIA
Data pubblicazione: 06/07/2023
SENTENZA
sul ricorso 25533-2020 proposto da:
FUCCILO MARISA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA PAGANICA, 13, presso lo studio dell’avvocato FABIO FRANCARIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFONSO CELOTTO;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI POTENZA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA CORRIAS LUCENTE, rappresentato e difeso dall’avvocato ORAZIO ABBAMONTE;
– controricorrente –
nonchè contro
TRAFICANTE DONATO, DI CIOMMO GERARDO, LOPES RAFFAELE, elettivamente domiciliati in Roma, Via Giovanni Pierluigi da Palestrina n. 19, presso lo studio dell’avvocato Olga Guglielmucci, rappresentati e difesi dall’avvocato Donato Traficante;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3040/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 13/05/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale STEFANO VISONA’ che, riportandosi alle conclusioni scritte, ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Fabio Francario e Donato Traficante.
FATTI DI CAUSA
Il Consiglio di Stato, con sentenza n.3040/2020, pubblicata il 13/5/2020, ha respinto il gravame proposto dall’avv. Marisa Fuccilo avverso sentenza del TAR Basilicata n.331/2019, con la quale, nel giudizio promosso dall’avvocato medesimo, nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza e dei componenti avvocati del COA territoriale che le aveva irrogato, nel procedimento disciplinare aperto nei suoi riguardi, in data 3/7/2014 , la sanzione della radiazione, per sentirne ottenere la condanna al risarcimento del danno, ha respinto il ricorso per difetto dell’essenziale presupposto dell’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di radiazione.
In particolare, risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti, che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Melfi (COA) comminava all’ avv. Marisa Fuccilo la sanzione disciplinare della radiazione, confermata a seguito di ricorso dell’interessata al Consiglio Nazionale Forense, per avere trattenuto indebitamente la somma di € 98.496,39, destinata alla sua cliente sig.ra Carmela Pace, versandole la minor somma di € 103.957,00, a fronte della somma di € 197.953,39 percepita dalla compagnia di assicurazione in forza di una sentenza del Tribunale di Bari, all’esito di una causa per risarcimento danni promossa dal padre, nelle more deceduto.
Il ricorso per cassazione proposto dall’interessata in quattro motivi, avverso sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 2016 (che aveva confermato la sanzione disciplinare), veniva accolto, con sentenza di questa Corte a Sezioni Unte n. 16694 del 6/7/2017, in relazione al quarto motivo di ricorso, implicante vizio motivazionale ex art.360 n. 5 c.p.c., sulla congruità della motivazione circa la scelta della sanzione della radiazione applicata dal COA territoriale (in quanto la Fuccilo: «a) ha trattenuto presso di se ingenti somme di pertinenza della cliente, omettendo di restituirle alla cliente che ne faceva richiesta; b) si è impegnata di fronte al Consiglio dell’ordine in sede disciplinare alla restituzione (quantomeno parziale) di quanto percepito, senza poi adempiere, invocando una malattia (della durata di 10 giorni) ed iniziando invece in pari tempo una causa di accertamento sull’effettiva debenza della somma avanti il tribunale di Bari; c) ha investito le somme in un buono di risparmio a se intestato, sottoponendole un vincolo di indisponibilità sino al 25/4/2016, allorché l’esponente, resasi conto che non vi sarebbe stata spontanea restituzione, ha minacciato un’azione cautelare a propria tutela; d) ha moltiplicato le iniziative giudiziarie al fine di paralizzare le richieste dell’esponente»; così attuando «un sistematico disegno volto ad eludere il proprio obbligo di restituzione, in piena violazione, anzi tradendo il rapporto fiduciario con la cliente»). Queste Sezioni Unite hanno rilevato che il CNF aveva omesso di valutare, ai fini della considerazione della gravità della condotta, la sussistenza o meno dell’appropriazione indebita aggravata, anche in considerazione della circostanza che la professionista non è stata sottoposta a procedimento penale per i fatti contestati in sede disciplinare, non essendosi valutato, nella scelta della sanzione, il pignoramento della somma in contestazione presso terzi, reso possibile dal mancato occultamento della somma da parte dell’avv. Fuccilo, la quale aveva dichiarato dove si trovava il denaro. La sentenza impugnata venne quindi cassata con rinvio, rilevandosi che i suddetti fatti storici avrebbero dovuto essere esaminati dal CNF ai fini della scelta della sanzione disciplinare da comminare.
La Fuccilo veniva reiscritta nell’albo degli avvocati di Potenza, con decorrenza dal 14/7/2017.
All’esito della pronuncia della Corte di cassazione, nessuna delle parti ha riassunto il giudizio in sede di rinvio con sua conseguente estinzione ai sensi dell’articolo 393 c.p.c.
Spirato il termine per la riassunzione, la Fuccilo ha introdotto, con ricorso del 1° marzo 2018, davanti al TAR per la Basilicata, un giudizio, nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza – succeduto ex lege all’Ordine degli Avvocati di Melfi – notificando il ricorso anche agli avvocati Traficante, Lopes e Di Ciommo, individuati come controinteressati in quanto già componenti dell’Ordine degli Avvocati di Melfi -, per il risarcimento dei danni patiti a causa dell’ingiusto provvedimento di radiazione, danni quantificati in € 412.500.00.
Il Tribunale ha respinto «nel merito» il ricorso, prescindendo dall’esame delle eccezioni preliminari di inammissibilità (anche per tardività) dell’azione risarcitoria «del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amminstrativa», sollevate dai controricorrenti, rilevando che: a) ai sensi dell’art.30 c.p.a., la domanda di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa presuppone l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento che si assume lesivo, vale a dire il provvedimento di radiazione, e, nella specie, in disparte ogni valutazione circa la sussistenza degli altri requisiti prescritti dall’art.2043 c.cc., difetta tale essenziale presupposto; b) la mancata riassunzione del giudizio all’esito della sentenza n. 16694/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha determinato l’estinzione del processo relativo all’impugnazione del provvedimento di radiazione, con caducazione della sola decisione, di natura giurisdizionale, del CNF n. 327/2016, di rigetto del ricorso avverso il provvedimento disciplinare, che invece, essendo una mera determinazione amministrativa, non risulta essere stato travolto; c) di nessun rilievo l’avvenuta reiscrizione della ricorrente nell’albo professionale, avvenuta in ragione della pronuncia cassatoria e della «pendenza del giudizio di rinvio dinanzi al CNF», prima della maturazione della fattispecie di estinzione processuale, cosicché da essa non può trarsi alcun riconoscimento della illegittimità dell’avversata radiazione; d) non è consentito al giudice amministrativo adito, neppure incidenter tantum ai soli fini risarcitori, conoscere dell’illegittimità del provvedimento disciplinare, «considerata l’assoluta carenza di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia disciplinare degli avvocati (cfr., artt.50, comma 3, e 54 n. 2 Regio D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art.61 l. 31 dicembre 2012, n. 247)»
Il Consiglio di Stato, nel confermare il rigetto del ricorso della Fuccilo, ha osservato, in particolare, che: a) in primo luogo, andava condivisa la valutazione del TAR secondo cui il provvedimento di radiazione non poteva dirsi «travolto dall’estinzione del relativo processo impugnatorio instaurato davanti al CNF» (pag. 5 della sentenza impugnata), con sua conseguente perdurante efficacia; il Consiglio di Stato, nel fare proprio tale giudizio, ha rilevato che la ricorrente si era limitata ad affermare che «la sentenza del CNF “assorbe e sostituisce nel merito la precedente pronuncia amministrativa”» e ha sottolineato come la sentenza delle Sezioni Unite si fosse limitata a cassare con rinvio la sentenza del CNF che aveva rigettato l’impugnazione del provvedimento di radiazione, il che «implicava un nuovo giudizio (subordinato a impulso di parte) su una determinazione ancora vitale ed efficace»; b) in secondo luogo, a fronte della deduzione, da parte dell’appellante circa il fatto, asseritamente omesso dal TAR, che le Sezioni Unite nel 2017 avessero «escluso la possibilità di comminare la sanzione massima della radiazione», nella specie, non era intervenuta (richiamato il disposto del comma 5 dell’art.30 c.p.a., secondo cui «5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza») alcuna pronuncia di «annullamento del provvedimento di radiazione», non essendo stato il giudizio riassunto dinanzi al CNF; c) il giudice amministrativo, non avendo giurisdizione nella materia disciplinare degli avvocati, non potrebbe – «come correttamente evidenziato in prime cure con statuizione non oggetto di specifica contestazione»- conoscere della legittimità del menzionato provvedimento di radiazione, nemmeno in via incidentale; d) nessuna valenza univoca di riconoscimento dell’illegittimità della radiazione poteva attribuirsi alla temporanea reiscrizione dell’interessata all’Albo professionale (peraltro, dopo l’estinzione del giudizio, il Consiglio dell’ordine ha revocato, nel 2020, la reiscrizione previamente disposta).
