Civile Ord. Sez. U Num. 26738 Anno 2021
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MERCOLINO GUIDO
Data pubblicazione: 01/10/2021
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta da | Oggetto:
regolamento di giurisdizione |
|
Pietro CURZIO | – Primo Presidente – | |
Francesco TIRELLI | – Presidente di Sezione – | |
Antonio MANNA | – Presidente di Sezione – | R.G.N. 24067/2020 |
Enrico MANZON | – Consigliere – | Cron. |
Adriana DORONZO | – Consigliere – | CC – 25/05/2021 |
Alberto GIUSTI | – Consigliere – | |
Antonello COSENTINO | – Consigliere – | |
Chiara GRAZIOSI | – Consigliere – | |
Guido MERCOLINO | – Consigliere Rel. – |
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24067/2020 R.G. proposto da
PERLO MARIA CRISTINA, rappresentata e difesa dagli Avv. Lorenzo Vitali e Lucia Carrozza e dai Prof. Avv. Fabrizio Fracchia e Aristide Police, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Liegi, n. 32;
– ricorrente –
contro
PROCURA REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE PIEMONTE, con domicilio eletto in Roma, via Baiamonti, n. 25, presso la Procura generale della Corte dei conti;
– controricorrente –
GATTI FABRIZIO;
– intimato –
per regolamento preventivo di giurisdizione nel giudizio pendente dinanzi alla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, iscritto al n. 20926/2019 R.G.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere Guido Mercolino;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Anna Maria Soldi, che ha chiesto la dichiarazione della giurisdizione del Giudice contabile.
FATTI DI CAUSA
1. Il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte ha convenuto dinanzi alla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, Fabrizio Gatti, già presidente della Finpiemonte S.p.a., e Maria Cristina Perlo, già direttore generale della medesima società, per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 12.268.684,49, a titolo di risarcimento del danno erariale cagionato da gravi irregolarità nella gestione della liquidità della società, e segnatamente dalla gestione non autorizzata di un conto corrente aperto presso la Bank Vontobel AG, attraverso il quale erano stati effettuati indebiti trasferimenti di denaro, per un importo complessivo di Euro 5.950.000,00, in favore di società che non risultavano aver intrattenuto alcun rapporto con la Finpiemonte.
A sostegno della domanda, il Procuratore regionale ha esposto che la Finpiemonte è una società in house della Regione Piemonte, costituita con legge regionale 26 luglio 2007, n. 17, avente ad oggetto il sostegno dello sviluppo economico e sociale, della ricerca e della competitività del territorio, e partecipata per il 99,6% dalla Regione, che esercita sulla società il controllo analogo e l’indirizzo strategico, mediante l’autorizzazione dei documenti di programmazione e del piano industriale. In qualità di finanziaria regionale, la società è iscritta nell’elenco generale di cui all’art. 106 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 ed autorizzata ad esercitare in via professionale nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti e di assunzione di partecipazioni, ai fini della quale si è proceduto alla modifica dello statuto ed a successivi aumenti di capitale, volti al rafforzamento patrimoniale della società. Per la gestione della liquidità affidatale dalla Regione, la società ha sottoscritto nel tempo numerosi contratti di deposito con diverse aziende di credito, sulla base della disciplina prevista da un accordo quadro standardizzato, redatto in conformità delle indicazioni della Regione, il quale prevede impieghi a breve termine ed a basso rischio, con possibilità di pronto smobilizzo dei fondi ed obbligo di non istituire vincoli o gravami di qualsiasi genere, e con separazione contabile dell’attività e del patrimonio propri della società. In data 18 dicembre 2015, la Finpiemonte ha peraltro stipulato, con l’assistenza di legali esterni, un diverso accordo quadro con la Bank Vontobel, avente ad oggetto la costituzione di un conto di deposito e di un conto corrente, sui quali era autorizzata a dare disposizioni esclusivamente la Perlo, in qualità di direttore generale: tale accordo, con il quale è stata affidata ad un intermediario finanziario straniero una rilevante quota di fondi pubblici, ha determinato una situazione di inescusabile opacità nello svolgimento del rapporto, che ha con-sentito o comunque favorito una gravissima distrazione dei predetti fondi. A seguito dell’indizione di una gara per l’allocazione di fondi, la predetta Banca è risultata infatti aggiudicataria di un lotto di Euro 50.000.000,00, depositati sul conto corrente e restituiti in ritardo alla scadenza del termine, con problemi anche nella tempistica di accredito, nella documentazione contabile e nel conteggio degli interessi; nonostante la segnalazione di tali difficoltà da parte dei funzionari della società, quest’ultima ha peraltro effettuato un