Civile Ord. Sez. U Num. 4413 Anno 2024
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12016-2023 proposto da:
PUTZU ALESSIO, rappresentato e difeso dagli avvocati BALLERO BENEDETTO e BALLERO FRANCESCO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ORISTANO, PERRA BARBARA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4067/2023 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 21/04/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/02/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
FATTI DI CAUSA
1. Alessio Putzu ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), 00866/2022, con cui era stata declinata la giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario in relazione al ricorso avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento n. 53614 del 20.08.2022 del sindaco del Comune di Oristano, con cui era stata disposta la revoca del ricorrente, con decorrenza immediata, dall’incarico di amministratore unico della società Oristano Servizi Comunali S.r.l., quale società in house a capitale interamente pubblico, nonché l’impugnazione della Determina del Sindaco di Oristano n. 23 del 02.09.2022, che aveva disposto la nomina del nuovo amministratore unico della Società Oristano Servizi.
La sentenza appellata aveva fatto applicazione dell’art. 2449 c.c., facendo richiamo al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 16335 del 18.06.2019 nel caso relativo alla revoca dell’amministratore della società Milano Ristorazione s.p.a. da parte dell’Ente Pubblico.
Secondo l’appellante, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, lo Statuto della società Milano Ristorazione Spa riportava un espresso riferimento al potere dell’Ente pubblico di disporre la revoca dell’amministratore, ai sensi dell’art. 2449 c.c., mentre tale richiamo non era presente nello Statuto della società Oristano Servizi comunali S.r.l., il che escludeva che la controversia in esame rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario, venendo in effetti in rilievo un normale potere di imperio ed un correlato interesse legittimo in capo all’amministratore revocato.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4067 del 21 aprile 2023 ha rigettato l‘appello.
Richiamata la regola per cui la giurisdizione si determina in base alla domanda, a prescindere dal vaglio della sua fondatezza, e che, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi“, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione, ha osservato che nella specie non poteva trovare accoglimento la tesi di parte appellante secondo la quale, in difetto di un espresso richiamo contenuto nello Statuto comunale all’art. 2449 c.c., i poteri dell’Ente pubblico avrebbero carattere autoritativo.
In realtà doveva ritenersi che il potere di nomina dell’amministratore, previsto nell’ipotesi di specie dallo statuto (art. 7 ed 8), era attuazione di quanto previsto dall’art. 2449 c.c. e che a detto potere privatistico si accompagni quello contrario, avente del pari carattere paritetico, di revoca, nella cui logica si inscrive anche il potere previsto dall’art. 50 del TUEL, secondo quanto ritenuto dalla Suprema Corte con la pronuncia Sez. Un., 18/06/2019, n.16335, con cui si è affermato che i commi 8 e 9 dell’articolo 50 TUEL sono norme etero-integrative dell’articolo 2449 c.c., che, nei limiti temporali previsti, consentono all’ente pubblico, in deroga alla previsione statutaria di durata minima dell’incarico, di revocare i componenti dell’organo di gestione in precedenza nominati.
La stessa giurisprudenza di legittimità aveva affermato (Cass. Sez. Un. 6 maggio 1995, n. 4989; Cass., Sez. un., 26 agosto 1998, n. 8454; Cass., Sez. un., ord. 3 ottobre 2016, n. 19676; Cass., Sez. un., ord. 14 settembre 2017, n. 21299; Cass., Sez. un., ord. 1 dicembre 2016, n. 24591) – che “una società non muta la sua natura di soggetto privato solo perché un ente pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale”, e ciò in quanto il rapporto che lega la società e l’ente pubblico è di assoluta autonomia, “posto che l’ente può incidere sul funzionamento e sull’attività della società non già attraverso l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina”.
Invero, la PA quando nomina o revoca gli amministratori “non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto”. Inoltre, “l’amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell’ente nominante ed anzi, per testuale previsione del codice civile (articolo 2449 c.c.), ha i medesimi diritti ed i medesimi obblighi dell’amministratore di nomina assembleare”. Infine, l’equiparazione tra amministratori di nomina assembleare e quelli designati dall’ente pubblico si riscontra anche nella forma di tutela a cui possono accedere, atteso che entrambi possono giovarsi solo della “monetizzazione della funzione” ai sensi dell’art. 2383 c.c.
Da ciò discende, “l’inquadramento privatistico delle società in mano pubblica, col relativo assoggettamento alla giurisdizione ordinaria”, come del resto evincibile dall’art. 1 comma 3 del D.Lgs. n. 175/2016 (c.d. TUSP).