Avverso la suddetta pronuncia, Marisa Fuccilo propone ricorso per cassazione, notificato il 12/10/2020, affidato a unico motivo, nei confronti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza (che resiste con controricorso, notificato il 21/11/2020) e degli avvocati Donato Traficante, Gerardo Di Ciommo e Raffaele Lopes (che resistono con controricorso notificato il 19/11/2020).
Il P.G., in vista dell’adunanza camerale del 12/7/2022, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata; il P.G. ha osservato che non meriterebbero accoglimento le eccezioni sollevate dai controricorrenti Traficante, Di Ciommo e Lopes, di decadenza per non essere stata l’azione promossa entro centoventi gg dalla conoscenza del provvedimento amministrativo, ex art.30 c.p.a., in quanto la sentenza impugnata ha respinto la domanda risarcitoria in base all’affermazione «in astratto della carenza di giurisdizione», e dal CNF, di inammissibilità della domanda, ha osservato che la sentenza del Consiglio di Stato, sindacabile ai sensi dell’art.111, comma 8, Cost., in quanto, nella specie, vi sarebbe stato un diniego di giurisdizione, sull’assunto della pregiudizialità dell’annullamento del provvedimento amministrativo ai fini dell’esperimento della tutela risarcitoria, pregiudizialità invece esclusa da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 13659/2006, stante l’autonomia della domanda risarcitoria rispetto all’annullamento dell’atto, principio codificato dall’art.30 c.p.a., d.lgs. 104/2010.
La ricorrente ha depositato due memorie, nel novembre 2021 e nel luglio 2022.
Con ordinanza interlocutoria n. 3599/2023, resa all’esito dell’adunanza del 12/7/2022 , questa Corte, alla luce del complesso delle questioni involte dal ricorso, ha ritenuto opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza, poi fissata per il 20/6/2023. La ricorrente ha depositato istanza di discussione orale.
Il P.G. ha depositato in data 29/5/23 nuova memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ed i controricorrenti Traficante, Lopes e Di Ciommo hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1.La ricorrente lamenta, con unico articolato motivo, la violazione, ex at.360 n. 1 .p.c., degli artt.111comma 8 , Cost. e 110 c.p.a., per rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo adito.
Con un primo profilo di doglianza, la ricorrente argomenta che il Consiglio di Stato avrebbe errato nel non rilevare che le Sezioni Unite avevano ritenuto illegittimo il provvedimento di radiazione, in tal modo violando l’articolo 393 c.p.c., laddove dispone che «la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che si è instaurato con la riproposizione della domanda».
Sotto ulteriore profilo, la Fuccilo sostiene che, nella specie, ricorrerebbe una ipotesi di «arretramento dalla giurisdizione», per avere il Consiglio di Stato sostanzialmente negato, in via assoluta, la tutela giurisdizionale alla ricorrente, rifiutando di esercitare la giurisdizione sulla domanda risarcitoria, in difetto di previo annullamento dell’atto amministrativo, e il correlato potere di disapplicazione, e così riproposto «la teorizzazione della necessaria pregiudizialità dell’annullamento rispetto all’azione risarcitoria, della quale viene quindi nuovamente negata l’autonomia» (pag. 9, § 2, del ricorso). La ricorrente invoca il principio, affermato da queste Sezioni Unite con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del 2006, e ripreso da Sez.Un. n. 30254/2008, secondo cui «Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione, e la sua decisione, a norma dell’art. 362, primo comma, cod. proc. civ., si presta a cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l’esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti».
La ricorrente, nella memoria da ultimo depositata, si sofferma (in replica alle conclusioni da ultimo formulate dal PG) sulla sussistenza di un interesse legittimo leso, quale posizione giuridica soggettiva che può essere fatta valere dal professionista di fronte ai Consigli Distrettuali, enti pubblici non economici le cui decisioni hanno natura amministrativa, rispetto al corretto esercizio dei relativi poteri, e della giurisdizione del giudice amministrativo, essendosi lamentato, con la proposta azione risarcitoria, l’illegittimo esercizio del potere disciplinare (per avere, in particolare, omesso di considerare fatti di primaria rilevanza, quali stigmatizzati da questa Corte nella sentenza n. 16694/2017, nonché dato per presupposto, erroneamente, un fatto inesistente, quale quello dell’appropriazione indebita cui soltanto poteva ricollegarsi la grave sanzione disciplinare irrogata); in sostanza, essendosi lamentata la sproprorzione della grave sanzione inflitta al professionista, si è fatta questione non della liceità della condotta di quest’ultimo ma di cattivo esercizio del potere, rientrante nella discrezionalità amministrativa, disciplinare, con giurisdizione conseguente del giudice amministrativo. La ricorrente rileva, peraltro, che sulla questione della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria si è formato il giudicato interno (non avendo il TAR Potenza negato la propria giurisdizione e non essendo stata la sentenza di primo grado impugnata in punto di giurisdizione. Quindi la ricorrente censura la statuizione del Consiglio di Stato per essere stata negata la tutela per mancata previa dichiarazione di illegittimità del provvedimento disciplinare da parte del Giudice speciale (CNF), malgrado il superamento del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa.
Assume la Fuccilo, facendo espresso richiamo alle sentenze n. 49/2011 e n. 160/2019 della Corte Costituzionale (citata nella ordinanza interlocutoria n. 3599/2023), che, malgrado non vi sia un’analoga previsione che, come accade per la giustizia sportiva, radichi la controversia nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve comunque essere «garantita una protezione giurisdizionale da parte del Giudice comune, che seppure non demolitoria sia quantomeno risarcitoria» e «qualunque sia il giudice individuato …quale avente giurisdizione sulla domanda risarcitoria conseguente all’adozione di un provvedimento disciplinare adottato nei confronti di un avvocato, questi potrà e dovrà eventualmente conoscere in via incidentale della legittimità dell’atto disciplinare, seppure ai soli fini risarcitori», equivalendo la tesi contraria a privare surrettiziamente il soggetto leso anche della residua tutela risarcitoria.
In via subordinata si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme che radicano la giurisdizione speciale del CNF, per violazione del fondamentale diritto di difesa e del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt.24,103,11 e 113 Cost.).
1.2.I controricorrenti Traficante, Lopes e Di Ciommo, anche in memoria, premesso di essere stati evocati in giudizio dinanzi al giudice amministrativo, soltanto in qualità di controinteressati, non essendo stata svolta nei loro riguardi alcuna domanda risarcitoria, ribadiscono che la questione della giurisdizione sulla domanda risarcitoria è ormai coperta dal giudicato interno, con conseguente inammissibilità di un controllo sul punto da parte delle Sezioni Unite, trattandosi di sindacato sui limiti interni della giurisdizione, pur dichiarando di aderire a quanto esposto, da ultimo, dal P.G., ai soli fini di chiarimento in funzione nomofilattica, circa la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda risarcitoria avanzata dall’avvocato in relazione al danno derivante da provvedimento disciplinare emesso nei suoi confronti. Gli stessi ribadiscono che non vi è stato un erroneo rifiuto della giurisdizione da parte del giudice amministrativo e che la sentenza, comunque, sarebbe inutiliter data, a causa delle preclusioni maturate, oggetto di specifiche eccezioni.