nuovo deposito dello stesso importo, ripetutamente rinnovato alle scadenze, con l’intervento decisivo del Gatti e della Perlo, procedendo tuttavia, dal mese di agosto 2016, alla sostituzione dei fondi regionali con fondi propri, derivanti dall’aumento di capitale; nel corso del rapporto, sono poi sorte ulteriori difficoltà, essendo emerso che a fianco del conto base erano stati costituiti tre sottoconti, sui quali erano stati effettuati dei bonifici in favore di soggetti estranei all’attività di Finpiemonte, non essendo stati più accreditati gli interessi, a partire dal mese di gennaio 2017, e non essendo stato restituito l’importo depositato alla scadenza del termine. Soltanto in data 9 giugno 2017, a seguito dell’esclusione della Bank Vontobel dalla procedura indetta per un nuovo accreditamento degli istituti bancari, la Perlo ha richiesto la restituzione dei fondi depositati, unitamente agl’interessi maturati, ma a seguito di un incontro tra le parti tale richiesta è stata immotivatamente congelata: ciò nonostante, i vertici della società non hanno assunto alcuna iniziativa a tutela del patrimonio sociale, fino al momento in cui, procedutosi alla sostituzione del Gatti, il nuovo presidente ha formalmente diffidato la Banca alla restituzione della somma dovuta, provvedendo inoltre all’acquisizione della documentazione contabile, dalla quale è emerso che quello stipulato tra le parti non era un semplice contratto di deposito, ma un contratto di gestione patrimoniale, in virtù del quale si era proceduto alla sottoscrizione di derivati ed all’acquisto di titoli, nonché all’apertura di una linea di credito. Tali circostanze sono state denunciate alla Banca d’Italia, la quale ha proceduto ad una veri-fica ispettiva, aprendo poi un procedimento sanzionatorio nei confronti dei vertici della società, nonché alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, che ha avviato un’indagine preliminare, all’esito della quale ha chiesto il rinvio a giudizio del Gatti e della Perlo, unitamente ad altri soggetti.
Tanto premesso, il Procuratore regionale ha ritenuto indiscutibile la responsabilità del Gatti e della Perlo, che hanno materialmente operato fin dallo inizio nell’impostazione e nell’esecuzione dell’operazione posta in essere con la Bank Vontobel, nella piena consapevolezza delle problematiche emerse, affrontandole di persona, nell’ambito di un rapporto che, pur avendo avuto ad oggetto la gestione di ingentissime risorse pubbliche, è stato caratterizzato da pochissime comunicazioni scritte e da continue riunioni e decisioni verbali. Ha precisato che l’intera operazione è stata concepita dal Gatti per ragioni personali, e segnatamente al fine di evitare il fallimento di una serie di società a lui collegate, destinatarie dei bonifici effettuati sul conto corrente, mentre la Perlo ha tenuto un comportamento gravemente inadeguato rispetto ai propri doveri di direttore generale e garante della tutela del patrimonio aziendale, non essendosi avveduta delle caratteristiche del contratto stipulato con la Banca ed avendo provveduto alla seconda allocazione di fondi, nonostante la tempestiva segnalazione delle anomalie emerse in relazione alla prima, nonché alla sostituzione dei fondi regionali con fondi propri della società, in modo tale da evitare di dover rendere conto alla Regione.
2. Con atto notificato il 10 settembre 2020, la Perlo, non ancora costituitasi nel giudizio dinanzi alla Corte dei conti, ha proposto ricorso per regola-mento di giurisdizione, illustrato anche con memoria, chiedendo dichiararsi la giurisdizione del Giudice ordinario. Il Procuratore regionale della Corte dei conti ha resistito con controricorso, chiedendo dichiararsi la giurisdizione del Giudice contabile. Il Gatti non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. A sostegno della domanda, la ricorrente contesta la qualificazione della Finpiemonte come società in house, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, per difetto del requisito della sottoposizione al controllo ana-logo. Premesso che la società ha una compagine sociale composita, costituita per il 99,85% dalla Regione e per le restanti quote da altri enti pubblici, osserva che in siffatte ipotesi, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, richiamato anche dall’art. 2, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 175 cit., e dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE, è necessario che i soci pubblici esercitino un controllo congiunto, attraverso la partecipazione di ciascuno di essi sia al capitale che agli organi direttivi della società; precisa che a tal fine non assume alcun rilievo l’entità della partecipazione, occorrendo invece che non sia preclusa alle singole autorità la possibilità di partecipare al controllo della società, come accade invece nel caso in cui il socio di maggioranza sia in grado di imporre le proprie scelte alla minoranza, a partire dalla nomina dello organo amministrativo.
