Civile Ord. Sez. U Num. 18831 Anno 2019
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GIUSTI ALBERTO
Data pubblicazione: 12/07/2019
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 4738 del 2017 proposto da:
POLI Paola, rappresentata e difesa dagli Avvocati Francesco Gianni, Alberto Nanni, Emanuele Rimini e Antonio Auricchio, con domicilio eletto presso lo studio legale Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 20;
– ricorrente –
contro
POLI Elena, rappresentata e difesa dall’Avvocato Cristina Rossello, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, piazza di Spagna, n. 31;
– controricorrente –
contro
MASSIMO Claudio, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ettore Maria Negro;
– controricorrente –
e nei confronti di
POLI GROUP HOLDING s.r.I.;
– intimata –
per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Milano, iscritto al N.R.G. 31946 del 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2019 dal Consigliere Alberto Giusti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giovanni Giacalone, depositate in cancelleria il 13 maggio 2019, con cui l’Ufficio del Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
FATTI DI CAUSA
1. – Elena Poli e Paola Poli, entrambe cittadine italiane residenti in Italia, sono le uniche eredi nonché beneficiarie del 50% ciascuna del patrimonio del padre Stefano Poli, importante esponente dell’industria farmaceutica, cittadino italiano nato a Varese 1’8 luglio 1946, già residente in Svizzera e deceduto in Italia il 10 dicembre 2009.
In data 15 maggio 2007 Stefano Poli, in qualità di settlor, costituiva un trust, denominato The Pale Trust, a cui trasferiva la proprietà del Gruppo Poli; trustee di tale trust, poi sottoposto alla legge neozelandese, veniva nominata, per effetto di variazione in data 14 agosto 2007, la Intrust Trustees, una società della Nuova Zelanda, mentre beneficiari erano designati lo stesso Stefano Poli e, in caso di suo decesso, le figlie Elena e Paola Poli, in parti uguali.
Con testamento pubblico ricevuto in data 20 giugno 2007 dal notaio Fabio Bernasconi di Chiasso e integrazione olografa del 15 novembre 2009, Stefano Poli nominava eredi del suo patrimonio, sempre in parti uguali, le due figlie Elena e Paola, scegliendo che la sua successione fosse regolata (“nella misura in cui ciò sia possibile”) dal diritto svizzero e designando esecutore testamentario Claudio Massimo e, in caso di suo impedimento o di non accettazione, quale esecutore testamentario sostituto, Paolo Mondia.
Deceduto il de cuius, in data 3 giugno 2013 le beneficiarie del trust hanno sottoscritto a Lugano, insieme al trustee, il Deed of Agreement, Indemnity, Release and Covenant not to sue (ovvero Accordo, Indennizzo, Rilascio e Impegno ad astenersi dall’iniziare azioni legali), in cui le sorelle Poli hanno, tra l’altro, riconosciuto, concordato ed accettato che la distribuzione di Paola e la distribuzione di Elena sono di pari valore e costituiscono pari beneficio per ciascuna di esse. Tale accordo è stato sottoposto, come il trust, alla legge neozelandese. In attuazione del Deed, il trustee, senza sciogliere il trust, ha disposto un’assegnazione dei beni in trust anticipata rispetto al termine di durata dello stesso, assegnando a Elena Poli 81 milioni di euro, pari alla metà del valore del Gruppo Poli, e attribuendo l’intero capitale sociale della holding lussemburghese Polilux Holding s. à r.l. (Gruppo Poli) a Paola Poli.
2. – A seguito della cessione, da parte di Paola Poli in data 30 novembre 2015, del Gruppo Poli a una società spagnola (il Gruppo Almirall) per il controvalore di 365 milioni di euro, oltre a 35 milioni di euro in forza di una clausola di earn out, Elena Poli, con atto di citazione notificato il 18 maggio 2016, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la sorella Paola Poli, chiedendo accertarsi e dichiararsi la sussistenza del diritto di credito in capo all’attrice alla maggior somma dovuta, oltre a quella di euro 81 milioni già incamerata, impregiudicata ad ogni effetto, fino a concorrenza del controvalore effettivo del 50% del Gruppo Poli, da ricalcolarsi per effetto dell’annullamento per dolo, ex art. 761 cod. civ., e, in subordine, della rescissione per lesione ultra quartum, ex art. 763 cod. civ., dell’atto di “apporzionamento” del 3 giugno 2013 e/o fino a concorrenza del 50% del valore di mercato del Gruppo Poli calcolato sulla base dei multipli impliciti nelle transazioni di società similari nel periodo 2002/2012, e/o fino a concorrenza del 50% del valore di mercato del Gruppo Poli come riveniente dalla cessione al Gruppo Almirall, con l’emissione della conseguente pronuncia di condanna, in subordine anche a titolo di risarcimento del danno o di indebito arricchimento.
A sostegno delle domande, l’attrice ha dedotto, in particolare, che la quota in denaro ricevuta da Elena Poli sarebbe frutto di una “sottovalutazione ad arte del Gruppo Poli legata alla strategia di Paola Poli che … ha voluto che ci si avvalesse del criterio di stima del valore del Gruppo che il padre aveva dettato per il solo caso in cui al termine della durata del trust il Gruppo fosse ancora in attività e una sola delle figlie desiderasse proseguire nell’attività e l’altra volesse essere liquidata in denaro”. Secondo l’attrice, il principio dell’eguale beneficio doveva essere rispettato sino alla scadenza della durata del trust e se Paola Poli, senza preannunciarlo al trustee né all’altra beneficiaria, aveva deciso di vendere quanto acquisito, le posizioni delle due beneficiarie dovevano essere riportate ad equilibrio. Ad avviso di Elena Poli, la sorella Paola era legittimata passiva all’obbligo restitutorio e risarcitorio nel determinando ammontare, atteso che, indipendentemente dai passaggi societari realizzati per procedere alla vendita del Gruppo Poli, restava sottoposta al principio della equiparazione delle posizioni delle beneficiarie del trust.
2.1. – Costituendosi in giudizio, Paola Poli ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano e la sussistenza della giurisdizione esclusiva dell’arbitro unico previsto dall’art. 15 del Deed sottoscritto tra la stesse Paola Poli ed Elena Poli e dal trustee Intrust il 3 giugno 2013, arbitro da nominarsi secondo le norme svizzere sull’arbitrato internazionale della Camera di commercio svizzera.
2.2. – E’ intervenuto in giudizio Claudio Massimo, in qualità di esecutore testamentario del de cuius Stefano Poli, sostenendo le ragioni dell’attrice.