1.3. Il PG, nella memoria del maggio 2023 ed all’udienza pubblica, ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando che: a) il Consiglio di Stato, senza declinare la propria giurisdizione secondo le regole di riparto, ha ritenuto la propria carenza assoluta di giurisdizione nella materia disciplinare degli avvocati; b) in mancanza di previsione normativa derogatoria, il giudice munito della giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno derivante da procedimento disciplinare emesso nei confronti di un avvocato è il giudice ordinario (che ha il potere di sindacare e disapplicare l’atto amministrativo presupposto in ragione dell’art.5 l.20 marzo 1865 all.E, senza limiti determinati dall’inoppugnabilità) e con riferimento a provvedimenti disciplinari degli avvocati ovvero in materia di risarcimento danni derivanti dal provvedimento disciplinare che si assume illegittimo non è riconosciuto alcun potere giurisdizionale esclusivo in capo al giudice amministrativo; c) il giudice amministrativo privo di potere demolitorio, spettante al CO e al CNF, è, di conseguenza, privo del potere di cognizione incidentale di cui all’art.8 c.p.a.; d) non sussiste il vizio denunciato, ex art.111, comma 8, Cost., in ragione dell’effettiva carenza di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia disciplinare degli avvocati e non è sindacabile l’errore in cui è incorso il Consiglio di Stato, per avere ritenuto implicitamente la propria giurisdizione e dichiarato la carenza assoluta di giurisdizione nella materia disciplinare degli avvocati.
2. E’ utile un breve richiamo al contenuto della sentenza n. 16694/2017 e dell’ordinanza interlocutoria n. 3599/2023 di questa Corte.
Risulta dalla sentenza n. 16694/2017, che ha cassato la sentenza del CNF, dando luogo potenzialmente ad un giudizio di rinvio dinanzi a quest’ultimo, giudizio poi non sollecitato da alcuna delle parti, che questa Corte riteneva fondata la denuncia di un vizio motivazionale contenuta nel ricorso per cassazione avverso la sentenza del CNF, in punto di omessa valutazione di fatti decisivi nella valutazione della gravità della condotta contestata all’avvocatessa e della congruità della sanzione irrogata.
Come rilevato da questa Corte nell’ordinanza interlocutoria n. 3599/2023, anzitutto, il giudice amministrativo non ha declinato la giurisdizione di tale giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria dedotta in giudizio, avendo, al contrario, rigettando tale domanda anche nei confronti degli avvocati Traficante, Lopes e Di Ciommo, implicitamente ritenuto la propria giurisdizione non solo sulla domanda risarcitoria rivolta nei confronti del Consiglio dell’Ordine ma anche su quella rivolta nei confronti delle menzionate persone fisiche; sul punto, peraltro, è calato il giudicato interno, non essendo stata la sentenza del TAR appellata in punto di giurisdizione (tra le tante, da ultimo, Cass. SSUU 21972/2021); il giudice amministrativo, pur ritenendosi munito di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno da provvedimento disciplinare asseritamente illegittimo, si legge nell’ordinanza interlocutoria resa nel presente giudizio di legittimità, ha respinto tale domanda sull’assunto di non poter accertare «in via incidentale la sussistenza dei presupposti per procedere all’annullamento della sanzione, a prescindere dal giudizio del CNF, atteso che … nella materia disciplinare degli avvocati v’è assoluta carenza di giurisdizione del giudice amministrativo» (pag. 7 della sentenza impugnata).
Alla base del rigetto della domanda della Fuccilo da parte del Consiglio di Stato, in sostanza, non vi sarebbe l’assunto che la condanna al risarcimento del danno derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa postulerebbe, in termini generali, la previa caducazione del provvedimento asseritamente lesivo, bensì il rilievo che, nello specifico caso in cui l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa si sia sostanziato nell’emanazione di un provvedimento disciplinare a carico di un avvocato, la condanna risarcitoria, non preceduta dall’annullamento del provvedimento illegittimo, sarebbe preclusa dal rilievo che la giurisdizione sulla legittimità di tale provvedimento compete al CNF e non al giudice amministrativo.
Questa Corte, nell’ordinanza interlocutoria del 2023, ha quindi rammentato che la giurisdizione sui provvedimenti disciplinari relativi agli avvocati (che sono provvedimenti amministrativi e non pronunce giurisdizionali, cfr. SSUU n. 20843/3007, SSUU n. 11564/2011) appartiene per legge al CNF, giudice speciale istituito con l’art. 21 del D.Lgs. luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, tuttora operante, giusta la previsione della VI disposizione transitoria della Costituzione (cfr., tra le tante, Cass. SSUU n. 9097/2005 e, da ultimo, Cass. SSUU n. 9545/2021) e che le sentenze del CNF sono impugnabili soltanto per cassazione, davanti alle Sezioni Unite Civili, occorrendo, nella specie, approfondire «la questione se, ed in quali limiti, il principio che la tutela risarcitoria per i danni causati da provvedimenti illegittimi può essere offerta indipendentemente dal previo annullamento del provvedimento asseritamente lesivo operi anche nelle materie, quali la disciplina degli avvocati, in cui l’impugnativa del provvedimento amministrativo sia sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, per essere demandata dalla legge ad altro giudice (nella specie, il giudice speciale CNF)».
Si possono ipotizzare, secondo l’estensore della ordinanza interlocutoria, diverse ipotesi ricostruttive: a) il giudice amministrativo, avendo giurisdizione sulla tutela risarcitoria ma non su quella demolitoria, non può accordare la tutela risarcitoria se non previo annullamento del provvedimento disciplinare asseritamente lesivo; b) ovvero ritenere che, come sostenuto dalla difesa dell’odierna ricorrente, la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sulla tutela demolitoria non impedisca a tale giudice di conoscere della legittimità del provvedimento disciplinare asseritamente lesivo ai soli fini della pronuncia sulla domanda risarcitoria, sia se si riconosca, come sostenuto dal Consiglio di Stato nella sentenza impugnata, natura incidentale alla cognizione sulla legittimità del provvedimento disciplinare da parte del giudice della domanda risarcitoria (con possibile richiamo all’art.8 c.p.a.), sia se si riconosca a tale cognizione natura principale, potendo essere evocati i principi – di portata evidentemente generale – espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 49 del 2011 e 160 del 2019, in tema di rapporti tra giudice statale e giudice sportivo, secondo cui «il giudice amministrativo può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l’esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi ritenga di essere stato leso nelle sue posizioni soggettive, ivi comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno. A tali fini non opera infatti la riserva a favore della giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere» (così C. Cost. n. 160/2019, § 3.2.2., che ha enunciato tale principio in un contesto normativo che – con l’articolo 3 del decreto-legge 19 agosto 2003 n. 220, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280 – attribuisce al giudice amministrativo ogni controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo, eccezion fatta per le controversie, attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario, sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti).
A tale ultimo riguardo, si può rilevare che, sul tema, sono intervenute anche le Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno in più occasioni affermato che «In tema di sanzioni disciplinari sportive, vi è difetto assoluto di giurisdizione sulle controversie riguardanti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni, riservate, a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, agli organi di giustizia sportiva che le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l’onere di adire ai sensi del d.l. n. 220 del 2003 , conv. in legge n. 280 del 2003 , anche ove si invochi la tutela in forma specifica della rimozione della sanzione disciplinare, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1, lett. z), c.p.a., in ordine alla tutela risarcitoria per equivalente, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva e potendo il giudice amministrativo conoscere in via incidentale e indiretta delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale» (Cass., Sez. Un., n. 33536/2018; sul punto anche, Cass. , Sez. Un. , n. 32358/2018; Cass. Sez.Un. n. 12149/2021).
Va rilevato, però, che, nella materia della giustizia sportiva, vi è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art.133, lett.z), per «le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra societa’, associazioni e atleti».
Quindi, nella suddetta materia, ai sensi dell’art.2 l.280/2003 lett.a) e b), le questioni tecniche e disciplinari rimangono nell’ordinamento sportivo e sono soggette alla giurisdizione dei giudici sportivi, mentre il giudice statale amministrativo, in forza della giurisdizione esclusiva riconosciuta, conosce delle controversie che, seppure nascenti da sanzioni disciplinari, incidono sul godimento dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, quali la domanda di risarcimento del danno per equivalente, ma non ha il potere di statuire sull’annullamento del provvedimento sanzionatorio disciplinare (corte Cost. nn. 49/2011 e 160/2019), potendo soltanto procedere ad un accertamento incidentale dell’illegittimità del provvedimento stesso a fini risarcitori.