Ciò posto, rileva che nella specie lo statuto della Finpiemonte, tanto nella versione originaria quanto in quelle successive, non riserva alcuno spazio di controllo ai soci pubblici diversi dalla Regione, attribuendo esclusivamente a quest’ultima la nomina di tutti i componenti del consiglio di amministrazione, e non prevedendo alcuna forma di controllo da parte degli altri soci sull’attività; aggiunge che un controllo congiunto analogo non è previsto neppure dalla legge regionale n. 17 del 2007, la quale consente alla società di operare non solo a favore della Regione, ma anche a favore degli altri soci, sulla base di apposite convenzioni.
Sostiene inoltre che, anche a voler escludere la necessità di un controllo congiunto, dovrebbe ritenersi ugualmente insussistente il controllo analogo, non spettando all’assemblea dei soci alcuna competenza gestoria in ordine alle materie rilevanti, non essendo attribuiti ai soci pubblici sufficienti poteri in ambito extra-assembleare, e non essendo presenti patti parasociali che consentano il predetto controllo. Precisa che tale controllo non è attribuito neppure alla Regione, alla quale spetta unicamente l’approvazione dei docu-menti di programmazione e del piano industriale, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale n. 17 del 2007, mentre l’amministrazione della società è affidata esclusivamente al consiglio di amministrazione, ai sensi dell’art. 16 dello sta-tuto. Aggiunge che il predetto controllo non può desumersi neppure dalla convenzione quadro stipulata con la Regione o dalle delibere della Giunta regionale 12 dicembre 2017, n. 2-6001 e 11 aprile 2016, n. 1-3120, dal momento che la prima prevede soltanto un monitoraggio ex ante ed ex post sulla gestione, mentre le altre due si riferiscono esclusivamente agli organismi in house, tra i quali non è compresa la Finpiemonte. In proposito, richiama an-che la nozione restrittiva di società in house emergente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, rilevando che la stessa trova conferma nell’art. 1, comma terzo, del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale prevede che, salvo ipotesi eccezionali, le società a partecipazione pubblica restano soggette alla disciplina privatistica.
Afferma poi che nella specie le regole del controllo analogo non hanno trovato applicazione neppure in concreto, osservando che, nonostante l’importanza dell’allocazione dei fondi, le relative decisioni sono state assunte dal presidente senza alcuna interlocuzione con la Regione, in ossequio all’autonomia gestionale della società, evidenziata anche nelle note trasmesse alla Banca d’Italia ai fini del conseguimento dell’iscrizione nell’albo unico di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1993.
Sostiene infine che il danno allegato a sostegno della domanda non ha natura erariale, non essendo stato arrecato alla Regione, la quale non è titolare della totalità delle azioni della Finpiemonte, ma alla società, e non rive-stendo essa ricorrente la qualifica di rappresentante della Regione, richiesta dall’art. 12, comma secondo, del d.lgs. n. 175 del 2016. Precisa infatti di essere una dipendente della società, assoggettata alla disciplina civilistica, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 175 cit., osservando comunque che la Regione non ha subìto alcun danno, né in riferimento al periodo successivo al mese di agosto 2016, dal momento che i fondi allocati erano ormai fondi propri della società, né in riferimento al periodo anteriore, dal momento che i fondi regionali sono stati interamente restituiti.
1.1. Si osserva al riguardo che, in tema di società a partecipazione pubblica, queste Sezioni Unite hanno da tempo enunciato il principio secondo cui la giurisdizione sull’azione di responsabilità proposta nei confronti degli organi sociali per i danni arrecati al patrimonio della società spetta alla Corte dei conti soltanto se sussistono i seguenti requisiti, che consentono di qualificare l’ente come società in house providing: a) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, e lo sta-tuto vieti la cessione delle partecipazioni a soggetti privati, b) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale, c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità ed intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (cfr. tra le altre, Cass., Sez. Un., 13/09/2018, n. 22409; 22/12/2016, n. 26643; 10/03/2014, n. 5491). Soltanto in presenza di tali condizioni, che devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all’epoca cui risale la condotta illecita, la società può es-sere assimilata ad un’articolazione organizzativa interna dell’ente pubblico, con il conseguente superamento della distinzione tra le rispettive personalità giuridiche e dell’autonomia patrimoniale della società, che ordinariamente escludono la configurabilità di un rapporto di servizio tra il socio pubblico ed i soggetti che hanno agito nella veste di organi sociali, nonché l’imputabilità al primo del pregiudizio arrecato al patrimonio della società (cfr. Cass., 11/09/ 2019, n. 22712; 21/06/2019, n. 16741).