3. – Nella pendenza del giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Milano, Paola Poli ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con atto notificato il 21 febbraio 2017, chiedendo dichiararsi il difetto di giurisdizione del Tribunale di Milano e di qualsiasi altro giudice italiano, richiamando la clausola n. 15 del Deed prevedente l’arbitrato svizzero (“qualunque lite, controversia o istanza che scaturisca da o in relazione al presente Atto, comprese la validità, l’invalidità o le violazioni del presente Atto, sarà composta come tra le parti a mezzo di arbitrato ai sensi delle Norme svizzere sull’arbitrato internazionale della Camera di commercio svizzera”: così nella traduzione giurata in atti).
4. – Ha resistito, con controricorso, Elena Poli, chiedendo il rigetto del ricorso per regolamento preventivo e la declaratoria della giurisdizione del giudice italiano.
Ad avviso della controricorrente, la materia del contendere verte – tenuto conto anche della circostanza che petitum e causa petendi sono stati emendati dall’attrice con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1), cod. proc. civ., depositata il 17 febbraio 2017, quattro giorni prima della notifica del ricorso per regolamento preventivo in cassazione – non sulla caducazione del Deed, ma sull’attuazione della divisione della massa ereditaria secondo il criterio dell’eguale beneficio dettato dal de cuius Stefano Poli, cittadino italiano, deceduto a Milano il 10 dicembre 2009. Le singole attribuzioni dei cespiti ereditari non infirmerebbero la natura successoria della controversia di scioglimento della comunione tra coeredi: la clausola per arbitrato estero (con arbitro svizzero, sede a Lugano e applicazione del diritto neozelandese per successione di cittadino italiano), inerente all’attribuzione di un singolo cespite che compone l’asse ereditario, non osterebbe alla giurisdizione italiana in materia successoria, quale sancita dall’art. 50 della legge 31 maggio 1995, n. 218. Difatti il Deed avrebbe assolto la sola funzione di attribuire un cespite dell’asse da dividere, nel quadro e nel contesto del complessivo scioglimento della comunione ereditaria ancora in corso sotto le cure dell’esecutore testamentario Claudio Massimo; la lesione subita da Elena Poli attraverso il Deed ben potrebbe e dovrebbe essere conosciuta íncidenter tantum in funzione del complesso oggetto successorio e divisionale della controversia di cui il Deed costituirebbe soltanto una singola parte; e sussisterebbe controversia divisionale ereditaria anche quando, come nella specie, ferme le quote testamentarie fissate dal de cuius, si controverta sui valori dei beni rispettivamente attribuiti, qui manifestamente distanti rispetto alla volontà del testatore di ripartire il suo patrimonio tra le due figlie in eguale misura.
5. – Ha resistito, con separato controricorso, Claudio Massimo.
Preliminarmente, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione per due ordini di motivi: perché esso è stato proposto prima della scadenza del termine per il deposito della memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., quindi antecedentemente all’accertamento istruttorio necessario ai fini della statuizione sulla giurisdizione; perché nel caso di specie tutte le parti sono italiane e quindi soggette alla giurisdizione italiana, con la conseguenza che il giudizio arbitrale, sia estero o interno, comporta necessariamente una questione di competenza, ai sensi dell’art. 819-ter cod. proc. civ.
Quanto al merito della questione di giurisdizione, il controricorrente, a sostegno delle conclusioni di sussistenza della giurisdizione italiana, rileva che la clausola compromissoria di cui all’art. 15 del Deed non sarebbe applicabile alla controversia oggetto del giudizio di merito, il quale non avrebbe ad oggetto la validità del Deed in sé considerato – unica ipotesi per la quale sarebbe stata pattuita la clausola compromissoria – bensì l’esito della divisione ereditaria operata per mezzo dello stesso e la conseguente violazione delle disposizioni testamentarie dettate dal padre defunto con la letter of wishes del 5 maggio 2007, lettera indirizzata, pochi giorni prima dell’istituzione del trust, anche al Massimo, nella duplice veste di esecutore testamentario e di protector, affinché questi vegliasse sul rispetto delle sue volontà.
6. – La società Poli Group Holding è rimasta intimata.
7. – Nelle conclusioni scritte ex art. 380-ter cod. proc. civ. depositate il 30 ottobre 2017, il pubblico ministero ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, sul rilievo che tutte le parti della causa sono residenti o hanno sede in Italia.
8. – Con ordinanza 20 novembre 2018, n. 29879, le Sezioni Unite hanno dichiarato ammissibile l’istanza di regolamento preventivo, respingendo le eccezioni preliminari sollevate dal pubblico ministero e dal controricorrente Massimo, e hanno richiesto all’Ufficio del Massimario una relazione di approfondimento sulle questioni attinenti al fondo della questione di giurisdizione.
Nel respingere le eccezioni preliminari, le Sezioni Unite hanno affermato:
– che il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto per sollevare una questione concernente il difetto di giurisdizione del giudice italiano non solo allorché convenuto nella causa di merito sia un soggetto domiciliato o residente all’estero, ma anche quando il convenuto, domiciliato e residente in Italia, abbia contestato la giurisdizione italiana in forza di deroga convenzionale a favore di un arbitrato estero;
– che il controricorrente Massimo non ha indicato in che cosa avrebbe dovuto consistere l’accertamento istruttorio, utile ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione, che sarebbe
stato vanificato dalla proposizione “anticipata” del regolamento preventivo;
– che, in presenza di clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compromesso dà luogo ad una questione di giurisdizione e non di competenza ai sensi dell’art. 819-ter cod. proc. civ.
9. – In prossimità della camera di consiglio, fissata per il 18 giugno 2019, il pubblico ministero ha depositato nuove conclusioni scritte, concludendo per il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
L’Ufficio del Procuratore Generale ha evidenziato che il trust in questione deve essere qualificato come donazione indiretta ex art. 809 cod. civ., rientrante nell’ambito dei negozi transmorte inter vivos, sicché la comunione insorta tra i beneficiari va configurata come ordinaria e non successoria, con conseguente impossibilità d’includere l’istituto in esame nel campo di applicazione dell’art. 50 della legge n. 218 del 1995, dettato in tema di giurisdizione con esclusivo riguardo alla “materia successoria”.
Dopo avere sottolineato che le norme di applicazione necessaria operano esclusivamente come limite all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato dalla norma di conflitto, senza incidere sul diverso problema dell’individuazione dei criteri dai quali dipende la competenza giurisdizionale, il pubblico ministero ha affermato che le esercitate azioni di cui agli artt. 761 e 763 cod. civ. non sono poste a presidio di diritti indisponibili, sottratti in quanto tali all’ambito applicativo dell’art. 4, comma 2, della legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
10. – In prossimità della camera di consiglio tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Deve essere preliminarmente disattesa l’istanza, avanzata dalla difesa di Elena Poli, di riunione del presente giudizio per regolamento preventivo a quello, pendente tra le stesse parti, iscritto al N. R.G. 11328 del 2017 e fissato per la decisione nella stessa adunanza camerale del 18 giugno 2019. I due ricorsi si riferiscono infatti a giudizi di merito diversi, non confluiti in un unico procedimento a quo.
