Civile Sent. Sez. U Num. Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: CIRILLO ETTORE
Data pubblicazione: 26/09/2017
SENTENZA
sul ricorso 6678-2017 proposto da:
TRALICCI GINA, STANISCIA NICOLA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 347/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE , depositata il 24/11/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/07/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Nicola Staniscia per delega dell’avvocato Salvino Greco.
FATTI DI CAUSA
1. Con provvedimento del 18 luglio 2013 il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, investito della vicenda per l’astensione del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, ha disposto la sospensione cautelare dei professionisti Gina Tralicci e Nicola Staniscia. Tale provvedimento è stato reso esecutivo dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma con delibera del 25 luglio 2013, ma con decorrenza dal 18 luglio 2013. Il provvedimento del 25 luglio 2013 è stato impugnato dagli interessati che, tra l’altro, hanno addotto l’automatica inefficacia della sospensione cautelare alla data del 18 luglio 2014. Il Consiglio nazionale forense, con decisione n. 15 del 6 giugno 2015, ha pronunciato declaratoria di avvenuta cessazione della sospensione cautelare, poi fissata dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma a partire dal 10 luglio 2015, con delibera del 9 luglio 2015. Indi gli interessati hanno impugnato tale provvedimento, adducendo che l’efficacia della sospensione cautelare fosse cessata per legge il 14 luglio 2014 ovvero, in subordine alla data della decisione n. 15 del 6 giugno 2015, giammai il 10 luglio 2015, il che comportava potenziali negative ricadute sulla posizione professionale degli interessati.
2. Il Consiglio nazionale forense, con sentenza n. 34 del 24 novembre 2016, ha dichiarato inammissibile il ricorso, a suo dire, proposto avverso atto meramente endo-procendimentale dell’organo disciplinare territoriale, dovendosi escludere la giurisdizione consiliare riguardo a provvedimenti diversi dalla decisione che conclude il procedimento.
3. Per la cassazione di tale decisione i professionisti Gina Tralicci e Nicola Staniscia propongono ricorso affidandosi a due motivi: a) violazione dell’art. 158 cod. proc. civ., laddove il Consiglio nazionale forense avrebbe pronunciato in composizione irregolare per la presenza nel collegio dei consiglieri Francesco Logrieco (presidente) e Anna Lo Surdo (segretario), la cui nomina sarebbe stata inficiata dall’annullamento delle elezioni del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bari, per il quadriennio 2015/2018, disposto dalle sezioni unite con sentenza n. 2614 del primo febbraio 2017; b) violazione dell’art. 60 della legge 31/12/2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) e dell’art. 34 del reg. C.n.f. 21/02/2014, n. 2 (Procedimento disciplinare), nonché eccesso di potere
giurisdizionale, laddove il Consiglio nazionale forense avrebbe creato un categoria di atti sì potenzialmente lesivi della sfera giuridica del professionista ma inopinatamente sottratti a ogni controllo giurisdizionale.
4. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma resta intimato e non svolge difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La designazione di un membro del Consiglio nazionale forense non è travolta dall’annullamento di elezioni ordinistiche territoriali, in quanto il carattere retroattivo degli effetti derivanti dal predetto annullamento trova un limite nel generale principio di conservazione degli atti. Tale principio di diritto è desunto da vasta giurisprudenza sulla formazione degli organi di amministrazione attiva (es. Cons. Stato, sez. I, 10/07/2000, n. 666) ed egualmente declinato sul versante processuale. Nella prospettiva di regolare costituzione del giudice divisata dall’art. 158 cod. proc. civ. è il momento della pronuncia della sentenza quello nel quale il membro deve essere legittimamente preposto all’organo giudicante perché questo possa adottare una decisione giuridicamente esistente. Più in dettaglio, nei collegi giudicanti, tale momento va identificato con il momento della deliberazione della decisione.
Nella specie è ammesso dagli stessi ricorrenti che l’annullamento delle elezioni del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bari, per il quadriennio 2015/2018, porta la data del 10 febbraio 2017. Invece, la sentenza di prime cure risulta depositata il 24 novembre 2016. Sicché nulla comporta che essa sia stata prima deliberata (il 14 luglio 2016) e poi pubblicata (il 24 novembre 2016) in presenza di qualche causa impediente, atteso che la caducazione del presupposto procedimento elettorale è stata rilevata in sede giudiziale solo 1° febbraio 2017.