Tali principi sono stati sostanzialmente recepiti dall’art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale, nel disciplinare la responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica, ha stabilito che gli stessi «sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali», facendo tuttavia salva «la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house». La nozione di società in house è delineata dall’art. 2, lett. o), del medesimo decreto, il quale definisce tali società come quelle «sulle quali un’amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all’art. 16, comma primo, e che soddisfano il requisito dell’attività prevalente di cui allo art. 16, comma terzo». La definizione del controllo analogo e del controllo analogo congiunto è contenuta invece nelle lett. c) e d) dell’art. 2, che identifica il primo nella «situazione in cui l’amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’in-fluenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata», ed il secondo nella «situazione in cui l’amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi», precisando che quest’ultima situazione «si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 5, comma quinto, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50». Tale disposizione, riguardante la materia delle concessioni degli appalti pubblici, stabilisce a sua volta che «le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto [in presenza del quale sono di-spensate dall’applicazione della disciplina dettata dal codice degli appalti pubblici: n.d.r.] quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministra-zioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiunta-mente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti».
1.2. Nella specie, la ricorrente, convenuta in giudizio in qualità di direttore generale della Finpiemonte per il risarcimento del danno cagionato dalla gestione dei fondi della società, non contesta la sussistenza dei primi due requi-siti contemplati dal principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della devoluzione della controversia alla giurisdizione contabile, ovverosia la detenzione dell’intero capitale della società da parte di enti pubblici e lo svolgimento prevalente di compiti affidati alla società dagli enti partecipanti: essa stessa richiama infatti la legge n. 17 del 2007, con cui la Regione Pie-monte provvide alla riorganizzazione della Finpiemonte, definendola come «una società a capitale interamente pubblico, a prevalente partecipazione regionale, che opera a favore della Regione e degli altri enti costituenti o partecipanti» (art. 2, comma primo), attribuendole il ruolo di «società finanziaria regionale a sostegno dello sviluppo, della ricerca e della competitività del territorio», nonché di «qualificato organismo cui affidare le attività di natura finanziaria dirette all’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, […] secondo le finalità e le direttive dallo stesso indicate» (art. 1) e demandandole, «nel quadro della politica di programma-zione regionale», il compito di svolgere «attività strumentali alle funzioni della Regione, aventi carattere finanziario e di servizio, nonché degli altri enti costituenti o partecipanti» (art. 2, secondo comma). Il carattere strumentale dell’attività affidata alla società, espressamente previsto da quest’ultima disposizione, non è escluso dalla variegata natura delle funzioni che la stessa è chiamata a svolgere ai sensi dell’art. 2, comma secondo, della legge regionale, il cui oggetto, comprendente anche la prestazione di servizi finanziari rivolti al pubblico e segnatamente alle imprese operanti sul territorio, è pur sempre collegato alla programmazione economico-finanziaria regionale, e si caratterizza comunque per una spiccata prevalenza delle attività di consulenza, assistenza e progettazione da svolgersi in favore della Regione e degli enti pubblici partecipanti ai fini della realizzazione di interventi di promozione e sostegno alla competitività del sistema imprenditoriale regionale e, più in generale, allo sviluppo economico e sociale territoriale.
Ciò che la ricorrente contesta è invece la sottoposizione della società al controllo analogo dei soci pubblici, non desumibile, a suo avviso, né dallo statuto sociale, il quale non attribuisce né alla Regione né agli altri enti partecipanti poteri diversi e più ampi di quelli ordinariamente spettanti ai soci di una società privata, né dalle concrete modalità di svolgimento della vicenda che ha dato origine all’azione di responsabilità, caratterizzate dall’assunzione in piena autonomia da parte dei vertici della società delle determinazioni relative alla gestione dei fondi alla stessa assegnati.
1.2. Tali modalità risultano peraltro assolutamente irrilevanti ai fini dello accertamento dei requisiti necessari per la qualificazione della società come società in house providing, il quale, come già precisato da queste Sezioni Unite, prescinde dalla ricorrenza in fatto dei predetti requisiti, dovendo essere condotto esclusivamente sulla base delle disposizioni normative e statutarie vigenti all’epoca della commissione dell’illecito, che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento della società, e che individuano, oltre alle caratteristiche della compagine sociale ed alla destinazione dell’attività dell’ente, l’ambito dei poteri spettanti ai soci pubblici e gli strumenti attraverso i quali tali poteri si esercitano (cfr. Cass., Sez. Un., 21/06/2019, n. 16741; 13/09/ 2018, n. 22409; 26/03/2014, n. 7177): nella specie, d’altronde, l’addebito che viene mosso alla ricorrente ed al presidente della società consiste proprio nell’aver gestito i fondi assegnati dalla Regione in piena autonomia e sottraendosi a qualsiasi controllo, sicché, ove dovesse conferirsi rilievo alla situazione di fatto determinata dalla predetta condotta, anziché a quella previ-sta dalle predette disposizioni, la sussistenza del controllo andrebbe paradossalmente esclusa proprio in virtù dell’illecito allegato a sostegno dell’azione di responsabilità.
