Civile Ord. Sez. U Num. 3869 Anno 2023
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA
Data pubblicazione: 08/02/2023
ORDINANZA
sul ricorso 15274-2021 proposto da:
BARONE MARCELLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DODARO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA PASQUALE CANNAS;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 25;
– controricorrente –
nonchè contro
PROCURATORE REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA SARDEGNA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 330/2020 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 01/12/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/01/2023 dal Consigliere GIACOMO MARIA STALLA.
Si osserva che:
§ 1.1 Marcello Barone propone – ex artt. 360, co. 1^, n.1) cod.proc.civ. e 207 d.lgs.174/16 – un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 330 del 1^.12.2020, non notificata, con la quale la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale centrale di appello, ha confermato la decisione di primo grado (sent. Sezione Giurisdizionale per la Sardegna n. 215/2019) che lo aveva condannato al pagamento dell’importo di euro 61.756,20, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno erariale da lui dolosamente causato alla srl Società Sardegna IT (ritenuta in house della Regione Autonoma) di cui era amministratore delegato. Ciò per essersi fatto indebitamente liquidare – tra il 2009 ed il 2014 – spese per vitto, pernottamento ed utilizzo di una vettura di servizio in aggiunta alla specifica indennità annuale onnicomprensiva di cui già usufruiva a tale titolo; il tutto in accoglimento dell’azione nei suoi confronti promossa dalla Procura Regionale della Corte dei Conti nell’agosto 2018.
Per quanto qui rileva, la sentenza impugnata ha ritenuto infondato il motivo di appello con il quale il Barone contestava la giurisdizione del giudice contabile, dal momento che si verteva nella specie in società in house providing della Regione, posto che:
• soci fondatori della Sardegna IT srl erano unicamente la Regione e la Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori (CRS4) srl, società unipersonale pubblica in mano regionale, con esclusione di qualsiasi, seppur minima, partecipazione privata al capitale sociale dell’ente danneggiato;
• in ordine al requisito della natura esclusivamente pubblica della compagine sociale, fin dalla prima versione dello Statuto societario risultava l’astratta incedibilità delle quote a favore di soggetti privati perché la, pur prevista, possibilità di offrire in opzione a terzi le quote di nuova emissione risultava temperata dal generale divieto di partecipazione societaria da parte di soggetti non pubblici (articoli 5 ultimo comma e 9 Statuto);
• in ordine al requisito della prevalenza dello svolgimento dell’attività sociale in favore dei soci pubblici, l’articolo 3 dello statuto prevedeva che l’oggetto sociale si realizzasse nella “progettazione, realizzazione, integrazione e gestione di processi innovativi in materia di e-government (…)”, ad esclusivo vantaggio della Regione, degli enti regionali e locali, del Servizio Sanitario Regionale ovvero di altre pubbliche amministrazioni;
• quanto al requisito del ‘controllo analogo’, lo statuto (articoli 13-16) consentiva alla Regione di intervenire sulla gestione sociale in maniera non ordinaria, come evincibile: – dalla subordinazione delle scelte operative dell’amministratore, di esclusiva nomina regionale (articolo 13); – dalla programmazione regionale annuale (articolo 16); – dall’approvazione regionale del piano strategico e del bilancio preventivo; – dalla nomina degli organi di controllo interno della società (articolo 14).
§ 1.2 Con l’unico motivo di ricorso, il Barone lamenta violazione degli artt.103 e 111 Cost., 1 l. 20/1994, 1 e 13 d.lgs.174/16, in riferimento agli artt. 360, co. 1^, n. 1) e 362, co. 1^, cod.proc.civ..