2. – Passando al fondo della questione di giurisdizione, si tratta di stabilire, innanzitutto, se vi siano criteri di collegamento che consentano di ricondurre alla giurisdizione dello Stato italiano la controversia riguardante l’apporzionamento tra i beneficiari del bene conferito in trust e, in particolare, se la detta controversia sia suscettibile di essere ricompresa tra quelle concernenti la divisione ereditaria, per le quali la giurisdizione del giudice italiano e’ regolata dalla L. n. 218 del 1995, articolo 50.
3. – Nello svolgere tale indagine, occorre muovere dall’esame delle domande azionate nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Milano, risultanti dal petitum e dalla causa petendi dell’atto di citazione, come emendati con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 1), cod. proc. civ.
Questo esame deve essere condotto alla luce dell’orientamento invalso nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice anche nelle questioni di diritto internazionale privato – per il quale la giurisdizione del giudice italiano e quella del giudice straniero vanno determinate non gia’ in base al criterio della prospettazione della domanda (ossia in base alla qualificazione soggettiva che l’istante dà all’interesse di cui chiede domanda la tutela), ma in base al diverso criterio secondo cui, ai fini del relativo riparto, non è sufficiente e decisivo avere riguardo alle deduzioni ed alle richieste formalmente avanzate dalle parti, ma occorre tener conto della vera natura della controversia, da stabilire con riferimento alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla disciplina legale della materia (Cass., Sez. U., 24 luglio 2007, n. 16296; Cass., Sez. U., 26 maggio 2015, n. 10800).
4. – Oggetto della controversia promossa e’ la pretesa creditoria di Elena Poli alla maggiore somma (oltre a quella di Euro 81 milioni, gia’ incamerata), fino a concorrenza del controvalore effettivo del 50% del Gruppo Poli, da ricalcolarsi per effetto dell’annullamento per dolo o della rescissione per lesione ultra quartum dell’atto di apporzionamento del 3 giugno 2013, ovvero, in via subordinata, per effetto della condotta dannosa e ingannevole posta in essere dalla sorella o dell’indebito arricchimento di costei.
L’attrice ha infatti domandato la condanna di Paola Poli al pagamento in proprio favore “della maggior somma dovuta, oltre a quella di Euro 81.000.000 gia’ incamerata, impregiudicata ad ogni effetto, fino a concorrenza del controvalore effettivo del 50% del Gruppo Poli… e/o fino a concorrenza del 50% del valore del Gruppo Poli al giugno 2013 [non essendo oggetto della domanda il Deed 3 giugno 2013], calcolato sulla base dei multipli impliciti nelle transazioni di societa’ similari nel periodo 2002/2012, e/o fino a concorrenza del 50% del valore di mercato del Gruppo Poli come riveniente dalla cessione al Gruppo Almirall””.
Questa domanda di condanna al pagamento della maggior somma e’ stata avanzata, in via principale, “per effetto dell’annullamento ex art. 761 cod. civ. dell’atto di apporzionamento del 3 giugno 2013 e/o fino a concorrenza del 50% del valore di mercato del Gruppo Poli al giugno 2013 [non essendo oggetto della domanda il Deed 3 giugno 2013]” e, in via subordinata, “per effetto della rescissione ex art. 763 cod. civ. dell’atto di apporzionamento del 3 giugno 2013 e/o fino a concorrenza del 50% del valore di mercato del Gruppo Poli al giugno 2013 [non essendo oggetto della domanda il Deed 3 giugno 2013]”.
In ulteriore subordine, l’attrice ha chiesto la condanna della convenuta, “previo accertamento dell’elemento soggettivo incidente”, al risarcimento in proprio favore dei danni come provati in corso di giudizio o, in subordine, come ritenuti in via equitativa e, comunque, in misura mai inferiore a Euro 120.000.000″, ovvero, in via ulteriormente subordinata, “in forza dell’articolo 2043 e/o dell’articolo 1375 e/o dell’articolo 1440 c.c.”. Ha poi domandato la condanna al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance e, in estremo subordine, la condanna “al pagamento a titolo di indennizzo ex art. 2041 cod. civ… della maggior somma, rispetto a quanto gia’ incamerato, che resta impregiudicato ad ogni effetto, fino a concorrenza del 50% del Gruppo Poli”.
In sostanza, l’attrice ha lamentato: (a) di avere prestato in buona fede il consenso a ricevere la somma di euro 81 milioni determinata con l’applicazione del criterio indicato dal padre per il caso in cui almeno una figlia intendesse proseguire la gestione del Gruppo Poli, atteso che tanto la sorella Paola Poli aveva dichiarato di volere fare (“celando … di avere in corso già delle trattative con diversi potenziali acquirenti”); (b) che il criterio valutativo immaginato dal de cuius, basato su un metodo patrimoniale misto che considerasse un modesto avviamento, aveva lo scopo di preservare risorse per il processo di sviluppo del Gruppo nell’ipotesi che una delle figlie mantenesse il controllo, laddove con la cessione in data 30 novembre 2015 ad Almirall – per un importo pari a 400 milioni di euro, tra cash ed earn out – Paola Poli “ha abbandonato il ruolo imprenditoriale che fu del padre e che aveva dichiarato in allora di voler conservare”; (c) che alla data del 3 giugno 2013 Elena Poli “ha manifestato un consenso all’apporzionamento de quo viziato in quanto determinato” da “artifizi” e da “raggiri”, “senza i quali non lo avrebbe mai espresso”; (d) che “l’apporzionamento del 3 giugno 2013 non corrisponde per ben più di un quarto al valore effettivo del 50% della quota” spettante ad Elena Poli, “essendo addirittura pari al solo 19%”. Ed in via subordinata l’attrice ha dedotto: (e) di avere in ogni caso “il diritto di ottenere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1440 cod. civ., dalla sorella Paola Poli il risarcimento del danno subito, il cui ammontare dovrà … ricomprendere anche il mutamento delle condizioni contrattuali, tenuto conto del possibile contenuto dell’accordo che sarebbe stato concluso in difetto del comportamento dannoso serbato dalla convenuta”; (f) che Paola Poli ha conseguito, con l’apporzionamento del 3 giugno 2013, in difetto di una giusta causa, un vantaggio di natura patrimoniale in danno della sorella, che, a seguito del medesimo atto, ha subito un correlativo ingiustificato depauperamento.