In quest’ottica, occorre innanzitutto richiamare gli artt. 2 e 6 della legge regionale n. 17 del 2007, il primo dei quali attribuisce alla Giunta regionale il potere di a) approvare preventivamente i documenti di programmazione e il piano industriale della società, b) verificare lo stato di attuazione degli obiettivi assegnati, anche sotto il profilo dell’efficacia, efficienza ed economicità, c) definire i criteri e le modalità di gestione e rendicontazione delle risorse assegnate alla società per l’erogazione delle agevolazioni e dei benefici (comma terzo), stabilendo che i rapporti tra i soci e la società per lo svolgi-mento di attività affidate a quest’ultima sono disciplinati da apposite convenzioni, che ne definiscono finalità e regole di gestione e controllo, e precisando che le convenzioni che disciplinano i rapporti con la Regione sono stipulate in conformità ad uno schema di contratto tipo approvato dalla Giunta regionale (comma quarto), mentre il secondo attribuisce alla Regione la nomina di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società (comma secondo) e la designazione dei relativi presidenti (comma quarto). Tali poteri, attribuiti alla Regione indipendentemente dall’entità della partecipazione sociale di cui è titolare (genericamente definita «prevalente» dall’art. 2, comma primo), non hanno subìto mutamenti per effetto dell’art. 11 della legge regionale 27 gennaio 2015, n. 1, il quale, nel prevedere l’integrazione tra la Finpiemonte e la Finpiemonte Partecipazioni S.p.a. in termini di sinergie funzionali orientate alla razionalizzazione dei costi di struttura e la riorganizzazione e razionalizzazione delle loro partecipazioni dirette ed indi-rette, ha demandato alla Giunta regionale l’adozione delle misure necessarie ed opportune per favorire il raggiungimento di tale obiettivo, con l’obbligo di mantenere fermo l’assetto proprietario a capitale interamente pubblico di Finpiemonte, la sua natura di società in house e le funzioni strumentali ad essa attribuite. La predetta disciplina, dalla quale emerge con evidenza il condizionamento esercitato dalla Regione nei confronti della società, non solo attraverso la nomina degli organi sociali, ma anche attraverso la definizione degli obiettivi della sua attività, la verifica del loro stato di attuazione e l’individua-zione delle regole per la gestione dei fondi assegnati e dei relativi strumenti di controllo, ha trovato conferma anche nello statuto della società: lo stesso, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con delibera del 26 novembre 2018, oltre a ribadire il carattere strumentale dell’attività della società rispetto alle funzioni della Regione e degli altri enti partecipanti (art. 5, comma secondo), la natura esclusivamente pubblica della compagine sociale e la spettanza della maggioranza assoluta alla Regione (art. 6, comma terzo), attribuiva a quest’ultima il potere di nominare tutti i componenti del consiglio di amministrazione (art. 16) e del collegio sindacale (art. 23), demandando alla Giunta regionale quella dei rispettivi presidenti (artt. 18 e 23, comma terzo) e prevedendo espressamente che, in quanto strumento esecutivo della Regione e degli altri enti partecipanti, la società era soggetta al controllo ana-logo della Regione (art. 5, comma sesto).
Anche a voler ritenere che, ai fini della configurabilità di un siffatto con-trollo, non risulti sufficiente un’astratta previsione statutaria alla quale non corrisponda l’attribuzione di strumenti d’intervento idonei a garantirne l’effettività, appare indubitabile che la gestione della Finpiemonte è assoggettata ad una forma di controllo non diversa, nella sostanza, da quella che la Regione esercita nei confronti dei propri servizi, in quanto idonea ad incidere, per la sua ampiezza ed intensità, non solo sull’individuazione degli obiettivi dell’impresa e, più in generale, sulla programmazione dell’attività aziendale, ma anche sulla determinazione e sull’osservanza delle regole di gestione delle risorse assegnate alla società, nonché, attraverso le convenzioni stipulate con gli enti partecipanti, sulle modalità di svolgimento dei compiti ad essa concretamente affidati: si tratta di un controllo che, in quanto esteso alle modalità concrete della gestione, generalmente rimesse alla determinazione dello organo esecutivo della società, non è in alcun modo assimilabile a quello consentito ai soci dall’ordinaria disciplina civilistica, che si esprime attraverso la partecipazione all’assemblea e, attraverso la stessa, alla nomina degli amministratori e dei sindaci, all’approvazione dei bilanci ed al rilascio in favore degli amministratori delle autorizzazioni specificamente richieste per il compimento di determinati atti (art. 2364 cod. civ.). Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che la società abbia ottenuto, ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1993, l’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari autorizzati, necessaria per l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti: tale iscrizione risulta infatti collegata alla natura dell’attività svolta dalla società, il cui esercizio, riservato dalla legge agl’intermediari in possesso dell’autorizzazione prescritta dall’art. 107 del d.lgs. n. 385 cit., è subordinato alla verifica dei requisiti previsti da tale disposizione, tra i quali non è affatto compresa la sottrazione dell’intermediario al controllo di altri soggetti, ma esclusivamente l’in-sussistenza di legami suscettibili di ostacolare l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza da parte della Banca d’Italia (cfr. Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n. 4316).