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte dei Conti, la giurisdizione in materia deve essere attribuita al giudice ordinario, difettando in capo alla Sardegna IT srl i caratteri della società in house della Regione Autonoma, atteso che:
• i fatti contestati si erano svolti sotto la successiva vigenza di tre diversi statuti societari, rispettivamente adottati con atti notarili del 22 dicembre 2006 (in una con l’atto costitutivo), del 29 giugno 2011 e del 28 novembre 2013;
• lo statuto del 2006 (articoli 13-16); – non escludeva la partecipazione di soci di diritto privato (come doveva ritenersi la CRS4 srl, che non risultava essere società pubblica in mano regionale); – conferiva l’amministrazione della società ad un amministratore unico al quale spettavano tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, oltre che rappresentativi; – riservava alla competenza dell’assemblea dei soci (art.22) le decisioni nelle materie indicate dagli artt. 2479, secondo comma, e 2465 codice civile, oltre che di emissione di titoli di debito e su altre questioni ad essa devolute dall’organo amministrativo, ovvero da tanti soci rappresentanti almeno 1/3 del capitale sociale; – non riconosceva particolari diritti di amministrazione ad alcun socio;
• lo statuto del 2011: – contemplava tra i possibili soci (art.5 co. 5^), oltre alla Regione Sardegna, anche gli altri enti pubblici operanti sul territorio regionale, nonché le “società a partecipazione regionale” senza però distinguere tra partecipazione maggioritaria o minoritaria; – istituiva un organo amministrativo collegiale (consiglio di amministrazione) al quale spettava “la gestione dell’impresa” attraverso il compimento delle “operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale ed in genere tutte le operazioni attribuite alla sua competenza dalla legge e dal presente statuto”, nel rispetto degli “indirizzi generali necessari al raggiungimento degli obiettivi di interesse collettivo determinati dall’assemblea” (artt.24, 31); – stabiliva che le attribuzioni del consiglio di amministrazione potessero venire demandate (come da visura CCIAA in atti) ad un amministratore delegato (art.24 secondo comma) con potestà di “compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione che risulteranno dalla delega conferita dal consiglio di amministrazione”; – prevedeva che le competenze, anche autorizzative, dell’assemblea dei soci ricalcassero quanto stabilito dall’articolo 2479 del codice civile (decisioni dei soci) (art.31.3);
• solo lo statuto del 2013 mirava in effetti ad esplicitamente conformare la società al modello in house (artt.7 e 8 segg. sui diritti spettanti al socio unico Regione Sardegna e sul controllo analogo) ma, in realtà, neppure questo attuava lo scopo, dal momento che il socio pubblico non era investito di particolari poteri di controllo che non gli derivassero già dal codice civile, mentre restavano in capo all’organo amministrativo i già individuati ampi poteri gestionali (art.18);
• da tutto ciò risultava come erroneamente la Corte dei Conti avesse nella specie ravvisato i requisiti essenziali della società in house (come individuabili, all’esito di una interpretazione rigorosa, secondo la giurisprudenza sia nazionale sia UE) quali: – la natura esclusivamente pubblica dei soci (essendo ammessa, quantomeno nei primi due statuti, la partecipazione anche da parte di società nelle quali la partecipazione regionale fosse parziale o addirittura minoritaria); – l’esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi (dal momento che gli enti pubblici in proposito menzionati nella sentenza impugnata non rivestivano la qualità di socio); – l’esistenza di un ‘controllo analogo’ inteso, non come mera influenza dominante, ma come potere di comando direttamente esercitato sulle decisioni di gestione (non solo sugli obiettivi strategici) con modalità ed intensità non riconducibili alle potestà normalmente attribuite al socio (anche se totalitario), ciò anche in considerazione del fatto che gli statuti in questione non attribuivano particolari diritti amministrativi ai soci e demandavano agli amministratori ogni ampia potestà gestoria;
• ne derivava che il rapporto di lavoro intercorrente tra l’amministratore e la Sardegna IT srl non poteva essere equiparato a quello del dirigente regionale, con conseguente inconfigurabilità di un rapporto di servizio e quindi di un danno erariale, del resto dalla stessa Procura contabile riferito al patrimonio sociale e non a quello del socio-Regione;
• in ogni caso, quand’anche si fossero ravvisati i requisiti dell’ ‘in house providing’, ciò avrebbe al più potuto riguardare unicamente lo statuto del 2013 e, pertanto, soltanto i fatti asseritamente appropriativi verificatisi dopo il 28 novembre 2013, con correlativa sensibile riduzione del danno erariale in condanna.
