Civile Sent. Sez. U Num. 2145 Anno 2021
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: DORONZO ADRIANA
Data pubblicazione: 29/01/2021
SENTENZA
sul ricorso 10321-2018 proposto da:
DACASTO PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO RAMPIONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ERIC VOLPE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI – ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI CUNEO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 979/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/01/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2020 dal Consigliere ADRIANA DORONZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale STEFANO VISONA’, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza n. 979/2017 R. Sent. della Corte d’Appello di Torino, pubblicata 1’8.01/2018;
udito l’Avvocato Bruno Vettori per l’Avvocatura Generale dello Stato.
Fatti di causa
1. Con sentenza pubblicata in data 8 gennaio 2018 la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Paolo Dacasto contro la sentenza del Tribunale di Asti che aveva rigettato l’opposizione proposta dall’appellante contro l’ordinanza-ingiunzione, emessa dalla Direzione territoriale del lavoro di Cuneo, per il pagamento di C 9.054,00, a titolo di sanzione per violazioni amministrative concernenti l’impiego non regolarizzato di alcune lavoratrici presso una vigna di sua proprietà.
2. L’inammissibilità è stata dichiarata sul rilievo che il ricorso in appello era tardivo ai sensi dell’art. 327 cod.proc.civ. perché depositato in data 21/12/2016, ossia oltre sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza (20/5/2016).
2.1. La Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la sospensione feriale dei termini processuali dal 10 al 31 agosto del 2016, secondo quanto dispone l’art. 1 L. 7/10/1969, n. 742, come novellato dall’art. 16, comma 2, D. L.12/9/2914, n. 132, convertito dalla L. 10/11/2014, n. 162, e ciò sul presupposto che la controversia in esame, oltre che essere pacificamente assoggettata al rito del lavoro (ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 1/9/2011, n. 150), rientra nella nozione di causa di lavoro, ai sensi degli artt. 409 e 442 c.p.c., espressamente esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 1 (art. 3 L. cit.).
2.2. La decisione è assunta in consapevole dissenso dall’orientamento espresso dalla sentenza di queste Sezioni unite 30/3/2000, n. 63, seguita da altre pronunce (Cass. 26/7/2001, n.10258; Cass. 9/8/2004, n. 15376; Cass. 16/7/2007, n.15778) e fatto proprio dalla circolare n. 56 del 24/9/2008 dell’Agenzia delle entrate, secondo cui il rito del lavoro era stato previsto dal legislatore unicamente per le controversie di cui all’art. 35 della L. 24/11/1981, n. 689, comma 4, ossia per quelle controversie aventi ad oggetto violazioni consistenti nella – o da cui deriva la – omissione totale o parziale del versamento dei contributi (commi 2 e 3); per le altre violazioni, non eziologicamente legate ad omissioni contributive (comma 7), alle quali si applicava lo speciale rito di cui agli artt. 22 e 23 della L. n. 689/1981, il relativo giudizio di opposizione – non costituendo causa di lavoro – non soggiaceva alla disciplina dell’art. 3 L. n. 742/1969.
2.3. Secondo la Corte torinese, questo orientamento deve essere rivisto in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 1/9/2011, n. 150 (avvenuta il 6/10/2011), il quale, dopo aver modificato la disciplina dettata dagli artt. 22, 22 bis e 23 della L. 24/11/1981, n. 689, ha disposto che tutte le controversie di cui all’art. 22 della legge citata, e tra queste le opposizione ad ordinanza-ingiunzione, siano regolate dal rito del lavoro.
2.4. Ne ha tratto la conseguenza che «il criterio per così dire “formale” dell’assoggettamento della controversia al rito del lavoro non può più (…) essere determinante per stabilire se la controversia rientri o meno fra quelle a cui, ex art. 3 I. n. 742/1969, non si applica la sospensione dei termini nel periodo feriale».
2.5. Deve invece recuperarsi l’orientamento precedente, meglio espresso dalla sentenza della Cass. 7/1/1998, n. 71, secondo cui il richiamo operato dall’art. 3 cit. agli artt. 409 e 442 c.p.c. è alla natura della controversia, con la conseguenza che la sospensione dei termini non è operante tutte le volte in cui la lite, avente ad oggetto immediato l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, implichi a monte, come nel caso in esame, l’accertamento dell’esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato.
3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Paolo Dacasto con un solo motivo; il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Ispettorato territoriale del lavoro di Cuneo hanno resistito con controricorso.
3.1. Fissata l’adunanza camerale non partecipata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.civ., con ordinanza interlocutoria n. 2034 del 29/1/2020, la Sottosezione lavoro della Sesta Sezione civile ha ritenuto di trasmettere la causa al Primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite.
3.2.- La Corte ha ritenuto che la questione oggetto del presente giudizio – e riassunta nella domanda, così prospettata nell’ordinanza, «se le cause di opposizione avverso le ordinanze ingiunzioni in materia di sanzioni per il lavoro, cui si applica oggi il rito del lavoro ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo n. 150/2011, vadano considerate, nel nuovo contesto normativo, controversie di lavoro ex art. 409 c.p.c. alle quali si applica l’art. 3 della legge n. 742/1969 che esclude la sospensione feriale dei termini per “per le controversie previste dagli atti 429 e 459 (oggi 409 e 442) del cod.proc.civ.”» – meriti un ripensamento.
3.3. Secondo l’ordinanza di rimessione, la nuova disciplina ha inciso sulla stessa base normativa delineata in questa materia dall’art. 35, commi 2, 3, 4 e 7 della L. n. 689/1981, eliminando la distinzione tra rito speciale del lavoro, previsto per le opposizioni alle ordinanze ingiunzioni aventi ad oggetto l’omissione di contributi e premi o da cui deriva l’omissione di contributi e premi (comma 4), e rito speciale in materia (più genericamente) di opposizioni a sanzioni amministrative lavoristiche e previdenziali (comma 7).
3.4. Nel mutato contesto normativo, secondo l’ordinanza di rimessione, la previsione contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 150/2011, – a norma del quale «Le controversie previste dall’articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo» -, elimina ogni distinzione tra i due riti perché tutte le opposizioni sono oggi soggette al rito del lavoro. Pertanto, l’unico criterio idoneo a stabilire se vi siano e quali siano le controversie, nella materia in esame, assoggettate o meno alla disciplina della sospensione feriale non può che essere un criterio di ordine sostanziale, il quale va necessariamente ricavato dagli artt. 409 e 442 cod.proc.civ. E poiché l’art. 409 cod.proc.civ. ha per oggetto le controversie «relative a rapporti di lavoro subordinato», sono controversie di lavoro non soltanto quelle che nel rapporto di lavoro trovano la loro causa petendi o il petitum, ma anche quelle in cui il rapporto di lavoro si presenta come antecedente e presupposto necessario, non meramente occasionale.