Confortava tale conclusione anche l’art. 2449, comma 1, c.c., che chiarisce che la facoltà del compimento dei predetti atti deve essere “conferita al socio pubblico dallo statuto, cioè da un atto fondamentale di natura negoziale (articolo 2328 c.c., comma 3) e che, con l’abrogazione (…) dell’articolo 2450 c.c. – a norma del quale la legge o lo statuto potevano attribuire la nomina e la revoca ad un ente pubblico estraneo al capitale sociale – è stato posto in chiaro che gli atti in questione competono all’ente pubblico uti socius, e dunque iure privatorum e non iure imperii”. In particolare in materia di società partecipate da enti pubblici, al giudice amministrativo vanno attribuite le controversie relative ai provvedimenti unilaterali di natura autoritativa, che sono, di fatto, preliminari rispetto alle successive deliberazioni societarie, “con i quali l’ente pubblico delibera di costituire la società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della stessa o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della medesima”, mentre spettano al giudice ordinario le cause “aventi ad oggetto gli atti societari “a valle” della scelta di fondo dell’utilizzazione del modello societario”, ovvero quelle connesse con l’esercizio da parte dell’ente pubblico delle facoltà proprie del socio, “fra le quali rientrano quelle volte ad accertare l’intera gamma delle patologie e delle inefficacie negoziali inerenti la struttura del contratto sociale, ancorché ad essa estranee e/o sopravvenute e derivanti da irregolarità- illegittimità della procedura amministrativa a monte”
Ove si dibatta della legittimità dell’atto di revoca degli amministratori di una partecipata emesso dal Sindaco neoeletto entro quarantacinque giorni dal suo insediamento, la lite deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di atto che è esercizio di quanto previsto dall’art. 50 del TUEL, e che attiene ad una fase successiva alla costituzione della società e, in quanto idoneo ad incidere sulla struttura societaria, deve essere ricondotto alla “potestà di diritto privato ascrivibile all’ente pubblico uti socius, che il Sindaco esercita in conformità degli indirizzi, di natura politico-amministrativa stabiliti dal consiglio”.
Le Sezioni unite hanno poi precisato che l’art. 50 TUEL risponde all’esigenza “della nuova amministrazione di poter contare sull’immediata disponibilità di soggetti che si rendano interpreti delle sue nuove linee di indirizzo e delle diverse finalità della gestione, senza dover sottostare ai tempi lunghi occorrenti per verificare se gli amministratori in carica, “ereditati'” del precedente governo cittadino, siano in grado di corrispondere a tali mutate esigenze”.
I principi affermati dal giudice di legittimità risultavano poi applicabili alla fattispecie, in quanto, come evidenziato dal Comune appellato, lo Statuto della Oristano Servizi s.r.l. contiene numerosi richiami alle norme privatistiche. In particolare, l’art. 7 co. 1 dello Statuto espressamente riserva alla competenza del socio unico le decisioni nelle materie di cui agli artt. 2479 e 2487 c.c.; la prima di dette norme, rubricata “decisione dei soci” al comma 2, numero 2, prevede che: “In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: … 2) la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori”. L’art. 8 prevede che la società può essere amministrata, alternativamente, su decisione del socio unico, da un amministratore unico o da un consiglio di amministrazione.
Era, pertanto, evidente come il potere di nomina del socio unico si inquadrasse nel disposto dell’art. 2449 c.c., il cui comma 2 prevede che “gli amministratori e i sindaci …nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati”.
Poiché il Comune di Oristano è socio unico della Oristano Servizi s.r.l., al potere di nomina previsto dallo statuto non può che accompagnarsi anche quello contrario di revoca, a norma dell’art. 2449 comma 2 c.c., essendo quest’ultimo contrarius actus rispetto alla nomina.
Inoltre, l’art. 19 dello Statuto dispone che: “ Per quanto non espressamente disciplinato dal presente Statuto, valgono le norme dettate dal codice civile e dalle leggi in materia” (in coerenza con la clausola ermeneutica generale di cui all’art. 1 co. 3 D.Lgs. n. 175 del 19 agosto 2016 (TUSP) secondo la quale: “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”), con la conseguenza che doveva ravvisarsi il carattere paritetico di tale potere, come rilevato anche da Cass. S.U., n. 34473 del 27.12.2019.
La sentenza aggiungeva, poi, che il definitivo transito delle società partecipate nell’orbita del diritto comune si evinceva anche da tre disposizioni, ed in primo luogo, dall’art. 1 comma 3, TUSP (D.lgs. 175/2016) a mente del quale “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato”.