Nell’ambito delle sanzioni disciplinari agli avvocati, di cui in questo giudizio si controverte, vi è, invece, un giudice speciale statuale, diverso da quello amministrativo, deputato ad accertare l’illegittimità della sanzione.
Altra questione meritevole di approfondimento da parte di queste Sezioni Unite, in funzione nomofilattica, prospettata nell’ordinanza interlocutoria n. 3599/2023 – pur nel dubbio, palesato, se nel presente giudizio il tema della giurisdizione sulla domanda risarcitoria sia, come si prospetta nell’ordinanza, coperto dal giudicato interno – concerne i criteri di individuazione del giudice munito di giurisdizione sulla domanda di risarcimento dei danni causati da un provvedimento disciplinare, asseritamente illegittimo, adottato nei confronti di un avvocato, in quanto, escluso che la giurisdizione sulla tutela risarcitoria competa al CNF, al quale la legge attribuisce la giurisdizione solo sulla tutela demolitoria, «andrebbe approfondita la questione se la situazione soggettiva lesa da un provvedimento disciplinare illegittimo abbia natura di interesse legittimo o di diritto soggettivo», in quanto, in questo secondo caso, in assenza di una disposizione attributiva di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, la giurisdizione potrebbe ritenersi spettante al giudice ordinario (per l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento dei danni da provvedimento disciplinare in relazione al quale la tutela demolitoria sia rimessa dalla legge ad altro plesso giurisdizionale, Cass. SSUU n. 1415 del 2004: «La domanda proposta da un lavoratore autoferrotramviere intesa ad ottenere dall’azienda datrice di lavoro il risarcimento dei danni derivanti da una sanzione disciplinare, sul presupposto della illegittimità del relativo provvedimento di irrogazione, è sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo prevista dall’art. 58 r.d. n. 148 del 1931, all. A), ed appartiene alla cognizione del giudice ordinario, posto che in tale ipotesi l’accertamento di illegittimità dell’atto amministrativo è strumentalmente collegato alla tutela di un diritto soggettivo, mentre appartiene al merito della controversia ogni questione concernente la disapplicabilità del medesimo atto in via incidentale»).
3. Deve rilevarsi che, nel presente giudizio, si è formato un giudicato implicito sulla giurisdizione, nell’azione risarcitoria proposta, del giudice amministrativo, secondo le regole di riparto.
Ai sensi dell’art.9 c.p.a. («Il difetto di giurisdizione e’ rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione é rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione»), la mancata espressa impugnazione di una sentenza, contenente una statuizione, ancorché implicita, sulla giurisdizione, preclude al giudice del gravame di rilevare il difetto di giurisdizione, essendosi sul punto formato il giudicato interno.
Orbene, la decisione sul merito non può che presupporre la verifica positiva della sussistenza della giurisdizione, oggetto di una statuizione implicita.
Nella specie, il giudice amministrativo non ha negato di avere giurisdizione, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità (non vertendosi in ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla domanda risarcitoria, per lesione di interesse legittimo derivante dal provvedimento disciplinare adottato a carico dell’avvocato ricorrente, avendo respinto la domanda perché ritenuta infondata nel merito, affermando che – dovendo ritenersi l’azione risarcitoria proposta in via autonoma e non in via complementare e contestuale alla tutela impugnatoria dell’atto amministrativo, in difetto di una pronuncia «di annullamento del provvedimento» di radiazione del COA Potenza, essendosi estinto, per effetto della mancata riassunzione del giudizio di rinvio, ex art.393 c.pc., il processo impugnatorio avverso la sola decisione del CNF – il giudice amministrativo non avrebbe potuto, neppure in via incidentale, vagliare l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata, presupposto questo indefettibile della domanda di risarcimento del danno ingiusto, in quanto la giurisdizione è riservata al Consiglio Nazionale Forese quale giudice speciale .
Deve qui rilevarsi che, allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, in quanto tale questione è ormai coperta dal giudicato implicito, interno (cfr. Cass. Sez.UN. n. 21972/2021; Cass.Sez.Un. n.10359/2021; id.nn.25208 e 5587 del 2020). Rimane, altresì, precluso all’attore, rimasto soccombente nel merito, contestare la giurisdizione di quel giudice che egli stesso ha adito (v.Sez.Un. n.25367 del 2020; id.n. 21260 del 2016);
Sulla decadenza per mancato rispetto del termine di cui all’art.30 c.p.a. e tardività dell’azione risarcitoria, pur eccepita dai controricorrenti, il giudice amministrativo non si è pronunciato.
4. Va ricostruito, quindi, il quadro normativo e giurisprudenziale, sull’azione risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo.
4.1. La giurisdizione generale di legittimità.
La giurisdizione affermata, nel presente giudizio, dal giudice amministrativo, con giudicato implicito, è, non vertendosi, pacificamente, in ipotesi di giurisdizione esclusiva, quella generale di legittimità, di cui all’art.7, comma 4, c.p.a. («Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma»), nell’ambito della quale vengono in rilievo, di regola, le posizioni di interesse legittimo a fronte di fattispecie in cui la pubblica amministrazione agisce in via autoritativa, nell’esercizio di un potere pubblico.
Nei casi di giurisdizione di legittimità, la decisione sugli interessi legittimi può comportare (art.8 c.p.a.) la necessità di una pronuncia, in via incidentale, senza efficacia di giudicato, rispetto a diritti soggettivi, salvo le materie escluse di cui a 2° comma della stessa disposizione (questioni di stato, capacità delle persone ed incidenti di falso).
Nella specie, non si è invocata la tutela demolitoria (volta all’annullamento dell’atto illegittimo viziato per violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere), ma si è esercitata un’azione di condanna (al risarcimento dei danni), in via autonoma.
4.2. L’azione risarcitoria nel processo amministrativo.
La questione della pregiudizialità della domanda di annullamento dell’atto illegittimo rispetto all’azione di risarcimento del danno, già risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in favore della autonomia delle azioni e della proponibilità della domanda di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo anche in difetto di previa domanda di annullamento dell’atto lesivo (Cass. Sez.Un. ord. nn. 13659, 13660 e 13911 del 13.6.2006), è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo, all’art. 30.
Tale disposizione regolamenta ormai, in maniera unitaria, l’azione di condanna esperibile nel processo amministrativo (a) a tutela di interessi legittimi e (b) di diritti soggettivi (nei casi di giurisdizione esclusiva).
L’art.30 c.p.a., al comma 1°, stabilisce che «L’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma». L’art.7, al quarto comma, del pari, prevede che «Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».
Quindi, l’azione di condanna correlata a diritti soggettivi (c.d. privatistica), nell’ambito della giurisdizione esclusiva, può essere proposta esclusivamente (comma 6, art.30) dinanzi al giudice amministrativo, anche in via autonoma (comma 1, art.30), entro il termine prescrizionale ordinario di dieci anni. Al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, l’azione di condanna a tutela di diritti soggettivi va invece proposta dinanzi al giudice ordinario.
L’azione di condanna (c.d. pubblicistica) a tutela degli interessi legittimi può essere proposta esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo (comma 6, art.30); ove correlata all’emanazione di un provvedimento amministrativo illegittimo può essere proposta o unitamente all’azione di annullamento in via complementare per reintegrare in modo completo l’interesse leso ovvero (questa la novità normativa) in modo autonomo (c.d. azione risarcitoria pura), senza la previa proposizione di un’azione di annullamento.
Il legislatore ha dunque ammesso, in via di principio, l’autonomia della domanda risarcitoria rispetto a quella di annullamento del provvedimento lesivo: al giudice amministrativo può essere richiesto il risarcimento dei danni per lesione a interessi legittimi anche se l’atto amministrativo non sia stato impugnato (comma 3 dell’art.30) e, in tal caso, il giudice amministrativo può conoscere della sua illegittimità, ove essa assuma rilievo ai fini della pronuncia sulla pretesa risarcitoria.
Tuttavia, l’autonomia della domanda risarcitoria, nel caso di lesione di interessi legittimi, è stata temperata dall’introduzione di uno specifico termine di decadenza: a) l’azione (art.30, comma 3, c.p.a.) in via autonoma va proposta entro un termine di 120 giorni dal momento in cui si è verificato «il fatto» ovvero «dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo»; b) se il provvedimento lesivo sia stato invece impugnato, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio (anche dopo la scadenza del termine di 120 giorni), con lo strumento dei motivi aggiunti, o successivamente alla sentenza di annullamento, fino a 120 giorni dal suo passaggio in giudicato (comma 5° art.30 ).