5. – Ad avviso del Collegio, la controversia così introdotta non rientra nella materia successoria.
5.1. – Occorre premettere che anche la divisione ereditaria afferisce alla materia successoria, come è dimostrato, per un verso, dalla collocazione delle norme del codice civile rivolte a disciplinare la divisione (art. 713 e ss.) nel titolo IV del Libro II “Delle successioni”, e, per l’altro verso, dalle norme di conflitto e di giurisdizione dettate, nel sistema italiano di diritto internazionale privato, dalla legge n. 218 del 1995, la quale, all’art. 46, comma 3, inserito nel capo VII “Successioni”, detta una disposizione apposita rivolta a ricomprendervi tutte le ipotesi di divisione ereditaria, e dunque anche quella amichevole o contrattuale.
Ciò posto, deve tuttavia escludersi che il consenso espresso dalle beneficiarie all’apporzionamento tra le stesse, ad opera del trustee, dei beni conferiti in vita dal disponente Stefano Poli nel Pale Trust (il Gruppo Poli), integri un atto avente ad oggetto un bene caduto in successione ereditaria.
Invero, sotto quest’ultimo profilo, va rilevato – in conformità delle conclusioni alle quali è pervenuto il pubblico ministero con la requisitoria depositata il 13 maggio 2019 – che con il Pale Trust non si è realizzata una devoluzione mortis causa di sostanze del disponente Stefano Poli.
Il Pale Trust è stato infatti costituito con atto inter vivos e, durante la vita del settlor, si è avuto il passaggio della proprietà del Gruppo Poli nella sfera giuridica del trustee, investito del compito fiduciario di gestire le partecipazioni societarie nell’interesse dei beneficiari e di devolvere ad essi detto patrimonio al termine del trust.
Tali beni non sono caduti in successione perche’ essi si trovavano, al tempo dell’apertura della stessa, già fuori del patrimonio del disponente, avendone costui trasferito la proprieta’ in via definitiva e per atto inter vivos al trustee; i beneficiari finali – le figlie Elena e Paola – hanno acquistato i beni direttamente dal trustee e non già per successione mortis causa dal de cuius.
In altri termini, nel caso di trust liberale tra vivi (qual è il Pale Trust) che produce effetti, sul piano beneficiario, dopo la morte del disponente, quel che il disponente ha pienamente trasferito in vita non concorre a formare l’asse ereditario.
Il Collegio condivide l’opinione, espressa dalla prevalente dottrina, che qualifica una vicenda attributiva come quella di specie (nella quale il settlor, istituendo con atto inter vivos il trust e conferendovi la proprietà del Gruppo Poli, ha utilizzato lo strumento per finalità che attengono alla trasmissione alle figlie, con effetti post mortem, del proprio patrimonio avente ad oggetto le partecipazioni societarie), in termini di donazione indiretta, riconducibile nell’ambito della categoria delle liberalita’ non donative, di cui all’articolo 809 cod. civ. Infatti, l’arricchimento dei beneficiari e’ stato realizzato dal disponente mediante un meccanismo indiretto, prevedente la creazione di un ufficio di diritto privato (quello del trustee), il titolare del quale – titolare, altresi’, del patrimonio separato costituente la dotazione del trust – è stato investito del compito di far pervenire ai beneficiari i vantaggi patrimoniali previsti dall’atto istitutivo.
Va quindi esclusa la natura mortis causa del trasferimento dal trustee ai beneficiari finali, che costituisce il secondo segmento dell’operazione, perchè – come e’ stato rilevato – tale atto traslativo ha investito ormai sfere giuridiche diverse da quelle dell’originario disponente: rispetto a tale trasferimento, la morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al piu’ individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale.
5.1.2. – Questo approdo interpretativo è confermato dal regolamento UE n. 650/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato Europeo, non applicabile ratione temporis (il regolamento si applica, ex art. 83, alle successioni delle persone decedute alla data o dopo il 17 agosto 2015, mentre il Dott. Stefano Poli è deceduto anteriormente, il 10 dicembre 2009), e tuttavia significativo per ricostruire le linee di tendenza del quadro normativo di riferimento. Infatti, l’ambito d’applicazione del regolamento si estende a tutti gli aspetti di diritto civile della successione a causa di morte, ma ne sono esclusi non solo le questioni inerenti alla costituzione, al funzionamento e allo scioglimento di trust (e con la precisazione che in caso di costituzione di trust testamentari o legali in connessione con una successione legittima si applica la legge applicabile alla successione per quanto riguarda la devoluzione dei beni e la determinazione dei beneficiari), bensi’ anche i diritti e i beni trasferiti con strumenti diversi dalla successione, quali le donazioni, fatto salvo quanto previsto in tema di collazione e di riduzione ai fini del calcolo delle quote dei beneficiari secondo la legge applicabile alla successione (v. considerando 9, 13 e 14, nonche’ articolo 1, paragrafi 1 e 2, lettere g e j, e articolo 23, paragrafo 2, lettera i).
5.2. – La difesa della controricorrente Elena Poli, a sostegno della diversa tesi della natura ereditaria della controversia, sottolinea alcune circostanze di fatto che, a suo avviso, dimostrerebbero l’unitarietà e la continuità dell’intento del defunto nel ricondurre il tutto – testamento e trust – a una sola, perfetta e solenne unità volitiva. In particolare, viene richiamata la lettera olografa del 5 maggio 2007, scritta di pugno dal de cuius e indirizzata al suo commercialista, Dott. Claudio Massimo, fiduciario, esecutore testamentario e protector del Pale Trust. In tale documento, (Stefano Poli espresse al Massimo, “in aggiunta e complemento a quanto stabilito nel testamento”, e “in considerazione del fatto” che sarebbe stato lui il suo “esecutore testamentario”, il desiderio che il patrimonio venisse pariteticamente ripartito tra le figlie anche in relazione al costituendo trust successorio (“i beneficiari dovranno essere, dopo la mia morte, le mie figlie Elena e Paola Poli”; “il protector del Trust dovrai essere Tu”).
5.2.1. – Il Collegio ritiene che tale deduzione difensiva non sia idonea a dimostrare che con il Pale Trust si sia realizzata una devoluzione mortis causa di sostanze del disponente.
Com’e’ noto, infatti, l’atto mortis causa è diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte: nessun effetto, nemmeno prodromico o preliminare, esso è perciò destinato a produrre, e produce, prima di tale evento. L’evento della morte riveste un ruolo diverso nell’atto post mortem, perchè qui l’attribuzione è attuale nella sua consistenza patrimoniale e non è limitata ai beni rimasti nel patrimonio del disponente al momento della morte.