§ 1.3 Si è costituito con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso con conseguente conferma della giurisdizione della Corte dei Conti, posto che:
• quanto al divieto di cessione di partecipazioni a terzi, correttamente la Corte dei Conti ne aveva individuato il fondamento nel combinato disposto degli articoli 5, ultimo comma e 9 dello statuto 2006, mentre l’articolo 5 ultimo comma dello statuto 2011 stabiliva che soci della Sardegna IT srl potevano essere soltanto la Regione, gli enti pubblici territoriali della Regione e società a partecipazione regionale, inteso quest’ultimo inciso (anche vista la mancanza di una precisa disciplina dei presupposti e dei limiti di una ipotetica partecipazione privata) con riguardo a società di natura esclusivamente pubblica, come poi sarebbe stato infatti esplicitato nell’articolo 5, secondo comma, dello statuto 2013;
• quanto al controllo analogo (reso addirittura esplicito nello statuto 2013) le previsioni statutarie (anche del 2006 e 2011) prevedevano che l’organo amministrativo fosse nominato dal Presidente della Regione previa conforme delibera di Giunta, e che alla Regione spettasse l’approvazione di atti gestori fondamentali, quali il piano strategico, il programma annuale, il budget finanziario ed il bilancio;
• quanto alla prevalenza dell’attività sociale in favore dei soci pubblici, sia il primo statuto (articolo 1) sia il secondo (art.2) e sia ancora il terzo (art.3) prevedevano quale oggetto sociale lo svolgimento, da parte della società, di attività di progettazione, realizzazione e gestione di processi innovativi, nonché di fornitura di servizi informatici e di miglioramento tecnologico per gli uffici della Regione Sardegna o di altri organismi di diritto pubblico di interesse regionale;
• come stabilito dall’articolo 12 d.lgs n. 175 del 2016 (Responsabilità degli enti partecipanti dei componenti degli organi delle società partecipate), nel caso di società in house opera sempre la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale, indipendentemente dal fatto che questo venga direttamente riferito al patrimonio sociale piuttosto che, indirettamente, a quello dell’ente pubblico partecipante.
§ 1.4 Il Barone ha depositato telematicamente, in data 15.1.2023, memoria con la quale ha preso posizione sugli argomenti tutti esposti in controricorso dal Procuratore Generale contabile.
§ 2.1 Il ricorso è infondato.
Va premesso che i requisiti della società c.d. ‘in house providing’ che eccezionalmente fondano la giurisdizione contabile in ambito societario sono stati da tempo focalizzati – in ragione della fondamentale sentenza della Corte di Giustizia 18 novembre 1999, C-107/1998, Teckal – dalla giurisprudenza di legittimità, la quale già con Cass. SSUU n. 26283/13 ebbe ad affermare che tale deve considerarsi la società che, pur avendo veste di diritto privato, sia “costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. Si tratta di indirizzo innumerevoli volte successivamente ripreso e ribadito: v. Cass. SSUU n. 17188/18; 22409/18; 22712/19; 26738/21; 20632/22 ed altre.
Deve poi osservarsi che, in materia di responsabilità contabile, l’accertamento caso per caso della sussistenza di questi caratteri tipici – necessitanti di simultanea presenza: Cass. SSUU n.22409/18 – deve essere svolto con riguardo al momento di commissione dei fatti contestati, non già della proposizione dell’azione di responsabilità.
Va infine ancora precisato (tanto più a fronte del richiamo al d.lvo n. 175/16 qui operato sia dalla Corte dei Conti sia dal Procuratore Generale contabile) che le modifiche apportate in materia di società in house dalla Dir. 2014/24/UE sugli appalti pubblici (segnatamente, per quanto concerne il fatto che l’ottanta per cento delle attività della persona giuridica controllata debba essere effettuato nello svolgimento di compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante, e che nella persona giuridica controllata possa esserci partecipazione diretta di capitali privati a condizione che si tratti di forme di partecipazione che non comportino controllo o potere di veto e che non esercitino un’influenza determinante sulla controllata) ed attuate in Italia dai d.lgs n. 50/16 ed appunto n.175/16 cit., non sono applicabili (quand’anche se ne volessero estendere gli effetti a materie diverse dagli appalti pubblici) al caso di specie, nel quale si controverte di fatti illeciti commessi (2009-2014) prima del suo recepimento, ed anzi della sua stessa emanazione (Cass. SSUU n. 17188/18 cit.).