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 94 del 4/5/2017 ha ritenuto infondata la relativa questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla previsione nell’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi di un termine breve di decadenza, non presente nella disciplina civilistica sul risarcimento dei danni, rilevando che «la previsione del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria non può ritenersi il frutto di una scelta viziata da manifesta irragionevolezza, ma costituisce l’espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato di vedersi riconosciuta la possibilità di agire anche a prescindere dalla domanda di annullamento (con eliminazione della regola della pregiudizialità), con l’obiettivo, di rilevante interesse pubblico, di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria, secondo una logica di stabilità degli effetti giuridici ben conosciuta in rilevanti settori del diritto privato ove le aspirazioni risarcitorie si colleghino al non corretto esercizio del potere, specie nell’ambito di organizzazioni complesse e di esigenze di stabilità degli assetti economici (art. 2377, sesto comma, del codice civile)».
Inoltre, in caso di proposizione in via autonoma, di domanda risarcitoria da lesione di interessi legittimi, entro il termine decadenziale indicato, ai sensi del terzo comma dell’art.30 «nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti». Quindi, in sede di determinazione dell’ammontare del risarcimento, il giudice amministrativo deve escludere quei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’azione di annullamento dell’atto illegittimo ovvero attivando strumenti di tutela cautelare o istanza di autotutela (con richiamo implicito all’art.1227 comma 2 c.c., Cons.St., adunanza Plenaria, n. 3/2011; Cons.St-., VI Sez., 15/6/2015 n. 2906), rilevando l’omessa tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo della domanda risarcitoria a solo come condotta che, nell’ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il Giudice ad escludere il risarcimento o a ridurne l’importo, ove si accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo avrebbe evitato o limitato i danni.
Al secondo comma del successivo art.34 c.p.a. si dispone che, salvo quanto previsto «dall’art.30, comma 3, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento di cui all’articolo 29».
L’art. 34, comma 3, attiene poi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato a fini risarcitori, quale (primo e fondamentale) elemento costitutivo della responsabilità della p.a. per atto illegittimo, vale a dire – essendo tale responsabilità ricondotta all’illecito aquiliano ex art. 2043 cod. civ.- all’accertamento dell’ingiustizia del danno, ferma restando la necessità di accertare la sussistenza degli altri elementi della fattispecie nell’instaurando giudizio risarcitorio, cosicché, venuto meno l’interesse alla caducazione dell’atto, l’azione di annullamento si converte per legge in azione di accertamento di detta illegittimità (cfr. Cons. Stato, VI, 20 novembre 2017, n. 5324).
In presenza di una domanda risarcitoria, l’art. 34, comma 3, c.p.a. impone, quindi, l’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati, sempre che sussista la condizione di tale azione di accertamento, cioè l’«interesse a fini risarcitori», da vagliarsi, secondo la regola generale dell’art. 100 cod. proc. civ., tenuto conto delle sopravvenienze di fatto e di diritto.
4.3. L’accertamento incidentale a fini risarcitori.
Deve poi rilevarsi che, ai sensi dell’art.8 c.p.a., Cognizione incidentale e questioni pregiudiziali, il giudice amministrativo «nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale 2. Restano riservate all’autorita’ giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacita’ delle persone, salvo che si tratti della capacita’ di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso.».
La disposizione, che disciplina la cognizione incidentale del giudice amministrativo solo con riguardo alle materia in cui ha giurisdizione non esclusiva, deve essere messa in relazione all’art.7, comma 5, la norma generale che si riferisce invece alle materie di giurisdizione esclusiva («5. Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi»).
In sostanza, il giudice amministrativo deve essenzialmente considerarsi titolare del potere di conoscere sia le questioni pregiudiziali sia le questioni principali allo stesso devolute, come rientranti nella sua giurisdizione, pur se le determinazioni relative alle questioni pregiudiziali concernenti diritti non possano assumere efficacia di giudicato, che deve essere limitato alla questione principale. La previsione normativa afferisce più propriamente a quelle ipotesi in cui il giudice amministrativo non sia in grado di conoscere incidenter tantum una questione pregiudiziale, perché riservata ad altro giudice e/o già sottoposta al suo esame, con conseguente necessità per lo stesso di sospensione del processo dinanzi ad esso stesso pendente, ex art.79 c.p.a., processo che sarà proseguito all’esito della definizione giudiziale della pregiudiziale da parte del giudice competente.
Il comma 2 dell’art. 8 (passato indenne al vaglio di costituzionalità, cfr. Corte Cost 11.11.2011 n. 304, ove si è rilevato che il «riservare al giudice civile la risoluzione delle controversie sullo stato e la capacità delle persone, salvo la capacità di stare in giudizio, nonché la risoluzione dell’incidente di falso, in tema di atti muniti di fede privilegiata, risponde, come è noto, alla esigenza di assicurare in talune peculiari materie – rispetto alle quali maggiore è la necessità di una certezza erga omnes e sulle quali possa dunque formarsi anche un giudicato – una sede e un modello processuale unitari: così da evitare, ad un tempo, il rischio di contrastanti pronunce – che minerebbero la fiducia verso determinati atti ovvero in ordine a condizioni e qualità personali di essenziale risalto agli effetti dei rapporti intersoggettivi – e il ricorso a modelli variegati di accertamento, dipendenti dalle specificità dei procedimenti all’interno dei quali simili questioni “pregiudicanti” possono intervenire») elenca le questioni, tra quelle pregiudiziali, che viceversa, devono considerarsi oggetto di esclusiva competenza del giudice ordinario, ossia le questioni «concernenti lo stato e la capacità delle persone», riservando al giudice amministrativo, quale eccezione alla deroga, la valutazione della «capacità di stare in giudizio», e la «risoluzione dell’incidente di falso».
In ordine alle questioni pregiudiziali concernenti gli status e la capacità giuridica o di agire dei privati individui, con la necessità per il giudice amministrativo di sospendere il processo e disporre la conseguente devoluzione della questione al giudice ordinario, si è rilevato, in dottrina, che l’interpretazione debba essere necessariamente rigorosa, evitando di ampliarne l’ambito di applicazione.
Si ha, invero, un’eccezione al principio secondo cui al giudice amministrativo è ammessa la pronuncia incidenter tantum anche su questioni relative a diritti, qualora la loro soluzione si atteggi come pregiudiziale necessaria per la decisione che gli è richiesta (Cons.St., Sez.V, 13.9.1999 n.1052).
In particolare, in merito alla identificazione degli status, in essi sono certamente da ricomprendere quelli di carattere familiare (Cass. n. 21628/2006) e riguardanti la cittadinanza (Cons. Stato, Sez.IV, 22.12.1942), mentre si sono ritenute non sussumibili tra le pregiudiziali di che trattasi altre posizioni di natura politico-sociale, quali ad esempio il diritto di nazionalità o di elettorato attivo e passivo, che non sono considerate questioni di natura eccezionale tali da imporre la sospensione del processo, ai sensi degli artt. 79, comma l, e 79, comma 3, c.p.a. cosicché il giudice amministrativo ha ritenuto che le questioni pregiudiziali sottratte alla sua cogniione sia pure incidentale sono da considerarsi «limitate allo status di famiglia e di cittadinanza» (Cons. Stato, Sez.V, 15.6.2000 n. 3338; Cons.St., Sez.V, 13 settembre 1999, n.1052).
Nella pronuncia Sez.Un. 16959/2018, questa Corte ha cassato una sentenza del Consiglio di Stato (in punto di non trascrivibilità nei registri dello stato civile di matrimoni omosessuali celebrati all’estero) per violazione dell’art.8, comma 2, c.p.a., configurandosi eccesso di potere giurisdizionale e non un mero error in procedendo nell’ipotesi in cui il giudice amministrativo svolga la propria cognizione in via incidentale su una questione che ad esso è sottratta, attenendo allo stato delle persone, espressamente riservata alla giurisdizione ordinaria.