3.5.- La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite di questa Corte. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
In prossimità dell’udienza il Ministero del lavoro ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, Paolo Dacasto denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 409, 434, 442, c.p.c., artt. 1 e 3 I. n. 742/1969 e art. 6 d.lgs. n. 150/2011 e assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui la Corte d’appello di Torino ha escluso l’applicabilità della sospensione feriale dei termini alla fattispecie in esame (opposizione ad ordinanza-ingiunzione) in considerazione del rito applicabile (ossia del lavoro) e della materia del contendere (sanzioni amministrative irrogate dall’Ispettorato territoriale del lavoro per irregolarità nell’assunzione di due lavoratori): secondo il ricorrente, tale affermazione si pone in contrasto con i principi espressi dalle Sez. Un. nella sentenza n. 63/2000 e dalla successiva consolidata giurisprudenza, secondo cui lo «spartiacque» tra le opposizioni per le quali è applicabile la sospensione feriale e quelle alle quali non è applicabile è dato non dalla materia cui inerisce la controversia né dal tipo di rito, bensì dall’art. 35 della L. n. 689/1981, il quale aveva ed ha per oggetto solo «l’opposizione ad ordinanze ingiunzioni emesse per violazioni consistenti nella – o da cui deriva – la omissione totale o parziale del versamento dei contributi».
Solo per queste controversie, dunque, deve essere esclusa la sospensione feriale. L’art. 6 del d.lgs. 150/2011, incidendo unicamente sul rito, nulla ha disposto sotto il profilo sostanziale e, in particolare, sull’applicabilità dell’art. 1 della L. n. 742/1969.
2. Il motivo è fondato.
È opportuno riepilogare il quadro normativo e giurisprudenziale prima del decreto legislativo n. 150/2011.
2.1. L’art. 3 della L. n. 742/1969 esclude dalla sospensione dei termini, tra le altre, le «controversie previste dagli artt. 429 e 459 [ora 409 e 442] cod. proc. civ.».
L’art. 35 L. n. 689/1981 prevede, al comma 4, che l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione emessa dagli enti previdenziali per violazioni consistenti in omissioni contributive (comma 2) o eziologicamente connesse a tali omissioni (comma 3) si propone al pretore (poi soppresso a decorrere dal 1 giugno 1999 e sostituito dal tribunale) in funzione di giudice del lavoro con il rito di cui agli artt. 442 e seg. cod. proc. civ.
Lo stesso art. 35, al comma 7, prevede per le violazioni alle leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie che non consistono nell’omesso o parziale versamento di contributi e premi, o che non sono allo stesso connesse a norma del comma 3, l’applicazione delle disposizioni previste dalla L. n. 689/1981.
2.2. Nell’ambito della materia del lavoro e della previdenza, la disciplina delineata dalla legge n. 689/1981 (art. 35) imponeva di distinguere tre differenti tipologie di ordinanze-ingiunzioni assoggettate a due riti differenti: 1) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie consistenti nell’omissione di contributi e premi o da cui deriva l’omissione di contributi e premi (comma 4), assoggettate al rito del lavoro; 2) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie non consistenti nell’omissione di contributi e premi né connesse ad omissioni contributive, assoggettate allo speciale rito disciplinato dalle sezioni I e II del Capo I della legge n. 689/1981 (comma 7); 3) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di lavoro, anch’essa soggetta al rito speciale di cui alla legge n. 689/1981.
2.3. Per il vero, quest’ultima residuale categoria di opposizioni non è espressamente contemplata nell’art. 35: si è però affermato che «una piana applicazione del canone ermeneutico inclusio unius est esclusio alterius, unitamente al rilievo dell’identità del rito che caratterizza i giudizi in tale materia ed in quella previdenziale, implica come conseguenza necessaria che, in ogni ulteriore ipotesi di violazione amministrativa afferente all’area delle situazioni giuridiche passive
correlate a rapporti di lavoro in atto, pregressi o costituendi, non possa non valere lo stesso criterio, enunciato dal detto comma 7 dell’art. 35, di riconducibilità del giudizio di opposizione alla disciplina processuale dettata dalla legge speciale. Il principio generale è, dunque, quello della prevalenza di tale disciplina e della previsione di ipotesi eccezionali di prevalenza del rito del lavoro» (Cass. Sez.Un. 30/3/2000, n. 63).
2.4. Con la sentenza n. 63/2000, le Sezione Unite non si sono limitate ad individuare nell’art. 35 I. cit. una norma meramente ricognitiva del rito ; ma gli hanno attribuito anche «la funzione di valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione».
Affermano, infatti, le Sezione unite che «l’espressa eccezione di limitata prevalenza del rito del lavoro non è sancita prescindendo dalla rilevanza della materia controversa, ma, giusta le disposizioni riferite, soltanto per effetto della specifica considerazione di essa e del suo estendersi al tema dell’adempimento dell’obbligazione contributiva, come oggetto diretto ed immediato del giudizio o come conseguenza della violazione di cui trattasi … In sintesi, sussiste una valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione come non rientrante, con esclusione dei soli casi sopra indicanti, nel novero delle controversie di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ.: ciò che preclude qualsiasi possibilità di ricorso a criteri “ontologici” diversi.».
In sostanza, secondo la sentenza n. 63/2000, l’attribuzione alle controversie di opposizione riguardanti omissioni contributive della qualifica di controversie di lavoro costituisce un’eccezione, frutto di una scelta discrezionale del legislatore che non consente una sua estensione a ipotesi diverse.
Si aderisce così all’indirizzo già tracciato da Cass. 28/3/1997, n. 2830 e da Cass. 13/7/1998, n. 6865, e, prima ancora da Cass. 22/10/1991, n. 11196; Cass. 12/5/1995, n. 5231; Cass. 5/8/1996, n. 7146.