Consequenzialmente, in applicazione delle regole generali sull’operatività ex nunc dei provvedimenti di decadenza o revoca delle funzioni (es. Cass. 30/11/2012, n. 21437), l’eventuale vizio di nomina di uno o più membri non può influire sulla validità originaria della pronuncia deliberata dal Consiglio nazionale forense.
Proprio le regole generali sull’operatività ex nunc dei provvedimenti di decadenza o revoca dalle funzioni, a differenza di quelli di annullamento della nomina per vizi originari, incidono sullo status e sulle attribuzioni giurisdizionali del giudice solo a partire dal giorno in cui sia dichiarata, con accertamento di tipo costitutivo, senza alcuna retroazione e incidenza sugli atti di esercizio delle funzioni stesse in precedenza compiuti (cfr. Cass. 18/02/2000, n. 1853, in motivazione).
Quindi l’eventuale decadenza del giudice forense, per essere viziato non il procedimento di nomina, ma il procedimento elettorale di un Consiglio dell’ordine, non può influire, come invece sostenuto dagli interessati con il primo motivo del ricorso (di natura pregiudiziale), sulla validità della pronuncia della Consiglio nazionale forense, nella pacifica carenza all’epoca della pronuncia impugnata di un provvedimento dal quale potesse derivare la decadenza di due membri del giudice speciale.
2. Invece il secondo motivo di ricorso è fondato.
Innanzitutto va chiarito che la sospensione cautelare è stata applicata nella specie secondo le regole dettate dalla previgente legge professionale forense (r.d.l. 27/11/1933, n. 1578, mod. legge 17/02/1971, n. 91) e dal relativo regolamento attuativo (r.d. 22/01/1934, n. 37), poiché, in base all’art. 65, la nuova legge professionale, è entrata in vigore, riguardo al procedimento cautelare, solo il 10 gennaio 2015, allorquando è divenuto vigente il reg. n. 2/2014 (art. 38). Mentre il 6 giugno 2015, quando il Consiglio nazionale forense ha pronunciato la declaratoria di avvenuta cessazione della sospensione cautelare, era già operante lo jus superveniens secondo cui «la sospensione cautelare può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno» (art 60, comma 2, I.p.f.; art. 32, comma 2, reg. n. 2/2014), restando così superate le incertezze derivanti dal fatto che, nel previgente ordinamento, mentre la sospensione era priva di un limite temporale di efficacia (art. 43 r.d. n. 1578/1933), la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione aveva un limite annuale (art. 40 r.d. n. 1578/1933).
Nel nuovo ordinamento (art. 60, comma 6, I.p.f.; art. 32, comma 6, reg. n. 2/2014), così come nel vecchio (art. 50 n. 1578/1933), la sospensione cautelare può essere impugnata dinanzi al Consiglio nazionale forense nel temine di venti giorni dalla notificazione del provvedimento.
Era ed è competente per l’esecuzione delle sanzioni il Consiglio dell’ordine degli avvocati al quale è iscritto il professionista (art. 62, comma 6, I.p.f.; art. 35, comma 1, reg. n. 2/2014).
Analogamente, si deve ritenere che l’organismo competente per l’esecuzione della sospensione cautelare non possa che essere lo stesso Consiglio dell’ordine degli avvocati al quale è iscritto il professionista, stante il chiaro tenore dell’art. 60, comma 7, I.p.f. (conf. art. 32, comma 5, reg. n. 2/2014), tant’è che, quando è irrogata la sanzione della sospensione e sia stata applicata la sospensione cautelare, è proprio quel Consiglio dell’ordine che deve determinare d’ufficio la durata residua della sanzione detraendo il cd. “pre-sofferto” in regime di sospensione cautelare (art. 62, comma 8, I.p.f.; art. 35, comma 6, reg. n. 2/2014).