5. Occorre, inoltre, porre l’accento sulla peculiarità del procedimento disciplinare avvocati, nella sua articolazione tra fase amministrativa e fase impugnatoria giurisdizionale dinanzi a CNF.
Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli degli ordini territoriali, e il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale, come affermato, tra le altre, da Cass. Sez. Un. n. 6295/2003, Cass. Sez. Un. n. 9097/2005; Cass. Sez. Un n. 20843/2007, Cass. Sez. Un. n. 23593/2020, Cass. Sez. Un. n. 8777/2021. In particolare, è stato sottolineato (Cass. Sez. Un. n. 10688/2002) che i Consigli locali svolgono i relativi compiti nei confronti dei professionisti che formano l’ordine forense, quindi all’interno del gruppo che essi costituiscono e per la tutela della classe professionale, cosicché la funzione disciplinare che a tali organi compete è, dunque, manifestazione di un potere amministrativo attribuito dalla legge per l’attuazione del rapporto che si instaura con l’appartenenza all’ordine, il quale stabilisce comportamenti conformi ai fini che intende perseguire. Queste Sezioni Unite hanno affermato (Cass. Sez.Un. 16993/2017; conf. Cass. Sez.Un. 19030/2021) che anche l’organo distrettuale di disciplina ha una funzione sicuramente amministrativa, ma di natura «giustiziale», anche se non giurisdizionale, caratterizzata da elementi di terzietà valorizzati sia dal peculiare sistema elettorale, sia dalle specifiche garanzie d’incompatibilità, astensione e ricusazione (art. 3 reg. elett.; art. 6-9 reg. disc.). E’ stato evidenziato come, con la Riforma forense, si sia accentuata «la separazione tra il COA, quale organo di vigilanza deontologica e di esecuzione delle sanzioni, e il CDD, quale organo titolare del potere disciplinare» (sent. n. 16993 cit.).
Invece, il Consiglio nazionale forense, allorché pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale, istituito con d.lgs.lgt. 23 novembre 1944, n. 382 (art.21) e legittimamente tuttora operante, giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione; la disciplina della funzione giurisdizionale del C.N.F., quale giudice terzo, è coperta dall’art. 108, comma 2, e dall’art. 111, comma 2, Cost. (cfr.: Cass., Sez.Un. n. 16993/2017, in motiv.; Cass. Sez. Un. n. 8777/2021).
Come ribadito da questa Corte «a norma degli artt. 24, 31, 35, 37, 50 e 54 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, sono devolute alla giurisdizione del Consiglio nazionale forense tutte le controversie relative alla iscrizione, al rifiuto di iscrizione, nonché alla cancellazione dall’albo professionale degli avvocati, così come quelle relative all’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei medesimi» (Cass. Sez.Un.25831/2007) e «A norma dell’art. 36 della l. n. 247 del 2012 – il quale riproduce, nella sostanza, una disposizione già precedentemente in vigore perché contenuta nel r.d.l. n. 1578 del 1933 – spetta al Consiglio Nazionale Forense la competenza a conoscere dei ricorsi avverso i provvedimenti di iscrizione, di diniego di iscrizione e di cancellazione dall’albo professionale degli avvocati, emessi dai Consigli dell’Ordine degli avvocati, così integrandosi una ipotesi di giurisdizione speciale» (Cass. Sez.Un. 34429/2019; conf. Cass. Sez.Un. 16548/2020).
In ordine al controllo rimesso alle Sezioni Unite di questa Corte sulle decisioni del CNF, si è rilevato (Cass. Sez.Un. 15873/2013; conf. Cass.13168/2021) che «Il codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione di detto codice rileva in sede giurisdizionale solo quando si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l’art. 56, terzo comma, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per censurare unicamente un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce»
La materia del risarcimento del danno non rientra nella giurisdizione del CNF, essendo la competenza di detto organo limitata alla cognizione delle impugnazioni delle deliberazioni dei Consigli territoriali e alla valutazione della loro eventuale illegittimità.
6. Altro tema controverso, nel presente giudizio, è la sorte della sanzione disciplinare per effetto della mancata riassunzione del giudizio di rinvio e della conseguente estinzione del giudizio impugnatorio.
6.1. Risulta, dalla sentenza di queste Sezioni Unite n. 16694/2017, che questa Corte accoglieva un vizio motivazionale del ricorso per cassazione avverso la sentenza del CNF, in punto di omessa valutazione di fatti decisivi nella valutazione della gravità della condotta contestata all’avvocatessa e della congruità della sanzione irrogata.
Il giudizio di rinvio dinanzi al CNF, nella specie, non è stato però riassunto.
6.2. L’art.393 c.p.c. stabilisce che, in ipotesi di cassazione con rinvio, sia la mancata sia la tardiva riassunzione rispetto al termine di cui all’art.392 c.p.c. (entro tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione) determinano l’estinzione «dell’intero processo», con conseguente caducazione delle sentenze emesse nel corso dello stesso, permanendo solo l’effetto vincolante del principio di dritto, che non viene meno nell’eventuale nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda.
Questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 17938/2008, ha chiarito che la riassunzione del giudizio disciplinare davanti al Consiglio nazionale forense, a seguito di sentenza di cassazione con rinvio deve essere compiuta secondo il disposto dell’art. 392 cod. proc. civ., su impulso della parte processuale, con la conseguenza che l’eventuale riassunzione disposta d’ufficio dal medesimo Consiglio è inammissibile e non impedisce l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., in quanto il modello di riferimento procedurale è quello civilistico/dispositivo, in assenza, nell’ambito della legge speciale forense, di una specifica disposizione regolante le modalità di proposizione del giudizio di riassunzione e non essendo consentito riconoscere o attribuire al giudice terzo, in via interpretativa, spazi per iniziative di ufficio, della cui legittimità dovrebbe dubitarsi anche in presenza di una espressa norma di legge.
Sugli effetti dell’estinzione del processo sull’atto (amministrativo) costituente l’oggetto dell’impugnazione, questa Corte ha ribadito in varie occasioni, in ambito di contenzioso tributario (strutturato secondo il modello della natura impugnatoria dell’atto impositivo, di natura amministrativa e non processuale), che «l’estinzione del giudizio comporta la definitività dell’avviso di accertamento impugnato, giacchè quest’ultimo non è un atto processuale, ma l’oggetto dell’impugnazione» (Cass. 5044/2008; Cass. 16689/2013; Cass. 556/2016; Cass. 32276/2018; Cass. 25014/2021; Cass. 7444/2022).
6.3. Orbene, la sanzione della radiazione, comminata dal COA Potenza, del 2014, veniva impugnata in sede giurisdizionale dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.
Il processo impugnatorio si è estinto, ex art.393 c.p.c., per effetto della mancata riassunzione del giudizio di rinvio, a seguito di cassazione con rinvio, per difetto di motivazione, della decisione del CNF del 2016 (che aveva ritenuto congrua la sanzione irrogata all’avv.Fuccilo), con sentenza di questa Corte a Sez.Unite n. 16694 del 6/7/2017.
L’estinzione, come affermato dal giudice amministrativo, non ha, nella specie, travolto l’atto amministrativo di irrogazione della sanzione, che era l’oggetto del processo impugnatorio estinto.
Nella materia tributaria, si afferma che l’estinzione del giudizio impugnatorio tributario, all’esito della cassazione con rinvio della sentenza di merito e dell’omessa riassunzione del giudizio, comporta la definitività dell’avviso di accertamento che ne costituisce l’oggetto (Cass.3040/2008 e 8765/2008; Cass. 21143/2015; Cass. 569/2016; Cass. 5223/2019).
Tuttavia, nella specie, la questione della definitività della sanzione discipinare, che costituiva l’oggetto dell’impugnazione dinanzi al CNF, non risulta del tutto decisiva, in quanto non potrebbe per ciò solo ritenersi non esercitabile l’azione risarcitoria proposta in via autonoma, avendo la ricorrente prospettato che la propria domanda non è rivolta a travolgere l’atto amministrativo giustiziale ma a conseguire solo l’asserito danno ingiusto conseguente.
L’unico interesse azionato è qui quello risarcitorio, anche se, in effetti, sull’aspetto della intervenuta caducazione della sanzione disciplinare (all’esito della pronuncia di queste Sezioni Unite del 2017) la difesa della ricorrente si è ripetutamente soffermata, nei gradi di merito, come emerge dagli atti.
