Civile Ord. Sez. U Num. 27201 Anno 2023
Presidente: DE CHIARA CARLO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA
Data pubblicazione: 22/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso 14413-2022 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 36, presso gli Uffici della Delegazione Romana, rappresentata e difesa dall’avvocato TIZIANA TERESA COLELLI;
– ricorrente –
contro
ENERGETYCA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANTE 20, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO LIROSI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO AURICCHIO e TEODORA MAROCCO;
– controricorrente –
nonché contro
COMUNE DI FRANCAVILLA FONTANA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 8205/2021 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 09/12/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 9 dicembre 2021, n. 8205, il Consiglio di Stato, in riforma della decisione reiettiva n. 1765 del 2013 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione distaccata di Lecce, ha accolto il ricorso di primo grado ed ha condannato la Regione Puglia al risarcimento dei danni in favore dell’appellante, derivati dal ritardo nella conclusione della procedura, entro il termine massimo di 180 giorni previsto dal decreto legislativo n. 387 del 2003, volta al rilascio dell’autorizzazione unica relativa ad un impianto fotovoltaico di potenza pari a 3,337 megawatt, localizzato nel Comune di Francavilla Fontana, località “Palmarino”, da essa avviata con istanza del 30 settembre 2008.
Il Consiglio di Stato – premesso trattarsi del lamentato ritardo nell’emanazione di un provvedimento favorevole al privato poi effettivamente emesso, sicché la pretesa del bene della vita (autorizzazione) si è rivelata fondata – ha argomentato che l’art. 2-bis, comma 1, l. n. 241 del 1990 prevede il risarcimento del danno da ritardo o da inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo, non già come effetto del ritardo in sé, bensì ove la condotta dell’amministrazione sia stata causa di un danno per il privato, onerato della relativa prova, responsabilità da qualificare da fatto illecito aquiliano (come deciso dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza del 23 aprile 2021, n. 7) e dovendo il danno riferirsi, in caso di ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, al mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in ragione di uno ius superveniens sfavorevole al privato (nel caso di specie, i decreti del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2010 e del 5 maggio 2011).
Nella specie, ha ritenuto che vi sia stata un’inerzia della pubblica amministrazione dal 5 maggio 2010 (data di scadenza del termine per provvedere) al 15 novembre 2011 (data di emanazione del provvedimento favorevole con determinazione dirigenziale n. 297/2011). Infatti, è avvenuto che la società abbia comunicato alla Regione la modifica del profilo morfologico generale dell’impianto (layout), che non comportava un nuovo progetto o di un mutamento sostanziale dell’originale, ma solo una riduzione della potenza dell’impianto, al fine di rispettare l’interesse pubblico di mitigazione dell’impatto ambientale, come richiesto dalla stessa pubblica amministrazione. Ne ha dedotto che, rimanendo fermi tutti i pareri e le valutazioni già espressi, l’istruttoria avrebbe dovuto procedere celermente ed esclusivamente in relazione agli aspetti modificati (non voluti direttamente dall’interessata), senza che ciò potesse avere riflessi sulla durata complessiva del procedimento.
Inoltre, ha negato che il nesso causale sia escluso per avere la società omesso di attivarsi, posto che l’art. 31, comma 3, c.p.a. prevede sì che debba valutarsi il comportamento delle parti e la concreta situazione, non potendosi risarcire i danni che si sarebbero potuti evitare con l’ordinaria diligenza «anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti», ma tali strumenti includono i rimedi stragiudiziali, nella specie attivati.
Circa il danno ha ritenuto provato dalla documentazione prodotta che la società disponesse delle risorse finanziarie necessarie in grado di supportare l’investimento per la realizzazione dell’impianto e idonee a garantire il buon esito dell’iniziativa; mentre la messa in liquidazione della società è seguita alla constatata antieconomicità del progetto quando, a fronte del mutato quadro normativo, era divenuto impossibile l’accesso agli incentivi.
Ha concluso, pertanto, per la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno, onerando l’ente, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., di proporre, a favore della società odierna appellante tenuta a collaborare lealmente, il pagamento di una somma, che dovrà riconoscere una tutela risarcitoria piena ed effettiva all’interessata, sulla base della documentazione in atti.