§ 2.2 Ciò posto, la valutazione sul punto resa dalla Corte dei Conti regge alle censure che le sono state mosse dal ricorrente.
Per quanto concerne il requisito della partecipazione totalitaria da parte di enti pubblici, la Corte dei Conti dà atto che Sardegna IT srl venne costituita dalla Regione Autonoma Sardegna e da CRS4 srl (Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori Sardegna), quest’ultima ‘società unipersonale pubblica in mano regionale’, ed esclude che vi sia mai stata, in accordo con le previsioni di Statuto, una seppur minima partecipazione al capitale da parte di soggetti privati.
Questa affermazione – contrastata dal Barone solo genericamente e senza indicazione di specifici elementi di smentita – trova puntuale riscontro nell’atto costitutivo e nelle risultanze camerali; atti dai quali può evincersi, per un verso, che CRS4 è un centro di ricerca costituito dalla Regione e partecipato totalitariamente dall’Agenzia regionale di ricerca e, per altro, che al momento dei fatti di causa la Sardegna IT srl era detenuta al 100% dalla Regione, la quale esercitava su di essa il controllo attraverso la Direzione Generale degli Affari Generali. Non risultano cessioni di quote a favore di soggetti privati.
Sul piano strettamente statutario, la situazione storica così rassegnata trova riferimento e sostrato in tutti e tre gli statuti di Sardegna IT (2006/2011/2013) che hanno avuto vigenza nell’intero arco temporale delle condotte addebitate.
Nello statuto 2006 rileva testualmente il combinato disposto di cui agli artt.9 e 5 ult.co.. La prima disposizione prevede che: “il trasferimento delle quote sociali per atto tra vivi è consentito unicamente a favore dei soggetti indicati nell’articolo 5, ultimo comma”, e quest’ultima prescrizione stabilisce: “potranno essere ammessi a far parte della società esclusivamente la RAS e altri enti pubblici regionali e locali da questa autorizzati”.
Nello statuto 2013 si esplicita (art. 5 co.2^) che: “la società è a totale capitale pubblico in conformità al modello in house providing. La quota di capitale sottoscritta dal socio Regione Autonoma Sardegna non potrà mai essere inferiore al 100% del capitale sociale per tutta la durata della società”, nonchè (art.5 co 3^): “il socio di Sardegna IT può essere unicamente la Regione Autonoma della Sardegna”.
Quanto allo Statuto ‘di transizione’ del 2011, rileva la previsione (art.5 u.co.) secondo cui: “possono essere soci la Regione autonoma Sardegna, enti pubblici operanti sul territorio della Regione e società a partecipazione regionale”. Disposizione, quest’ultima, in realtà anch’essa teleologicamente univoca nel riferire la ‘partecipazione regionale’ ad una soglia totalitaria, non potendo altrimenti la norma statutaria sussistere senza una correlata disciplina (del tutto inesistente) sia della soglia di (ipotetica) partecipazione di soci privati accanto a quella regionale, sia dei diritti, delle prerogative e delle regole stesse di una simile partecipazione ad opera di soggetti privati. Il che fonda, ai fini della qualificazione statutaria delle partecipazioni, la sostanziale equiparazione tra le “società a partecipazione regionale” e gli “enti pubblici operanti sul territorio della Regione”.
In modo tale che – anche in ragione della linea evolutiva ravvisabile proprio nella successione degli statuti in esame, tendente ad una progressiva e più incisiva esplicitazione e chiarificazione di un requisito partecipativo totalmente pubblico che in realtà ha continuativamente connotato la Sardegna IT fin dalla sua costituzione – può dirsi anche nella specie presente quel presupposto indefettibile secondo cui “il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati” (Cass.SSUU n. 22409/18 cit. ed altre).
§ 2.3 Per quanto concerne il requisito dello svolgimento dell’attività prevalente a favore degli enti partecipanti, rileva l’oggetto statutario, per cui l’attività sociale risulta essere – praticamente in via esclusiva – riservata alla Regione e finalizzata al raggiungimento degli scopi da questa determinati per sé, ovvero per altri organismi sempre di emanazione regionale.