7. Tanto chiarito, occorre esaminare il preliminare aspetto della ammissibilità del presente ricorso per cassazione.
7.1. Con atto del 1°/3/2018, l’avv.Fuccilo (a distanza di anni dal provvedimento disciplinare di radiazione, adottato dal COA di Melfi, cui poi è subentrato il COA di Potenza, nel luglio 2014, e dopo oltre sette mesi dalla sentenza n. 16694/2017 di questa Corte di Cassazione di cassazione con rinvio di pregressa decisione del CNF del 13/10/2016) ha promosso, dinanzi al giudice amministrativo, un’azione risarcitoria per sentire condannare il COA Potenza al risarcimento del danno patrimoniale e morale patito a seguito dell’ingiusta radiazione subita.
L’atto è stato notificato ai componenti del COA quali controinteressati.
La domanda è stata, in primo e secondo grado, respinta, nel merito, per difetto del presupposto dell’illecita condotta dell’amministrazione resistente, essendosi rilevato che, non essendo stata annullata la sanzione disciplinare ma solo dichiarato estinto il processo avente ad oggetto l’impugnazione di detto atto, il giudice amministrativo non poteva conoscere neppure incidenter tantum dell’illegittimità dedotta della suddetta sanzione.
Il giudice amministrativo non si è pronunciato sulla preliminare eccezione di decadenza, sollevata dal resistente e dai controinteressati, ritenendola assorbita in ragione dell’infondatezza della domanda risarcitoria nel merito, per difetto del presupposto dell’illegittimità del provvedimento lesivo.
7.2. In punto di ammissibilità del ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione ed alla disciplina del relativo riparto, ai sensi dell’art.111, comma ottavo, Cost. (contestata dai controricorrenti anche dinanzi al giudice amministrativo), va ribadito che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art.111, ult.comma, Cost., è ammesso per soli motivi inerenti alla giurisdizione.
La ricorrente, nei due profili dell’unico motivo, denuncia il vizio di rifiuto o diniego di giurisdizione per avere il Consiglio di Stato sia invocato un «aprioristico diniego di tutela nel caso non vi sia stato il previo annullamento dell’atto» amministrativo sia rifiutato di esercitare il correlato potere di disapplicazione dell’atto asseritamente illegittimo, per «carenza di giurisdizione del giudice amministrativo nella materia disciplinare degli avvocati».
7.3. Secondo l’interpretazione costituzionalmente corretta tra i motivi inerenti alla giurisdizione denunciabili in Cassazione vi sono solamente alcuni casi specifici.
Questa Corte a Sezioni Unite ha affermato (Cass., Sez. Un., 13 maggio 2020, n. 8848; Cass., Sez. Un., 19 aprile 2021, n. 10245; Cass., Sez. Un., 26 ottobre 2021, n. 30112) che l’eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione o eccesso di potere giurisdizionale (c.d. sconfinamento o invasione), o di rifiuto di giurisdizione (c.d. arretramento), che si verificano, rispettivamente, quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto «in assoluto» di cognizione giurisdizionale, o di difetto relativo di giurisdizione o diniego di giurisdizione, riscontrabili, rispettivamente, quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale (c.d. invasione), ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, giudice ordinario o altro giudice speciale (c.d. autolimitazione).
Il difetto relativo di giurisdizione è funzionale al rispetto degli ambiti di giurisdizione tra i vari plessi giudiziari.
Poiché la nozione di eccesso di potere giurisdizionale non ammette letture estensive, neanche limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento, il relativo vizio non è configurabile in relazione a denunciate violazioni di legge sostanziale o processuale riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2605).
Si è quindi precisato (Cass. Sez.Un. 13976/2017), in ordine alla distinzione tra casi in cui vi è rifiuto della giurisdizione e quelli in cui si riscontra un semplice cattivo esercizio della giurisdizione per errores in iudicando o in procedendo, non sindacabile dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, che «il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione e, tuttavia, nell’esercitarla, applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore all’interno ad essa e, se tale errore porta a negare tutela alla situazione fatta valere, ciò si risolve in una valutazione di infondatezza della richiesta di tutela, ancorché la statuizione, in quanto proveniente dal giudice di ultimo grado della giurisdizione adìta, comporti che la situazione rimanga priva di tutela giurisdizionale».
Ne deriva che integra il vizio di «rifiuto» dell’esercizio della giurisdizione l’affermazione – contro la regula iuris che attribuisce a quel giudice il potere di dicere ius sulla domanda – che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio è, in astratto, priva di tutela, allorché essa sia corredata dal rilievo della estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione ma anche a quella di ogni altro giudice; mentre, ove tale affermazione sia accompagnata dal riconoscimento dell’esistenza dell’altrui giurisdizione, ricorre un’ipotesi di diniego della propria giurisdizione, l’uno e l’altro vizio, peraltro, risultando i soli sindacabili dalla Corte di cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., diversamente dall’erronea negazione, in concreto, della tutela alla situazione soggettiva azionata (Cass., Sez. Un., 6 giugno 2017, n. 13976).
E’ stato poi ribadito (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2018, n. 32773; Cass., Sez. Un., 9 aprile 2020, n. 7762) che la negazione «in concreto» di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali o processuali, non implica eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, ottavo comma, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione.
Ancora, sempre in tema di sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, si è precisato (Cass. Sez.Un. n. 24468/2013) che «è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge» (nella specie, il ricorrente, revocato dalla provvisoria aggiudicazione del servizio di riscossione tributi per sua inaffidabilità desumibile da un precedente rapporto, aveva lamentato che il Consiglio di Stato non si fosse limitato alla mera verifica della sufficienza della motivazione di tale revoca, ma ne aveva operato una vera e propria integrazione, così travalicando i confini della giurisdizione operando apprezzamenti discrezionali riservati alla pubblica amministrazione).
E, in linea, si è affermato che «in tema di sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato, la violazione dei limiti della cognizione incidentale stabiliti dall’art. 8 c.p.a. non configura un eccesso di potere giurisdizionale, ma solo un “error in procedendo”, commesso dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione» (Cass. sez.Un. n. 7292/2016).
Da ultimo (Cass. Sez.Un. n. 31023/2019), è stato dichiarato inammissibile un ricorso, con il quale si denunciava, anche in relazione agli artt. 30 e 34 c.p.a., l’erroneo rifiuto del Consiglio di stato di esercitare la giurisdizione in riferimento alla domanda di risarcimento del danno da illegittimità del provvedimento amministrativo per effetto della dichiarata inammissibilità dell’appello (una società, esclusa da una gara, aveva impugnato il provvedimento amministrativo di aggiudicazione provvisoria in favore di una concorrente, chiedendo anche i danni, ma, respinte le domande in primo grado, l’appello era dichiarato inammissibile, essendo intervenuta, nelle more del giudizio, l’aggiudicazione definitiva, con conseguente improcedibilità del ricorso contro il provvedimento di esclusione dalla gara o di aggiudicazione provvisoria, non potendo, secondo il Consiglio di stato, quanto alla connessa domanda risarcitoria, trovare applicazione l’art. 34, comma 3, c.p.a. invocato dall’appellante, poiché tale norma era operante solo se sussistevano le «condizioni per poter esaminare nel merito la domanda»). Si è quindi ritenuto che «le censure mosse alla sentenza impugnata, in quanto investenti la portata applicativa degli artt. 30 e 34 c.p.a., siccome ritenuta dal giudice di appello unitamente all’operare di un certo presupposto processuale reputato connesso all’esercizio dell’azione risarcitoria per esercizio illegittimo della funzione pubblica…, si risolvono nella denuncia di errori inerenti ai limiti interni alla giurisdizione, non sindacabili da questa Corte regolatrice».
Affinché si abbia rifiuto o diniego di giurisdizione, occorre, in definitiva, che una domanda sia stata proposta e che il giudice adito, nel declinare la giurisdizione, ritenga che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia «in astratto» priva di tutela ovvero riconosca che, sulla stessa, del tutto erroneamente, la competenza giurisdizionale spetti ad un giudice appartenente ad un diverso plesso, cosicché si è ritenuto non prospettabile tale vizio «quando il ricorrente si lamenti di giudizi che avrebbero dovuto essere promossi innanzi al giudice ordinario ma non lo sono stati, o che avrebbero potuto anche essere incardinati di fronte allo stesso giudice speciale, ma in epoca precedente rispetto alla introduzione di quello definito con la sentenza impugnata» (Cass. Sez. Un. 37552/2021).