Avverso questa sentenza è proposto ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione dalla Regione Puglia, affidato a due motivi, volto a censurare il difetto assoluto di giurisdizione per invasione nella sfera riservata alla P.A. e l’omissione o rifiuto di giurisdizione.
Ha depositato il controricorso la Energetyca s.r.l.
Le parti hanno depositato la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 362, comma 1, cod. proc. civ., e 110 cod. proc. amm., in ragione dell’invasione della sfera riservata al merito amministrativo, per avere il Consiglio di Stato operato come organo di amministrazione attiva, avendo ritenuto che la modificazione progettuale operata non fosse tale da incidere sulla durata complessiva del procedimento, valutazione riservata alla discrezionalità dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003, onde essa si sottrae al sindacato del giudice amministrativo. Invece, il Consiglio di Stato si è spinto a valutare tecnicamente, pur in assenza delle specifiche competenze tecniche, la rimodulazione del progetto, ritenendo che la riduzione della potenza dell’impianto avrebbe consentito un’istruttoria celere. Tuttavia, le autorizzazioni uniche per la costruzione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili sono formate da un atto e da numerosi elaborati progettuali, necessari a configurare un “progetto definitivo” secondo la normativa del settore.
Ricevuto, nella specie, il parere paesaggistico del Servizio Assetto Territorio, che imponeva di eliminare i pannelli fotovoltaici dal 58% dall’area su cui era stato progettato l’impianto, l’Ufficio procedente ha dovuto necessariamente fermarsi in attesa delle determinazioni della società, la quale ritenne di rimodulare il progetto, dando notizia di tale decisione soltanto in data 5 novembre 2010, e poi depositando solo in data 1° aprile 2011 le tavole progettuali modificate.
Rimodulare un impianto fotovoltaico già progettato, avendo a disposizione un’area ridotta al 42% di quella iniziale, ha comportato nuovi progetti, in particolare riconsiderando la tipologia di pannelli fotovoltaici da utilizzare, al fine di mantenere più elevato possibile il valore della potenza elettrica dell’impianto, vale a dire il parametro da cui dipende principalmente la redditività finanziaria di esso; revisione che ha determinato uno slittamento del termine di chiusura del procedimento, non imputabile alla pubblica amministrazione, ma che si è rilevata efficace, dato che la potenza finale, pari a 3,337 MW, è risultata ben superiore a quella che sarebbe derivata da una mera riduzione proporzionale alla diminuzione della superficie disponibile. Di qui il riferimento a “politiche commerciali” nell’interesse della società, correttamente operato dal T.a.r. di Lecce nel giudizio di primo grado per giustificare i tempi del procedimento amministrativo.
Onde nessuna delle attività necessarie avrebbe potuto essere svolta dall’Amministrazione regionale, mentre la sentenza impugnata ha erroneamente attribuito all’Ufficio procedente la facoltà e la competenza per chiudere in autonomia il procedimento, subito dopo il 5 maggio 2010.
In tal modo, l’impugnata decisione si è sostituita integralmente all’Amministrazione procedente, sconfinando nell’eccesso di potere giurisdizionale per usurpazione della funzione amministrativa.
1.2. – Il primo motivo è inammissibile.
Secondo principio consolidato presso le Sezioni Unite, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento)
– nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento (tra le altre, v. Cass., sez. un., n. 8311/2019; Cass., sez. un., n. 19675/2020; Cass., sez. un., n. 15573/2021; Cass., sez. un., n. 11549/2022; Cass., sez. un., n. 14301/2022).
In particolare, quanto all’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera del merito amministrativo, esso è configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo abbia ecceduto i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, rivelandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, attraverso un sindacato di merito, che si estrinsechi in una pronunzia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito (e multis, Cass., sez. un., 28 luglio 2021, n. 21651; 4 febbraio 2021, n. 2604; 21 agosto 2020, n. 17580; 6 marzo 2020, n. 6462; 3 marzo 2020, n. 5904; 24 maggio 2019, n. 14264; 26 novembre 2018, n. 30526; 2 febbraio 2018, n. 2582; 29 dicembre 2017, n. 31226).