1.3. Parimenti infondata è la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui, trattandosi di società partecipata non solo dalla Regione, ma da una pluralità di enti pubblici, il controllo esercitato dal socio di maggioranza non potrebbe considerarsi sufficiente ai fini della qualificazione della stessa come società in house e della conseguente devoluzione alla giurisdizione contabile dell’azione di responsabilità esercitata nei confronti degli organi sociali, risultando invece necessaria la configurabilità di un controllo congiunto da parte di tutti gli enti pubblici partecipanti, tale da consentire a ciascuno di essi di esercitare effettivamente un’influenza determinante sulla gestione sociale.
A sostegno di tale assunto, la ricorrente invoca l’orientamento della giurisprudenza comunitaria in tema di appalti pubblici, secondo cui, quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta (cfr. Corte di Giusti-zia UE, 29/11/2012, in cause C-182/11 e C-183/11, Econord). Tale richiamo non può ritenersi tuttavia pertinente, non solo per le conseguenze paradossali che la difesa della ricorrente pretende di trarre dal predetto principio, ma anche per le differenze riscontrabili tra la fattispecie in esame e quella presa in considerazione dal Giudice comunitario. In quel caso, infatti, si trattava di stabilire se un ente pubblico che aveva acquisito una minima partecipazione al capitale di una società fosse esonerato dall’obbligo di avviare una procedura di gara ai fini dell’affidamento di un appalto, anche nel caso in cui non avesse alcuna possibilità di partecipare al controllo sull’attività sociale, riservato all’ente che deteneva la partecipazione di maggioranza: la pronuncia richiamata precisò che, pur non essendo indispensabile che ciascuno degli enti partecipanti detenesse da solo un potere di controllo individuale, non poteva considerarsi sufficiente, ai fini dell’esenzione dal predetto obbligo, il controllo esercitato dal socio di maggioranza, ma occorreva accertare se l’ente partecipante avesse l’effettiva possibilità di esercitare a sua volta un’in-fluenza determinante sulla gestione della società, risultando altrimenti svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto; ciò non equivaleva tuttavia ad affermare che, in caso negativo, l’esonero dall’obbligo di indire la gara si estendesse all’ente titolare della partecipazione di maggioranza, ove lo stesso fosse, da solo o congiuntamente ad altri soci pubblici, in grado di esercitare un controllo analogo nei confronti della società.
E’ alla luce di tali considerazioni che dev’essere interpretata anche la de-finizione di società in house dettata dall’art. 2, lett. o), del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale non a caso subordina l’operatività della predetta qualificazione alla configurabilità di un controllo analogo esercitato, in via alternativa, individualmente da un’amministrazione o congiuntamente da più amministra-zioni, senza richiedere la coincidenza di queste ultime con tutte quelle titolari di una partecipazione al capitale sociale. Tale precisazione non emerge nep-pure dall’art. 5, comma quinto, del d.lgs. n. 50 del 2016, richiamato dall’art. 2, lett. d), del d.lgs. n. 175 ai fini della definizione della nozione di controllo congiunto, dal momento che tale disposizione si limita, più semplicemente, a subordinare la configurabilità del predetto controllo alla triplice condizione che tutte le amministrazioni controllanti siano rappresentate negli organi decisionali, siano in grado di esercitare un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni della società, e non siano titolari d’interessi contrari a quelli perseguiti da quest’ultima, senza escludere la possibilità dell’esistenza di altri soci pubblici, non partecipanti all’esercizio del controllo.