7.4.Orbene, il proposto ricorso risulta inammissibile, non risolvendosi la decisione impugnata del Consiglio di Stato in un diniego relativo di giurisdizione, per arretramento o meglio autolimitazione, non essendosi affermato, da parte del giudice adito, che la situazione soggettiva fatta valere, con la pretesa risarcitoria proposta in via autonoma dinanzi al giudice amministrativo (non a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto, ai sensi del 5° comma dell’art.30 c.p.a.), è, in assoluto, priva di tutela, ma soltanto che, in concreto, nella, del tutto peculiare, vicenda in esame, a fronte della definitività della sanzione disciplinare, ormai cristallizzatasi, la sua legittimità non poteva essere più esaminata, neppure in via incidentale, ai fini risarcitori, dal giudice amministrativo adito, carente di giurisdizione nella materia disciplinare degli avvocati, riservata al giudice speciale dell’ordine professionale, ossia al Consiglio Nazionale Forense, e ciò alla luce di una certa interpretazione dell’art.30, 2° e 3° comma, e 34, comma terzo, c.p.a..
E siccome il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è circoscritto al controllo dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, ovvero all’esistenza dei vizi che attengono all’esercizio della funzione giurisdizionale e non al modo del suo esercizio, cui attengono, invece, gli errori «in iudicando» o «in procedendo», il suddetto sindacato non è esperibile per censurare un’omessa pronuncia di merito, ovvero una declaratoria di inammissibilità di una determinata domanda, ove esse discendano non dal diniego di competenza giurisdizionale, ma dall’applicazione di norme processuali ritenute ostative all’esame della domanda medesima (Cass. Sez.Un. n. 10287/2003).
Vero che l’art.30 c.p.a. ha sancito l’abolizione della pregiudiziale amministrativa, prevedendo la possibilità di promuovere autonomamente l’azione di condanna derivante da un provvedimento amministrativo illegittimo, a prescindere quindi dal previo annullamento di quest’ultimo.
Ma, nella specie, non si affermato, nella sentenza impugnata del Consiglio di Stato, che la presente azione risarcitoria non potesse essere proposta, a prescindere dal previo annullamento dell’atto amministrativo e quindi in difetto di operatività del comma 5 dell’art.30 c.p.a., non essendo intervenuta alcuna sentenza di «annullamento» della sanzione disciplinare, ma che la pretesa risarcitoria difettava della dimostrazione di uno dei requisiti dell’illecito, ex art.2043 c.c., l’illegittimità dell’atto amministrativo, la cui valutazione è rimessa al giudice speciale, il Consiglio nazionale Forense, essendo tale sanzione disciplinare ormai divenuta definitiva.
In relazione propriamente a tale peculiare fattispecie, occorsa in concreto, il giudice amministrativo, il quale non ha declinato la propria giurisdizione sulla situazione soggettiva dedotta con l’azione risarcitoria, qualificata dalla ricorrente come relativa a tutela di interesse legittimo, affermava di non potere conoscere, in via incidentale e indiretta, delle sanzioni disciplinari, ove lesive di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale.
Ed anche l’asserita non corretta, implicita, valutazione da parte del Consiglio di Stato dell’ambito della propria cognizione incidentale di cui all’art. 8 c.p.a. (per essere l’oggetto della cognizione incidentale conosciuto dal giudice amministrativo sempre e soltanto in funzione della esplicazione della giurisdizione sul bene della vita dedotto in giudizio in via principale, oggetto della giurisdizione esercitata) concernerebbe sempre e soltanto una norma del procedimento regolatore del processo amministrativo e non la negazione di una sua giurisdizione.
Non si verte, dunque, in ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti esterni della giurisdizione, con riferimento alle regole del processo amministrativo, in quanto non vi è stato un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego, relativo (per essere la cognizione riservata a giudice speciale), di giustizia, ma soltanto essendo stato dedotto un «dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge» (Cass. sez.Un. 24468/2013), e non è stata negata, in astratto, la giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria sulla base dell’erroneo presupposto che essa appartenesse ad altri giudici e che occorresse comunque e sempre il previo esperimento dell’azione di annullamento dell’atto amministrativo giustiziale, essendosi, invece, respinta la domanda per difetto del presupposto dell’illegittimità della sanzione, in quanto divenuta, in concreto, definitiva e non sindacabile dal giudice adito, sulla base di una certa interpretazione delle norme processuali, che rientrano nel modo di esercizio della giurisdizione speciale amministrativa.
E il sindacato di questa Corte si deve fermare, non vertendosi in controllo dell’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione .
9. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Ricorrono giusti motivi, attesa la novità e complessità delle questioni di diritto e tutte le peculiarità della vicenda, anche processuali, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si deve dar atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2023.
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 06 febbraio 2023, n. 3599, per SS.UU, 06 luglio 2023, n. 19103, in tema di riparto di giurisdizione
SS.UU, 06 luglio 2023, n. 19103, in tema di riparto di giurisdizione
Nota della Dott.ssa Matilde Santini
Il sindacato della Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione
1. Il principio di diritto
La negazione “in concreto” di tutela, determinata dall’erronea interpretazione di norme processuali o sostanziali, non comporta la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, atteso che l’interpretazione della legge costituisce il proprium della funzione giurisdizionale.
Di conseguenza, il mero errore nell’interpretazione delle norme, si traduce in un vizio attinente al modo di esercitare la funzione e non in un difetto assoluto o relativo di giurisdizione.
2. Le motivazioni
Le Sezioni Unite colgono l’occasione per fare nuovamente il punto sui limiti applicativi dell’ultimo comma dell’art. 111 Cost..
Secondo la corretta interpretazione della norma i motivi inerenti alla giurisdizione denunciabili in Cassazione sono solo quelli relativi al difetto assoluto di giurisdizione/eccesso di potere e al difetto relativo di giurisdizione.
La prima ipotesi ricorre qualora il giudice affermi la propria giurisdizione in presenza di una questione riservata al legislatore o all’amministrazione (cd. sconfinamento o invasione) ovvero la neghi sul presupposto erroneo che la materia esuli “in assoluto” dalla cognizione giurisdizionale.
Il difetto relativo di giurisdizione, invece, sussiste qualora il giudice violi i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materie attribuite alla giurisdizione ordinaria o ad altre giurisdizioni speciali (cd. invasione) ovvero neghi la propria giurisdizione ritenendo erroneamente che la questione appartenga alla cognizione degli altri giuridici (cd. autolimitazione).
La nozione di eccesso di potere giurisdizionale, secondo quanto affermato dalla Cassazione, non ammette interpretazioni estensive neppure in presenza di sentenze abnormi, anomale o caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento: solo la violazione di norme che individuano i presupposti dell’attribuzione del potere può essere oggetto di ricorso per Cassazione.
Di conseguenza, il mero error in iudicando o in procedendo commesso dal giudice di ultimo grado, purché munito di giurisdizione, non è sindacabile innanzi alla Corte di Cassazione ex art. 111 Cost. nemmeno nel caso in cui si traduca in una privazione di tutela per il ricorrente.
3. Riflessioni conclusive
Nel risolvere la questione la Suprema Corte si pone in linea di continuità rispetto alla pregressa giurisprudenza.
Le Sezioni Unite riprendono, in particolare, quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 24 gennaio 2018, n. 6.
In tale occasione, la Consulta ha respinto la tesi “evolutiva” e “dinamica” secondo la quale il sindacato della Cassazione ex art. 111, u.c., Cost. ricomprende anche gli errores in procedendo o in iudicando.
Una siffatta interpretazione del dettato costituzionale, infatti, si pone in contrasto con la lettera e lo spirito della norma che al c. 7 prevede la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso i provvedimenti del giudice ordinario o speciale limitativi della libertà personale per “violazione di legge”, mentre al c. 8 limita i motivi di ricorso a quelli “inerenti alla giurisdizione”.