2.5. Tale valutazione è in linea con l’anteriore e coeva giurisprudenza delle Sezioni Unite che, con riguardo alle cause di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, ne hanno individuato e fissato l’oggetto nell’accertamento negativo della legittimità dell’atto opposto e della pretesa sanzionatoria dell’amministrazione: l’esatto richiamo è alla sentenza di Cass. Sez.Un. 12/6/1982, n. 3542, meglio precisata con la successiva Cass. Sez.Un. 19/4/1990, n. 3271, secondo cui «Il giudizio concerne (…) innanzitutto, la legittimità formale e sostanziale del provvedimento (con la conseguenza che all’esame del merito delle questioni relative all’infrazione non è dato pervenire quando ricorrono determinati vizi in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi all’invalidazione di esso); ed eventualmente (in difetto, cioè, di impedimenti dirimenti del tipo ora indicato), dal suddetto accertamento negativo, che diviene così esclusiva materia della lite, secondo la specifica causa petendi che sostiene l’atto introduttivo.»
2.6. In questa prospettiva, la tesi dell’inapplicabilità della sospensione dei termini processuali, nei casi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione collegata alla materia del lavoro o della previdenza, non può utilmente fondarsi sul richiamo alla giurisprudenza che identifica, come cause rientranti nel novero di quelle elencate dagli art. 409 e 442 cod. proc. civ., non solo le controversie relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro (o previdenziale), ma anche altre, nelle quali la pretesa fatta valere in giudizio si ricollega direttamente a tale rapporto, come ad un antecedente o presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale. «È, invero, palese, nell’esposto ordine di idee, che, nel caso in esame, viene in rilievo un collegamento col rapporto di lavoro, non di questa natura, ma meramente occasionale, poiché, rispetto all’accertamento negativo della legittimità della pretesa punitiva dell’amministrazione pubblica, il rilevante presupposto, diretto e necessario, si esaurisce tutto nella titolarità della funzione di vigilanza e di repressione affidata all’amministrazione pubblica, mentre è indifferente il settore dell’ordinamento nei cui confronti il comportamento integrativo della violazione produce il suo vulnus» (così ancora Cass. Sez.Un. n. 63/2000).
2.7. Il principio dell’applicabilità della sospensione dei termini al procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione concernente l’applicazione di sanzioni in materia lavoristica è stato seguito, senza significativi scostamenti, da Cass. 17/6/2000, n. 8280, Cass. 26/07/2000, n. 9830, Cass. 26/7/2001, n. 10258, nelle quali si è rimarcata la vis actrattiva del rito previsto dall’art. 35 I. n. 689/1981 sulla qualificazione della natura delle controversie: si è cioè ribadito che la scelta del procedimento è espressione (anche) di una volontà classificatoria del legislatore, volta a negare alle opposizioni in esame (fatta eccezione per le ipotesi espressamente previste nel comma 4 dell’art. 35 L. cit.) natura di controversie ex artt. 409 e 442 cod.proc.civ. (vedi pure Cass. 21/12/2001, n. 16154; Cass. 10/01/2003, n. 240; Cass. 27/08/2003, n. 12576; Cass. 8/5/2006, n. 10452; Cass. 22/7/2008, n. 20189; Cass. 26/2/2009, n. 4651).
2.8. Più di recente si è poi espressa Cass. 9/04/2018, n. 8673, la quale, tuttavia, dovendosi confrontare con il d.lgs. n. 150 del 2011, art. 6 (su cui v. oltre), ha abbandonato il dato «formale» del rito e abbracciato il diverso criterio «ontologico», pure espresso dalle Sezioni unite, fondato sulla natura della controversia: si è così ribadito l’assunto secondo cui «nei giudizi di opposizione all’ordinanza di irrogazione di una sanzione amministrativa l’oggetto del contendere è costituito dalla esistenza o meno dei presupposti per l’esercizio della potestà sanzionatoria pubblica; il collegamento con il rapporto di lavoro subordinato è, invece, soltanto indiretto poiché ciò che rileva – e che costituisce il tratto comune dell’esercizio della potestà sanzionatoria – è la reazione all’illecito amministrativo e non il settore dell’ordinamento in cui siffatta violazione si consuma».
3. Come si è anticipato, il quadro normativo descritto è stato modificato dal d.lgs. 1/9/2011, n. 150, attuativo della delega conferita al Governo dall’art. 54 della L. 18/6/2009, n. 69, per la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
L’art. 6 del d.lgs. n. 150/2011, da una parte, ha ribadito la devoluzione al tribunale (senza aggettivi) piuttosto che al giudice di pace, tra le altre, di tutte le cause in materia di «a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro; b) di previdenza e assistenza obbligatoria», così confermando quanto già disposto dal legislatore nel d.lgs. 30/12/1999, n. 507, che, con l’art. 98, ha introdotto nella L. n. 689/1981, l’art. 22 bis (poi abrogato dall’art. 34 del d.lgs. n. 150/2011); dall’altra, ha disposto che «Le controversie previste dall’articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo» (comma 1).
3.1. Il decreto legislativo ha poi sostituito l’art. 22 I. n. 689/1981, il quale è ora così formulato: «Salvo quanto previsto dall’articolo 133 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e da altre disposizioni di legge, contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.
L’opposizione è regolata dall’articolo 6 del decreto legislativo 10 settembre 2011, n. 150.» (art. 34 d.lgs. cit.); ha abrogato i commi dal secondo al settimo dell’art. 22 L.. cit., nonché gli artt. 22 bis e 23 L.cit., i quali disciplinavano, rispettivamente, l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, la competenza per il giudizio di opposizione e lo stesso giudizio di opposizione.
3.2. Con tali interventi il legislatore, ispirato da un’evidente finalità di semplificazione, ha ricondotto a una disciplina unitaria, quanto al rito, le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alle ordinanze-ingiunzioni, privilegiando il modello del processo del lavoro: attualmente, pertanto, non è più consentito distinguere, come ancora previsto dall’art. 35 della I. n. 689/1981, tra rito del lavoro, applicabile alle opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni emesse per violazioni legate ad omissioni contributive o di premi, e rito speciale previsto dalle disposizioni delle sezioni I e II del capo I, della L. n. 689/1981, applicabile a tutte le altre violazioni in materia previdenziale e lavoristica.
3.3. L’ordinanza interlocutoria valorizza questa modifica normativa e assume che essa rende non più vera la premessa logica del ragionamento delle Sezioni Unite n. 63/2000, ossia il postulato secondo cui il legislatore, attraverso la scelta dei riti, avrebbe operato «una valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione».