Seguendo tale insegnamento, va ribadito che, nella specie, con l’istituzione del Pale Trust – nel quale il settlor ha conferito le proprietà azionarie del Gruppo chimico-farmaceutico, indicando se stesso quale beneficiario in vita e, dopo la sua morte, le due figlie quali beneficiarie paritetiche – si è determinato un immediato passaggio nella sfera giuridica del trustee, realizzandosi così il dato dell’attualità dello spoglio da parte del disponente; e la di lui morte non ha costituito il punto di origine della situazione regolata né è penetrata nella giustificazione causale dell’attribuzione, ma ha rappresentato soltanto termine o condizione, e dunque modalità della stessa.
5.3. – Né la controversia può dirsi successoria in applicazione dei precedenti di questa Corte nei casi Agnelli e Corsini.
Nel primo caso (Cass., Sez. U., 27 ottobre 2008, n. 25875), infatti, si trattava di una controversia avente ad oggetto, quale domanda principale, la petizione di eredità e il conseguente scioglimento della comunione ereditaria, e proprio in ragione di tali domande svolte in via principale la giurisdizione italiana è stata riconosciuta, in applicazione dell’art. 50 della legge n. 218 del 1995, essendosi aperta in Italia la successione; e la giurisdizione italiana è stata ritenuta sussistente anche in relazione all’azione di rendiconto svolta nei confronti di più professionisti, in considerazione del carattere pregiudiziale rispetto a quella principale di petizione di eredità esercitata nei confronti del coerede, attesa la funzione unitariamente ricostruttiva di un altrettanto unitario asse ereditario cui l’azione esperita mirava in concreto.
Analogamente, nel secondo caso, questa Corte (Cass., Sez. U., 15 marzo 2012, n. 4132) ha affermato che qualora la figlia proponga un’unica azione per l’accertamento della propria qualità di erede e di divisione dell’asse ereditario contro la moglie del padre, cittadino italiano defunto nel Principato di Monaco, nonché contro i trustee dei trust di Jersey, istituiti dal de cuius, per la resa del conto e il risarcimento del danno, sussiste la giurisdizione del giudice italiano ex art. 50 della legge n. 218 del 1995, essendo il de cuius cittadino italiano al momento della morte, tanto sulla domanda principale di petitio hereditatis quanto sulla causa di rendiconto, che può essere riconosciuta incidenter tantum.
Nell’una e nell’altra vicenda, pertanto, le domande svolte in via principale miravano ad accertare e dichiarare la qualità di erede dell’attrice e a ottenere la divisione dell’asse ereditario, sicché la verifica della giurisdizione italiana è stata compiuta tenendo conto delle questioni dedotte con tali domande che vertevano in materia successoria.
Nell’odierna causa promossa dinanzi al Tribunale di Milano (R.G. n. 31946 del 2016) non è stata invece proposta nessuna domanda di petizione di eredità né di scioglimento della comunione ereditaria: l’oggetto della domanda – quale risulta in particolare dalle precisazioni e dalle modificazioni contenute nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1), cod. proc. civ. – riguarda la pretesa creditoria nei rapporti interni tra le beneficiarie dell’apporzionamento nascente dalla dedotta sproporzione delle due attribuzioni (l’assegnazione di 81 milioni di euro a Elena Poli e l’attribuzione dell’intero capitale sociale della holding lussemburghese Polilux Holdings s.à.r.l. a Paola Poli), secondo l’attrice determinato dal dolo e comunque dal comportamento illegittimo della sorella nella stipulazione tra di esse dell’atto “divisionale”, asseritamente in contrasto con la volontà paterna, il quale, con la lettera di istruzioni al protector del 5 maggio 2007, aveva richiamato l’esigenza di un’effettiva parità tra le due figlie nella ripartizione del proprio patrimonio. La domanda – nel contestare la vincolatività dell’atto di scioglimento della comunione, evidentemente ordinaria e non ereditaria, realizzatosi attraverso il Deed tra le sorelle beneficiarie del Pale Trust, e nel tendere alla ricostruzione, determinazione e revisione del valore complessivo dell’atto di apporzionamento del 3 giugno 2013 – si riallaccia, secondo la prospettazione dell’attrice, al criterio dell’egual beneficio espressamente voluto dal padre, avendo costui previsto una deroga di favore (nella valutazione del valore del patrimonio del trust per quanto riguarda le società, con l’applicazione di un metodo patrimoniale misto che considerasse un moderato avviamento) alla continuatrice di stirpe aziendale, deroga che – si sostiene – nella specie non sarebbe applicabile, stante l’asserito comportamento doloso di Paola, che non avrebbe rilevato alla sorella le proprie reali intenzioni di non volere neanch’essa proseguire le attività paterne.
6. – Poiché, dunque, la presente controversia concerne gli esiti di una attribuzione inter vivos e non mortis causa discendente dall’apporzionamento di beni conferiti in trust e non fanno parte dell’oggetto della causa i meccanismi di riequilibrio – tipici della materia successoria – della collazione e della riduzione delle liberalità indirette, il titolo di giurisdizione, nel rapporto tra la giurisdizione italiana e quella degli altri Stati, va ricercato, non secondo i criteri speciali dettati dall’art. 50 della legge n. 218 del 1995, ma in base al criterio generale di cui all’art. 3 della stessa legge.
In applicazione di quest’ultima disposizione, la causa rientra nell’ambito della giurisdizione italiana, essendo la convenuta Paola Poli domiciliata e residente in Italia.
La causa rientra nell’ambito della giurisdizione italiana anche in applicazione della disposizione generale sulla competenza dettata dall’art. 4 del regolamento UE n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale («A norma del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro»).
7. – Si tratta a questo punto di stabilire se il titolo di giurisdizione italiana sia o meno neutralizzato dalla convenzione derogatoria a favore dell’arbitrato svizzero contenuta nell’art. 15 del Deed of Agreement, Indemnity, Release and Covenant not to sue.
8. – A tale quesito deve darsi risposta positiva.
8.1. – Con la clausola compromissoria contenuta nell’art. 15 del Deed le parti hanno stabilito di risolvere “qualunque lite, controversia o istanza che scaturisca da o in relazione al presente Atto, comprese la validità, l’invalidità o la violazione delle condizioni del presente Atto” a mezzo di “arbitrato ai sensi delle Norme svizzere sull’arbitrato internazionale della Camera di commercio svizzera (le ‘Norme’) vigenti alla data in cui l’Avviso di arbitrato viene presentato ai sensi delle Norme” (prevedendosi che “Il numero di arbitri sarà uno, la sede dell’arbitrato sarà Lugano e il procedimento arbitrale sarà condotto in inglese”; con tale clausola le parti hanno anche rinunciato “a qualunque obiezione in merito alla sede di tale procedura arbitrale e a ogni contestazione in ordine alla competenza del foro adito”). (nell’originale: “The parties to this Deed: Agree that any dispute, controversy or claim arising out of or in relabon to this Deed, including the validity, invalidity or breach of the terms of this Deed, shall be resolved as between the parties by arbitration in accordance with the Swiss Rules of International Arbitration of the Swiss Chambers of Commerce (the ‘Rules’) in force on the date when the Notice of Arbitration is submitted in accordance with the Ru/es. The number of arbitrators shall be one, the seat of arbitration shall be Lugano and the arbitrai proceedings shall be concluded in English. Hereby waive any objection to the laying of venue of any such arbitration proceedings and any claim that such proceedings have been brought in an inconvenient forum“).