1.4. Nella specie, d’altronde, l’esiguità della partecipazione al capitale sociale spettante agli enti pubblici, diversi dalla Regione Piemonte, che rivesti-vano la qualità di soci all’epoca della commissione dell’illecito non consentirebbe comunque di escludere che gli stessi fossero in possesso dei requisiti necessari ai fini della configurabilità di un controllo congiunto. L’art. 6, comma secondo, della legge regionale n. 17 del 007, pur riservando alla Regione il potere di nominare tutti i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, prevedeva infatti che a tal fine dovesse essere comunque assicurata la rappresentanza delle minoranze, in tal modo introducendo un principio di carattere cogente, la cui mancata riproduzione da parte dello sta-tuto, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con delibera del 26 novembre 2018, non consente di escluderne l’immediata operatività, avuto riguardo alla prevalenza della legge regionale sullo statuto, approvato con delibera dell’assemblea dei soci. Nessun rilievo può assumere, in proposito, la circo-stanza che né la legge regionale né lo statuto sociale indicassero specifica-mente il numero di componenti da riservare agli enti titolari di partecipazioni minoritarie, dal momento che l’art. 5, comma quinto, lett. a) del d.lgs. n. 50 del 2016, nel subordinare la configurabilità del controllo congiunto alla rappresentanza di tutti gli enti partecipanti negli organi decisionalità della società, precisa che «singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti», in tal modo escludendo la necessità che ciascun ente indichi un proprio rappresentante. Tale rappresentanza, consentendo ai soci di minoranza di partecipare alle decisioni riguardanti la gestione della società, affidate in via esclusiva al consiglio di amministrazione, giustifica anche il riconoscimento agli stessi di un’influenza determinante ai fini non solo dell’individuazione degli obbiettivi e degl’indirizzi dell’attività, ma anche della determinazione delle modalità operative da adottare per la realizzazione degli stessi. A tale forma di con-trollo occorre poi aggiungere quello esercitato dagli enti partecipanti attraverso la determinazione del contenuto delle convenzioni stipulate con la società, ai sensi dell’art. 5, comma quarto, della legge regionale, ai fini dell’affidamento delle attività di rispettiva competenza, nel cui esercizio la società era chiamata ad operare come «strumento esecutivo» degli enti partecipanti, secondo la definizione contenuta nell’art. 5, comma sesto, dello statuto.
1.5. E’ proprio sulla base della disciplina prevista dalle predetta convenzioni, ed in particolare dalla convenzione quadro stipulata dalla società con la Regione, che le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno d’altronde riconosciuto, in una recente pronuncia, la possibilità d’includere la Finpiemonte nello elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consoli-dato, predisposto dall’Istat ai sensi dell’art. 1, comma terzo, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, rigettando l’impugnazione proposta al riguardo dalla società (cfr. Corte conti, Sez. Riun., 28/12/2020, n. 46). Ai fini della qualificazione di quest’ultima come Pubblica Amministrazione, sono state valorizzate, in particolare, le clausole che qualificano il rapporto con la Regione in termini di «delegazione interorganica» ed attribuiscono alla Finpiemonte la posizione di «soggetto equiparabile agli organi interni dell’Amministrazione regionale», imponendole di adeguarsi «agli orientamenti, alle interpretazioni, alle circolari elaborati dalla Regione, attinenti alle materie oggetto di affida-mento», di regolamentare le proprie attività e la propria organizzazione «nel rispetto di tutti i principi e delle norme che attengono al funzionamento delle Amministrazioni Pubbliche» e di conformare la propria attività ai principi di imparzialità, economicità, trasparenza, pubblicità e semplificazione, nonché di attenersi, nel caso di acquisizione esterna di servizi, forniture o lavori, alle previsioni del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Ai fini della configurabilità del controllo analogo, sono state altresì evidenziate l’attribuzione alla Regione del potere di adottare provvedimenti di annullamento, revoca, riesame, ritiro ed in generale provvedimenti di secondo grado rispetto a quelli della società e del potere di riservare a sé in ogni momento l’adozione del provvedimento finale, nonché l’imposizione a carico della società di obblighi di rendiconta-zione periodica, giustificati anche dalla provenienza quasi esclusivamente regionale delle risorse con cui opera la società e dall’assunzione da parte della Regione degli oneri economici collegati ad eventuali insolvenze dei beneficiari delle sovvenzioni concesse. E’ sulla base di tali disposizioni, nonché di quelle contenute nello statuto sociale, che la giurisprudenza contabile ha potuto concludere che, nello svolgimento dell’attività di finanza agevolata, che rappresenta la percentuale nettamente maggioritaria del suo ambito di azione, la Finpiemonte non dispone di autonomia gestionale, aggiungendo inoltre che, sebbene la sua attività consista nella prestazione di servizi di tipo finanziario, essa non possiede le caratteristiche proprie dell’intermediario finanziario, sia per il fatto di non sopportare i rischi economici della propria attività, sia per il fatto di non operare liberamente sul mercato ed in favore di un pubblico indifferenziato. Tali conclusioni meritano di essere condivise, alla luce delle considerazioni precedentemente svolte in ordine alla disciplina legislativa e statutaria della società, che, confermandone lo stabile inserimento nell’organizzazione amministrativa della Regione e degli altri enti partecipanti, quale strumento esecutivo delle funzioni dagli stessi svolte in materia di programmazione e sviluppo economico territoriale, giustificano la qualificazione della Finpiemonte come società in house.