3.4. In particolare si sottolinea come l’argomento formale desunto dalla previsione di due riti diversi (art. 35 I. n. 689/1981) non sia più attualmente sostenibile, «salvo voler affermare che, per effetto del trascinamento dello stesso rito del lavoro, a tutte le controversie in materia di opposizione alle ingiunzioni (per le più eterogenee materie) si applichi la medesima disciplina della sospensione dei termini prevista soltanto per le controversie del lavoro, della previdenza ed assistenza. Oppure, per converso, sostenere che non si applichi più a nessuna delle predette controversie la sospensione dei termini per effetto dell’estensione a tutte del medesimo rito lavoristico. O, ancora, voler ipotizzare un’illegittima ultrattività della normativa processuale precedente e continuare a distinguere ai fini della sospensione feriale dei termini tra ordinanze ingiunzioni in materia di previdenza (consistenti in omissioni di premi o connesse o non consistenti) ed ordinanze ingiunzioni in materia di lavoro (ed in generale in materie differenti dall’uno e dall’altro settore)».
3.5. La riconduzione di tutte le opposizioni a un unico rito fa dunque riemergere la necessità di individuare un criterio di distinzione tra i vari tipi di opposizione. E il criterio non può che essere, sempre secondo l’ordinanza interlocutoria, di ordine sostanziale, necessariamente ricavato dagli artt. 409 e 442 cod.proc.civ.
E al riguardo, si sostiene che il legislatore ha previsto nessi via via più intensi tra apparato sanzionatorio nella materia del lavoro e diritti individuali del lavoratore, attraverso una serie di misure che hanno valenza non solo afflittiva ma anche riparatoria e ripristinatoria della situazione di illiceità, e, pertanto, con ricadute dirette sui diritti dei lavoratori. Continuare a reputare le controversie sulle sanzioni lavoristiche come estranee all’ambito degli articoli 409 e ss. cod.proc.civ. sarebbe contraddittorio a fronte delle rilevanti trasformazioni del diritto del lavoro apportate dalle recenti riforme (si citano come esempi l’art. 2 d.lgs. 15/6/2015, n. 81, e il d.l.3/9/2019, n.101, conv. in I. 2/11/2019, n. 128, in materia di collaborazioni etero-organizzate, nonché gli articoli 12, 13 e 14 del D.Lgs. 23/4/2004, n. 124, e 14 del D.Lgs. 9/4/2008, n. 81).
4. La tesi, seppur motivata con ampiezza e ricchezza di argomenti, non può essere seguita, ritenendo il collegio di dover dare continuità all’orientamento segnato dalle Sezioni Unite n. 63/2000.
4.1. Va da subito segnalato che il rinvio al rito del lavoro compiuto dal legislatore della riforma del 2011 (art. 6) non è integrale, ma vede la rilevante esclusione di una serie di norme, a significare la volontà del legislatore di considerarlo come semplice modello di riferimento e non anche come strumento di tutela differenziata di una parte del processo ritenuta ontologicamente più debole.
In tal senso, è chiara la L. 18 giugno 2009, n.69, di delega al Governo per la riduzione e semplificazione dei riti, che, nel dettare i principi e i criteri direttivi, ha disposto che siano ricondotti al procedimento disciplinato dal libro II, titolo IV, capo I, sezione seconda del codice di procedura civile, i procedimenti in cui sono «prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell’istruzione» [art. 54, comma 4, lett. b), n. 1], senza alcun riferimento alla natura delle posizioni giuridiche sostanziali.
4.2. Il decreto legislativo n. 150/2011, nell’ambito della delega ricevuta, dopo aver specificato cosa si intende per rito del lavoro, con riferimento a quello regolato dagli artt. 413 e ss., – con esclusione quindi delle disposizioni di cui agli artt. da 409 a 412 cod.proc.civ. (art. 1, lett. b) -, ha espressamente ritenuto non applicabili alle controversie disciplinate dal capo II (quindi anche dall’art. 6), «salvo che siano espressamente richiamati, gli articoli 413, 415, settimo comma, 417, 417-bis, 420-bis, 421, terzo comma, 425, 426, 427, 429, terzo comma, 431, dal primo al quarto comma e sesto comma, 433, 438, secondo comma, e 439 del codice di procedura civile».
Ha poi disposto che l’ordinanza prevista dall’art. 423, comma 2°, del codice di procedura civile può essere concessa su istanza di ciascuna parte (e non più del solo lavoratore); che l’articolo 431, comma 5°, sulla provvisoria esecutività della sentenza, si applica alle sentenze di condanna a favore di ciascuna delle parti; che, infine, salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421, comma 2°, del codice di procedura civile non possono essere esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile (art. 2).
4.3. Si tratta di disposizioni che, per la gran parte, presuppongono che la causa sia di lavoro, volte come sono ad offrire una tutela in una certa misura privilegiata al lavoratore.
4.4. In tal senso si esprime la relazione di accompagnamento al decreto legislativo, in cui, con riguardo alle norme del processo del lavoro escluse, si legge che si tratta di disposizioni «oggettivamente incompatibili con le materie diverse da quelle indicate dall’articolo 409 c.p.c.», che si giustificano solo «in virtù dell’esigenza di garantire un particolare favore nei confronti del lavoratore, anche in considerazione della peculiare connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalità, quale il diritto a una esistenza libera e dignitosa sancito dall’art. 36 Cost.».
4.5. Deve aggiungersi che l’art. 6 del d.lgs. cit. prevede anche una serie di disposizioni processuali che richiamano nella sostanza la vecchia disciplina contenuta negli artt. 22, 22-bis e 23 della I. 689/1981 e abrogata: ne viene fuori un processo in cui il modello disegnato dagli artt. 409 e ss. cod.proc.civ. funge solo da sfondo, «corretto» e «aggiustato» allo scopo di adattarlo alle peculiarità delle controversie contemplate dai successivi articoli da 6 a 13.
4.6. Il rinvio al processo del lavoro è dunque una scelta meramente processuale, che accorpa controversie assai eterogenee e che prescinde dalla natura e dal contenuto delle situazioni giuridiche sostanziali. In altri termini e per quanto qui rileva, il processo che nasce dal decreto legislativo n.150/2011 non è pensato perché sono in gioco controversie individuali di lavoro secondo il disposto dell’art. 409 cod.proc.civ.
4.7. In questo quadro, in cui ben si apprezza la distinzione, già illustrata da autorevole dottrina, tra «rito del lavoro» e «rito delle controversie di lavoro», si comprende il perché il legislatore del 2011 non abbia ritenuto di richiamare l’art. 3 della I. 742/1969, che esclude la sospensione feriale dei termini processuali dal 10 agosto al 15 settembre in materia di cause di lavoro.