Al contrario, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, comma 8, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo: pertanto, ove la pronuncia impugnata si limiti al corretto inquadramento del fatto e all’interpretazione del provvedimento amministrativo, secondo la sua portata letterale e complessiva, o della legge, essa esprime considerazioni che rientrano in toto nell’ambito della giurisdizione del giudice investito della decisione, esulando, di conseguenza, dalla sfera di controllo dei limiti esterni della giurisdizione, affidata dagli artt. 111, comma 8, Cost., 362 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm. alle Sezioni unite della Cassazione (v., tra le tante, Cass., sez. un., 23 settembre 2022, n. 27904; 18 gennaio 2022, n. 1454; 30 novembre 2021, n. 37552; 9 novembre 2021, nn. 32673 e 32674; 26 ottobre 2021, n. 30112; 4 dicembre 2020, n. 27770).
Opinando diversamente ne risulterebbe obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice speciale verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario e ciò la norma costituzionale e le disposizioni processuali sopra richiamate, invece, non consentono (Cass., sez. un., 14 settembre 2020, n. 19085).
Nella specie, alla luce degli esposti principî, non può dirsi che la denunciata decisione del Consiglio di Stato, nell’avere individuato il termine iniziale di adozione del provvedimento e l’inerzia della p.a., ritenendo doversi questa attivare in ragione della mancanza di modificazioni impeditive al progetto, integri la fattispecie dello sconfinamento nella sfera riservata al merito amministrativo: al contrario, si tratta della lettura della concreta vicenda, dei fatti e dei documenti di causa, oltre che delle disposizioni normative, la quale – ove pure fosse per ipotesi erronea o gravemente erronea – non integra la fattispecie di cui all’art. 111, comma 8, Cost., ma, al più, una violazione di legge o un’inadeguata valutazione ed apprezzamento dei fatti, di per sé non sindacabili davanti alle Sezioni unite, in quanto non idonei a travalicare i limiti esterni della giurisdizione speciale.
In definitiva, si tratta di errori che, ove anche sussistenti, non inciderebbero sui limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.
2. – Con il secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 111, comma 8, Cost., 362, comma 1, cod. proc. civ., e 110 cod. proc. amm., in ragione del rifiuto di giurisdizione, non avendo il Consiglio di Stato considerato che, in tema di danno conseguente alla ritardata conclusione del procedimento amministrativo, il requisito dell’ingiustizia esige la dimostrazione che il superamento del termine di legge abbia impedito al privato di ottenere il provvedimento ampliativo favorevole per il quale aveva presentato istanza (come affermato da Cons. Stato 23 aprile 2021, n. 7). La domanda sulla quale l’amministrazione si è positivamente pronunciata è quella che la società ha presentato dopo la modifica del progetto, non rilevando che essa lo abbia modificato per rispettare l’interesse pubblico su richiesta della P.A. L’onere di cooperazione in parola può essere ricondotto al concorso del fatto colposo del creditore, di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., essendo posto a carico del privato un onere di ordinaria diligenza di attivarsi con ogni strumento procedimentale o processuale, utile a salvaguardare il bene della vita correlato al suo interesse legittimo.
Quindi, alla Energetyca s.r.l. è imputabile la presentazione di un’istanza non accoglibile ed il giudice amministrativo ha realizzato un eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione.
2.2. – Il secondo motivo è inammissibile.
Si è da tempo chiarito, in particolare, che il motivo, con il quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta (cfr. Cass., sez. un., 6 giugno 2017, n. 13976; in precedenza, già Cass., sez. un., n. 3037/2013 e n. 14211/2005; in séguito, v. Cass., sez. un., n. 37522/2021; n. 19675/2020; n. 8842/2020, non massimata; n. 20169/2018; n. 16973/2018, ed altre).
Al contrario, non può essere sindacato innanzi alle Sezioni unite l’errore che non si risolva nel rifiuto di esercitare la giurisdizione, bensì nel suo denunziato cattivo esercizio.