Con il Deed – che ha visto come parti la Intrust Trustees, da un lato, ed Elena Poli e Paola Poli, dall’altro, queste ultime in veste di promittenti – le promittenti hanno premesso di avere richiesto ad Intrust di esercitare i suoi poteri ai sensi del Pale Trust, inclusi il potere di distribuzione e il potere di anticipazione.
Le promittenti hanno inoltre riconosciuto, concordato ed accettato (secondo quanto prevede l’art. 3): di avere piena conoscenza di tutti i fatti materiali relativi alle azioni indennizzate; di stipulare l’atto senza fare affidamento su garanzie, dichiarazioni o altro, sia in relazione alla natura che al merito delle azioni indennizzate che altrimenti; che la valutazione inclusa nella relazione di valutazione del Gruppo Poli è una stima accurata del valore del Gruppo Poli alla data dell’atto, fermo restando che tale valutazione è basata su informazioni contabili del Gruppo Poli del 2011; che la distribuzione di Paola e la distribuzione di Elena sono di pari valore e costituiscono pari beneficio per ciascuna di esse, in generale e ai fini del Pale Trust; che esse sono a conoscenza del fatto che Intrust non può al momento essere certa che non ci sia alcuna probabilità che le autorità tributarie procedano ad investigazioni in relazione al Pale Trust; che Intrust ha determinato di trattenere la riserva fiscale sino alla data di cessazione della riserva fiscale; che Intrust ha determinato di esercitare i propri poteri sul Trust Margot e sul Trust Mirtilla in modo da far sì che, fino alla data specificata, il fondo di ciascun trust sia trattenuto nel trust al fine, tra gli altri, di proteggere gli interessi dei beneficiari successivi e di far sì che la responsabilità del trustee del Pale Trust siano adempiute dal fondo dei Trust Margot e Mirtilla.
8.2. – Le domande articolate dall’attrice, tanto in via principale quanto in via subordinata, investono tutte direttamente il Deed of Agreement, Indemnity, Release and Covenant not to sue del 3 giugno 2013, ossia l’accordo di attribuzione con cui, insieme al trustee, Elena e Paola Poli, quali uniche beneficiarie del Pale Trust, hanno pattuito il riparto, nella misura del 50% ciascuna, dello specifico bene rappresentato dal compendio societario costituito in trust, attraverso la liquidazione anticipata dei diritti economici ad Elena Poli, con l’assegnazione di 81 milioni di euro, e l’attribuzione della proprietà del Gruppo a Paola Poli.
Non è questa la sede per stabilire se il Deed sia un atto divisionale o un atto che abbia semplicemente permesso di definire e di perfezionare la liberalità indiretta a favore di ciascuna delle due beneficiarie, l’una e l’altra liberalità poi suscettibili di essere considerate, per effetto della collazione, nella successiva fase della divisione ereditaria.
La scelta processuale dell’attrice è stata nel primo senso: proponendo la “domanda ai sensi dell’art. 761 cod. civ.” e la “domanda ai sensi dell’art. 763 cod. civ.” (così, espressamente, a pag. 16 e a pag. 26 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ.), ella ha contestato la vincolatività dell’esito dell’accordo divisorio tra le sorelle”. In tal modo Elena Poli ha configurato il Deed come un atto avente ad oggetto la divisione del patrimonio costituito nel Pale Trust e, su questa base, ha dedotto, a sostegno della richiesta di annullamento per dolo, che “non avrebbe prestato il proprio consenso all’apporzionamento de quo, qualora già allora la sorella Paola Poli avesse disvelato le sue reali intenzioni circa il futuro del Gruppo Poli” (pag. 17 della citata memoria), e, a supporto della domanda di rescissione per lesione, che “lo squilibrio della ripartizione” ha comportato “un oggettivo difetto funzionale della divisione” (pag. 27 del medesimo atto).
Quantunque la controricorrente Elena Poli abbia esplicitato di non avere inteso mettere in discussione la validità del Deed, in realtà, avuto riguardo al petitum sostanziale, l’annullamento o la rescissione dell’apporzionamento ovvero, ancora e in via subordinata, l’accertamento che senza i dedotti raggiri usati dalla sorella l’accordo sarebbe stato concluso da Elena Poli a condizioni diverse e per lei più vantaggiose o che l’apporzionamento stesso sarebbe privo di causa e avrebbe determinato un ingiustificato depauperamento per una delle stipulanti, costituiscono la fonte della pretesa creditoria avanzata in giudizio da Elena Poli.
8.3. – Non è condivisibile la tesi della controricorrente secondo cui l’invalidità e la rescindibilità del Deed potrebbero essere rilevate e conosciute incidenter tantum.
E’ sufficiente osservare che sono oggetto di cognizione incidenter tantum, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ., solo le questioni pregiudiziali in senso tecnico. Queste ricorrono allorché le parti controvertano su di un antecedente giuridico non necessitato in senso logico dalla decisione e potenzialmente idoneo a riprodursi tra le stesse parti in relazione ad ulteriori e distinte controversie, di guisa che la statuizione su di esso, per la pluralità di effetti derivabili, possa lasciarne impregiudicata la riemersione in altra sede processuale (Cass., Sez. II, 26 marzo 2015, n. 6172).
Nella specie, l’invalidità per dolo e la rescindibilità per lesione del Deed, in quanto contenente una valutazione del Gruppo Poli asseritamente inadeguata e la cui applicazione sarebbe frutto del dolo o del comportamento illegittimo di Paola Poli, rientrano nell’oggetto della domanda e del processo e sono al di fuori del perimetro della pregiudizialità: esse costituiscono la fonte della pretesa creditoria vantata da Elena Poli e la causa petendi della domanda avente come petitum l’accertamento del credito e la condanna della sorella a soddisfarlo. Non esistono, in altri termini, due temi controversi, uno dei quali – l’asserito credito – possa essere oggetto di decisione, e l’altro – l’invalidità per dolo o la rescindibilità per lesione del Deed – oggetto di cognizione incidenter tantum.