4.8. Sotto questo aspetto, deve convenirsi con l’ordinanza interlocutoria, secondo cui la scelta del modello processuale è in un certo senso «neutra» rispetto alla qualificazione della natura della controversia, che pertanto diventa passaggio logico ineludibile per stabilire se essa abbia sostanziale natura di «controversia individuale di lavoro», ai fini dell’applicazione dell’art. 3 L. n. 742/1969.
E si può pure concordare con il rilievo che le ragioni espresse nella sentenza delle Sezioni unite n. 63/2000, sulla incidenza del rito a fini qualificatori della natura della controversia, abbiano perso di attualità.
5. Tuttavia, l’opzione delle Sezioni Unite sulla natura non di lavoro delle controversie per violazioni diverse da quelle contributive non è meramente consequenziale alla scelta del rito «speciale» adottata dal legislatore, né è vero che essa sia stata espressa solo a scopo rafforzativo, quasi un obiter dictum, della tesi fondata sul dato positivo dell’art. 35 I. n. 689/81, dal quale poteva evincersi la natura meramente residuale del rito del lavoro.
Essa è fondata su argomenti dotati di piena autonomia.
Anzi, a ben guardare, i termini del ragionamento sono esattamente inversi, nel senso che, per le Sezioni Unite, proprio il fatto che il legislatore abbia attribuito limitata prevalenza al rito del lavoro dimostra che, per lo stesso legislatore, quelle controversie e solo quelle controversie, in quanto connesse all’adempimento dell’obbligazione contributiva, sono cause di lavoro; in mancanza di questa connessione, viene meno la rilevanza del legame tra illecito amministrativo e materia lavoristica o previdenziale, e assume invece «esclusiva rilevanza individuatrice della natura della lite» il «tema della verifica della legittimità della pretesa espressa dal provvedimento sanzionatorio, quale minimo denominatore comune di ogni azione giudiziaria finalizzata all’accertamento negativo della responsabilità a tale provvedimento sottesa».
La scelta del rito è dunque la conseguenza, non già la causa, di una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore.
5.1.Come già detto, le Sezioni Unite n. 63/2000 (e da ultimo, Cass. n. 8673/2018 cit.), in linea con i propri precedenti (v. supra sub 2.5.), definiscono l’oggetto del giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione come «accertamento negativo della pretesa sanzionatoria della amministrazione»: l’oggetto non muta con riguardo alle opposizioni ad ingiunzioni per il pagamento di sanzioni lavoristiche. Ciò che invero rileva in questi giudizi è «la reazione all’illecito, che, in quanto tale, si propone con uguale strumentalità al ripristino dell’ordine violato ed alla connessa tutela dell’interesse generale all’effettività della regola dettata dalla norma giuridica della cui osservanza, di volta in volta, si tratta» (Cass. n. 63/2000), restando invece indifferente il settore dell’ordinamento inciso dal comportamento integrativo della violazione.
5.2. Tali principi non appaiono superati né contraddetti dalla giurisprudenza successiva, in cui si è affermato che «in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice» (Cass. Sez.Un., 28/1/2010, n. 1786; Cass. 16/2/2016, n. 2959; Cass. 21/05/2018, n. 12503; Cass. 10/10/2018, n. 25124).
Si tratta di pronunce nelle quali, nel valutare l’ambito di ammissibilità dei vizi di motivazione del provvedimento sanzionatorio, si è specificato che il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto della P.A., che pur resta il «veicolo di accesso» al giudizio, ma il rapporto sottostante, con conseguente cognizione piena del giudice – che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri (Cass. 10/5/2010, n. 11280; Cass. 16/2/2016, n. 2959).
5.3. Ma per rapporto sottostante, si è precisato, deve intendersi il rapporto sanzionatorio, ossia quello vertente sull’accertamento della conformità della sanzione ai casi, alle forme e all’entità previsti dalla legge, atteso che si fa valere il diritto a non essere sottoposto a una prestazione patrimoniale se non nei casi espressamente previsti dalla legge (così Cass. Sez.Un. 1786/2010, cit.).
5.4. L’affermazione è in linea anche con gli approdi della dottrina secondo cui, benché i procedimenti in esame siano strutturati come giudizi tipicamente impugnatori, l’oggetto del giudizio va individuato nel rapporto, di diritto sostanziale, tra cittadino e amministrazione.
E non si manca di sottolineare, sia in dottrina che in giurisprudenza, che i giudizi di opposizioni contro le sanzioni amministrative costituiscono un corpus omogeneo a sé stante, retto da norme sostanziali e processuali proprie, in ragione della peculiarità dell’oggetto.
5.5. Che il thema decidendum sia da individuarsi nell’accertamento della fattispecie produttiva dell’«effetto giuridico tra P.A. e cittadino, consistente nell’obbligo del secondo di pagare una somma di denaro alla prima», è confermato da una serie di norme di carattere generale, contenute negli articoli da 1 a 12 della L. n. 689/1981, le quali valgono per l’interpretazione del regime sostanziale dell’illecito e della sanzione amministrativa.
5.6. Inoltre, la natura lato sensu impugnatoria del giudizio incide direttamente sull’ambito della cognizione del giudice, che è segnato dalle ragioni poste a base della domanda di annullamento e che costituiscono la causa petendi del giudizio: esse devono risultare dal ricorso introduttivo, mentre, per converso, l’amministrazione opposta non può dedurre, a sostegno della sua pretesa, motivi e circostanze diversi da quelli cristallizzati nel provvedimento; né il giudice può,
d’ufficio, rilevare ragioni di nullità del provvedimento opposto o del procedimento amministrativo diverse da quelle dedotte dall’opponente, salve le ipotesi di inesistenza o violazione del principio di legalità ai sensi dell’art. 1 L. n. 689/1981 (v. Cass. 16/4/2010, n. 9178; Cass. 16/07/2010, n. 16764; Cass. 14/03/2017, n. 6505; cfr. anche Corte Cost. n. 171/2017; Cass. 18/04/2018, n. 9538).
5.7. La peculiarità del giudizio di opposizione è ravvisabile anche nella regola di riparto degli oneri probatori, che vede l’amministrazione gravata della prova del fatto costitutivo del suo diritto, ossia dei presupposti fattuali dell’illecito amministrativo e della corretta applicazione della sanzione, mentre l’opponente è tenuto solo a dimostrare i fatti impediti, modificativi ed estintivi dell’effetto giuridico dedotto in giudizio, come si evince dagli artt. 6, comma 11, e 7, comma 10, L. cit., secondo cui «il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente» (v. Cass. ord. 24/1/2019, n. 1921).