1.6. Quanto poi alla natura del danno arrecato al patrimonio della società dalla condotta addebitata alla ricorrente ed all’intimato, è appena il caso di richiamare quanto affermato in precedenza, e cioè che la configurabilità di una società a partecipazione pubblica come società in house, giustificandone l’assimilazione ad un’articolazione organizzativa interna dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale, cui è immanente il rapporto di servizio tra quest’ultimo e gli amministratori o i dipendenti della società, comporta il superamento della distinzione tra le rispettive sfere giuridiche e patrimoniali, consentendo di qualificare come danno erariale, cioè come pregiudizio arrecato direttamente al socio pubblico, quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti: a tali società non è quindi applicabile il principio, operante in tema di società di capitali e normalmente riferibile anche a quelle a partecipazione pubblica, secondo cui la distinzione tra la personalità giuridica della società e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio il danno che l’illecito comporta-mento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dello ente (cfr. Cass., Sez. Un., 11/09/2019, n. 22712; 25/11/2013, n. 26283). Tale conclusione non si pone in contrasto con il disposto dell’art. 12, comma secondo, del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale, facendo proprio anche sotto questo aspetto l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, si limita ad includere nella nozione di danno erariale anche il pregiudizio eventualmente arrecato al valore della partecipazione sociale dell’ente pubblico dalla con-dotta dei suoi rappresentanti o comunque delle persone fisiche titolari del potere di decidere per esso, il quale, incidendo direttamente sul patrimonio del socio pubblico, costituisce un danno distinto ed ulteriore rispetto a quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti della stessa: nessun rilievo può dunque assumere la circostanza che nella vicenda in esame la ricorrente non abbia rivestito la qualifica di rappresentante della Regione, risultando sufficiente, ai fini della configurabilità del danno erariale, che nella gestione dei fondi assegnati alla Finpiemonte ella abbia agito in qualità di dipendente della società, il cui pregiudizio è stato allegato a sostegno della pretesa risarcitoria. Ininfluente deve ritenersi infine la circostanza che nel corso del rapporto con la Bank Vontobel i fondi assegnati dalla Regione siano stati sostituiti con fondi propri della società, la cui autonomia patrimoniale non consente di escludere, per quanto detto, la natura erariale del danno allegato, avuto riguardo al rapporto d’identificazione tra la società stessa e gli enti dei quali costituisce un’articola-zione organizzativa.
2. In conclusione, va quindi affermata la spettanza alla Corte dei conti della giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento del danno erariale proposta dal Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Pie-monte nei confronti di Maria Cristina Perlo, in qualità di direttore generale della Finpiemonte, in relazione alle gravi irregolarità accertate nella gestione della liquidità della società.
P.Q.M.
dichiara la giurisdizione della Corte dei conti.
Così deciso in Roma il 25/05/2021
Il Presidente
Allegati:
SS.UU, 01 ottobre 2021, n. 26738, in tema di società in house
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Spetta alla Corte dei Conti la giurisdizione sull'azione di responsabilità proposta nei confronti degli organi sociali per i danni arrecati al patrimonio della società a partecipazione pubblica, purché sussistano i requisiti per qualificare l'ente come società in house providing
1. Il principio di diritto
La configurabilità di una società a partecipazione pubblica come società in house:
- ne giustifica l'assimilazione ad un'articolazione organizzativa interna dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale;
- comporta il superamento della distinzione tra le rispettive sfere giuridiche e patrimoniali;
- consente di qualificare come danno erariale, cioè come pregiudizio arrecato direttamente al socio pubblico, quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti.
A tali società non è, quindi, applicabile il principio, operante in tema di società di capitali e normalmente riferibile anche a quelle a partecipazione pubblica, secondo cui la distinzione tra la personalità giuridica della società e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio il danno che l'illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dello ente.
2. La normativa vigente
Tali enunciati giurisprudenziali sono stati recepiti dall'art. 12 del T.U. in materia di società a partecipazione pubblica (D.lgs. 175/2016), il quale, nel disciplinare la responsabilità dei relativi componenti degli organi di amministrazione e controllo, ha stabilito che gli stessi “sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali”, facendo tuttavia salva “la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite chiariscono, infine, come quanto già affermato in precedenza (cfr., SS.UU, 11 settembre 2019, n. 22712; 25 novembre 2013, n. 26283), ed ora ribadito, non si ponga in contrasto con il disposto dell'art. 12, c. 2, del T.U..
La norma include nella nozione di danno erariale anche il pregiudizio eventualmente arrecato al valore della partecipazione sociale dell'ente pubblico dalla condotta dei suoi rappresentanti o comunque delle persone fisiche titolari del potere di decidere per esso; danno che, incidendo direttamente sul patrimonio del socio pubblico, costituisce un pregiudizio distinto ed ulteriore rispetto a quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti della stessa.