8.4. – Né, d’altra parte, può dubitarsi della validità della detta clausola compromissoria, trattandosi di accordo di deroga della giurisdizione italiana che verte su diritti disponibili, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 218 del 1995: esso, infatti, è contenuto in un atto, il Deed, che concerne una situazione avente natura patrimoniale.
Ritiene questa Corte che la previsione del citato art. 4, comma 2, della legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato debba essere ricollegata, in via sistematica: (a) all’art. 1966, secondo comma, cod. civ., con cui si sancisce esplicitamente come non possano formare oggetto di transazione i diritti che, «per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti»; (b) all’art. 806 cod. proc. civ., che, salvo espresso divieto di legge, consente alle parti di «far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili»; (c) all’art. H della Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, adottata a New York il 10 giugno 1958 (l’adesione alla quale è stata autorizzata con la legge 19 gennaio 1968, n. 62), disposizione che fa riferimento ad una questione suscettiva di essere regolata in via arbitrale («une question susceptible d’étre réglée par voie d’arbitrage») (cfr. Cass., Sez. U., 4 maggio 2006, n. 10219).
Questa Corte ha in proposito chiarito che l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte (Cass., Sez. I, 12 settembre 2011, n. 18600); e ha precisato che l’indisponibilità del diritto costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria e non va confusa con l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con cui si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge (Cass., Sez. VI-1, 16 aprile 2018, n. 9344).
Si tratta di una conclusione conforme all’elaborazione della dottrina, la quale ha evidenziato che la disponibilità del diritto si concreta nella facoltà che una parte ha di incidere su un proprio diritto soggettivo, determinandone il destino, e che, di conseguenza, il concetto di diritti indisponibili si riferisce a situazioni accertabili, se controverse, solo da parte dell’autorità giudiziaria.
A ciò aggiungasi che l’eventuale presenza, nella fattispecie, di norme di applicazione necessaria (nell’accezione datane dall’art. 17 della legge n. 218 del 1995) – ossia di norme della lex fori operanti
come limite all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto – non incide sul diverso problema della possibilità di compromettere in arbitrato estero la controversia, non potendosi presumere che il lodo dell’arbitrato estero si porrà in concreto contrasto con la norma italiana di ordine pubblico (cfr. Cass., Sez. U., 20 febbraio 2007, n. 3841).
8.5. – Il Deed reca, oltre alla clausola arbitrale (art. 15), gli artt. 16 e 17, con la previsione della giurisdizione del giudice straniero, delle Corti d’Inghilterra e del Galles (art. 16) e di quella della Nuova Zelanda (art. 17).
Sotto la rubrica “Jurisdiction“, infatti, l’art. 16 prevede che “ai sensi della clausola 15, le parti in questo Atto scelgono irrevocabilmente quale foro competente in via non esclusiva il Tribunale d’Inghilterra e del Galles” (così nella traduzione giurata in atti; nell’originale: “Subject to clause 15, the parties to this Deed irrevocably submit to the non-exclusive jurisdiction of the Courts of England and Wales); a sua volta, l’art. 17, rubricato “No intention to oust Court’s jurísdiction“, prevede che “Nulla nelle clausole 15 o 16 del presente Atto sarà letto o interpretato come inteso a escludere la competenza dell’Alta Corte della Nuova Zelanda” (nell’originale: “Nothing in clauses 15 or 16 of this Deed shall be read or construed as intended to oust the inherent jurisdiction of the High Court of New Zealand”)..
8.5.1. – La difesa della controricorrente Elena Poli, nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio del 18 giugno 2019, ha prospettato che un’interpretazione cauta e non demolitoria degli artt. 15, 16 e 17 del Deed debba condurre a concludere che le parti, consapevoli che le eventuali controversie sulla successione e sulla divisione del patrimonio del de cuius avrebbero presentato un legame stretto con l’ordinamento italiano e con la restante materia successoria dell’eredità Poli, abbiano voluto non già escludere la giurisdizione italiana sul Deed, ma semmai affiancarvi altre giurisdizioni, prima tra tutte l’arbitrale svizzera, lasciate tuttavia alle scelta libera di ciascun contraente e ferma, per le controversie in materia di amministrazione del Pale Trust, la giurisdizione neozelandese. La deduzione difensiva muove dal rilievo che le clausole del Deed sulla scelta del foro competente (artt. 15, 16 e 17), dato il loro contenuto “palesemente non esclusivo”, non potrebbero avere reale portata derogatoria della giurisdizione italiana, che rimarrebbe quella con il maggior numero di connessioni con la fattispecie controversa.
8.5.2. – Il Collegio non condivide detta interpretazione.
Essa muove dall’erroneo presupposto che, poiché la scelta dell’autorità giudiziaria inglese (e del Galles) è espressamente definita “non-esclusiva”, con ciò le parti avrebbero inteso ammettere proprio “la possibilità che la jurisdiction sul Deed spettasse, oltre che all’arbitrato svizzero e al foro inglese, a ogni altra giurisdizione virtualmente competente, compresa quella del giudice italiano”.
In realtà, una lettura complessiva del tenore delle tre clausole, ancorata al loro significato letterale e rispettosa della volontà dei paciscenti, induce a scartare la tesi che l’espressa qualificazione come “non-esclusiva” della giurisdizione inglese valga a renderla concorrente con ogni altra autorità giudiziaria munita per legge di competenza giurisdizionale (compresa, quindi, quella italiana). La giurisdizione dei giudici inglesi (e del Galles) è “non-esclusiva” perché essa concorre con la giurisdizione statale dell’Alta Corte della Nuova Zelanda, la cui “inherent jurisdiction” in tema di administration del Pale Trust è ribadita e fatta salva con l’articolo immediatamente successivo.
In sostanza, la piana lettura, consecutiva ed integrata, delle tre clausole sopra citate (artt. 15, 16 e 17 del Deed) offre alle parti un ventaglio di possibilità, rimesse alla scelta di chi promuove il giudizio, ma all’interno dei tre fori alternativamente previsti: l’arbitrato svizzero (amministrato, con sede a Lugano, essendo pattuita la rinuncia a qualunque obiezione in merito alla sede di tale procedura arbitrale e a ogni contestazione in ordine alla competenza del foro adito); l’autorità giudiziaria inglese; e, venendo in considerazione un atto di amministrazione del Pale Trust, l'”inherent jurisdiction” dell’Alta Corte della Nuova Zelanda.
Questo sistema, aperto all’interno, è chiuso ed esclusivo all’esterno, e pertanto, in sé autosufficiente e completo, non ammette integrazioni “ortopediche” ab extra derivanti dall’innesto, sulle scelte operate dall’autonomia privata, di (tutte le) altre giurisdizioni statali munite, in base alla legge, di un criterio di collegamento con la fattispecie controversa.