Nello statuto 2006 l’oggetto sociale viene descritto (art.1) nell’attività di: “progettazione, realizzazione, integrazione e gestione di processi innovativi (…) promossi dalla RAS per i propri uffici e per gli enti regionali e per gli enti del SSR ed a supporto delle collaborazioni che la Regione definirà direttamente con enti locali e con altre amministrazioni pubbliche”.
Nello statuto 2011, recita l’art. 3: “fornitura di servizi e prestazioni informatiche (…) contemplati dai piani e i progetti approvati dalla RAS (…), tra i quali “progetti per l’introduzione e l’utilizzo di tecnologia (…) nella RAS; tecnologie finalizzate a migliorare i progetti operativi dell’amministrazione regionale; gare pubbliche per incarico della RAS anche in favore di altri organismi di diritto pubblico di interesse regionale; controllo del livello di servizi prestati dai terzi alla RAS”.
Nello statuto 2013, (art.3 co. 2) si legge: “la società effettua, nel rispetto della normativa vigente ed in tema di organismi in house providing, attività di supporto al socio Regione Sardegna”.
Si individua dunque, anche in tal caso, una linea statutaria costante e coerente che pone la Sardegna IT (in maniera addirittura non prevalente, ma praticamente esclusiva) al servizio della Regione Autonoma e del raggiungimento degli obiettivi (di innovazione tecnologica ed automazione del governo e dell’organizzazione regionale) da questa di volta in volta posti.
E’ pur vero che, come rilevato dal ricorrente, quanto osservato (pag.4) dalla Corte dei Conti – in ordine al fatto che l’attività sociale si rivolgesse, oltre che a vantaggio della Regione, anche a favore di varie autorità pubbliche locali e del Servizio Sanitario Regionale – può non essere del tutto appropriato, dal momento che gli enti in sentenza menzionati non sono in realtà soci di Sardegna IT; tuttavia, sono inequivoche e dirimenti le richiamate previsioni statutarie, le quali non lasciano spazio allo svolgimento di attività sociali che non siano indirizzate al perseguimento di finalità pubblicistiche a favore della Regione Sardegna.
E ciò tanto che si tratti di attività ‘direttamente’ ed ‘internamente’ destinate ad incidere sulle modalità organizzative e tecnologiche dell’organizzazione e della gestione dell’ente-Regione Autonoma, quanto che si tratti di attività solo indirettamente incidenti
sull’operatività interna di questa, dal momento che anche in quest’ultimo caso l’attività sociale era comunque statutariamente orientata all’assolvimento di compiti e direttive di ricerca sollecitate esclusivamente dalla stessa Regione nell’ambito delle proprie finalità istituzionali, seppure coinvolgenti anche il funzionamento e l’organizzazione di enti regionali diversi da sé.
Ragion per cui la censurata affermazione della Corte dei Conti non appare in buona sostanza neppure così erronea, quantomeno nei limiti in cui la si ritenga riferita allo svolgimento di attività sociale pur sempre ed immancabilmente indirizzata – quand’anche preposta a sortire effetti pratici a vantaggio di enti pubblici regionali non soci – alla Regione ed alla realizzazione dei suoi fini istituzionali di competenza.
In tal senso devono leggersi quelle previsioni statutarie – su riportate – che pongono l’oggetto sociale in diretto rapporto con l’ “interesse regionale” e la funzione di “supporto” non solo degli interventi di innovazione interni all’amministrazione regionale in senso stretto, ma anche “delle collaborazioni” definite dalla Regione stessa “direttamente con enti locali e con altre amministrazioni pubbliche”.
Si integra pertanto appieno, nel caso della Sardegna IT, il requisito per cui: “la società deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale” (Cass.SSUU n. 22409/18 cit.); là dove, sulla base delle risultanze di causa, di ‘attività accessoria’ o di ‘presenza sul mercato’ neppure è dato qui di parlare.