6. La struttura tendenzialmente unitaria del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative altro non è che il riflesso dell’autonomia, nel nostro ordinamento, dell’istituto della sanzione amministrativa che, superata la logica che la voleva ricondotta ora alla disciplina dell’illecito penale ora a quella dell’illecito civile, ha trovato nella legge 24 novembre 1981, n. 689 una sua definitiva e organica sistemazione ed una configurazione giuridica sua propria.
6.1. Non vi è dubbio che la sanzione sia collegata alla violazione di un precetto e che tale precetto si innesti, nella gran parte dei casi, su un rapporto giuridico sottostante che può trarre origine da realtà giuridiche assai diverse: ciò che tuttavia rileva nei giudizi in esame è l’infrazione, laddove la situazione non conforme al diritto cui l’amministrazione è tenuta a porre rimedio costituisce un mero antecedente di fatto.
6.2. L’autonomia concettuale della sanzione amministrativa non è esclusa dalla presenza nel nostro ordinamento di diverse categorie di sanzioni, le quali, tuttavia, costituiscono pur sempre un blocco a sé stante, a prescindere dalla vicenda fattuale da cui l’illecito deriva: significativo è il riferimento all’art. 133 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che alla lettera f) ed l), devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle sanzioni in materia di «edilizia ed urbanistica», le quali rimangono così estranee alla disciplina di cui al d.lgs. n. 150/2011 (v. art. 22, I. n. 68 9/1981, come modificata dall’articolo 34 del decreto legislativo 1/9/2011, n.150), e ciò indipendentemente dalla consistenza della posizione giuridica sostanziale – sia essa di diritto soggettivo o di interesse legittimo – ad esse sottesa.
6.3. Pur nelle peculiarità proprie, rimane una omogeneità di fondo, riassumibile nella nozione, elaborata dalla dottrina tradizionale, di sanzione come reazione della pubblica amministrazione alla violazione di un precetto, finalisticamente orientata alla prevenzione generale e speciale.
7. Ciò non esclude che, nell’ipotesi in cui ritenga che sussistano, per violazioni commesse in un determinato settore, ragioni che giustifichino una diversa disciplina, di maggiore o minore rigore, il legislatore possa prevederla senza per ciò solo incorrere nella violazione del precetto costituzionale (cfr. in tal senso, Corte cost. 171/2017, cit., sulla questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 8, comma 2, della L. n. 689/1981 – inserito dall’art. 1-sexies D.L. 2/12/1985, n. 688 convertito, con modificazioni, dalla L. 31/1/1986, n. 11 – nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie; v. anche Corte Cost. 193/2016, in cui si sottolinea che, nell’ambito del sistema sanzionatorio amministrativo, complessivamente considerato, il legislatore gode di una certa discrezionalità nel prevedere una disciplina specifica, in base alla peculiarità degli interessi tutelati, la quale proprio per tale peculiarità non si presta a diventare da eccezione a regola).
7.1. In questa prospettiva, appare giustificata e non irrazionale la scelta del legislatore di mantenere ferma la distinzione tra violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, consistenti nell’omissione totale o parziale del versamento dei contributi e premi o eziologicamente legate agli obblighi contributivi, da un lato, e violazioni, pure nella stessa materia del lavoro e della previdenza, che non riguardano omissioni contributive.
L’art. 35 della L. n. 689/1981 non è stato espressamente abrogato dall’art. 34 del D.Lgs. n. 150/2011, e, pur non sottacendosi le difficoltà di coordinamento di tale disposizione con il D.Lgs. n. 150/2011, deve ritenersi attualmente in vigore la norma nella parte in cui mantiene la detta distinzione.
7.2. La ragione della sua sopravvivenza può rintracciarsi nel fatto che, in questo tipo di liti, come opportunamente evidenziato dal Sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, vi è una duplicità di oggetto: da un lato, la sanzione e, dall’altro, il pagamento dei contributi non versati.
Si fa così più evidente il legame con il rapporto di lavoro e più avvertita l’esigenza di tutela differenziata rispetto alle altre opposizioni in materia lavoristica, ove si consideri che l’inadempimento degli obblighi contributivi incide sul diritto del lavoratore alla integrità della sua posizione previdenziale.
7.3. Non è in discussione l’autonomia del rapporto oggetto del giudizio di opposizione, che vede come uniche parti l’amministrazione previdenziale e il datore di lavoro, rispetto al rapporto contrattuale che intercorre tra datore e lavoratore: può darsi ormai come acquisito il concetto che il rapporto giuridico previdenziale non è un rapporto unico, cosiddetto trilatero tra i diversi soggetti coinvolti – soggetto assicuratore, soggetto assicurato, soggetto assicurante -, bensì una pluralità di rapporti bilaterali (v. Cass. Sez.Un. 17/1/2003,n. 683; Cass. 14/2/2014, n. 3491), e tra questi vi è quello che vede per soggetto attivo l’istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi nella loro interezza e delle sanzioni connesse alle violazioni addebitate.
Ciò altro non è che il riflesso della necessaria distinzione del rapporto assicurativo, che ha esclusiva fonte nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo (Cass. Sez. Un. n. 683/2003, cit., ed ivi ulteriori richiami).
7.4. Anche in tali controversie, quindi, l’oggetto rimane il corretto esercizio della potestà sanzionatoria dell’ente previdenziale assicuratore, né si attenua la finalità generai preventiva e comminatoria della sanzione, ma accanto ad essa si pone anche una finalità più propriamente recuperatoria, che non può non riverberarsi anche sulla posizione giuridica del lavoratore. E ciò quand’anche la contribuzione omessa o controversa sia irrilevante ai fini dell’ottenimento della prestazione previdenziale, o quest’ultima non sia ancora esigibile.
8. Le peculiarità di queste controversie sorreggono dunque la scelta del legislatore di includerle nel novero delle controversie di lavoro alle quali non si applica il regime della sospensione feriale dei termini prevista dall’art. 1 della L. n. 742/1969.
Si tratta di una opzione che ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.: la Corte costituzionale, con le ordinanze n. 61 del 1985 e n. 61 del 1992 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 I. n. 742/1969, nella parte in cui esclude la sospensione dei termini feriali anche per i procedimenti di opposizione a decreti ingiuntivi emessi per mancato versamento di contributi previdenziali, sul rilievo dell’identità di ratio sottesa alla disciplina unitaria dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969, in quanto la sollecita definizione di queste ultime risponde all’esigenza di procurare agli enti stessi la disponibilità dei mezzi finanziari occorrenti per fornire le prestazioni dovute.