Il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione, e tuttavia nell’esercitarla applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore interno e, se tale errore porti a negare tutela alla situazione fatta valere, ciò costituisce mera valutazione di infondatezza – in senso lato, occorre precisare, quindi comprendente anche la pronuncia in rito – della richiesta di tutela; e ciò, ancorché la statuizione, in quanto proveniente dal giudice di ultimo grado della giurisdizione adìta, comporti che la situazione rimanga priva di tutela giurisdizionale.
Ciascuna giurisdizione si esercita, infatti, con l’attribuzione, all’organo di vertice interno al plesso giurisdizionale, del controllo e della statuizione finale sulla correttezza in facto ed in iure di tutte le valutazioni necessarie a decidere sulla controversia, onde non è possibile prospettare che il modo in cui tale controllo viene esercitato dall’organo di vertice della giurisdizione speciale – ove pure si sia risolto nel negare tutela alla situazione giuridica azionata – sia suscettibile del controllo da parte delle Sezioni unite, assumendosi quindi che la negazione di tutela in concreto, con l’applicazione da parte del giudice speciale delle regole sostanziali e processuali interne alle controversie devolute alla sua giurisdizione, si sia risolta in un vizio di violazione delle regole di giurisdizione.
Nel caso di specie, la questione posta esula del tutto dal controllo sui limiti esterni della giurisdizione demandato a queste Sezioni unite.
Il Consiglio di Stato si è limitato a stabilire se la presentazione di un diverso progetto fosse tale da incidere sul procedimento: onde la prospettazione della ricorrente, indipendentemente da ogni valutazione sulla correttezza del convincimento esposto dalla sentenza impugnata, non evidenzia che il Consiglio di Stato abbia rifiutato di esercitare la giurisdizione o che la sua decisione si sia risolta in un sostanziale diniego del suo esercizio, ma evidenzia un asserito error in iudicando o in procedendo, che il giudice speciale avrebbe commesso nell’esercizio della sua giurisdizione, insindacabile con il rimedio proposto.
3. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della società controricorrente, che liquida in € 5.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese generali al 15% e agli accessori come per legge.
Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre
Allegati:
SS.UU, 22 settembre 2023, n. 27201, in tema di riparto di giurisdizione
Nota dell'Avv.ta Maria Luisa Avellis
Eccesso di giurisdizione e sindacato delle Sezioni Unite
1. Il principio di diritto
L’eccesso di potere giurisdizionale con sconfinamento nella sfera del merito amministrativo è configurabile quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato attraverso una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale evidenzi la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, attraverso una pronunzia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito.
2. La motivazione
Le Sezioni Unite richiamano il proprio costante orientamento, a mente del quale i motivi attinenti alla giurisdizione siano da riferirsi alle sole ipotesi di difetto “assoluto” di giurisdizione (che si verifica quando un Giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare in assoluto oggetto di cognizione giurisdizionale) o di difetto “relativo” di giurisdizione (riscontrabile quando il Giudice speciale abbia violato i c.d. “limiti esterni” della propria giurisdizione pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia erroneamente ritenuto che la materia appartenga ad altra giurisdizione).
L’ipotesi dell’errore in indicando o in procedendo commesso dal Giudice speciale, non è invece contestabile in Cassazione neanche allorquando l’errore si traduca nel venir meno di ogni mezzo di tutela.
In tal caso, precisa la Cassazione, si è al cospetto di errori di giudizio che non incidono sui limiti esterni della giurisdizione.
3. Riflessioni conclusive
Sono sindacabili dalle Sezione Unite le pronunce di un Giudice speciale che si assumano viziate da difetto relativo di giurisdizione, che ricorre quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro Giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell'attribuzione.
Il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione non comprende, invece, il sindacato sugli errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito dei limiti c.d. “interni” della giurisdizione.
In questa direzione, peraltro, si è espressa la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 6/2018, non menzionata dalla Cassazione in questa occasione, ma richiamata in altre pronunce (si veda, ad esempio, la recentissima ordinanza SS.UU, n. 18880/2023, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota dell’Avv.ta Maria Luisa Avellis), proprio perché si tratta di considerazione che aiuta a comprendere il differente impatto dell’intervento della Cassazione sulle giurisdizioni speciali, che in questo caso non riveste funzione nomofilattica.