In secondo luogo l’art. 12 del D.lgs. 175/2016 sposta il baricentro della responsabilità degli organi di governance verso il diritto civile, prevedendo che “i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali”, con la sola salvezza della giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.
Infine, l’art. 14 del T.U. società partecipate, in tema di crisi d’impresa, afferma in maniera netta che tutte le compagini pubbliche (anche in house) “sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39”.
Andava perciò riaffermata la natura giuridica privata delle società in cui le Amministrazioni detengono delle partecipazioni, come precisato anche nel Parere del Consiglio di stato n. 968/2016 reso sul Testo Unico società partecipate.
La costruzione in chiave civilistica delle società partecipate era anche avvalorata dall’art. 2449 c.c., il quale, con riferimento alle società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio in cui lo Stato o gli enti pubblici detengono partecipazioni, prevede esclusivamente un “particolare” potere di nomina (e revoca) degli organi di governance, con la conseguenza che per tutti gli altri profili si applica la disciplina del diritto comune.
Ne discende che, quando l’ente pubblico nomina e revoca gli amministratori della partecipata, non esercita un proprio potere, ma si surroga al potere che ordinariamente spetterebbe all’assemblea, in quanto la facoltà attribuita all’ente si qualifica come “sostitutiva della generale competenza dell’assemblea ordinaria, trovando la sua giustificazione nella peculiarità di quella tipologia di soci, e deve essere qualificata estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa” (Cass., Sez. un., ordinanza 23 gennaio 2015, n. 1237).
Tale esito trovava, poi, anche il conforto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE sentenza 23 ottobre 2007, nella causa C-112/05; CGUE sentenza 6 dicembre 2007 nelle cause riunite C-463/04 C-464/04; CGUE sentenza 26 marzo 2009, causa C-326/07), a mente della quale il c.d. principio di neutralità delle forme giuridiche, sancito all’art. 345 TFUE, implica che “i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri rendendo ininfluente la proprietà pubblica o privata del capitale sociale”.
2. Avverso la sentenza del Consiglio di Stato è stato proposto ricorso per cassazione da Putzu Alessio sulla base di un Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.
La Prima Presidente, in data 7 settembre 2023, ha formulato proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis c.p.c., nel testo novellato dal D. Lgs. n. 149/2022, avendone rilevato l’inammissibilità.
Parte ricorrente ha però chiesto la decisione del ricorso, formulando apposita istanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli 2449, 2479 e 2479-bis c.c., sotto il profilo dell’art. 103 Cost. e dell’art. 7 c.p.a., nonché degli artt. 1 e 9 del D. Lgs. n. 175/2016.
Si deduce che la sentenza impugnata ha inteso radicare la giurisdizione del giudice ordinario con il richiamo all’art. 2449 c.c., sebbene gli artt. 7 ed 8 dello Statuto della società non contengano un esplicito riferimento alla norma de qua ma all’art. 2479 c.c. Inoltre, non si è tenuto conto che quella interessata dal presente giudizio non è una società per azioni, ma una società a responsabilità limitata, né di quanto previsto dall’art. 9, co. 7, del D. Lgs. n. 175/2016, dal quale si evince che, per radicare la giurisdizione del giudice ordinario è necessario che lo statuto societario faccia un esplicito richiamo al testo dell’art. 2449 c.c.
In definitiva, ad avviso del ricorrente, l’atto con il quale è stato revocato è atto esterno all’assemblea, cui competeva il potere di nomina o revoca dell’amministratore, e si qualifica alla stregua di un atto iure imperii, sottoposto quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo.
2. Il motivo è manifestamente infondato.
Già nella proposta di definizione depositata in corso di causa è stato compiuto il puntuale richiamo ai precedenti di questa Corte che hanno reiteratamente affermato che la giurisdizione per la domanda in questa sede avanzata compete al giudice ordinario.
Questa Corte ha, infatti, affermato che spetta al giudice ordinario, e non al giudice amministrativo, la cognizione della controversia relativa all’impugnazione dell’atto con il quale il sindaco, nella specie, abbia espresso un giudizio di non idoneità nei confronti di un candidato alla nomina, riservata al Comune, di componente del consiglio di amministrazione di una fondazione, trattandosi di atto che – come avviene per la nomina (e la revoca) di amministratori e sindaci delle società a partecipazione pubblica (anche costituite secondo il modello delle società “in house providing“) – non è riconducibile all’esercizio di alcun pubblico potere e riguarda un soggetto di diritto privato, non rientrando le fondazioni nella pur ampia nozione di pubblica amministrazione, di cui all’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 104 del 2010 (Cass. S.U. n. 34473 del 27/12/2019).