8.1. Analoghe esigenze non sono invece ravvisabili nelle controversie aventi ad oggetto l’esercizio della pretesa punitiva dello Stato per violazioni amministrative di tipo diverso, rispetto alle quali, come è stato evidenziato dal Pubblico Ministero, l’inapplicabilità della sospensione non trova adeguata giustificazione e finirebbe così per introdurre una irrazionale disparità di trattamento tra presunti trasgressori.
9. I principi espressi dalle Sezioni Unite n. 63/2000, qui condivisi, non sono in contrasto con il sistema, né incorrono nelle contraddizioni segnalate nell’ordinanza interlocutoria.
9.1. Certamente, non è messo in discussione il cosiddetto criterio «sostanziale», secondo cui sono cause di lavoro, non soggette alla sospensione feriale, quelle in cui è controverso un credito di lavoro o previdenziale, mentre è irrilevante il rito (fallimentare, monitorio) attraverso cui esso viene fatto valere (Cass. 24/8/2018, n. 21163; Cass. Sez.Un. 24/11/2009, 24665; Cass, Cass. Sez.Un. 5/5/2017, n. 10944).
Si tratta di principi consolidati che, benché per lo più espressi in tema di fallimento, mostrano un respiro più ampio, atteso che si conferma che la sospensione dei termini, pur applicandosi in via generale ai giudizi per l’accertamento dei crediti concorsuali (ex art. 92 del R.D. n. 12 del 1941 e degli artt. 1 e 3 della L. n. 742 del 1969), non opera in quelli in cui si controverta dell’ammissione allo stato passivo dei crediti di lavoro, benché da trattarsi con il rito fallimentare, in ragione della materia che ne forma l’oggetto.
9.2. Con la stessa coerenza e con specifico riferimento alle opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni per sanzioni non afferenti a materia di lavoro, si è affermato che l’esclusione della sospensione feriale dei termini prevista dall’art. 3 della L. n. 742 del 1969 per le controversie di lavoro non dipende dal rito da cui la causa è disciplinata, ma si riferisce alla sua natura e che, pertanto, le controversie in materia di opposizione a ordinanza-ingiunzione emesse in diversa materia, sebbene regolate dal rito del lavoro ex d.lgs. n. 150 del 2011, restano soggette alla sospensione feriale dei termini (Cass. n. 8673/2018, cit. in materia di assunzione e disciplina del lavoro subordinato; Cass. 10/05/2017, n. 11478, e Cass. 22/02/2017, n. 4652, in tema di violazioni al codice della strada; Cass., 2/11/2015, n. 22389, in tema di protezione dei dati personali).
10. Neppure è in dubbio che la qualificazione della controversie in esame non attenga solo al profilo della sospensione feriale, ma incida su aspetti processuali non meno cruciali, quali quelli del regime fiscale (artt. 9 e 13 del d.p.r. 115/2002), delle spese processuali (art. 152 bis disp.att. cod.proc.civ.), della ripartizione degli affari interna all’ufficio giudiziario: sotto quest’ultimo profilo, si è sottolineato che, a seconda che si ritengano tali controversie rientranti o non nel novero di quelle di lavoro e di previdenza, mutano i criteri di assegnazione, investendo ora il giudice del lavoro ora il giudice civile, con evidenti riflessi sulla specializzazione funzionale dell’organo decidente, sui possibili contrasti di giudicato, sulla maggiore celerità del processo.
Ma anche l’esame di queste «ricadute» non conduce ad una soluzione difforme rispetto alla sentenza delle Sezioni Unite n.63/2000.
10.1. Partendo dalla terza, che sembra aver maggiormente orientato la scelta dell’ordinanza di rimessione, ossia dalla opportunità che tutte le opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni lavoristiche, in quanto (asseritamente) controversie di lavoro, siano attribuite al giudice specializzato del lavoro, è sufficiente rilevare che la questione incide non già sulla sfera di competenza del giudice ma su semplici modalità organizzative del lavoro all’interno degli uffici giudiziari.
10.2. I precedenti giurisprudenziali citati nell’ordinanza a sostegno della sua tesi (Cass. 18/1/2008, n.1062; Cass.5/3/2004, n. 4564), entrambe aventi ad oggetto controversie non collegate ad omissioni contributive, non affrontano la questione ex professo, ma sono limitate, la prima, ad individuare la competenza per materia del giudice di pace-tribunale, già segnata dalla I. n. 507/1999 -, laddove il riferimento al «giudice del lavoro» è piuttosto asserita e non già frutto di un meditato dissenso rispetto alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2000; la seconda, invece, prende solo atto che il giudizio di primo grado si è svolto secondo il rito del lavoro e ne predica comunque la legittimità, non risultando violate norme specifiche previste dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689/1981.
10.3. Gli inconvenienti denunciati, lungi dall’esser dirimenti ai fini della soluzione della questione all’esame, si risolvono in ragioni di mera opportunità, che ben possono essere soddisfatte con provvedimenti organizzativi interni che dispongano l’assegnazione tabellare di tali controversie ai giudici del lavoro, salvaguardandone e rafforzandone così la specializzazione.
10.4. Quanto alle possibili connessioni tra violazioni concernenti le omissioni contributive e le altre violazioni attinenti al rapporto di lavoro o di previdenza, spesso rilevate da verbali di accertamento congiunti o scaturenti da medesimi fatti sostanziali, il rimedio che l’ordinamento prevede è dato dall’art. 40 cod.proc.civ. o dall’art. 273 cod.proc.civ., allorché essi pendono dinanzi allo stesso giudice (inteso come ufficio giudiziario), con possibilità di trattazione congiunta delle due controversie.
10.5. La seconda «ricaduta», costituita dal diverso regime fiscale, offre una sia pur indiretta conferma della bontà della tesi qui sostenuta.
A voler seguire la tesi opposta, invero, l’attribuzione della natura di cause di lavoro alle opposizione in materia di lavoro e previdenza condurrebbe ad estendere a tutte il regime agevolativo previsto dall’art. 13, comma 3, del D.P.R. 30/5/2002, n. 115.