§ 2.4.1 Venendo al requisito del ‘controllo analogo’, va premesso in via generale che l’evoluzione della giurisprudenza CGUE (v.sentenza 11 gennaio 2005, C-26/2003, Stadt Halle; sentenza 13 ottobre 2005, C-458/2003 Parking Brixen) e di legittimità registra, anche su fattispecie antecedenti ai d.lgs. nn. 50 e 175/16, una progressiva specificazione della nozione, nel senso di una sua non assoluta e perfetta coincidenza o sovrapposizione (a partire da un dato anche lessicale, posto che ‘analogo’ non è sinonimo di ‘identico’) con il controllo esercitato dall’ente pubblico sui propri organi ed uffici interni, a favore di una più marcata sua identificazione nella fattispecie di influenza determinante sulle linee strategiche e sulle decisioni fondamentali della società, a condizione che questa influenza determinante risponda a modalità ed effetti diversi, e più intensi, di quelli che potrebbero spettare ai soci di comando (anche totalitari) secondo i modelli codicistici di governance (v. Cass.SSUU n. 4316/20).
Ha osservato Cass.SSUU n. 14236/20 che: “Osta a tale interpretazione il dato letterale della norma che, qualificando il controllo esercitato come «analogo», intende propriamente affermare che esso non è uguale ma semplicemente simile a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri servizi gestiti direttamente. Inoltre una interpretazione del «controllo analogo» tale per cui la società in house risulti assoggettata ad un potere di direzione gerarchica indistinguibile da quello esercitato dall’ente pubblico sulle proprie articolazioni interne appare incompatibile con i principi di autonomia patrimoniale e attribuzione della personalità giuridica che il codice civile riconosce alla società di capitali“.
Cass.SSUU n. 20632/22 cit. ha ribadito questa impostazione, escludendo che il controllo analogo si identifichi tout court in quello esercitato o esercitabile su un pubblico ufficio, ed indirizzandone la rilevanza e l’obiettivo “alle decisioni fondamentali del soggetto così controllato, ovvero quelle riconducibili alle linee strategiche e alle più importanti scelte operative, con il presidio a monte di un adeguato flusso di informazioni, in modo tale quindi da incidere sulla complessiva governance dell’attività della società in house, per tenere in conto e preservare le finalità pubbliche che comunque la permeano (…)”.
Resta dunque fermo il carattere istituzionalmente servente della società in house quale articolazione della P.A. da cui promana, in contrapposizione alla natura di soggetto giuridico esterno ed autonomo da questa.
E tuttavia il punto di equilibrio – rilevabile come detto nel tipo di condizionamento indotto sulle linee strategiche e le scelte operative fondamentali della società – va posto tra un controllo che, da un lato, non si esaurisca in quello ‘ordinario’, nel senso di normalmente esercitabile dal socio di maggioranza o totalitario (il che, in sostanza, annullerebbe la rilevanza stessa del fenomeno ‘in house’) e che, dall’altro, neppure si identifichi necessariamente in una soggezione assoluta e totalmente riproduttiva dei modelli di comando interni alla PA (il che priverebbe di rilievo, in pratica, la stessa autonomia e personalità giuridica di diritto privato della società).
§ 2.4.2 Orbene, ciò premesso non si ritiene dubitabile che anche il requisito del ‘controllo analogo’ concorra a qualificare ‘in house’ la Sardegna IT, secondo il quadro statutario che può così individuarsi nelle disposizioni di maggiore rilevanza ai fini di causa.
Nello statuto 2006 si prevede (art. 13 comma 1) che: “l’amministrazione della società è affidata ad un amministratore unico la cui nomina è riservata al presidente della RAS previa conforme delibera di Giunta”. Stabilisce poi l’ art.14 che: “non sono attribuiti particolari diritti amministrativi ad alcun socio, fatta eccezione per i seguenti diritti attribuiti in via esclusiva alla RAS (…): approvazione del piano strategico, del programma annuale previsto nel successivo art.16 e del budget finanziario ed economico; tali documenti devono, a tal fine, essere comunicati alla Giunta entro la data del 31 ottobre di ciascun anno; approvazione del bilancio preventivo; nomina e revoca dell’AU e determinazione dell’eventuale compenso; nomina e revoca dei componenti effettivi e supplenti del collegio sindacale del suo presidente”. L’art. 16 comma 5^ recita poi che: “il programma annuale di attività deve recare indicazione delle attività svolte interamente a favore della Regione, in considerazione del ruolo di servizio per la Regione medesima”.