In altri termini, la giurisdizione arbitrale svizzera, mentre è affiancata dalla (concorrente) giurisdizione inglese e da quella neozelandese e non deroga ad esse, deroga a tutti gli effetti a quella italiana sul Deed.
9. – Dovendo escludersi che l’arbitro svizzero non possa conoscere della causa (ai sensi dell’art. 4, comma 3, della legge n. 218 del 1995) o che la convenzione arbitrale sia «caduque, inopérante ou non susceptible d’étre appliquée» (agli effetti di quanto previsto dall’art. II, paragrafo 3, della Convenzione di New York del 10 giugno 1958), va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
Tale declaratoria non è preclusa dalla pendenza in Italia, tra le stesse parti, di altri giudizi connessi: dovendosi dare continuità al principio secondo cui la clausola compromissoria per arbitrato estero, che sia stata validamente stipulata a norma dell’art. II della citata Convenzione di New York del 10 giugno 1958, comporta una deroga alla giurisdizione italiana che non viene meno per ragioni di connessione fra la controversia devoluta ad arbitri stranieri ed altra spettante alla cognizione del giudice italiano, salva restando l’eventuale sospensione di quest’ultima per ragioni di pregiudizialità (Cass., Sez. U., 12 gennaio 1982, n. 124).
10. – Sulle conformi conclusioni del pubblico ministero, è dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
11. – La complessità e la novità delle questioni trattate giustificano la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano e compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 3 luglio 2019.
Allegati:
SS.UU, 12 febbraio 2019, n. 18831, in tema di trust
Nota del Dott. Maurizio Cosentini
Sulla natura del trust c.d. successorio
1. Il principio di diritto
La vicenda attributiva con cui il disponente (settlor), istituendo con atto inter vivos un trust e conferendovi la proprietà di determinati beni, utilizzi lo strumento per finalità che attengono alla trasmissione ai propri discendenti, con effetti post mortem, del proprio patrimonio, va qualificata in termini di donazione indiretta, riconducibile nell’ambito della categoria delle liberalità non donative, di cui all’art. 809 c.c..
L’arricchimento dei beneficiari è realizzato dal disponente mediante un meccanismo indiretto, prevedente la creazione di un ufficio di diritto privato (quello del trustee), il titolare del quale – titolare, altresì, del patrimonio separato costituente la dotazione del trust – è investito del compito di far pervenire ai beneficiari i vantaggi patrimoniali previsti dall’atto istitutivo.
Va quindi esclusa la natura mortis causa del trasferimento dal trustee ai beneficiari finali, che costituisce il secondo segmento dell’operazione, poiché tale atto traslativo investe ormai sfere giuridiche diverse da quelle dell’originario disponente: rispetto a tale trasferimento, la morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al più individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale.
2. La natura giuridica del trust. Accenni al c.d. trust successorio
Risulta alquanto complesso fornire una definizione univoca di trust, e in ragione dell’ampia casistica che oggi interessa l’istituto, e per le numerose legislazioni che ne disciplinano i tratti salienti.
Un inquadramento unitario è ulteriormente complicato dalle diverse concezioni di fiducia riconosciute dagli ordinamenti giuridici di matrice romanistica o di stampo germanistico.
Soffermandosi sul modello anglosassone, di maggior diffusione, sulla scorta di quanto essenzialmente delineato dalla Convenzione dell’Aia ratificata con la L. 364/1989, il trust presenta le seguenti caratteristiche: un soggetto, qualificato come “disponente” (settlor) trasferisce alcuni o tutti i propri beni ad un soggetto terzo (trustee) che ha l’obbligo di gestirli ed amministrarli, secondo il regolamento prescritto nell’atto istitutivo, in favore di un beneficiario predeterminato (beneficiary) ovvero di un determinato scopo (c.d. trust di scopo).
La natura giuridica dell’istituto, secondo l’opinione prevalente, è di negozio giuridico unilaterale (evidentemente recettizio) con il quale il disponente imprime un vincolo su determinati beni, trasferendone strumentalmente la titolarità al trustee.
Pur non essendo inquadrato tra i negozi a formazione complessa e progressiva, la fattispecie deve essere completata da un’accettazione da parte del trustee stesso, avente anch’essa natura di negozio giuridico unilaterale.
Con specifico riguardo al c.d. trust successorio, la vicenda negoziale è caratterizza dalla segregazione patrimoniale effettuata per atto tra vivi dal disponente, supportata dal trasferimento strumentale di tutto o parte del proprio patrimonio, con efficacia immediata, in favore del trustee.
La vicenda effettuale, invece, si esaurisce solo in un momento successivo alla morte del disponente, realizzandosi di fatto un’attribuzione para-successoria per il tramite di una gestione fiduciaria regolamentata (nell’atto istitutivo) ad opera del trustee, che sfugge al divieto dei patti successori, come precisa la Cassazione.
Il ricorso a tale istituto, in particolare, ha il merito di consentire al settlor di continuare a disporre con grande autonomia del proprio patrimonio costituito (ad esempio) in buona parte da un’azienda, il cui sostentamento è fisiologicamente sorretto dalla continuità dell’attività d’impresa, programmando al contempo il trapasso generazionale; il tutto con la prerogativa di non dover necessariamente sottostare ai limiti giuridici ed economici che permeano strumenti alternativi, quali il testamento, la donazione o, ancora, il patto di famiglia.
3. Riflessioni conclusive
Le Sezioni Unite affermano che il trust costituito per atto tra vivi con cui il disponente, trasferendo in vita i beni al trustee allo scopo di amministrarli e gestirli in favore del disponente medesimo e, dopo la sua morte, dei suoi discendenti, non implica una devoluzione mortis causa.
Il decesso del disponente, infatti, non colora la causa dell’atto istitutivo, bensì determina una mera discrasia tra una regolamentazione parzialmente già vincolante ed efficace dal momento della costituzione del trust ed il suo epilogo negoziale, successivo alla morte del settlor.
L’effetto negoziale della fattispecie, precisa la Cassazione, consiste nella realizzazione di un’attribuzione patrimoniale in favore dei discendenti del disponente “direttamente dal trustee e non già per successione mortis causa dal de cuius”.
Secondo il Supremo Collegio, in definitiva, un trust con tale struttura è da qualificarsi come “una vicenda attributiva [...] in termini di donazione indiretta”.
L’arricchimento dei beneficiari (finali) è, invero, raggiunto con le attribuzioni ad opera del trustee, esclusivo titolare del patrimonio separato costituente la dotazione del trust, in ottemperanza agli obblighi gestionali ed amministrativi prescritti dal programma negoziale.