Dunque, le delibere del Consiglio dell’ordine d’iscrizione non sono indifferenti rispetto allo status dell’avvocato sospeso; anzi proprio il computo e la durata della sospensione disciplinare e/o cautelare sono decisivi e immediatamente incidenti sull’efficacia delle misure, definitive o provvisorie che esse siano, in disparte il rilievo penale della condotta del professionista riguardo all’esercizio abusivo in regime di sospensione (Cass. pen. 11-25/03/2014, n. 14013).
Ne deriva che l’intervento del Consiglio dell’ordine d’iscrizione non è meramente endo-procedimentale o istruttorio ma in alcuni mira a dare attuazione alla statuizione disciplinare e/o cautelare, non ultime le comunicazioni di rito da effettuarsi ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il Consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione e a tutti i Consigli dell’ordine (art. 35, comma 4, reg. n. 2/2014), comunicazioni che, ove errate, ben possono pregiudicare
lo status professionale dell’interessato.
Non v’è dubbio che le deliberazioni del Consiglio dell’ordine in materia di status dell’avvocato siano, in tesi generale, impugnabili dinanzi al Consiglio nazionale forense in sede di giurisdizione speciale (es. art. 17 I.p.f.; conf. art. 37 r.d. n. 1578/1933). Dunque, sarebbe contro ogni logica che alcune delibere consiliari, che di fatto incidono sulla durata e l’efficacia delle misure cautelari, restino senza possibilità di tutela.
3. Il Consiglio nazionale forense sostiene, nella sentenza impugnata, che non sia possibile ricomprendere nell’ambito della sua potestà disciplinare provvedimenti diversi dalla decisione che conclude il procedimento.
Le sezioni unite hanno sì escluso, ad esempio, che l’atto di apertura del procedimento costituisca decisione in senso stretto, ritenendola quindi non impugnabile (Cass. Sez. U. 22/07/2016, n. 15199). Si è ritenuto, infatti, che gli atti d’impulso endo/preprocedimentali siano privi di rilevanza esterna e, dunque, scevri dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale d’impugnabilità dinanzi al giudice naturale precostituito per legge (artt. 24, 111, 113 Cost.), non essendovi spazio per l’intervento giurisdizionale del CNF, in prima battuta, e delle sezioni unite della Corte, in sede di legittimità, ovvero del giudice amministrativo (Cass. Sez. U. 05/07/2013, n. 16884). Ma si tratta di approdo ermeneutico che le stesse sezioni unite hanno ritenuto non estensibile, ad esempio, all’opposto provvedimento di archiviazione, laddove fa abortire sul nascere la vigilanza deontologica degli ordini locali, con le connotazioni tipicamente “meritali” di una sorta d’immediata declaratoria di cause di non punibilità (Cass. Sez. U. 10/07/2017, n. 16993).
Dunque, non è il carattere endo/pre-procedimentale che rende il provvedimento di per se stesso non impugnabile, bensì è la sua attitudine a colpire gli interessi in gioco – che vanno dalla salvaguardia collettiva della deontologia forense, alla tutela individuale dello status professionale – a segnare il discrimine della necessaria garanzia impugnatoria; il che risponde anche ai precetti costituzionali di tutela giudiziale di diritti e interessi, a mente degli artt. 24, 97, 111 e 113 Cost..
E se lo status professionale può essere pregiudicato sia dal provvedimento cautelare, ora deliberato dal Consiglio distrettuale di disciplina e prima dal Consiglio dell’ordine, sia da delibere esecutive dello stesso provvedimento, da sempre devolute al Consiglio dell’ordine, per queste ultime non può che operare un omologo sistema impugnatorio dinanzi alla giurisdizione speciale del Consiglio nazionale forense in applicazione analogica e costituzionalmente orientata dello stesso schema dell’art. 60, comma 6, I.p.f. (art. 32, comma 6, reg. n. 2/2014) previsto per l’impugnazione immediata della sospensione cautelare.
La decisione d’inammissibilità del primo giudice deve, dunque, essere cassata dovendosi enunciare il seguente principio di diritto:
«La delibera adottata – ai sensi dell’art. 60, comma 7, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) – dal Consiglio dell’ordine degli avvocati in materia di esecuzione della sospensione cautelare è impugnabile con ricorso al Consiglio nazionale forense in applicazione analogica e costituzionalmente orientata del comma 6 del medesimo articolo».
4. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso dei due professionisti può essere accolto anche nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ..
Infatti le sezioni unite, pronunziando in complanare contenzioso sulla vicenda, ha già incidentalmente stabilito che «il provvedimento dell’organo disciplinare perugino è stato emesso il 18 luglio del 2013 ed ha, ipso facto, cessato i suoi effetti proprio alla data oggi indicata dai ricorrenti», ovverosia «al 18 luglio del 2014» (così Cass. Sez. U. 17/03/2017, n. 6957; conf. art 60, comma 2, I.p.f.; art. 32, comma 2, reg. n. 2/2014).
In questi termini la delibera del 9 luglio 2015 deve essere annullata, laddove la cessazione della sospensione cautelare è stata fissata dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma a partire dal 10 luglio 2015.
L’assoluta novità delle questioni e l’assenza di giurisprudenza legittimano la compensazione integrale delle spese dei giudizi di legittimità e di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo nei termini di cui in motivazione; dichiara la compensazione integrale delle spese dei giudizi di legittimità e di merito.
Così deciso in Roma il 18 luglio 2017
Allegati:
SS.UU, 26 settembre 2017, n. 22358, in tema di sospensione cautelare
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Anche la delibera di esecuzione della sospensione cautelare è impugnabile dinanzi al CNF
1. Il principio di diritto
Lo status professionale può essere pregiudicato sia dal provvedimento cautelare, ora deliberato dal Consiglio distrettuale di disciplina e prima dal Consiglio dell’ordine, sia da delibere esecutive dello stesso provvedimento, da sempre devolute al Consiglio dell’ordine.
Per queste ultime, adottate ai sensi dell’art. 60, c. 7, della L. 247/2012, non può che operare un omologo sistema impugnatorio dinanzi alla giurisdizione speciale del CNF, in applicazione analogica e costituzionalmente orientata dello schema dell’art. 60, c. 6, della L.p.f. (cfr., art. 32, c. 6, del Reg. 02/2014) previsto per l’impugnazione immediata della sospensione cautelare.
2. L’istituto
La sospensione cautelare può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno (cfr., art. 60, c. 2, della L.p.f.; art. 32, c. 2, del Reg. 02/2014).
Nel nuovo ordinamento (cfr., art. 60, c. 6, della L.p.f.; art. 32, c. 6, del Reg. 2/2014), così come nel vecchio, la sospensione cautelare può essere impugnata dinanzi al CNF nel temine di venti giorni dalla notificazione del provvedimento.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, al quale è iscritto il professionista, era ed è competente per l’esecuzione delle sanzioni e, quando è irrogata la sanzione della sospensione e sia stata applicata la sospensione cautelare, deve determinare d’ufficio la durata residua della sanzione, detraendo il c.d. “pre-sofferto” in regime di sospensione cautelare (cfr., artt. 60, c. 7, e 62, c. 6 e 8, della L.p.f.; artt. 32, c. 5, e 35, c. 1 e 6, del Reg. 02/2014).
3. Riflessioni conclusive
Il CNF ha sostenuto, nella sentenza impugnata, che non sia possibile ricomprendere nell’ambito della sua potestà disciplinare provvedimenti diversi dalla decisione che conclude il procedimento.
Le Sezioni Unite hanno sì escluso, ad esempio, che l’atto di apertura del procedimento costituisca decisione in senso stretto, ritenendola quindi non impugnabile (cfr., SS.UU, 22 luglio 2016, n. 15199), ma si tratta di approdo ermeneutico che lo stesso Supremo Consesso ha ritenuto non estensibile, ad esempio, all’opposto provvedimento di archiviazione (cfr., SS.UU, 10 luglio 2017, n. 16993).
A segnare il discrimine della necessaria garanzia impugnatoria, non è, dunque, il carattere endo/pre-procedimentale che rende, per ciò solo, il provvedimento non impugnabile, bensì la sua attitudine a colpire gli interessi in gioco - che vanno dalla salvaguardia collettiva della deontologia forense, alla tutela individuale dello status professionale, sì da rispondere (anche) ai precetti costituzionali di tutela giudiziale di diritti e interessi, a mente degli artt. 24, 97, 111 e 113 Cost..