Nello statuto 2011, prescrive l’articolo 19: “la società è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre membri anche non soci la cui nomina (…) è riservata al presidente della RAS previa conforme delibera della Giunta”; l’articolo 20 riproduce il su riportato articolo 14 sui ‘diritti amministrativi’ spettanti alla RAS. Secondo l’art. 31.1 “indirizzi dell’assemblea”, l’organo amministrativo ha l’obbligo “di attenersi, nell’attuazione dei suoi compiti, agli indirizzi generali necessari al raggiungimento degli obiettivi di interesse collettivo determinati dall’assemblea”, mentre l’art.31.2: “Vigilanza”, disciplina il potere di controllo attribuito alla RAS “tramite i propri rappresentanti in seno all’assemblea” sull’esecuzione degli indirizzi e delle direttive regionali.
Nello statuto 2013, infine, l’art. 8 stabilisce: “modalità del controllo analogo. La società è soggetta a poteri di direzione e controllo da parte della RAS di tipo analogo a quelli esercitati sui propri servizi, secondo contenuti e modalità stabiliti dalla giunta regionale”.
Il ricorrente – anche in memoria – enfatizza quelle clausole statutarie che, nella loro versione diacronica, confermano in effetti l’attribuzione di ampi poteri gestori all’organo amministrativo – unico, collegiale o delegato – secondo i parametri codicistici. E tuttavia, sulla base dei principi poc’anzi ripercorsi, non sembra che ciò sia in grado di di per sé contraddire ed escludere l’esercizio di un ‘controllo analogo’ tale da individuare la Sardegna IT quale longa manus della quale la Regione autonoma si avvale per il conseguimento dell’oggetto sociale, caratterizzato quest’ultimo da un’evidente funzione di servizio nei confronti della Regione stessa e degli altri enti regionali con i quali la stessa Regione istituzionalmente si rapporta indicandoli come destinatari dell’attività sociale (v. sopra, § 2.3).
In tal senso depongono: – il potere di nomina e revoca di amministratori e sindaci da parte del Presidente della Regione previa delibera di Giunta; – la previsione di diritti amministrativi eccezionali (nel senso di non rientranti nei parametri strettamente privatistici di governo societario) in capo al socio-Regione, quanto ad approvazione (oltre al bilancio preventivo) del piano strategico, del programma annuale (che deve recare indicazione delle attività svolte interamente a favore della Regione, in considerazione del ruolo di servizio per la Regione medesima) e del budget finanziario ed economico; – l’obbligo statutario di far pervenire “alla Giunta” i relativi documenti ogni anno entro una data prestabilita (il ‘flusso informativo’ funzionale all’emanazione consapevole delle direttive di periodo di cui in Cass.SSUU n. 20632/22 cit.) proprio al fine di rendere possibile il controllo similmente a quanto potrebbe accadere nel rapporto con uffici o dipartimenti sottordinati all’ente pubblico.
In definitiva, seppure il requisito in parola venga esplicitato a chiare lettere soltanto nello statuto 2013, esso è in realtà rinvenibile già negli statuti 2006 e 2011, in quanto anch’essi caratterizzati dalla subordinazione dell’autonomia gestoria dell’organo amministrativo di emanazione regionale alla funzione di servizio nei confronti della Regione ed al controllo analogo da quest’ultima esercitato, con intensità certo non equivalente a quella propria del controllo societario ’privatistico’, sulle scelte fondamentali e le linee strategiche della società.
E non può essere del tutto privo di significato che, in questo contesto, lo stesso addebito mosso al Barone di percezione di compensi e vantaggi eccedenti l’indennità annuale spettante all’organo gestorio, muova da una previsione di onnicomprensività di quest’ultima indennità stabilita con delibera non assembleare, ma di Giunta (sent.pag.2 e delibera in atti).
La doglianza non può dunque trovare accoglimento neppure sotto questo profilo, osservandosi che se è vero che, come pure lamentato dal Barone, l’analisi della Corte dei Conti si è concentrata essenzialmente sullo statuto del 2006, pur a fronte della contestazione di condotte illecite protrattesi anche sotto la vigenza di ben due statuti successivi, altrettanto indubbio è che, ravvisata la qualità ‘in house providing’ in forza del primo statuto, a maggior ragione questa qualità va affermata – secondo la ricostruzione che se ne è fatta nell’ambito di una cognizione che, quale quella del giudice della giurisdizione, è sia in diritto sia in fatto – anche in ragione degli statuti posteriori.