La Corte costituzionale, con la sentenza 19/4/2018, n. 77, sia pur con riferimento a questione diversa, ha avuto modo di affermare che «La considerazione che sovente il contenzioso di lavoro possa presentarsi in termini sostanzialmente diseguali, nel senso che il lavoratore ricorrente, che agisca nei confronti del datore di lavoro, sia parte “debole” del rapporto controverso, giustifica norme di favore su un piano diverso da quello della regolamentazione delle spese di lite».
Tra queste ha incluso, oltre a quelle contenute negli artt. 10 e 11 della legge n. 533 del 1973 (peraltro successivamente abrogati), anche l’art. 13, comma 3, del d.P.R. 30/5/2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», a norma del quale il contributo unificato per le spese di giustizia è ridotto alla metà per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego.
La Corte costituzionale ha anche precisato che «è rimesso alla discrezionalità del legislatore ampliare questo favor praestatoris, ad esempio rimodulando, in termini di minor rigore o finanche di esonero, il previsto raddoppio di tale contributo in caso di rigetto integrale, o di inammissibilità, o di improcedibilità dell’impugnazione (art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002).» (punto 19).
Tuttavia, una differente disciplina è ammissibile ove sia volta a contemperare le ragioni erariali con la tutela di diritti fondamentali dell’individuo.
Essa, cioè, si giustifica in ragione della «sostanziale diseguaglianza» delle parti, mirando ad agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale da parte del soggetto più debole: ratio e finalità che non si ravvisano nelle controversie in questione, in cui le parti sono il datore di lavoro e la pubblica amministrazione.
10.5. Quanto alla terza «ricaduta», relativa al regime delle spese di lite, essa ha perso gran parte della sua attualità, ove si consideri che l’art. 9 del D.Lgs. 14/9/2015, n.149, «Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183», ha previsto la possibilità per l’Ispettorato Nazionale del lavoro di farsi rappresentare e difendere, nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione nonché negli altri giudizi indicati, da propri funzionari ai quali, in esito favorevole della lite, sono riconosciuti dal giudice le spese, i diritti e gli onorari di lite con la riduzione del 20% dell’importo complessivo ivi previsto.
Si tratta di disposizione sovrapponibile a quanto già prevede l’art. 152 bis disp. att. cod.proc.civ., come interpretato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16/07/2019, n. 19034; Cass. 9/4/2019, n. 9878), che ha esteso la norma, nella parte in cui prevede la liquidazione delle spese processuali a favore delle pubbliche amministrazioni assistite in giudizio da propri dipendenti, non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 417 bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l’INPS si avvalga della difesa diretta ex art. 10, comma 6, del d.l. n. 203 del 2005, conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2005. Nessuna aporia è dunque riscontrabile anche sotto questo profilo.
11. La questione posta a queste Sezioni unite deve dunque essere risolta nei seguenti termini: «Nel regime introdotto dall’art. 6 del D. Lgs. n. 150/2011, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, in si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma dell’art. 3 della L. n. 742/1969, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 cod. proc. civ. Ne consegue che, ai fini
della tempestività dell’impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione.»
12. Alla stregua di questi principi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite, il 15 dicembre 2020
Il Consigliere estensore
Dott. Adriana Doronzo
Il Presidente
Dott. Francesco Tirelli
Allegati:
Ordinanza interlocutoria, 29 gennaio 2020, n. 2034, per SS.UU, 29 gennaio 2021, n. 2145, in tema di sospensione feriale
SS.UU, 29 gennaio 2021, n. 2145, in tema di sospensione feriale
Nota dell'Avv. Alfonso Ciambrone
Le Sezioni Unite danno continuità all’indirizzo segnato da SS.UU, 30 marzo 2000, n. 63, pur in un mutato contesto normativo
1. Il principio di diritto
Nel regime introdotto dall'art. 6 del D.Lgs. 150/2011, alle controversie, regolate dal “rito del lavoro” (e non dal “rito delle controversie di lavoro”), di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano ad oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella, o da cui derivi una, omissione, totale o parziale, di contributi, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma dell'art. 3 della L. 742/1969, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c., quindi non di “cause di lavoro”.
2. La questione di massima di particolare importanza
A seguito dell’entrata in vigore dell'art. 6 del D.Lgs. 150/2011, a norma del quale “Le controversie previste dall'articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”, è sorto il dubbio, sollevato dall’ordinanza interlocutoria, che “(ndr., tutte) le cause di opposizione avverso le ordinanze ingiunzioni in materia di sanzioni per il lavoro, cui si applica il rito del lavoro ai sensi del suddetto art. 6, vadano considerate controversie di lavoro ex art. 409 c.p.c., in quanto tali non soggette alla sospensione feriale dei termini (ndr., ex art. 3 della L. 742/1969)”.
Si è ritenuto, difatti, che la nuova disciplina abbia inciso sulla base normativa delineata in questa materia dall'art. 35, commi 2, 3, 4 e 7, della L. 689/1981, eliminando la distinzione tra rito speciale del lavoro, previsto per le opposizioni alle ordinanze ingiunzioni aventi ad oggetto l'omissione di contributi e premi o da cui derivi l'omissione di contributi e premi (comma 4), e rito speciale in materia (più genericamente) di opposizioni a sanzioni amministrative lavoristiche e previdenziali (comma 7); in tal modo, venendo meno anche la differente disciplina prevista per le suddette categorie di controversie quanto alla sospensione feriale dei termini processuali (nel primo caso) o meno (nel secondo caso).
Le Sezioni Unite, dopo aver chiarito come l’art. 6 del D.Lgs. 150/2011 abbia inciso unicamente sul rito, senza nulla disporre sotto il profilo sostanziale e, in particolare, sull'applicabilità dell'art. 1 della L. 742/1969, hanno evidenziato che l’art. 35 della L. 689/1981 – secondo il quale solo l'opposizione ad ordinanza ingiunzione relativa a violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie consistenti nell'omissione di contributi e premi o da cui derivi l'omissione di contributi e premi (comma 4) era da considerarsi “causa di lavoro”, con conseguente non applicabilità della sospensione feriale dei termini – non è stato espressamente abrogato (dall'art. 34 del D.Lgs. 150/2011), e, pertanto, deve ritenersi attualmente in vigore nella parte in cui mantiene la distinzione fra le due categorie di controversie.
3. Conseguenze operative
Ai fini della tempestività dell'impugnazione avverso una pronuncia resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della sospensione feriale dei termini processuali (dal 01 al 31 Agosto), mentre in tema di opposizione a ingiunzioni emesse per violazioni consistenti nella - o da cui derivi la – omissione, totale o parziale, del versamento dei contributi non si applica la sospensione stessa.