Con specifico riferimento alle società per azioni con partecipazione pubblica, è stata ribadita la giurisdizione del giudice ordinario, quanto alla controversia relativa alla revoca dell’amministratore nominato ai sensi dell’art. 2449 c.c., in quanto trattasi di atto posto in essere dall’ente pubblico “a valle” della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, emanato avvalendosi degli strumenti che il diritto comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dal testo del richiamato art. 2449 c.c., il quale individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell’attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli (Cass. S.U. n. 29078 del 11/11/2019).
I principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (cfr., tra le molte: Cass. S.U. n.4989/1995; n. 7799/2005; n. 30167/2011; n. 1237/2015; n. 19676/2016; n. 24591/2016; n. 21299/2017; n. 16335/2019), oltre che dello stesso Consiglio di Stato (cfr. Adunanza Plenaria 3 giugno 2011 n.10), confermano il fatto che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto privato solo perché l’Ente pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente pubblico azionista è, in altri termini, di assoluta autonomia.
Ciò significa che all’ente pubblico non è consentito incidere unilateralmente sugli atti di gestione e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario dei quali dispone nella sua qualità di socio. Del resto, il richiamo alla disciplina del codice civile in materia di società di capitali per quanto non diversamente stabilito dalla legge – e salve deroghe espresse -, trova esplicita e chiara conferma normativa nell’art. 4, comma 13, quarto periodo, del D.L. n. 95/2012 convertito nella L. n. 135/2012, oltre che nell’analogo art. 1, comma 3, del D. Lgs. n. 175/2016.
Trattasi di previsioni normative che fungono da “clausola ermeneutica generale” di chiusura (in senso privatistico) e che entrambe esprimono rilevanza significativa.
Il profilo involgente la disciplina di diritto pubblico, segnato dall’agire dell’ente pubblico come autorità, si esaurisce nella scelta iniziale dell’ente di costituire una società, o di parteciparvi, nel mentre il profilo privatistico è relativo alla adozione, durante lo svolgimento dell’attività sociale, degli atti (c.d. “a valle” di quella scelta iniziale) che l’ente pone in essere avvalendosi degli strumenti che il diritto comune gli attribuisce nella sua qualità di socio.
Quello posto in essere dal Comune di Oristano, proprio alla luce delle previsioni contenute nello Statuto della Oristano Servizi Comunali S.r.l. (che prevedono sia il potere di nomina che di revoca dell’amministratore unico ad opera del socio unico), si pone come atto da collocare “a valle” della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, e quindi resta interamente regolato dal diritto privato
Tale conclusione non muta anche nel caso in cui la revoca sia stata dettata dall’applicazione della previsione dell’art. 50, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 267 del 2000, che attribuisce al Sindaco il potere di revoca degli amministratori delle società partecipate dal Comune entro 45 giorni dal suo insediamento, (Cass. S.U. n. 16335 del 18/06/2019, che ribadisce che si radica la giurisdizione ordinaria, poiché quello di revoca resta un provvedimento attinente ad una situazione giuridica successiva alla costituzione della società stessa, idoneo ad incidere internamente sulla sua struttura ed espressione di una potestà di diritto privato ascrivibile all’ente pubblico “uti socius” ed esercitata dal medesimo Sindaco in conformità degli indirizzi stabiliti dal Consiglio comunale).
3. Va pertanto riaffermata la giurisdizione del giudice ordinario (in termini nella giurisprudenza meno recente si veda anche S.U. n. 21299/2017; Cass. S.U. n. 24591/2016; Cass. S.U. n. 1237/2015), senza che possa influire sulla correttezza di tale conclusione la circostanza che nella specie la società dalla cui carica è stato revocato il ricorrente era una società a responsabilità limitata, anziché una società per azioni.
Tale differenza che, come ricordato da Cass. S.U. n. 4309/2010, non preclude di estendere alle società a responsabilità limitata i principi dettati per le società per azioni a partecipazione pubblica, ove tale partecipazione assuma connotazioni analoghe per le prime, consente di affermare come non sia esigibile un espresso richiamo alla previsione di cui all’art. 2449 c.c., norma dettata specificamente per le società per azioni con partecipazione dello Stato o di enti pubblici.
Piuttosto, è proprio il richiamo alla disciplina di cui all’art. 2468 co. 3, c.c., che consente l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società, a far concludere che le previsioni statutarie che dispongano in tal senso (come appunto l’art. 8 dello statuto della società per cui è causa) legittimano l’adozione di un potere di revoca che resta però nell’ambito della sfera privatistica (peccando di eccessivo formalismo la tesi sostenuta dal ricorrente, che pretende che la previsione statutaria debba necessariamente accompagnarsi ad un esplicito richiamo alla norma codicistica).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
4. Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti delle parti intimate.
5. Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis p.c., ultimo comma, a seguito di proposta di inammissibilità a firma della Prima Presidente, la Corte, considerato che il giudizio è stato definito in conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96, come previsto dal citato art. 380-bis, ultimo comma.
Trattasi di una novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma).
In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale (cfr. Cass. S.U. nn. 27195 e 27433 del 2023).
Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di cassazione delle disposizioni di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380-bis nel testo riformato, rileva la Corte che la predetta normativa – in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 del Lgs. n. 149/2022 – sia immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023 (Cass. S.U. n. 27195/2023).
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
6. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 2.000,00;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio
Allegati:
SS.UU, 19 febbraio 2024, n. 4413, in tema di società in house
Nota dell'Avv.ta Maria Luisa Avellis
Riparto di giurisdizione e revoca degli amministratori di società a partecipazione pubblica
1. Il principio di diritto
Sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla revoca degli amministratori, nominati ai sensi dell’art. 2449 c.c., di società partecipata da ente pubblico, trattandosi di soggetto di diritto privato che non muta la propria natura in ragione della qualità dell’ente che ne è socio e che incide sul rapporto societario e sull’attività della società mediante gli ordinari strumenti del diritto privato societario.
La revoca dell’amministratore, in particolare, costituisce atto dell’ente pubblico, espressione di poteri privatistici, posto in essere a valle della decisione di costituire la società e di assoggettarsi così alle regole del diritto pubblico, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che la società sia a responsabilità limitata, dovendosi estendere a questa i principi già dettati per le società per azioni a partecipazione pubblica.
2. La fattispecie
Le Sezioni Unite sono state investite della questione su ricorso dell’ex Amministratore Unico di una società in house a totale capitale pubblico, a seguito di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del provvedimento di revoca del sindaco.
Sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno declinato la giurisdizione a favore del giudice ordinario.
Il ricorrente si è rivolto al giudice amministrativo ritenendo che la giurisdizione ordinaria sui provvedimenti di revoca possa radicarsi solo allorquando lo statuto della società riporti l’espresso riferimento all’art. 2449 c.c..
Di contro, il Consiglio di Stato, confermando la giurisdizione del giudice ordinario, ha sottolineato come al potere di nomina dell’amministratore ex art. 2449 c.c. non possa che accompagnarsi anche il contrario potere di revoca.
La natura privatistica della società, non intaccata dalla natura pubblica del socio, è giustificata, tra l’altro, dai seguenti indici normativi:
- art. 1, c. 3, del T.U.S.P. (D.Lgs. 175/2016, recante l’espresso rinvio al codice civile per la disciplina delle società a partecipazione pubblica, per quanto non previsto dal decreto stesso);
- art. 12 del T.U.S.P., che sposta il baricentro della responsabilità degli organi di governance verso il diritto civile, con la sola salvezza della giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house (cfr., SSUU, n. 26738/2021, in GiurisprudenzaSuperiore.it, Decise, con nota dell’Avv. Alfonso Ciambrone);
- art. 14 del T.U.S.P., che, in tema di crisi di impresa, afferma in maniera netta che tutte le società pubbliche, anche in house, sono soggette alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo ed alla disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.
L’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario è stata contestata in Cassazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 2449, 2479 e 2479 bis c.c. nonché degli artt. 1 e 9 del T.U.S.P..
3. Riflessioni conclusive
Il Supremo Consesso, uniformandosi all’orientamento del Consiglio di Stato - espresso con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 10/2011 – ed al proprio costante orientamento (cfr., ex multis, SSUU, nn. 29078/2019, 34473/2019, 16335/2019), chiarisce che l’agere pubblico dell’ente, quale autorità amministrativa, si esaurisce nella scelta iniziale di costituire una società o di parteciparvi.
Durante lo svolgimento dell’attività sociale, l’ente pubblico agisce solo ed unicamente avvalendosi degli strumenti che il diritto comune gli attribuisce nella sua qualità di socio.
Ciò accade anche allorquando il sindaco eserciti il potere attribuitogli dall’art. 50, commi 8 e 9, del D.Lgs. 267/2000.
In tale prospettiva, alcun rilievo assume la natura di società a responsabilità limitata, poiché l'art. 2468, c. 3, c.c. consente l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l‘amministrazione della società, come avvenuto nel caso di specie.