E questa conclusione avvalora la giurisdizione del giudice contabile proprio sotto il profilo del cardine ripartitorio insito nel petitum sostanziale, posto che l’accertata natura in house di Sardegna IT finisce con elidere a questi fini la distinzione, quanto all’oggetto del giudizio di responsabilità, tra danno arrecato al patrimonio sociale e danno invece inferto al patrimonio dell’ente pubblico di comando.
Infatti, se il danno causato per ‘mala gestio’ degli amministratori al patrimonio di una società a partecipazione pubblica, non legata da un rapporto di servizio con il socio-ente pubblico, non integra un’ipotesi di danno erariale inteso quale pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dell’ente pubblico medesimo (stante la distinzione tra società e soci, nonché la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi), con conseguente devoluzione della lite al giudice ordinario, non altrettanto è a dirsi allorquando questo danno venga fatto valere nella gestione di una società che, in quanto ‘in house providing’, sia caratterizzata da un rapporto di servizio qualificato con l’ente pubblico (Cass.SSUU n. 22712/19 ed altre).
§ 3. Ne segue il rigetto del ricorso.
Poichè il Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti ha natura di parte solo in senso formale (Cass.SSUU n. 22083/18 ed altre), non si fa luogo a statuizione sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte
– rigetta il ricorso;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili.
Allegati:
SS.UU, 08 febbraio 2023, n. 3869, in tema di società in house
Nota del Dott. Vito D’Alessio
Caratteristiche e giurisdizione (contabile) delle società in house
1. Il principio di diritto
Deve considerarsi società c.d. “in house providing”, in cui eccezionalmente vi è giurisdizione contabile in ambito societario, quella che, pur avendo veste di diritto privato: sia costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci; che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti; la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
2. Le motivazioni
Il ricorrente ha lamentato che l’attività della società in house della Regione Sardegna fosse rivolta a vantaggio non solo della Regione stessa, ma anche di varie autorità pubbliche locali e del Servizio Sanitario Regionale, pur non essendo questi ultimi soci, con conseguente esclusione della natura di società in house.
La censura è ritenuta infondata dalle Sezioni Unite, che sottolineano come l’attività sociale fosse comunque statutariamente orientata all’assolvimento di compiti e direttive sollecitate esclusivamente dalla Regione nell’ambito delle proprie finalità istituzionali, e ciò nonostante il coinvolgimento di altri e differenti enti regionali.
Ai fini della qualificazione come in house, la Cassazione evidenzia come:
- il capitale sociale debba essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, con divieto di cessione delle partecipazioni a privati;
- la società debba esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti o finalizzarla al raggiungimento degli scopi da questi determinati, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale.
Quanto al controllo analogo, esso non coincide, come si evince anche dal dato lessicale, con il controllo esercitato dall’ente pubblico sui propri organi ed uffici interni; si identifica, invece, nell’influenza relativa alle decisioni fondamentali del soggetto controllato ovvero a quelle riconducibili alle linee strategiche e alle più importanti scelte operative, nell’ottica di preservare le finalità pubbliche dei soci (cfr., SS.UU, 08 luglio 2020, n. 14236, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota a cura dell’Avv. Valentina Petruzziello).
Siffatto “controllo” non deve necessariamente sfociare in una soggezione assoluta, ma deve indubbiamente rispondere a modalità ed effetti diversi, e più intensi, di quelli spettanti ai soci di comando (anche totalitari) secondo i modelli codicistici di governance.
3. Conseguenze operative
Pur conservando autonomia patrimoniale ed avendo personalità giuridica di diritto privato, la società in house è connotata da un carattere istituzionalmente strumentale, in quanto articolazione della p.a. da cui promana.
Tanto giustifica la devoluzione della giurisdizione al giudice contabile in materia di danno patrimoniale cagionato alla società – e, di riflesso, alla p.a. cui è servente - dagli amministratori.
A tal fine, l’accertamento in concreto della sussistenza dei caratteri tipici della società in house, necessitanti di simultanea presenza (cfr., SS.UU, n. 22409/2018), deve essere svolto con riguardo al momento della commissione dei fatti contestati, non già della proposizione dell’azione di responsabilità.